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Autore: Lamy_    03/03/2021    1 recensioni
Ivar e Hildr sono i nuovi sovrani di Kattegat. Devono far riemergere un regno dalle ceneri, e una tale azione richiede sacrificio e impegno costante.
I nemici circondano i neo-sovrani: Oleg e il suo esercito sono pronti a eliminare chiunque minacci il trono di Kiev. Ma il principe Dir ha altri piani che includono l’appoggio di Ivar e Hildr.
A incrinare una situazione già di per sé delicata sarà la guerra dei vichinghi contro il Wessex. L’esito sarà doloroso e le conseguenze porteranno a nuovi equilibri mai visti in precedenza.
Tutto è nelle mani di Hildr.
Amore e morte, forze antiche quanto il mondo, giocheranno una partita in cui le pedine avranno solo due possibilità: splendere di gloria o piegarsi alla sconfitta.
(6B; contiene spoiler a vostro rischio e pericolo)
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. LE PORTE DEL VALHALLA PT. I

Il giorno dopo
Ivar aveva dato gli ordini finali per gli ultimi preparativi, di conseguenza i guerrieri si accodavano per salire a bordo delle navi e occupare il proprio posto. Einer e Jorunn comandavano ai loro eserciti come disporsi, confrontandosi anche sulla strategia.
“Ivar, eccomi.”
Hvitserk indossava già la tenuta e aveva le guance segnate di rosso, il sangue animale del sacrificio. Insieme a lui c’erano Isobel e Aila, il che stupì Ivar dato che mancava un membro della famiglia.
“Dov’è Hildr?”
“Attende il suo turno dal sacerdote per essere benedetta dal sacrificio.” Rispose Hvitserk.
“Sembra piuttosto scossa. È successo qualcosa?” chiese Isobel.
Ivar non aveva chiuso occhio dopo aver trovato Hildr piegata sul pavimento. L’aveva riportata a letto e l’aveva tenuta stretta per tutta la notte.
“Ha avuto un incubo la scorsa notte, nulla di preoccupante.”
“Ivar, noi siamo pronti!” gridò Einer, sventolando la mano.
Ivar annuì e con un cenno della testa comunicò ai suoi uomini di affrettarsi.
“Per tutti gli dèi di Asgard.” Mormorò Hvitserk, scioccato.
L’attenzione di tutti fu attirata da Hildr che attraversava il pontile con la sua schiera di shieldmaiden. Mentre lei indossava l’armatura che le aveva regalato Ivar, le sue guerriere indossavano una tenuta nera con intarsi color argento. Tutte portavano i capelli in acconciature intricate, le spade nel fodero e i loro visi erano segnati da strisce di sangue sotto gli occhi.
“La Valchiria.” Disse Ivar, un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Il silenzio accompagnò l’arrivo delle shieldmaiden, fiere come lupe dal manto scuro che si preparano ad attaccare.
“Niente male, eh?” disse Hildr, indicando il manipolo alle sue spalle.
“La cosa più incredibile che abbia mai visto!” esclamò Isobel, battendo le mani.
Hildr le diede una leggera spallata, anche se era ben consapevole dell’effetto prodotto da quell’entrata teatrale.
“Neanche nel Gladsheimr* gli dèi fanno un simile ingresso.” Disse Ivar.
“Che dire, noi shieldmaiden sappiamo il fatto nostro!”
Hildr e Ivar si guardavano con un tale sentimento che Isobel sentì un brivido lungo le braccia. Era strabiliante il modo in cui si amavano e riuscivano a trasmetterlo solo con uno sguardo.
“Possiamo partire o perdiamo altro tempo?”
Jorunn si era avvicinata, l’espressione più arcigna del solito. Voleva arrivare in Wessex e mozzare qualche testa.
“Possiamo partire.” Acconsentì Ivar.
Jorunn ed Einer salirono a bordo della stessa nave, mentre Eskol decise di viaggiare con la gente di Kattegat pur di stare lontano dalla perfida madre.
“Mi mancherete.” Disse Isobel, la voce impastata dalla commozione.
