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Autore: Moriko_    04/03/2021    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
5NFdCLU

Famiglia

{Diciotto anni | Morisaki's side}

 

 

BGM: The Cinematic Orchestra - Arrival of the Birds & Transformation

 

 

 

[12 Marzo. Nankatsu, prefettura di Shizuoka.]

 

Rigirando il piccolo telecomando che aveva in mano senza mai fermarsi, Noboru vide aprire la porta basculante del suo garage. Era un’operazione che compiva tutti i giorni, a volte anche distrattamente, per recuperare il suo amato City SUV Volkswagen che riposava in quell’angolo semibuio racchiuso da quattro spesse mura quando non era in giro per Shizuoka e dintorni: ne aveva cambiati diversi nel corso di tutti quegli anni, scegliendo sempre quel modello che così, di generazione in generazione, continuava a essere al suo fianco. E quell'ultimo modello che ora giaceva nel suo garage, nonostante avesse già qualche anno, gli ricordava tutti i precedenti che aveva avuto da quando si era trasferito in quella città, in quella piccola casa dove aveva sempre vissuto.

Per lui i SUV che aveva avuto erano come figli: con quei mezzi aveva vissuto i momenti più importanti della sua vita, dal matrimonio di suo fratello alla nascita dei suoi nipotini, dalle feste tra amici ai vari lavori che aveva svolto fino a quel giorno.

Quando era al volante a volte arrivava a parlare anche da solo, affidando a quel mezzo tutte le emozioni che provava e confidandogli i profondi segreti che non rivelava nemmeno alla sua famiglia. Quel SUV era il suo compagno più fedele, in tutti quegli anni di onorato servizio... e, quel giorno, Noboru gli aveva affidato un compito importante.

L'uomo fece ingresso all’interno del garage, dirigendosi subito verso il piccolo locale che si trovava in fondo: una sorta di sgabuzzino, dove Noboru conservava gli oggetti che non utilizzava ormai da tempo immemore ma dei quali non si era mai liberato in via definitiva. Si guardò intorno e subito iniziò a spostare le scatole che si erano accumulate nel corso degli anni, e che sembravano essere una sorta di muro invalicabile che impedivano di accedere ai oggetti che considerava preziosi e insostituibili.

«Vediamo un po’ dove l'ho messo... ah, eccolo!»

In un angolo giaceva un’altra di quelle scatole, molto più grande delle sue affini: a differenza di queste ultime quella che aveva trovato Noboru era rigorosamente sigillata in modo tale da non essere aperta, e su un lato vi era affisso un adesivo bianco con un disegno di una coccinella in un angolo e una strana scritta in inglese: “Orchid - The stars are looking down”.

Un messaggio apparentemente enigmatico, ma non per Noboru al quale subito brillarono gli occhi. Prese un panno dal lavabo che si trovava nel locale del SUV e subito tolse la polvere che si era accumulata nel corso del tempo; poi rimosse delicatamente l’adesivo dalla scatola e si soffermò a guardarlo.

Per un attimo gli tornò alla mente la voce del primo proprietario dell'oggetto contenuto in quella scatola: la sua risata, così dolce quanto candida, sembrava ancora riecheggiare nell'aria nonostante fossero trascorsi molti anni dal giorno in cui Noboru lo aveva conservato nel suo garage con estrema cura.

Noboru sorrise, ripiegò l'adesivo e lo mise nella tasca del suo jeans. Poi aprì il cofano del suo SUV, prese la scatola e la posò nel mezzo, facendo attenzione a non farla cadere.

«Scusa se non ti ho chiesto il permesso...» sussurrò con sguardo fiero, con gli occhi puntati sulla scatola e le braccia conserte. «Però sei d'accordo con me... vero, Ran?»

 

 

 

Nonostante il sole stesse tramontando, Yuzo era l’unico che non aveva ancora abbandonato il campetto da calcio della città, e sembrava che non gli stesse passando per la testa l’idea di rincasare. Come un forsennato continuava ad esercitarsi con la macchina sparapalloni: pur sapendo che poteva farlo anche a casa con Hanako, l’allenamento con sua sorella non era proprio la stessa cosa. Ogni volta con lei si divertiva molto, ma era proprio in quell’ampio spazio che sentiva di poter migliorare, in compagnia dei suoi amici o da solo come stava facendo in quel momento.

