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Autore: Roanoke_Wilde    26/02/2021    1 recensioni
Prima di poterci ripensare, si rifugiò in quei pensieri che sapeva avrebbero riempito fino all’orlo la sua mente e, con un po’ di fortuna, l’avrebbero accompagnato nell’incoscienza bandendo il dolore. Quei pensieri, lo sapeva benissimo, erano l’unica cosa in grado di distrarlo dall’emicrania – ed erano l’unica cosa che si era ripetutamente ripromesso di far sparire, di seppellire, di dimenticare ogni volta che indossava il suo elmo e il suo Credo.
Avrebbe rievocato la sua casa, e chi era stato un tempo, prima della Tribù.
Avrebbe rievocato la notte in cui i suoi genitori erano morti e il suo destino di Mandaloriano era stato suggellato.
Allora, forse, avrebbe ritrovato la via per andare avanti.

[Missing Moments // Kid!fic // Introspettivo // PoV Din // Traduzione di _Lightning_]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Fan Art: shima_spoon // Graphic: _Lightning_

Capitolo 1

Un cammino di pace



 

Il sole gentile di Aq Vetina scaldava la faccia di Din mentre faceva capolino sulla strada.

L’alba era passata da un pezzo – il sole volgeva ormai al mezzogiorno – ma l’aria era più pulita di quanto non fosse stata per giorni. Una brezza frizzante sollevava di tanto in tanto nuvole polverose dalla strada in una danza frenetica, e ogni volta Din inspirava a fondo, per non perdersi gli odori che aleggiavano fin lì dalla piazza del mercato – o, se aveva sfortuna, l’olezzo pungente della tintoria qualche casa più giù.

Si trovava nel settore più tranquillo e vecchio del villaggio, ma, nonostante ciò, poteva sentire l’abituale trambusto della gente che seguiva i propri ritmi quotidiani. Gli altri bambini, Din lo sapeva, sarebbero stati impegnati a giocare tra una commissione e l’altra per conto dei genitori e i loro altri impegni giornalieri. Binh e Mai non avrebbero fatto eccezione, ovviamente.

Din sospirò dal naso e si appoggiò mollemente contro lo stipite, con un tenue senso di delusione che gli svolazzò nel petto – assieme a una punta di nervosismo.

Binh e Mai erano i suoi migliori amici, e anche se sapeva che l’indomani avrebbe potuto di nuovo giocare con loro, una parte di lui avrebbe voluto farlo ora. Senza contare che c’era sempre la possibilità che le cose non sarebbero più state le stesse, dopo stanotte...

Ma sapeva anche che gli eventi di quel giorno erano un onore, qualcosa che avrebbe dovuto attendere con trepidazione...

Din sobbalzò quando due mani gli calarono sulle spalle e una voce si materializzò accanto al suo orecchio.

«Buh!»

Ruotò su se stesso, senza fiato, e incontrò il volto dolce e sorridente di sua madre. Ricambiò ampiamente il sorriso, poi avvolse le braccia attorno alla sua vita, nascondendo la testa nel suo profumo rassicurante – di fiordalisi1. Il mulinello d’ansia che era stato sul punto di ingigantirsi fino a pochi secondi prima si placò quasi immediatamente, mutando in un semplice ronzio d’anticipazione nello stomaco.

«Buongiorno, Din,» mormorò in risposta sua madre, premendo un bacio sui suoi capelli scuri.

Lui si scostò, alzando lo sguardo verso di lei.

«È ora di prepararsi, amma

Sua madre gli sorrise, con qualche ciocca sciolta di capelli che le scese sul volto sereno, e annuì.

«È ora.»


 

Din non si sentiva del tutto a suo agio a prepararsi per la cerimonia con quella donna e quell’uomo sconosciuti ancora in casa.

Erano seduti al tavolo, chiacchierando a bassa voce mentre Din e sua madre si ritiravano nella camera da letto più grande per fargli indossare la tradizionale tunica rossa col cappuccio e per ripetere ad alta voce i riti. I forestieri erano arrivati circa due settimane prima, nel mezzo di una notte spazzata dal vento.

L’uomo aveva bussato con foga alla loro porta, svegliandoli tutti e tre dal loro sonno profondo, e Din era rimasto a guardare ad occhi sbarrati, col cuore che gli batteva feroce nel petto, mentre suo padre si era fatto strada assonnato verso la porta. Quando l’aveva aperta, e la donna era quasi caduta di schianto dentro casa con un grido di dolore, i suoi genitori si erano riscossi. La donna era chiaramente ferita, con una gamba rigida e insanguinata che si intravedeva oltre la stoffa lacera dei pantaloni.