Hildr l’abbracciò forte quasi da toglierle il respiro. Aveva salvato Isobel, l’aveva accolta nella sua famiglia e l’aveva vista diventare madre. Benché non fossero collegate dal sangue, erano sorelle nell’anima.
“Fa attenzione, Isobel. Proteggi Aila. Se qualcosa ti spaventa o se qualcuno ti minaccia, lascia Kattegat senza indugiare.”
Isobel si strinse all’amica, poteva essere il loro ultimo abbraccio e doveva approfittarne.
“Lo farò. Sta attenta anche tu. Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anche io.”
Hildr scostò la coperta dal viso di Aila e si chinò a baciarle la guancia, poi chiuse gli occhi e con una preghiera la raccomandò agli dèi.
“Dì al timoniere di tenersi pronto.” Disse Ivar.
Hildr gettò una lunga occhiata a Kattegat, al suo porto, ai tetti semi-distrutti. Annusò ancora una volta quell’aria pregna di fumo, erbe e cibo bollito. Guardò il terreno dove un tempo sorgeva casa dei suoi genitori.
“Addio per ora, mia cara Kattegat.”
Quando Ivar fu certo che lei fosse lontana, abbracciò Isobel e Aila. La sassone rimase pietrificata poiché loro non si erano mai scambiati simili gesti d’affetto.
“Prenditi cura di Hildr quando non ci sarò più.”
Isobel sbarrò gli occhi, ormai rossi di pianto, e si aggrappò ad Ivar per salutarlo un’ultima volta.
“Ci penserò io a lei.”
Quando fu il turno di salutare Hvitserk, Isobel ebbe un tuffo al cuore. Malgrado tutto, loro erano legati da un sentimento muto ma ancora vivo.
“Voglio sistemare le cose. Voglio essere il marito e il padre che meritate.” Disse Hvitserk.
“Pensa a restare in vita, al resto ci pensiamo dopo.”
Il ragazzo prese Aila fra le braccia e le baciò la testa, assaporando quegli ultimi istanti con sua figlia.
“Sarà meglio andare. Arrivederci, Isobel.”
Isobel si sforzò di sorridere per incoraggiarlo, poi gli afferrò la mano e la strizzò un paio di volte.
“Arrivederci, Hvitserk.”
 
Tre giorni dopo
Hildr non ne poteva più di camminare, le gambe tremavano per lo sforzo eccessivo. Poche ore prima erano attraccati a Chichester e da lì avevano proseguito a piedi poiché vi era tutta terra ferma. La schiera di comandanti e soldati procedeva a passo spedito e in silenzio, solo le armi che strusciavano sul terreno facevano rumore.
“Quanto manca? Sto per morire!” si lamentò Eskol.
Il principe era sudato e affannato, non aveva mai camminato tanto in vita sua. Hildr si girò a guardarlo e rise, sembrava un bambino capriccioso.
“Cammina e sta zitto. Non manca molto.”
Ivar incespicò e la stampella cedette, facendolo cadere a terra. Hildr e Hvitserk si precipitarono per aiutarlo a rialzarsi, dopodiché lo fecero sedere su un masso.
“Anche lo zoppo non ce la fa più. Prendiamoci una pausa.” Disse Eskol.
“Io adesso ti spacco la faccia!” lo minacciò Hildr.
Avrebbe attaccato quello stupido principe se Ivar non l’avesse trattenuta per il polso.
“Lascialo stare, Hildr. Non è il momento.”
“Ce la fai a camminare?” chiese Hvitserk.
Le persone intorno a loro non si erano fermate, avevano continuato a marciare come se nulla fosse. Anche Einer e Jorunn, pur notando la caduta del giovane re, avevano ordinato di proseguire.
“Ce la faccio.”
Ivar lentamente recuperò la stampella e si mise in piedi, sentiva le ossa bruciare per il dolore.
“Manca poco a Edington, al massimo un’ora.” Disse Hvitserk.
Hildr si accorse che Ivar era stremato, la fronte imperlata di sudore e le labbra tremolanti.
“Hvitserk, tu guida i nostri alle colline. Io e Ivar vi raggiungiamo fra qualche minuto.”
“Non è necessario. Posso farcela.” Obiettò Ivar.