«Non vuoi proprio saperne di fermarti, eh?»

La divertita voce di un anziano signore, seduto su una piccola sedia e reggendo tremante tra le mani un bastone, risuonò nell’area. Per la sua longeva esperienza il custode del campo cittadino conosceva ogni singola persona che là si allenava: aveva visto con i propri occhi intere generazioni crescere e diventare sempre più forti, e in questo Yuzo non faceva un’eccezione. Nonostante il giovane portiere fosse tornato da qualche giorno dal ritiro di allenamento per il campionato mondiale giovanile, non aveva mai smesso di esercitarsi, approfittando di buona parte della giornata per continuare con tutto ciò che aveva lasciato in quel ritiro. Il campionato era sempre più vicino, e lui ci teneva a mostrare il meglio di sé e a mettercela tutta, come aveva sempre fatto.

Non appena afferrò l’ultimo pallone sparato dalla macchina che aveva di fronte, Yuzo riprese fiato e si preparò a caricarla di nuovo: un paio di minuti di pausa e avrebbe ripreso i suoi allenamenti personali: da quando era tornato a Nankatsu era sempre così, fino a quando i muscoli del suo corpo non gli urlavano, con forti dolori, di fermarsi del tutto.

«Secondo me, potresti fare una pausa e goderti queste piccole vacanze,» disse il vegliardo, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi al ragazzo. «Non è mai un bene ammazzarsi con gli allenamenti, per quanto possano rafforzare il corpo e lo spirito: ci vuole anche riposo e distrazione... e se non ne approfitti, prima o poi rischi di impazzire.»

Yuzo gli rivolse un dolce sorriso. «Ho un compito molto importante...»

«... “devo proteggere la porta della mia squadra”» interruppe l’anziano custode. Gli batté più volte la mano sulla spalla, e proseguì: «Quante volte ti ho sentito dire questa frase, ragazzo mio! Sono molto felice che tu stia prendendo seriamente il ruolo che ti è stato affidato, ma sei sicuro che tutto ciò basterà per proteggere la tua amata porta?»

«Non lo so...»

Yuzo abbassò lo sguardo malinconico sull’ultimo pallone che stava reggendo in mano e che stava per riporre nella macchina. «Per quanto continui ad allenarmi... sento sempre che non è mai abbastanza...»

«Sbagliato!»

Il custode picchiettò rumorosamente il terreno di gioco con il suo bastone. «Non ho mai capito perché ti ostini a sottovalutare le tue capacità: sei molto bravo... e ricordati che un gol subìto è responsabilità dell’intera squadra, non solo la tua!»

Il giovane fece scivolare il pallone lungo il tubo della macchina e lentamente portò le braccia lungo i fianchi. «Mi... mi dispiace...»

L’altro gli rivolse un sorriso rincuorato e gli voltò le spalle. Con le mani dietro la schiena tornò a piccoli passi alla sua postazione. «Non devi scusarti con me, non hai detto niente di male. È normale essere preoccupati... ma cerca di non esagerare: un atteggiamento negativo non ha mai portato buoni risultati, nemmeno al più grande giocatore di questo mondo... ed io ne so qualcosa. Ora, su: torna ad allenarti, non vorrai mica restare qui fino a mezzanotte... spero!»

E scoppiò a ridere, felice dal fatto che quel giovanotto stesse impiegando tutte le sue energie per essere un calciatore degno di questo nome. L’ultima cosa che voleva vedere da lui era che crollasse a terra senza più riuscire a rialzarsi: doveva mettercela tutta sì, ma senza stancarsi troppo.

«Anche perché tra una decina di minuti devo chiudere!» esclamò allegro il custode, battendo ancora una volta il bastone al suolo. «Mi sei simpatico e per questo ho fatto uno strappo alla regola... ma se passa di qui il sindaco, come gli giustifico il fatto che sono ancora qui e c’è qualcuno che sta ancora usando il campo?»

«Puoi sempre rispondergli “Sono il custode, è il mio compito!”» disse Yuzo senza pensarci due volte. Corse verso i pali e osservò di nuovo la macchina, in attesa che tornasse a tirare i palloni che aveva caricato.

«Mentre io sono qui perché sono il custode di questa porta!» affermò il portiere con fermezza. «Non stiamo facendo nulla di male, no?»

