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Autore: Cossiopea    02/03/2021    0 recensioni
Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.
Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7
Momenti d'azione

 


Inutile dire che non raggiunsi mai casa mia.

Mi accorsi di essere seguito dopo circa due minuti, quando la faccia era ormai talmente scorticata dalla sabbia e dubitavo sarei mai stato in grado di recuperare l’antica sensibilità perduta.

Il deserto, attorno a me, era talmente immobile da poter pensare che il tempo si fosse fermato. Che Tatooine stesse trattenendo il respiro. C’ero solo io, a cavallo di una scia di sabbia, diretto verso il tremulo orizzonte, in direzione di casa mia… o almeno quella speravo fosse la direzione di casa mia.

Non che io abbia mai avuto particolari problemi ad orientarmi tra le dune: il vento non è certo in grado di spostare quel grosso sasso là o il canyon lì in fondo. In qualche modo, ero sempre stato in grado di mantenere dei punti di riferimento standard per navigare nel mare di polvere.

Ma, proprio come nei momenti di estrema tensione emotiva si tende a dubitare del risultato di 1 + 1, io mi ritrovai a chiedermi dove accidenti stessi andando e per quale dannato motivo ero fuggito dalla casa di Ben Kenobi privo di qualsiasi ragione valida.

Un brivido lungo la schiena? Uno spiffero d’aria?

La strana sensazione di non dover stare lì, simile ad un sibilo prolungato che serpeggia in testa e sussurra di scappare rubando il mezzo di trasporto ad un povero vecchio?

Strinsi gli occhi in due fessure sottili e aggiustai la presa sul manubrio dello speeder, deglutendo a vuoto.

Quelli non erano motivi valevoli, poco ma sicuro.

Fu proprio mentre mi frustavo mentalmente per quel mio assurdo lampo di impulsività – idiota, idiota, idiota –, che una figura scura attirò il mio sguardo, in contrasto con il giallo aureo del deserto.

Andavo talmente veloce che per un istante dubitai di averla vista davvero e fosse solo l’ennesima allucinazione della giornata. Non totalmente convinto, mi lanciai un’occhiata alle spalle, cogliendo di sfuggita un altro guizzo nero, che scomparve tra le dune.

Il mio battito accelerò.

Certo Luke, pensai in preda al panico mentre tiravo la leva dell’acceleratore e lo speeder scattava in avanti, che idea geniale vagare in mezzo al deserto, da solo, in pieno pomeriggio; mi sorprendo della validità del tuo istinto di sopravvivenza.

Un altro qualcosa balenò alla mia destra e mi ci volle solo mezzo secondo per cogliere la sagoma allungata di un bastone tusken agitarsi nel vento.

Mi lasciai sfuggire un gemito, che fu inghiottito dal ronzio del mio mezzo.

Ovvio. Che altro che poteva essere? Cos’altro poteva capitarmi ancora di tanto sventurato se non essere inseguito da un gruppo di predoni tusken?

Ci mancava soltanto che fossi catturato da Jabba the Hutt e messo a combattere contro un Rancor e poi avrei visto tutto.

Mi servì un altro mezzo secondo per capire che stavano cercando di circondarmi.

I loro mantelli grigiastri iniziarono a puntellare il mio orizzonte, spuntando fuori dal nulla per poi essere ringhiottiti dal deserto.

Spaventare la vittima, confonderla, raggirarla, attaccare.

Strinsi le labbra, decidendo che zia Beru avrebbe preferito sapermi vivo ma disperso che catturato dai tusken e sull’orlo della morte.

Una volta, qualche anno prima, zio Owen mi aveva raccontato di come i sabbipodi avessero imprigionato sua mamma – mia nonna – e l’avessero uccisa a furia di agghiaccianti torture. L’aveva accennato una sera tardi, in modo vago e con la voce spenta, ma io ne ero rimasto sconvolto per giorni. Migliore storia della buonanotte di sempre.