“Ma io devo fare pipì, non ci riesco con tutta questa gente intorno.”
“D’accordo.”
Hvitserk annuì e riprese il tragitto, fischiando affinché i soldati di Kattegat lo seguissero. Dopo che la turba si fu allontanata, Hildr emise un sospiro di sollievo.
“Vado finalmente a fare pipì. Tu assicurati che non ci sia nessuno.”
Ivar rise, alle volte la sua regina sapeva essere comica. Quello era in rituale che negli anni si era ripetuto, soprattutto quando Hildr era l’unica ragazza in un gruppo di maschi.
“Secondo me Eskol dovrebbe restare all’accampamento.”
“Creperebbe subito sul campo di battaglia.” Disse lei da dietro un cespuglio.
Ivar si morse il labbro, reprimendo un urlo di rabbia. Ad ogni osso che gli faceva male corrispondeva una bugia. Hildr era ignara delle sue condizioni precarie di salute, e lui continuava a mentirle spudoratamente. Ma era giusto? Era davvero necessario nasconderle la verità?
“Uh, la mia vescica ringrazia.”
Ivar scosse la testa per tornare alla realtà, non era il momento adatto per pendersi nei propri pensieri.
“Dovremmo raggiungere gli altri, presto farà buio.”
Hildr si aggiustò i pantaloni e risistemò la giacca della tenuta, una macchia nera in tutto quel verde del bosco.
“Hai ragione. Vieni, appoggiati a me.”
Lei gli offrì il braccio e Ivar accettò, era l’unica persona da cui si lasciava aiutare senza vergogna. Si incamminarono a braccetto e a passo moderato, godendosi anche un po’ il bel panorama.
 
Ivar si era già coricato quando Hildr entrò nella tenda con una ciotola ricolma di carne.
“Non hai fame? Io sto morendo! Mangerei anche te in questo momento.”
“Ne sono certo.” Replicò lui ridendo.
La ragazza si tolse gli stivali e la giacca, si sedette e si sciolse le trecce. Secondo la tradizione vichinga, dopo il matrimonio soltanto il marito poteva vederla con i capelli sciolti.
“Domani è il grande giorno. Sei agitato?”
Ivar prese un pezzo di carne e lo mangiò piano, allungando i tempi di risposta. Era agitato, sì, ma non per lo scontro. La sua preoccupazione era quella di lasciare Hildr da sola.
“Sono tranquillo. Il nostro piano di attacco è ottimo e funzionerà. Tu?”
“Sono agitata perché so di aver infranto la promessa fatta ad Alfred. So che non è quello che vuoi sentirti dire, ma lui non è mai stato nostro nemico.”
“So che la tua amicizia con Alfred è importante, però questa guerra è necessaria.” Disse Ivar.
Hildr grattò con l’unghia il fondo della ciotola, immaginando di grattare via anche quella sensazione di paura che la tormentava.
“Credo che Alfred morirà. La sirena e la danza dei defunti sono segni inequivocabili di morte.”
Ivar dovette distogliere lo sguardo per non piangere. Se solo Hildr avesse saputo cosa li aspettava.
“Sarà meglio riposare, domani ci aspetta una giornata faticosa.”
“Mmh.”
Quella notte dormirono abbracciati, l’uno si confortava nel calore dell’altra.
 
Hildr uscì dalla tenda un’ora dopo l’alba. Ivar non c’era, quindi supponeva che fosse già in riunione con Einer e Jorunn.
“Regina, Ivar desidera la vostra presenza.” disse una shieldmaiden.
“Grazie.”
Vide che Ivar e Hvitserk si sporgevano oltre il precipizio per guardare chissà cosa. Con loro c’erano anche Jorunn e Einer. Si affrettò a raggiungerli, curiosa di scoprire cosa attirasse la loro attenzione.
“Sono qui. Che succede?”
“C’è nebbia dappertutto.” Spiegò Hvitserk.
Hildr guardò giù dalla collina: il bosco era ricoperto da una fitta coltre di nebbia che impediva la vista. Era impossibile capire chi o cosa si muovesse sotto la massa bianca.
“Questa nebbia ostruisce la visuale per chilometri e chilometri.” Disse Einer.