L’anziano sorrise, facendo schioccare le labbra compiaciuto. «Touché, ragazzo mio!»

 

L’allenamento proseguì in silenzio, sotto gli occhi vigili del custode che stette ben attento ad osservare ogni singolo movimento di Yuzo. Lo colpiva sempre il modo in cui quel giovanotto fosse così dedito al calcio, e la sua ostinazione a non arrendersi nonostante tutte le difficoltà nelle quali era capitato. Lo aveva sempre visto in televisione - quando non era là, su quello stesso campo dove ora continuava ad esercitarsi, da solo o con i suoi compagni di squadra - e aveva capito fin da subito che quel giovanotto di strada ne avrebbe fatta tanta, contrariamente all'opinione che aveva di se stesso e che a volte percepiva inavvertitamente dai discorsi che facevano.

Yuzo gli era simpatico perché gli ricordava, dei tempi ormai lontani, dove anche lui era giovane e si esercitava molto per essere un buon giocatore di calcio. Ma, soprattutto, gli era simpatico perché era uno dei pochi che prendeva così seriamente il gioco del calcio... a volte fin troppo - doveva riconoscerlo nonostante rispetto a quel giovanotto avesse molta più esperienza. E riguardo persone del genere, che davvero amavano essere calciatori e che non erano solo alla ricerca di una gloria momentanea, l’anziano custode le capiva fin da subito: bastava uno sguardo, puntato verso quegli occhi pieni di grinta, per capire che il futuro del calcio giapponese fosse in ottime mani.

Per questo motivo, il custode era sempre ben disposto a dare una mano a Yuzo, mettendogli a disposizione il campo comunale se ne avesse avuto bisogno. D’altro canto il giovane portiere aveva sempre risposto al suo invito con un po’ di imbarazzo, ma al contempo con grande entusiasmo: non voleva dargli fastidio, ma di fronte al suo saggio volto segnato dal passaggio del tempo non riusciva mai a dirgli di no.

Anche quel pomeriggio Yuzo era là, su quel campo che sembrava così vasto con la sua solitaria presenza.

Solo lui, di fronte alla macchina sparapalloni che il vegliardo gli aveva gentilmente prestato.

Solo lui... e il pallone che tanto amava.

Con un sorriso fiero il custode si alzò dalla sedia e fece un cenno al portiere per allontanarsi in direzione dei bagni; Yuzo sembrò non accorgersene, ma l’anziano se ne andò via rassicurato. Conosceva quel giovane molto bene, e sapeva che poteva fidarsi di lui: di certo non avrebbe lasciato il campo e la macchina senza prima avvisarlo.

Nel momento in cui il custode sparì dall’area di gioco, la macchina riprese la sua attività con il primo tiro; ne seguirono gli altri a ritmo di dieci secondi di pausa tra una sessione e un’altra, tranne l'ultimo che inspiegabilmente non venne lanciato.

«Che strano...» mormorò Yuzo, portandosi le mani sui fianchi. «Deve essersi inceppata...»

Il portiere avanzò di qualche passo verso la macchina per vedere dove fosse il problema e così cercare di risolverlo, ma si bloccò all'improvviso non appena udì alle sue spalle un'altra voce, questa volta con un tono più acuto e sereno, che lo stava salutando.

«Morisaki-senpai!»

Dietro di lui era apparsa una ragazza dai capelli color nocciola raccolti in due codini, con la sua radiosa giovinezza che si irradiava nel suo volto allegro e solare, dall’uniforme scolastica femminile della Nankatsu - proprio la sua scuola.

«Su... Sugimoto...» iniziò a balbettare Yuzo, un po’ per l’imbarazzo - dato che il campo sul quale stava giocando era normalmente chiuso a quell’ora, ragion per cui doveva subito pensare a cosa rispondere alla ragazza se gli avesse rivolto qualche domanda in merito -, un po’ per la sorpresa di trovarla proprio lì, dietro la rete che delimitava l’area di gioco.

L’ultima volta che l’aveva vista era proprio nell’ampio ingresso della loro scuola mentre chiacchierava con le sue amiche, poco prima dell’inizio del ritiro della nazionale giovanile giapponese. Kumi Sugimoto, che rispetto a lui stava terminando il suo primo anno delle superiori, aveva proseguito imperterrita con il ruolo di manager della squadra di calcio della Nankatsu, e inizialmente ciò aveva colpito lo stesso Yuzo.