Sua madre aveva bollito dell’acqua, rimediato delle strisce di tessuto, e convinto l’uomo a sedersi mentre faceva distendere la donna ferita sul letto. Suo padre si era messo al lavoro, usando ciò che aveva preparato sua moglie per medicare la ferita. Non avevano proferito parola, se non quelle strettamente necessarie e utili alla situazione, ma Din aveva capito che i suoi genitori non sapevano nulla dei due forestieri – solo che avevano bisogno d’aiuto.

Era passato un giorno intero, prima che Din avesse osato chiedere a sua madre spiegazioni sulla loro presenza lì che, per quanto aveva potuto dedurre, era un segreto persino per i loro vicini. Suo padre, udendo la domanda, si era avvicinato così in fretta che Din si era quasi spaventato, temendo di aver detto qualcosa di proibito, di aver fatto qualcosa di male.

Ma suo padre si era semplicemente chinato di fronte a lui, si era scostato i capelli fini dal volto e gli aveva parlato con serietà.

«Non possiamo parlare di questi viandanti, Din,» aveva detto, con occhi che lo imploravano di comprendere. «Sono venuti da lontano, dopo un lungo viaggio, per ricevere il nostro aiuto. Sono in cerca di pace, riposo, giustizia, un rifugio. Dobbiamo offrire loro tutto ciò, anche se saremo gli unici a farlo. Ti fidi?»

Din aveva esitato, con gli occhi sfarfallanti verso l’espressione intensa di sua madre, che li fissava dalla cucina. Quando il suo sguardo si era fermato di nuovo in quello di suo padre, però, aveva annuito. Aveva compreso quelle parole – era per questo che avrebbe presenziato alla cerimonia una volta compiuti i nove anni, giusto? Aveva capito che quelli erano gli ideali per cui i suoi genitori, un tempo, avevano combattuto – quelli secondo i quali vivevano adesso e tra i quali lo avevano cresciuto.

Non avrebbe parlato dei forestieri, né avrebbe rivolto loro parola, così decise. E, come scoprì in fretta, nemmeno loro si sarebbero disturbati a interpellarlo più di tanto.

Erano passate due settimane di silenziosa e tesa complicità tra i Djarin e i forestieri. Le notti erano costellate di brevi conversazioni tra loro e i suoi genitori, e a volte da discussioni ancor più a bassa voce tra la donna in via di guarigione e l’uomo al suo fianco. Suo padre lo allontanava, quando lui o sua madre volevano parlare coi loro ospiti, e Din obbediva sempre, ma la curiosità gli bruciava dentro, tenuta a bada solo dal desiderio di dimostrare la propria fiducia nel giudizio dei suoi genitori.

Adesso, mentre scoccava occhiate fugaci all’uomo seduto in cucina – che aveva le mani a coppa attorno a una tazza di tè nevarriano – scoprì che la curiosità stava diventando troppo forte per essere ignorata. Era quasi un membro del Cadre della Pace2. Era quasi pronto a imparare ciò che i suoi genitori già conoscevano.

Din alzò gli occhi su sua madre, mentre lei era intenta a passargli una fascia rossa in vita, assicurandola sulla schiena con un nodo invisibile.

«Potrò sapere qualcosa sui nostri ospiti, stasera?» chiese a bassa voce.

Sua madre lo guardò. Din si aspettava di ricevere in risposta almeno un sorriso, ma lei sembrava distante da lì, col pensiero rivolto altrove. Una lieve piega apparve tra le sue sopracciglia, e Din si incupì.

«Amma? Tutto bene?»

Lei lo scrutò negli occhi per un istante, e quando parlò fu con voce grave.

«Sì, Din. Imparerai molte cose, quando sarai un membro del Cadre.»

Din inclinò di lato il capo, e lei, di rimando, distese le labbra in quello che poteva essere il preludio di un sorriso. Gli posò una mano sulla guancia e lasciò scorrere delicatamente il pollice sotto il suo occhio, emanando calore da quel tocco e dagli occhi. Din la osservò, conscio di non dover turbare i pensieri in cui si era evidentemente persa, incerto sulla loro natura, ma confidando nel fatto che sarebbe tornata da lui quando quel momento fosse passato.

E così fu.

«Oggi, figlio mio,» disse improvvisamente, ritraendo la mano e rialzandosi in piedi, «diventerai un custode della giustizia, della pace, della memoria. Diventerai più di mio figlio. Diventerai il nostro futuro.»

A quelle parole solenni, Din tacque. Sua madre gli spazzò via della polvere invisibile dalle spalle, stirò una grinza impercettibile sulla sua tunica e lo guardò di nuovo, intentamente, per un momento, per poi concludere il discorso in modo definitivo.

«Molto bene...»