“Quindi attaccare dal bosco è diventato inutile.” Aggiunse Jorunn.
Ivar stava zitto, scrutava la piana sotto di loro con la massima concentrazione. Gli ingranaggi del suo cervello stavano girando per elaborare un nuovo piano.
“Cambiamo zona. Ci accampiamo a valle.”
Jorunn aggrottò le sopracciglia e si portò le mani sui fianchi, assumendo la postura da regina.
“Perché a valle? Da qui possiamo controllare gli spostamenti dei sassoni.”
“Perché la nebbia potrebbe impiegare giorni per diradarsi.” Rispose Hildr.
Ivar annuì e regalò alla ragazza un sorriso appena accennato.
“A valle potremo riconsiderare la strategia d’attacco, perciò dobbiamo sbrigarci a scendere. Alfred in questo momento starà evacuando il castello e si starà muovendo. Tocca a noi anticiparlo.”
“Seguiremo il nuovo piano.” Acconsentì Einer.
“Anche Jorunn lo farà, se vuole restare viva.” la minacciò Hildr.
Jorunn indurì la mascella, detestava essere trattata in quel modo da un branco di ragazzini. Eppure aveva bisogno del patto con Ivar per mantenere il trono nel suo regno.
“Va bene.”
“Ordino all’esercito di sgomberare.” Disse Hvitserk.
Hildr aspettò che gli altri si allontanassero per avere un confronto con Ivar. Entrambi continuavano a guardare la nebbia che si stendeva sugli alberi.
“Che hai in mente, Ivar? Dimmi la verità.”
“Cambio radicale di strategia. Ti fidi di me?”
“Lo sai che odio quando tieni per te le strategie. La guerra è alle porte e io in qualità di comandante devo essere al corrente di tutto.”
Ivar la squadrò per un istante, poi sorrise con malizia e fece un mezzo inchino.
“Era questo che volevo sentire! Ti illustrerò il mio piano durante la discesa.”
“Ti detesto quando fai così.” Mormorò Hildr, stizzita.
 
Ormai era calata la notte, il buio era piombato sulla boscaglia e i gufi accendevano i loro vispi occhi gialli. L’accampamento era completo, alcuni guerrieri stavano arrostendo la carne e altri allestivano i giacigli per la notte.
Al centro delle tende, intorno al fuoco, Hildr si era riunita con le sue shieldmaiden per un rapido ragguaglio sulle modalità di combattimento.
“Se puntate la spada troppo in alto finirete per sbilanciarvi. Tenete l’arma sotto la spalla.”
“E se l’avversario punta al nostro addome?” chiese una ragazza.
Hildr sfoderò la propria spada, quella che Ivar le aveva donato per le nozze, e simulò la scena d’attacco.
“Il trucco è questo: se con una mano tenete la spada in alto, allora con l’altra o difendente l’addome oppure usate un coltello a lama sottile. È un gioco coordinato di movimenti. Ad ogni gesto ne corrisponde un altro nello stesso momento.”
“E’ la favoletta della buonanotte?” scherzò una voce maschile.
Hans era un soldato di Jorunn, un omone altro due metri e con le spalle più larghe del fianco di una nave.
“Hai qualche problema?” domandò Hildr, indispettita.
“Questo branco di pecorelle ha un problema. Non sono addestrate a dovere.”
Sigrid sguainò la spada nuova di zecca e la puntò alla gola di Hans; l’angolazione era svantaggiosa poiché lui era molto più alto.
“Non osare dubitare del nostro addestramento.”
Hans scoppiò a ridere, trattenendosi lo stomaco per placare la risata.
“Uh, la bambina si è offesa. Scusami, invocherò gli dèi perché perdonino la mia sfrontatezza.”
I compagni di Hans risero a crepapelle, e anche alcuni soldati di Kattegat si stavano divertendo troppo.
“Movimenti coordinati.” Disse Hildr.
Sigrid colse al volo il suggerimento, quindi estrasse il pugnale dalla cintola e lo puntò al fianco di Hans. L’omone trasalì, stupito dal dolore dell’arma che gli pungolava la pelle.