Quando si erano incontrati per la prima volta, nel suo ultimo anno delle medie, quella stessa ragazza non aveva nulla di particolare che l’avesse colpito: voleva entrare a far parte del club di calcio per imparare il come poter sostenere al meglio la loro squadra e, soprattutto, fare il tifo per il suo idolo, Tsubasa Ozora. Ma proprio nel corso di quell’anno le cose erano lentamente cambiate, facendo crescere in lei una vera e propria passione per questo sport, portandola alla decisione di proseguire la sua carriera di manager anche dopo la partenza di Tsubasa e il passaggio di molti di loro alle scuole superiori, tra le quali le altre due manager della squadra nonché sue amiche, Sanae e Yukari: nonostante la loro assenza - di tutti coloro che lei chiamava “senpai” - Kumi non si era persa d’animo e, anzi, era riuscita a portare avanti la squadra delle medie anche nel corso del suo rispettivo secondo e terzo anno di frequenza. L’assenza di quei compagni fenomenali e di coloro che le avevano insegnato i fondamenti dell’essere una brava manager aveva pesato molto sulla potenza e la qualità del team; tuttavia quella ragazza aveva dimostrato di sapersela cavare e di motivare la squadra con grande coraggio e spirito combattivo.

Yuzo l’aveva poi incontrata di nuovo a distanza di due anni, a varcare la soglia della stessa scuola che lui frequentava e - ovviamente - ad entrare nel club di calcio delle superiori come manager. Con lei si era ricostituito il vecchio team che tre anni prima aveva trionfato nel campionato nazionale delle scuole medie, ma non solo: Kumi non era più la stessa ragazza ingenua e schietta anche quando si parlava di calcio, e riusciva sempre a donare nuova linfa vitale alla squadra con la sua rinnovata esperienza. Il suo carattere così felice e spensierato non era cambiato, ma lo erano tutte le sue conoscenze in ambito calcistico e, anche se rispetto a Sanae e Yukari continuava ancora a commettere qualche errore, ormai aveva colmato tutte le sue lacune.

Un’altra sostanziale differenza aveva riguardato il suo modo di vedere gli altri. Nel corso di quell’anno trascorso insieme, Yuzo aveva notato che Kumi era riuscita ad avvicinarsi a ciascun membro della squadra e, dunque, anche a lui, rispetto alle medie dove la sua principale attenzione era rivolta al suo idolo. In un certo senso l’assenza di Tsubasa le aveva fatto del bene, l’aveva aiutata ad aprirsi di più agli altri membri del club e a divertirsi con tutti loro, senza fare distinzione tra chi fosse un genio del calcio e chi no.

In quell’anno Yuzo aveva imparato insieme agli altri a conoscerla di più, ad aiutarla quando era in difficoltà. In quell’ultimo anno delle superiori, la sua allegria e spontaneità aveva contagiato tutti, lui in modo particolare: il portiere si sentiva bene anche in sua compagnia, e il tifo di incoraggiamento che gli rivolgeva ogni volta era diventato la fonte della sua forza, insieme a quello di tutti gli altri che gli volevano bene e che credevano in lui.

Dopo l’iniziale imbarazzo sul volto di Yuzo si delineò presto un timido sorriso, il quale dava a vedere la sua felicità nell’averla rivista.

«Da quanto tempo!» le disse, ricambiando il saluto. «Come procedono gli ultimi giorni di scuola?»

«Abbastanza bene! Sono anche gli ultimi giorni del club... fortuna che le vacanze di primavera durano poco, perché non vedo l’ora di tornare a sostenere la squadra per il prossimo campionato della prefettura!»

Agitando la cartellina che aveva tra le mani Kumi fece ingresso nel campo e si fermò, in piedi accanto alla sedia ancora vuota del custode. Appoggiò la cartellina sulla sedia e posò lo sguardo sulla macchina sparapalloni che, nonostante fosse ancora accesa, non voleva sapere di lanciare l’ultimo pallone verso Yuzo.

«Anche tu non smetti mai di allenarti... eh, Morisaki-senpai?» gli disse con dolcezza.

«Mai. Ormai mi conosci: sai che sono molto ostinato! Un po’ come questa...» e Yuzo proseguì, avvicinandosi alla macchina e iniziando a dare un’occhiata ai comandi per farla ripartire. «Dai, su! Deciditi a funzionare, altrimenti il custode pensa che sono stato io a ridurti in questo stato!»

