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Autore: IndianaJones25    02/03/2021    2 recensioni
È una luminosa e calda giornata estiva di fine Ottocento quando, in una casa di Princeton, nel New Jersey, nasce l’unico figlio del professor Henry Jones Sr. e di sua moglie Anna.
Nel corso dei venticinque anni successivi, il giovane Junior vivrà esperienze indimenticabili e incontrerà persone straordinarie, in un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, lo porterà a diventare Indiana Jones, l’uomo con frusta e cappello, il più celebre archeologo del mondo…
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abner Ravenwood, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marion Ravenwood, René Emile Belloq
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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XVII.
PARIGI, FRANCIA, DICEMBRE 1918

   La guerra era finita.
   I cannoni avevano cessato di tuonare la loro canzone di morte, il fumo non si innalzava più come un cupo fantasma dai campi di battaglia. Il fango e il sangue si dissecavano nelle trincee tornate vuote e silenti, le baionette infine appagate riposavano nelle rastrelliere. I corpi senza nome dei soldati, a centinaia di migliaia, venivano tumulati in larghe fosse, in attesa che fossero eretti austeri sacrari che avrebbero perpetuato il ricordo immortale del loro sacrificio per i secoli a venire. L’erba verde tornava a crescere nei prati, i fiumi ricominciavano a scorrere placidi senza più mormorare con tono sommesso.
   Ciò che era stato era stato, e un nuovo futuro si levava nei cieli, ancora nuvolosi eppure attraversati da raggi di sole che lasciavano intravedere sprazzi azzurri. Un futuro incerto, eppure colmo di nuove speranze.
   Ora si contavano i danni, si enumeravano i morti, i feriti e gli invalidi a vita, si inventariavano i depositi conquistati alle armate volte in fuga, ci si organizzava per spartirsi le briciole degli imperi distrutti, si facevano piani per la ripartenza, per il ritorno alla normalità.
   Dopo quattro anni e mezzo, l’Europa era quietata e silenziosa, e si stava a fatica riabituando a quella strana pace. Gli antichi imperi non esistevano più, nuove ideologie e nuove coscienze erano sorte dal fango e dalla cenere. Quella guerra, con tutte le sue devastazioni e i suoi milioni di morti, sarebbe stata ricordata per sempre come lo spartiacque tra un passato ormai obsoleto e un avvenire ancora tutto da comprendere e da scrivere.
   L’ieri era morto, il domani doveva ancora nascere.
   Quel Natale, però, si stava preannunciando molto meno felice del previsto. Non erano solo i morti ancora insepolti che giacevano ovunque a renderlo tale. E non era nemmeno la paura del comunismo, che dalla Russia minacciava di sollevare il suo sguardo verso il resto del mondo. Un nuovo fantasma aleggiava ovunque, uno spettro terribile e subdolo che metteva spavento e toglieva il fiato.
   Una paura estremamente antica e insieme nuovissima, a cui non si era più abituati, che aveva svuotato quasi completamente persino i locali abituati a risuonare di musiche e di voci festose.
   A uno dei tavoli davanti alla vetrata appannata sedevano gli unici due avventori di quel piccolo bistrot di Montmartre. Le pareti erano state addobbate con ramoscelli di agrifoglio e palline colorate, che contribuivano a mitigare la cupezza generale che sembrava essersi abbattuta sull’intera città. In un angolo, una stufa accesa irraggiava il suo dolce tepore.
   «Ci mancava appena la pandemia» borbottò Remy, abbassando il giornale che annunciava le ennesime misure adottate dalle autorità cittadine per contenere l’influenza spagnola, che minacciava di provocare ancora più vittime di quante ne avesse fatte la guerra.
   Indy scrollò le spalle e osservò il suo bicchiere colmo di un forte e dolce liquore alle erbe dal colore giallo brillante.
   «È passata la peste. È passato il colera. È passata persino la guerra, pensa un po’. Passerà anche questa» disse, con tono da filosofo stoico. «Basta avere pazienza e lasciare che la natura faccia il suo corso» aggiunse, senza alzare lo sguardo.
   «Sì, certo, ma non si può mai starsene un attimo tranquilli, in questo pazzo mondo» commentò l’amico, afferrando a sua volta un bicchiere. «Sembra che siamo fatti per passare da un guaio all’altro senza un solo attimo di tregua. Sbattuti a casaccio come palline su un tavolo da biliardo o qualcosa del genere.»
   «Così è la vita e, siccome ne abbiano una sola da vivere qui e non altrove, facciamocela andare bene per come è e non per come vorremmo che fosse» disse Indy, sollevando il calice in un brindisi. «Prendiamola come viene e, se serve, beviamoci su per non pensarci troppo.»
   Remy fece tintinnare il bicchierino contro il suo.
   «Non ti facevo tanto esperto di filosofia» osservò. «Perché non vai a studiarla all’università? Ora di tempo ne avrai parecchio, da buttare…»
   Un sorriso amaro increspò le labbra di Indiana Jones.