“Se spingo la lama di un solo centimetro, inizi a sanguinare. Se spingo la lama di dieci centimetri è probabile che colpisca il fegato e che ti uccida. Vuoi morire?”
“Ora stai zitto, Hans?” lo canzonò Hildr.
Hans provò a fare un passo avanti per attaccare Sigrid, ma una seconda shieldmaiden gli stava puntando l’ascia contro il ginocchio.
“Non ti conviene attaccare la mia amica.”
Questa volta fu Hildr a ridere, era sempre uno spasso vedere gli uomini spaventati da una donna che reagisce.
“Vedi, Hans, mai sfidare una shieldmaiden. Rischi di rimetterci la pelle o le palle, dipende.”
Hans si scostò dalle due donne e indietreggiò fino ad arrivare alla sua tenda. Ivar, seduto accanto al fuoco, sollevò il bicchiere in onore di Hildr.
“Un brindisi alla regina e alle sue shieldmaiden. Skall!”
“Skall!” gridarono tutti all’unisono.
 
Ivar si rigirava fra le dita il pezzo che Alfred gli aveva lasciato dopo la loro partita a scacchi. Più lo guardava e più in lui divampava la rabbia. Era come se il suo stesso sangue fosse in fermento per l’imminente scontro.
“Ci stai ripensando?”
Hildr si era stesa su un fianco, non riusciva mai a dormire prima di una battaglia.
“No. Questa guerra mi serve.”
“Davvero vuoi uccidere Alfred? È stato l’unico a trattarci con gentilezza. Inoltre, è sposato e ha un figlio. Non mi sembra necessario.”
Ivar abbassò lo sguardo su di lei e le accarezzò la fronte per spostarle una ciocca di capelli.
“Ti sei rammollita, Hildr. Siamo vichinghi e siamo dei conquistatori. Non ci sono gentilezze che reggano.”
Hildr si mise seduta e si sfregò le braccia per scacciare il freddo, anche se ipotizzava che quei brividi provenissero dalle parole del ragazzo.
“Noi due potremmo dare inizio a una nuova era. Potremmo avviare un periodo di prosperità e pace. La guerra non è sempre la soluzione.”
“Che cosa desideri?”
“In che senso?”
Ivar si puntellò su un gomito, i suoi occhi si concentrarono solo su di lei come fosse l’unica cosa esistente. Le sfiorò il naso con l’indice.
“Sei diventata regina per supportarmi. Sei venuta in guerra per supportarmi. Sei al mio fianco da sempre per proteggermi. Fai tutto per me. Ma qual è il tuo più grande desiderio?”
Hildr arrossì, non era abituata allo sguardo penetrante di Ivar che pareva leggerle nell’anima.
“Beh … io … non lo so.”
“Lo sai. Che cosa desideri, Hildr?”
Lei emise un sospiro stanco, come se avesse represso a lungo i suoi sogni.
“Desidero vivere con te lontano dalla guerra e dal trono. Vorrei che fossimo due semplici ragazzi. La gloria non è un obiettivo da perseguire col sangue. Ormai siamo famosi, ci conoscono addirittura in ‘Rus! Abbiamo lottato per tutta la vita, direi che è giunto il momento di fermarsi.”
“Non pensavo volessi una vita tranquilla. Hildr, tu bruci come il fuoco!” disse Ivar.
Hildr fece un sorriso per poi tornare subito seria. Si morse le labbra mentre deglutiva a fatica.
“E’ che sono stanca, Ivar. Non ce la faccio più. Non sopporto altri intrighi, altre fughe e altri morti. In soli due anni abbiamo affrontato quello che una persona affronta in dieci anni.”
“Perché siamo nati per questo! Siamo troppo in gamba per mollare tutto.”
Ivar non capiva le ragioni di Hildr, o fingeva di non capire per non ammettere che lei non aveva tutti i torti.
“Anche i più forti devono fermarsi.”