Battei le palpebre per schiarire la mente dal terrore che la attanagliava, imponendomi di riflettere e di ignorare i lampi scuri che mi accerchiavano.

Qual era l’unica direzione che i tusken non stavano coprendo, certi che non sarei potuto fuggire? L’unica via che la velocità mi stava impedendo di percorrere?

In fondo, casa mia era davanti.

Buon suicidio, mi augurò con sarcasmo la parte di me che ancora conservava un minimo di senno.

La scacciai con un lieve movimento del capo. Le mani erano talmente strette sull’impugnatura del volante che le nocche sbiancarono, mentre scartavo l’idea di un attacco diretto: il carabina mi avrebbe sostenuto solo per un paio di secondi prima di essere sopraffatto.

Quel tipo di speeder non era stato progettato per bislacche manovre spericolate, e, se avessi seguito quella illogica, folle idea che mi si era accesa nella mente agghiacciata, molto probabilmente sarei finito per ribaltarmi, il cranio spaccato in due a terra. Ma non avevo niente da perdere. A parte la vita, certo, però speravo che per quella ci fosse un minimo di assicurazione, dopo tutto quello che avevo passato.

Un verso gutturale e indubbiamente ostile rimbombò nel deserto, distogliendomi dai miei deliri premorte.

Non ebbi neanche il tempo di pensare “Okay, sono spacciato” e le sagome di una decina di tusken emersero collettivamente dalla sabbia, precipitandosi nella mia direzione come uno sciame di giganteschi insetti armati di aste appuntite. Le loro voci cupe mi pulsavano nelle tempie insieme al sangue. Nelle loro maschere lampeggiava qualcosa di molto simile al sadismo.

Non riuscii neanche a gridare; mi limitai a sgranare gli occhi in preda alla più pura angoscia e, animato da un surrogato di masochismo e disperazione, strattonai violentemente il manubrio verso sinistra.

Sterzai bruscamente in una impossibile manovra a U, il peso che mi si sbilanciava pericolosamente verso l’interno della curva.

Ecco, lì presumibilmente strillai.

Chiusi gli occhi, sentendomi investire il viso da un fiotto di sabbia rovente, ma non mollai la presa. Il carabina che avevo legato alla vita sfiorò la veste scura di un sabbipode, che fece un balzo indietro mentre i suoi compagni iniziavano a urlare una serie di cose incomprensibili a metà tra insulti e imprecazioni.

Mi sembrò che il tempo si fermasse, e quell’unico secondo, nel quale i miei capelli erano prossimi ad accarezzare il terreno e l’equilibrio era un lontano ricordo, si protrasse per ore intere, durante le quali la sola cosa vivida era il battito frenetico del mio cuore.

Mi azzardai ad alzare le palpebre solo quando, un istante dopo, riuscii a percepire nuovamente la stabilità del mezzo, i versi offesi dei tusken alle spalle.

Mi si arrossarono le dita mentre tiravo l’acceleratore al massimo, investendo i predoni con spruzzi di sabbia, e sfrecciando via, ritrovando, come previsto, la via sgombra.

Mentre tentavo di normalizzare il respiro e far rallentare i palpiti agitati nel mio petto, potei soltanto chiedermi se il vecchio Ben sarebbe stato felice di vedermi tornare ancora più sporco di polvere.

 

Kenobi aveva visite.

Il mio primo pensiero, mentre sbirciavo nel caos della capanna attraverso le tende opache e coglievo strascichi di quell’interessante conversazione, fu che l’uomo avrebbe dovuto mettere un po’ in ordine la sua abitazione, in vista di altri ospiti.

Lo so, non è esattamente il tipo di riflessione che ci si aspetterebbe mentre si origliano i dialoghi di un incomprensibile vicino dagli occhi chiari e una sagoma incappucciata ancora più misteriosa, ma il trauma di poco prima mi pulsava ancora fervido nella mente, frenandomi nel pensare troppo lucidamente.

Il secondo, fondamentale collegamento mentale fu che quella voce io l’avevo già sentita. Il ricordo del biancore delle armature degli assaltatori, splendenti nella notte, mi causò un tremito.