Fu interrotta da un basso rombo sopra di loro, lontano, un frastuono che si intensificò fino a diventare un ruggito vibrante. Sua madre indirizzò uno sguardo appuntito ai loro ospiti seduti al tavolo, e Din vide con confusione l’uomo che scuoteva in risposta il capo.

Il ruggito scemò, man mano che la nave fonte del suono si allontanava. Din udì un sospiro soffuso di sua madre, e sentì una domanda proprio sulla punta della lingua, quando lei continuò il pensiero appena interrotto.

«Credo di aver sentito tuo padre alla porta. Aspetta qui ancora un po’... anche lui vuole parlarti.»

Din annuì, inghiottendo di nuovo la curiosità. Non gli piaceva l’idea di rimanere ancora fermo, visto che l’irrequietezza iniziava a condensarsi nelle sue ossa, sospingendo nella sua testa immagini di cieli azzurri e strade ampie e giochi con Binh e Mai. Ma, ancora una volta, si sforzò di pensare a quanto tutto ciò fosse importante per i suoi genitori, e da quanto tempo lui si stesse interrogando su quello in cui credevano; al fatto che, nonostante si sarebbe probabilmente rivelata un lungo e datato procedimento, la cerimonia di quel giorno sarebbe valsa la perdita di qualche ora di gioco coi suoi amici.

Sua madre lasciò la stanza e andò a parlare a bassa voce con gli ospiti; poco dopo, apparve suo padre. Aveva un sorriso sghembo sul volto, e indossava già le sue vesti cerimoniali. Erano di un rosso più stinto delle proprie, ma gli donavano un’aria forte, di comando. Din percepì un ampio, insopprimibile sorriso farsi strada sulle labbra, in sincrono con le vertigini di eccitazione che stavano iniziando a farsi strada in lui.

Suo padre si portò alla sua altezza, inginocchiandosi. Corrugò le sopracciglia, deglutì e gli racchiuse entrambe le mani nelle proprie, rovinate dai calli.

«Sei pronto?» chiese, con voce roca.

Din annuì con vigore.

«Sai... sai perché tua madre ed io abbiamo aspettato tutti questi anni per farti riconoscere, vero?»

Din annuì di nuovo e, quando suo padre sollevò un sopracciglio in un gesto d’incoraggiamento, parlò.

«Volevate essere certi che fossi in grado di diventare un ufficiale del Cadre. Che fossi in grado di capire cosa stessi facendo, come voi.»

Suo padre fece un cenno d’assenso, ma poi aggiunse qualcosa che Din non gli aveva mai sentito pronunciare, e la sua voce tremò.

«Essere un membro del Cadre non sarà facile, Din. Il cammino della pace non è semplice né chiaro, nella maggior parte dei casi, e a volte...» Deglutì, col pomo d’Adamo che sobbalzò mentre abbassava lo sguardo. «A volte, e voglio che tu lo sappia, non esisterà nemmeno.»

Din si accigliò, dubbio e ansia che presero a trasudare dal vuoto nel suo stomaco, dandogli un senso di forte calore e confusione. Dada stava dicendo che, a volte, la pace non poteva essere mantenuta?

«Dada? Che vuol dire? Pensavo... pensavo che tu e amma doveste custodire la pace sempre e comunque.»

Suo padre scosse la testa e gli lasciò andare le mani – Din le sentì fredde e vuote.

«No. Il massimo che possiamo fare è provare sempre a custodirla. Provare a salvare coloro che non possono salvarsi da soli, provare ad essere buoni e coraggiosi anche quando siamo gli unici ad esserlo, cercare di fare la pace quando gli altri bramano fare la guerra. Ma non sempre avremo successo.»

Fece un cenno alla sua tunica rossa, poi gli sollevò il cappuccio sul capo.

«A volte moriremo per la pace, Din. Ricordatelo. È la prima cosa che imparerai quando verrai iniziato.»

Din percepì l’ansia che stringeva le sue spire dentro di lui mentre suo padre si rialzava. Non era ciò che si era aspettato di sentire. Aveva creduto che suo padre sarebbe stato fiero, che gli avrebbe spiegato tutte le cose che gli avrebbero insegnato oggi, dopo essere stato riconosciuto... la diplomazia, l’arte oratoria, il modo di governare e servire. Il modo per diffondere la pace... non il fatto che i riti di oggi avrebbero significato poter morire per la pace.

Di colpo, catturò la mano di suo padre.

«Dada, ho–»

Si interruppe, con le lacrime che gli riempirono gli occhi in un’inesorabile scossa di paura, peggiorata dall’apprensione che già lo attanagliava.

Suo padre districò con dolcezza la sua mano dalla propria e gli sorrise, anche se i suoi occhi erano ancora liquidi e gravi.