 
Due giorni dopo
Hvitserk si sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata del ruscello, un ottimo metodo per svegliarsi in fretta. Era l’alba, tutti stavano ancora riposando e lui poteva godersi quella pace ancora per un po’. Quella mattina avrebbero messo in atto la strategia di Ivar. La guerra era ormai inevitabile. Ripensò a Isobel e Aila, voleva tornare da loro il primo possibile. Anni addietro non aveva mai pensato di mettere su famiglia, invece ora voleva soltanto riabbracciare la sua bambina. Se le cose si fossero messe male, Aila avrebbe ereditato il trono di Kattegat e anche il lignaggio della sua famiglia. Però, e questo Hvitserk lo temeva, di sicuro i nemici si sarebbero fiondati a capofitto su di lei pur di accaparrarsi il trono. Sperava con tutto se stesso che Hildr restasse viva tanto a lungo da tenere Aila lontana dal trono il più possibile.
“Disturbo?”
Ivar lo affiancò, la stampella che lasciava impronte sul terreno bagnato di rugiada.
“Pensavo ad Aila e al retaggio maledetto che si porta dietro. È nipote di Ragnar Lothbrok, è nipote di Ivar Senz’Ossa e Hildr la Valchiria, è figlia di un vichingo e di una sassone.”
“È benedetta dagli dèi!” disse Ivar.
D’altronde il nome stesso della bambina significava ‘benedetta’, pertanto gli dèi vegliavano su di lei sin dalla nascita.
“Spero solo che non diventi regina, sarebbe un destino troppo crudele.” Disse Hvitserk.
Ivar pensò a Hildr, alla corona che si intrecciava alle sue ciocche, al suo trono su cui si erano sedute Lagertha e Aslaug prima di lei. Tutte e tre regine destinate a lottare e a soffrire per volontà divina.
“I destini crudeli fanno parte della nostra famiglia.”
Hvitserk guardò il fratello e notò come i suoi occhi fossero più scuri, un blu intenso galleggiava nelle sue pupille.
“I tuoi occhi sono blu, Ivar.”
Ivar lo sapeva, sentiva il suo corpo debole e afflitto dal dolore. Eppure non era intenzionato a mostrarsi fragile.
“Non oggi, fratello mio. Non oggi.”
La loro conversazione fu stroncata dal brusio di voci alle loro spalle. Anche Jorunn ed Einer si erano svegliati, uscendo dalla stessa tenda. Ivar ghignò, non avrebbe mai immaginato che la guerra potesse portare a certi risvolti.
“Lo sapevi che sono amanti?”
“Certo. Si vede chiaro come il sole.” Disse Hvitserk con una risata.
Poi lo sguardo di Ivar si illuminò come la luce fosse esplosa: Hildr era apparsa in mezzo alla calca di soldati, stava bisticciando con i lacci della casacca. Ivar andò subito da lei come un lupo che segue la luna.
“Serve una mano?”
La ragazza sbuffò e grugnì, quella casacca proprio non ne voleva sapere di collaborare.
“Sì, prima che dia una testata al tronco di un albero.”
“Si sono incastrati i lacci, nulla di irreparabile.” Disse Ivar.
Le sue dita si mossero scattanti per districare i nodi, un’abilità che aveva acquisito dopo anni a sciogliere le reti da pesca di Floki.
“Abbiamo tutto il necessario per le trappole?”
“Sì, abbiamo raccolto tutto l’occorrente. Siamo pronti a installare le trappole. Fatto!”
Hildr poté finalmente indossare la giacca della tenuta e sistemare l’ascia alla cintola. Recuperò l’arco e la faretra dalla tenda e le issò sulla schiena, sentendosi protetta dalle proprie armi.
“Ti senti bene? Sei piuttosto pallido.”
Ivar era bianco come un cencio, e quel pallore non era passato inosservato all’occhio esperto della ragazza.
“Non ho dormito, sono molto stanco. Mi riposerò quando sarà tutto finito.”
Hildr gli mise le mani a coppa intorno al viso, c’era qualcosa negli occhi di Ivar che le faceva accapponare la pelle.
“Ivar, i tuoi occhi sono diversi. Sono più blu del solito.”
“Non ti preoccupare. Sto bene, dico davvero. Pensiamo a restare concentrati.”
La ragazza gli cinse il collo con le braccia e si avvicinò fino a far sfiorare le loro labbra.
“È difficile restare concentrata quando tuo marito è l’uomo più bello di Midgard.”