A Kumi sfuggì una risata, che subito il portiere notò e commentò con un altro sorriso: «Tu sei testimone: hai visto che questa bellezza funzionava prima che si inceppasse!»

La ragazza incrociò le braccia e gli ricambiò il sorriso, questa volta in modo beffardo. «E se non volessi farlo? Stavi usando tu quella macchina... e se stai cercando solo una scusa per giustificare qualcosa che hai fatto mentre ancora non c’ero?»

«Vorresti tradire un compagno di squadra? Non sei il tipo e non sei mai stata brava a mentire, credimi.»

«C’è sempre una prima volta per tutto, Morisaki-senpai

I due si guardarono dritto negli occhi e non dissero altro. In silenzio si scrutarono, cercando di trovare nell’altro qualcosa che potesse tradire la sua apparente imperturbabilità.

Poi, ad un tratto, scoppiarono a ridere all’unisono. Yuzo si portò una mano dietro la nuca e indietreggiò di qualche passo, in direzione della porta; raccolse uno dei palloni che era ancora a terra e disse: «Scusa, non sono mai stato bravo al gioco del silenzio…»

«Anch’io, sai? Con Nishimoto-senpai ho sempre perso: è impossibile batterla!»

«Difficile, ma non impossibile. L’unico che riesce a tenerle testa è Ishizaki!»

«E non poteva essere altrimenti: “chi si somiglia si piglia”!»

Yuzo le lanciò il pallone che aveva in mano e disse: «Ti andrebbe di aiutarmi a rimettere a posto? Tanto mi sa che ho finito per oggi: penso che quella macchina mi stia dicendo “Basta, non ne posso più! Lasciami in pace, ora voglio solo dormire!”»

Kumi rise di gusto, quasi con le lacrime agli occhi. Aveva immaginato cosa sarebbe successo se quella macchina sparapalloni avesse avuto la possibilità di parlare: conoscendo Yuzo, che arrivava ad allenarsi per più ore al giorno senza mai fermarsi, di sicuro avrebbe protestato, implorandolo di avere pietà di una giovane donzella come lei che come le sue colleghe aveva solo pochi anni di vita!

Le venne da pensare che doveva essere una costante di chi aveva avuto a che fare con un grande campione del calibro di Tsubasa: in fondo anche lei era diventata così, non si fermava mai nemmeno quando la stanchezza iniziava a farsi sentire.

«Poveretta: anche la sua pazienza avrà un limite!»

 

 

 

«Ma io dico: una bella assicurazione per i portieri contro le improvvise pallonate in faccia no, eh? Sarei milionario, a quest’ora!»

Sulla strada di ritorno, Yuzo reggeva sulla fronte una busta di ghiaccio istantaneo che Kumi aveva preso dal frigorifero posto nell’ufficio del custode del campetto comunale: mentre i due ragazzi erano distratti dal rimettere a posto l’area di gioco, all’improvviso la macchina aveva deciso di sparare l’ultimo pallone tanto atteso, colpendo in pieno volto Yuzo che in quel momento era proprio in porta a raccogliere uno di quelli che era riuscito a parare e che poi aveva lasciato accanto al palo. Kumi si era così precipitata a chiamare il custode per farsi dare le chiavi del suo piccolo ufficio, posto all’ingresso del campetto, per recuperare il kit di primo soccorso per così aiutare il suo uscente compagno di squadra a rimettersi in piedi: lo trovò dolorante seduto sull’erba del campo e con la schiena appoggiata sul palo, che con una mano si copriva il volto quasi grondo di lacrime che gli erano fuoriuscite dagli occhi per il male fisico.

«Prendi esempio da Ishizaki-senpai» disse candidamente la ragazza mentre percorreva insieme a lui la strada per tornare a casa. «Per tutti i palloni che ha incassato con il suo volto, saprà darti qualche consiglio per alleviare il dolore!»

«Sai, Sugimoto... vorrei smetterla di prendere pallonate in faccia» rispose Yuzo, passandosi il ghiaccio su una delle guance. «Sono un portiere, e non vorrei essere ricordato come quello che al posto di accogliere il pallone tra le mani lo para con il volto!»