Con un groppo in gola feci scivolare la schiena lungo la parete esterna della capanna di Ben, gli occhi che dardeggiavano dallo speeder, parcheggiato poco lontano, alle mie dita aggrovigliate in grembo.

I due all’interno non sembravano essersi accorti della mia presenza, né del ronzio lieve dello speeder in avvicinamento, ma d’altronde i toni del colloquio sembravano stare prosciugando tutta la loro attenzione.

Speravo soltanto che i sabbipodi non avessero avuto l’idea geniale di seguirmi. Sospettavo che quello che sarebbe successo in quel caso non mi sarebbe piaciuto.

– Questo posto fa schifo – stava dicendo la donna, il tono duro come pietra – Perché qui? – aggiunse, in un borbottio – Perché farlo?

Kenobi attese un paio d’instanti prima di rispondere. Sospirò.

– C’è molto più di quanto credi, Ahsoka – disse – Ciò che si nasconde su questo pianeta va oltre la tua comprensione – fece una pausa – E spesso anche la mia…

L’altra schioccò la lingua.

– Esiliarti qui, nascondersi… – non conoscevo il suo viso, ma me la immaginai scuotere la testa – Dov’è finito il coraggio e l’onore? Dov’è l’Ordine in tutto questo?

– L’Ordine è morto – la ruvidità della voce di Kenobi mi fece irrigidire – Aveva falle che nessuno poteva riparare, le menti che lo componevano sono state accecate, corrotte, raggirate dai privilegi che abbiamo sempre disprezzato – pausa – Per quanto sia doloroso ammetterlo, avevi sempre avuto ragione su di noi.

Mi inumidii le labbra, confuso e angosciato da quella conversazione che non riuscivo a comprendere.

– E Anakin? – colsi una scintilla di esitante speranza nella voce della donna.

Non sapevo perché, ma trattenni il respiro.

Ben si prese molto tempo prima di rispondere. Non potevo vederlo, ma ebbi la sensazione che i suoi occhi si fossero adombrati, qualsiasi cosa significasse quel nome.

– Dimenticalo, Ahsoka – proruppe infine l’uomo, il tono che trasudava dolore – Non soffrire come ho fatto io.

Altro silenzio. Mi morsi un labbro, afferrando un sasso lì accanto e iniziando a farmelo passare tra le mani, a disagio. Non sapevo nemmeno perché stessi ascoltando, ma qualcosa mi bisbigliava che era importante, un dettaglio sostanziale che dovevo cogliere…

Poi la donna prese un respiro profondo.

– Sto investigando su un Signore dei Sith con cui mi sono scontrata giorni fa – esordì dopo un altro istante, senza dare segno di aver sentito l’ammonimento del vecchio – Darth Vader.

– No – la voce di Kenobi era affilata come una lama – Ahsoka, non farlo, te ne prego – questa ultime parole tremarono.

– Perché? – replicò lei – Se tu potessi…

– No – ripeté l’uomo, fermo – C’è troppo in ballo. Luke non dovrebbe…

Al sentire il mio nome trasalii violentemente, lasciandomi sfuggire un sottile gemito. La pietra che stringevo in pugno mi scivolò dalla mano e rotolò con un tonfo sordo a terra, scricchiolando su altri ciottoli.

All’interno della capanna, le voci ammutolirono.

Il mio cuore ricominciò a battere ritmicamente come un tamburo impazzito. Ripresi a insultarmi mentalmente per la mia stupidità.

Quando la porta dell’abitazione si spalancò di botto e il cappuccio le scivolò all’indietro, la donna, Ahsoka, mi perforò con un’occhiata fin troppo satura di emozioni.

I suoi occhi blu, contornati da segni bianchi, si incollarono nei miei. Qualcosa, dentro di me, si agitò. Forse era solo panico.

Poi il suo sguardo si addolcì e, imprevedibilmente, sorrise.

   
 
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