«Riuscirai in qualunque cosa farai, e in qualunque modo lo farai, Din. La famiglia – di sangue o di spirito – va tenuta vicina in tempi come questi, e adesso ci sono io con te. Tua madre ed io non ti lasceremo da solo, nell’intraprendere questo compito. Oggi andrà tutto bene... te lo prometto.»

Din tirò su col naso, mentre una singola lacrima traboccò dai suoi occhi e rotolò lungo la guancia. Ma poi annuì, e suo padre si voltò, lasciando la stanza senza un’altra parola.

Quando Din riuscì a quietare la paura e le lacrime, qualche minuto dopo, e ne ebbe ripulito ogni traccia dal viso, uscì a sua volta. Sua madre e suo padre erano in attesa sulla soglia, tenendosi per mano, osservando la strada e il cielo come lui stesso aveva fatto fino a poco prima.

Din si sentì più forte di prima, più audace, dopo quella conversazione e dopo quelle lacrime – a dispetto della tristezza che sembrava permeare suo padre. Si fidava di dada. Lui e gli altri membri del Cadre, lo sapeva, gli avrebbero spiegato cosa significava che alcuni di loro erano morti per la pace. Non sarebbe stato solo.

Mentre oltrepassava i forestieri, diretto alla porta e sforzandosi di non guardarli, la donna sconosciuta parlò senza preavviso.

«Din,» lo chiamò, e in suo incarnato pallido sembrava più vivace rispetto agli ultimi giorni. Din non sapeva nemmeno che conoscesse il suo nome. Si fermò a guardarla.

«Qual è il significato della tua tunica, nella cerimonia di oggi?»

Din rivolse gli occhi ai suoi genitori, i cui volti divennero stranamente tetri nel garantirgli il permesso di rispondere a quella strana domanda. Din si schiarì la voce, sapendo di poter rispondere con sicurezza, anche per diffondere un senso di coscienza verso ciò che avrebbe protetto d’ora in poi.

«Sangue,» rispose con semplicità, osservando con un pizzico di dispettosa soddisfazione il modo in cui le sopracciglia della donna si arcuarono sorprese. «Sangue che è stato versato per la pace. È un memento che la pace e la giustizia e la libertà non possono mai essere conquistate senza sacrificare vite. È un memento a custodire la pace e la giustizia finché siamo in grado di farlo nel corpo e nello spirito.»

Non significa, Din pensò d’un tratto, tornando al confronto con suo padre, che io dovrò morire.

L’uomo e la donna si scambiarono uno sguardo quando ebbe finito di parlare, e Din si stupì nel vedere i loro occhi luccicare di lacrime. Si accostò di un passo ai suoi genitori, lanciando loro occhiate di sottecchi, chiedendosi se, per caso, non avesse sbagliato qualcosa nel recitare quelle parole.

Ma l’uomo e la donna annuirono dopo un istante, e si strinsero le mani a vicenda, stendendole sul tavolo.

«Grazie, bambino,» disse la donna. 

Gli offrì un mezzo sorriso annacquato e strizzò la mano del suo compagno. 

«Ti auguro ogni fortuna nel preservare una libertà priva di sangue,» mormorò dopo un momento, abbassando gli occhi sul tavolo.

Din non ebbe tempo di rimuginare a lungo su quelle strane affermazioni. I suoi genitori lo stavano già guidando oltre la porta, con le mani gentili posate sulla sua schiena. Quel tocco portava con sé un conforto che non riusciva comunque a dissipare la maligna danza d’ansia e disagio che era di nuovo sbocciata nel suo stomaco.

C’era qualcosa che non andava, pensò. Mi sta sfuggendo qualcosa, ma cosa?

Un istante dopo, la prima esplosione frantumò l’aria.

 


 

Tradotto da The Way Forward – Chapter 1: A Path of Peace di Roanoke_Wilde da _Lightning_


Note di traduzione:

-Fiordalisi è una licenza poetica di traduzione. La pianta corretta sarebbe stata "fiordalisi delle scogliere", che nulla hanno a che vedere con la loro controparte più nota.
-Un cadre (pronunciato alla francese /kɑːdrə/) è un gruppo scelto di ufficiali e sottoufficiali che, in un esercito, è incaricato di formare l'unità a loro sottoposta. Il termine rimane invariato anche in inglese, e risulta anche lì molto particolare, per questo ho scelto di mantenerlo così com'era, visto che è comunque in uso anche presso le forze militari italiane.

Note della Traduttrice:
Cari Lettori, rieccoci qua, sebbene un po' in ritardo :')
Spero che la storia (e la sua resa) vi stiano piacendo, e non esitate a lasciare un commento per dire cosa ne pensate. Soprattutto, non dimenticate di lasciare dei kudos all'autrice originale, il link è sempre a piè di pagina!
Alla prossima settimana,

-Light-
   
 
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