Kumi lo fissò e gli sorrise dolcemente. Non sembrava uno dei suoi soliti sorrisi, solari e allegri: era molto più pacato, quasi pregno di una struggente malinconia che il suo cuore stava iniziando a provare.

Stava accadendo di nuovo, come tre anni prima: nonostante la sua abitudine ai cambiamenti, le era sempre triste il salutare molti dei suoi compagni di squadra, con i quali aveva condiviso un anno di eventi belli e spiacevoli. Sapeva che quello non sarebbe stato un “addio” ma solo un “arrivederci”, perché il suo tifo li avrebbe accompagnati ovunque sarebbero andati, anche dall’altra parte del mondo; ma essendo una ragazza che si affezionava facilmente, anche la parte di un semplice “arrivederci” le era sempre difficile.

Anche con Yuzo stava accadendo lo stesso. Le piaceva stare con lui, con ciascuno dei suoi compagni, e per questo sentiva che in fondo anche quel portiere un po’ testardo e sognatore le sarebbe mancato.

Kumi lo precedette con qualche veloce passo, poi si fermò davanti l’ingresso di una villetta che si trovava all’angolo di un incrocio tra due strade, con un piccolo giardino sul quale svettava un albero di tiglio, e rivolse un inchino al suo compagno recuperando al contempo la sua solita giovialità.

«Sono arrivata! Grazie per la compagnia, Morisaki-senpai

«Di niente... anzi, ti ringrazio per avermi soccorso al campetto: sei stata di grande aiuto!»

E spero che non accada più una cosa del genere, aggiunse Yuzo in pensiero. Che dolore...

«... ahia...» si lasciò sfuggire dalle labbra, mentre continuava a passarsi il ghiaccio lungo il volto.

«Ti fa ancora molto male? Fammi dare un’occhiata...»

La ragazza posò la cartellina accanto all’ingresso, gli si avvicinò e, senza dare all’altro il tempo di replicare o di opporsi, gli afferrò la mano che reggeva il ghiaccio. Poi la sollevò con delicatezza e stette ben ferma ad osservare con attenzione e quasi con scrupolosità i segni che quel violento pallone aveva lasciato su quel volto così delicato.

«Non sono un medico, ma sono certa che ti passerà presto. Sei una roccia, dopotutto!» concluse, lasciandogli la mano con un sorriso rassicurante. Tornò presso l’ingresso della sua dimora e, mentre aprì la sua cartellina, gli disse: «Potresti chiudere gli occhi per un momento, Morisaki-senpai

«Cosa?»

Yuzo si incuriosì. Non capiva il motivo per il quale doveva chiudere gli occhi… così, quasi all’improvviso. Nel vedere Kumi che stava frugando nella sua cartellina, alla ricerca di qualcosa che non riusciva ancora a capire, allungò lo sguardo interrogativo verso di lei.

Forse ha con sé qualche unguento...

Sentendosi osservata, la ragazza si immobilizzò. Ancora china sulla cartellina voltò solo la testa verso di lui, fissandolo dritto negli occhi: gli sorrise con un po’ di imbarazzo che iniziò a colorare le guance di un velato rossore. «Per favore... Morisaki-senpai. È una sorpresa! Chiudi gli occhi e non aprirli finché non te lo dico!»

«Va... va bene...»

Il portiere fece come aveva ordinato la sua compagna di team. Prese fiato e chiuse gli occhi, un po’ terrorizzato all’idea di ciò che avrebbe potuto fare quella Kumi. Se si trattava solo dell’unguento, poteva tranquillamente tenere gli occhi aperti... anzi: glielo avrebbe prestato e lo avrebbe utilizzato egli stesso.

Strizzò forte gli occhi, immaginando cosa sarebbe potuto accadergli nel giro di pochi secondi. Non era abituato alle sorprese da parte di una ragazza, anzi: era abituato più a quelle di sua sorella, che quando era distratto gli tirava il pallone o gli rubava qualcosa che aveva preso e che in quel momento gli serviva; invece a quelle di una ragazza come Kumi che con lui non aveva alcun legame di sangue no, non era decisamente abituato.

Yuzo era mediamente popolare tra le ragazze, un po’ meno di alcuni dei suoi compagni di squadra che nel giorno di San Valentino si trovavano il banco zeppo di cioccolatini accuratamente confezionati con biglietti a tema, soprattutto Mamoru e Taro. E, in effetti, non poteva nemmeno essere un pensiero di San Valentino in gran ritardo, dato che anche il White Day era alle porte...