“Ah, sì? Tuo marito è davvero fortunato ad aver sposato te.”
“Assolutamente vero!”
Ivar colse l’occasione per baciarla, forse una delle ultime. Fece scivolare la mano lungo la schiena di Hildr per poi attirarla a sé, voleva sentirla addosso ancora una volta.
“Hildr …”
Hildr scosse la testa e lo baciò di nuovo con una passione tale da far rabbrividire entrambi.
“Lo so, Ivar.”
“Avete finito o dobbiamo aspettare l’arrivo di Ragnarok?” li riprese Jorunn.
Ivar e Hildr risero per l’impazienza della vecchia regina, si sentivano come due ragazzini sgridati dalla mamma. Dopo un altro bacio si unirono al resto del gruppo.
 
“La strategia è cambiata per via della nebbia che non ci permette di restare in cima alla collina. Il nuovo piano è questo: mutilare i soldati di re Alfred. Mutilando un gran numero di uomini, sarà necessario l’intervento dei soccorritori e tutta quella gente sarà alla nostra mercé.”
Ivar stava in piedi davanti ai tre eserciti, sfoggiando la sua autorità di re in maniera impeccabile.
“Sicuro che funzionerà?” volle sapere Einer.
“Sì, certo. Alfred chiamerà i soccorritori, fidatevi.”
Una shieldmaiden alzò la mano per richiedere la parola, era una donna sulla trentina che aveva abbandonato la fattoria paterna per andare in guerra.
“E se Alfred non chiamasse i soccorritori? È un’opzione da considerare.”
Hildr fece un passo avanti per mettersi accanto ad Ivar, la loro differenza di altezza aveva uno scarto di circa dieci centimetri.
“Alfred è un cristiano devoto, farà il possibile per salvare i suoi uomini. La sua morale religiosa gli impone di pensare al prossimo. Come ha previsto Ivar, i soccorritori ci saranno.”
“Come mutileremo i sassoni?” domandò Jorunn, curiosa.
Ivar usò la stampella per indicare una gran quantità di legna ammucchiata in un angolo.
“Costruiremo delle trappole con la legna e le nasconderemo sotto le foglie. Le faremo scattare quando la prima linea sassone tenterà un attacco.”
Hans, l’omone che imperterrito infastidiva le shieldmaiden, fece spallucce per manifestare la sua incredulità.
“E poi come agiremo? Dobbiamo pur posizionarci in qualche modo.”
“Ovviamente abbiamo pensato anche a questo.” Disse Hildr.
“Ascoltiamo la regina!”
Hildr roteò gli occhi, non sopportava più quello sbruffone. Si mise le mani sui fianchi per non metterle attorno al collo dell’uomo.
“Fai poco lo spiritoso, Hans. Io e Hvitserk abbiamo stabilito la disposizione dei soldati secondo parametri oggettivi. Alterneremo una linea di guerrieri con le asce e una di shieldmaiden con l’arco. Inoltre, costruiremo un ponte su cui saranno disposti altri arcieri. Una cinquantina di guerrieri, invece, saranno collocati lungo i fianchi. Così sarà possibile attuare un attacco simultaneo su più lati.”
“E’ un ottimo piano se lavoriamo tutti insieme.” Disse Hvitserk.
La sera precedente lui e Hildr erano rimasti a parlare fino a tardi, avevano fatto ipotesi e le avevano smontate, avevano bisticciato e si erano chiariti, fino alla soluzione definitiva. Ivar si era sbellicato dalle risate nel vedere la moglie e il fratello litigare come quando erano adolescenti.
“Che il lavoro abbia inizio!” annunciò Einer.
 
Due giorni dopo
Il silenzio tombale che precede una battaglia è carico di adrenalina mista a paura. I vichinghi si erano posizionati, le trappole erano state piazzate e il ponte era stato eretto. Le sentinelle avevano comunicato che Alfred era vicino, pochi minuti e sarebbe giunto sul luogo dello scontro. Hildr stava sul ponte, le braccia tese per tenere l’arco in procinto di scoccare la freccia. Ivar teneva gli occhi chiusi e le orecchie in ascolto per captare qualsiasi rumore.