   «Ho avuto molti maestri. Compresa la guerra. Mi ha insegnato moltissime cose.»
   Remy abbassò il bicchiere da cui aveva bevuto un piccolo sorso.
   «A me l’unica cosa che ha insegnato è che è meglio non averci niente a che fare. Spero proprio che la prima guerra mondiale sia anche stata l’ultima.»
   «Mah, chi può dirlo» fece Indy, pensieroso. «Dipenderà tutto dalle trattative di pace. Se non andranno come previsto, non ci vorrà molto ai contendenti per riorganizzarsi e pretendere a cannonate che vengano rispettati gli accordi. Sempre che, una volta messi tutti d’accordo, non decidano di andare a scacciare i bolscevichi dalla Russia.»
   «Olé, che allegria!» sbottò Remy, con una smorfia di disgusto. «E allora noi per che cosa ci siamo dati tanto da fare? Per ricominciare tutto da capo un’altra volta? E che noia!» Poi, scuotendo la testa, soggiunse: «Ora che cosa farai?»
   Il ragazzo fece un cenno insicuro.
   «Di preciso non lo so. Prima di tutto dobbiamo ricevere il congedo, poi si vedrà. Immagino che non sarà facile tornare alla normalità, dopo tutti questi anni. Un giornale mi ha offerto un posto da cronista, e poi… ho molte cose in mente, ma nessuna certezza, per adesso. Penso che accetterò, almeno per qualche tempo, giusto per mettermi in tasca qualche spicciolo. Tu scherzi sempre, ma io a volte ci penso davvero, a una carriera universitaria…»
   «Filosofia?» domandò subito il belga, increspando i baffoni in un grande sorriso.
   «Non è esattamente ciò che avrei in mente…» confessò l’amico, ricambiando il sorriso.
   «Non vorresti tornare a casa?» chiese Remy, guardandolo profondamente. «Da tuo padre, intendo?»
   Indy si rigirò il bicchiere tra le mani, fissandolo con intensità ma senza realmente vederlo.
   «A volte sento un po’ di nostalgia» ammise. «Ma non so come sarebbe, un nostro nuovo incontro. Sai, non credo che senta poi troppo la mia mancanza.»
   «È tuo padre!» esclamò Remy. «Certo che sente la tua mancanza! E sarà preoccupato da morire!»
   Il ragazzo si strinse un’altra volta nelle spalle.
   «Preoccupato non credo… gli ho scritto, qualche volta. Sa che sono vivo, perlomeno. E quelle due o tre volte che si è degnato di rispondermi non ha certo usato dei toni molto lusinghieri, nei miei confronti.»
   Indy aveva fretta di cambiare argomento.
   «E tu, Remy? Che cosa mi dici di te? Sai già che cosa farai?»
   L’amico si arricciò i baffi con le dita e, dopo essersi guardato attorno, abbassò il tono con fare cospiratorio.
   «Indy, volevo che fosse una sorpresa… ma… te la ricordi Suzette? Suzette Chambin, intendo…»
   L’americano frugò nei suoi innumerevoli pensieri, cercando di abbinare un volto preciso a quel nome che era certo di aver già sentito pronunciare. All’improvviso gli tornò in mente. Era la proprietaria di un ristorante in Belgio, che avevano conosciuto durante una delle loro tantissime missioni.
   «Ah, sì, la vedova… quella con quattro figli…» disse, annuendo. «Allora?»
   Remy arrossì vistosamente.
   «Allora il mese prossimo ci sposiamo!» esclamò. «Tu… mi faresti da testimone, vero? Niente abito da cerimonia, sarà una cosa piuttosto intima e informale. Puoi indossare la divisa, se vuoi. Faresti un figurone.»
   Quella notizia riempì di allegria il cuore di Indy, ma gli fece anche salire un groppo in gola. Se Remy si fosse sposato, non lo avrebbe più seguito verso nuove avventure. Ancora una volta, si sarebbe trovato ad affrontare il mondo intero da solo. Ma a questo avrebbe pensato a tempo debito. Ora non era il momento di lasciarsi scoraggiare per così poco.
   «È meraviglioso, Remy! Congratulazioni!» disse, sollevando di nuovo il bicchiere. «A te e a Suzette e alla vostra vita insieme!»
   Anche Remy brindò di nuovo.
   «E a te, Indy. Perché possa davvero trovare il tuo posto nel mondo.»
   Indiana Jones sorrise, anche se irrequieto.
   Si sentiva ansioso e preoccupato nei riguardi di ciò che lo avrebbe atteso.
   Per tutta la durata del conflitto non aveva avuto necessità di porsi domande sul futuro, perché il futuro, in quei giorni tumultuosi, erano altri combattimenti, altri rischi di morire ammazzato da un giorno all’altro. Ora l’avvenire era invece soltanto una macchia nera e informe, un fumo impalpabile a cui spettava a lui dare dei connotati riconoscibili.
   Sapeva che non sarebbe stato facile, eppure ci sarebbe riuscito, in un modo o nell’altro.
   
 
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