“Sono vicini.”
Hvitserk scese dal ponte dato che lui avrebbe guidato gli uomini a terra.
“Possiamo ancora ritirarci. Siamo in tempo.” Bisbigliò Hildr.
Ivar le lanciò un’occhiata decisa, la determinazione bruciava ogni fibra del suo corpo.
“Non ci ritireremo. Possiamo vincere.”
Hildr aveva sperato fino all’ultimo che Ivar rinsavisse, che accantonasse quella stupida guerra per il bene di Kattegat e quello del Wessex. Non aveva alcun senso quel desiderio bellico. Eppure non poteva lasciarlo da solo, lo aveva promesso a Ragnar e a Odino. Sarebbe rimasta con Ivar fino alla fine dei giorni.
“Vedo Alfred con tutto l’esercito.” Riportò Jorunn.
Hildr era focalizzata sull’arrivo dei sassoni quando un’ombra la obbligò a distogliere l’attenzione dal bersaglio. Vide quattro uomini sgattaiolare verso nord con le armi sfoderate.
“Ivar, perché degli uomini vanno a nord? Non è parte della strategia.”
“Non lo so.”
Ivar aveva serrato la mascella e si era morso il labbro, indice che stava mentendo.
“Hai tre secondi per dirmelo, oppure ti butto giù da questo ponte.”
“Stanno intercettando la carrozza di Elsewith per ucciderla.”
Hildr strinse le dita intorno all’elsa della spada talmente forte da avvertire le decorazioni a rilievo pungerle il palmo.
È crudele! I ricognitori hanno detto che nella carrozza c’è anche il figlio di Alfred.”
Ivar la guardò come se la vedesse per la prima volta, era allibito da quella informazione di cui non era a conoscenza.
“Jorunn mi ha detto che nella carrozza c’è solo Elsewith. Mi ha chiesto il permesso di ucciderla perché Mannel, il padre di Elsewith, ha ucciso il fratello di Jorunn. Per questo motivo ha accettato di allearsi con noi.”
“Jorunn ti ha mentito. Sa bene che in quella carrozza c’è anche un bambino, ma lo ha tenuto per sé pur di vendicarsi. Ivar, questo non posso sopportarlo. Nessun bambino deve restare coinvolto.”
Ivar lesse negli occhi di Hildr quel senso di giustizia che tanto le invidiava. Lei aveva un’etica di ferro che lui non aveva mai avuto in vita sua. Pochi erano i vichinghi con una coscienza tale da risparmiare dolore ai nemici.
“Vuoi andare a salvare il bambino.”
“E’ mio dovere. Ho infranto la promessa fatta ad Alfred, però voglio almeno provare a salvare suo figlio.”
Ivar si fece scappare un sorriso, non ce la faceva a resistere alla risolutezza di Hildr. Lei era uno spirito libero che doveva seguire la sua rotta, e lui glielo avrebbe concesso.
“Torna subito qui dopo che avrai messo in salvo il bambino. Cerca di non farti ammazzare.”
Hildr lo abbracciò di slanciò e gli diede un bacio a stampo, dopodiché si arrampicò oltre il ponte per scendere giù.
“Ivar, ti amo.”
Ivar le accarezzò il mento e cercò di imprimere nella mente ogni dettaglio del suo viso: gli occhi scuri e luminosi, le labbra rosee e screpolate, qualche lieve lentiggine, e quei capelli neri che lui adorava alla follia.
“E io amo te.”
Hildr balzò a terra, le foglie schizzarono al suo atterraggio. Dopo di lei anche Sigrid era scesa.
“Che fai?”
“Vengo con voi, mia signora.” Rispose Sigrid.
“Andiamo, shieldmaiden. Mostriamo loro cosa sappiamo fare.”
Ivar guardò le due ragazze correre verso la carrozza con il cuore in gola.
Il suo tempo su Midgard stava per concludersi e il suo unico desiderio era quello di rivedere Hildr ancora una volta. Per l’ultima volta.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Questo è un capitolo di preparazione alla battaglia. Ci sono parecchi sentimenti in ballo, chissà come andrà a finire.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Palazzo di Odino ad Asgard

 
  
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