Nel turbinio di tutti questi pensieri, all’improvviso Yuzo si sentì afferrare entrambe le mani. Ebbe la tentazione di aprire gli occhi, ma non ci riuscì: quel gesto lo tranquillizzò all’istante, placando la tempesta di quei mille dubbi che si era scatenata nel suo animo.

«Grazie di tutto... Morisaki-senpai

Il portiere sentì il fruscio dei capelli della ragazza sui dorsi delle sue mani, senza mai lasciarle, e capì che gli stava rivolgendo un altro inchino, questa volta non solo di formalità ma anche di sincero e profondo ringraziamento. Tuttavia...

... perché mi sta ringraziando? pensò. Non ho fatto nulla di speciale nei suoi confronti...

Kumi raddrizzò la schiena e proseguì con fermezza: «Ti prometto che continuerò ad essere la manager della Nankatsu, anche in vostra assenza, e darò il massimo... proprio come mi hai insegnato tu! E... già: ora puoi aprire gli occhi!»

Quando le mani della ragazza si sciolsero dalle sue, Yuzo sentì qualcosa che era lentamente caduto tra i palmi. Solo allora si decise ad aprire gli occhi, e notò la presenza di un sacchettino di stoffa di colore rosso veneziano con una scritta augurale: un omamori, come quelli che aveva visto esposti nel tempio al di sopra del belvedere della cittadina.

Alzò lo sguardo, incrociando così quello della ragazza che era di fronte a lui.

«L’ho regalato a ciascuno di voi...» disse Kumi con un dolce sorriso. «... e solo tu mancavi alla lista, Morisaki-senpai. Sono certa che diventerete dei grandi calciatori... ed io sarò sempre lì, a fare il tifo per voi!»

«Ed io sono certo che tu saprai portare avanti la squadra della Nankatsu anche in nostra assenza,» rispose Yuzo con rinnovata fermezza. «Con Nitta e gli altri non avrai molti problemi... ma sono sicuro che darai comunque il massimo. Grazie di tutto, Sugimoto!»

Yuzo non aggiunse nient’altro e le mise una mano sulla spalla, per infonderle coraggio. Quel gesto di sostegno rallegrò l'animo della ragazza: anche se il portiere non aveva più proferito parola era come se, da quel piccolo gesto che aveva compiuto, avesse percepito un grande incoraggiamento da parte sua che per lei stava valendo più di mille parole.

Dentro di lei stava iniziando ad albergare una sensazione piacevole, che la stava rassicurando per il futuro che l’attendeva. Non sapeva quando sarebbe stata la prossima volta che si sarebbero rivisti e avrebbero parlato faccia a faccia, ma era felice di essere riuscita a salutare Yuzo prima della sua ennesima partenza per il ritiro della nazionale giovanile, e di aver ricevuto proprio da lui parole e gesti di sostegno che le sarebbero servite per continuare la sua carriera da manager.

Per lei, quel grande portiere era stato uno degli ottimi esempi di tenacia e coraggio che aveva avuto in quell’anno, e difficilmente l’avrebbe dimenticato.

Dopo avergli rivolto un altro inchino Kumi lo salutò e, continuando a mantenere l’entusiasmo sul suo volto, corse verso il cancello della sua dimora. Yuzo la guardò allontanarsi senza richiamarla, alzando solo la mano che reggeva il ghiaccio con un sorriso, mentre con l’altra strinse forte l’omamori che la ragazza gli aveva dato.

Il giovane portiere avrebbe voluto dirle tante cose in quel momento, ma qualcosa lo aveva bloccato. Un solo pensiero riecheggiò nella sua mente, mentre ripose il portafortuna in una delle tasche del suo giubbotto che in quel momento stava indossando, nel punto esatto in cui si trovava l’apice del suo cuore.

 

Grazie di tutto... davvero. Sei stata una brava manager, e sono certo che continuerai ad esserlo!

 

 

 

«Zietto, dai: non lo so!»

Nel cortile della sua casa, Hanako sbuffò in continuazione mentre si accesero le luci dei lampioni sulla strada che correva di fronte all’abitazione. Suo zio Noboru era appena arrivato, e la prima cosa che aveva fatto era stata il rubarle il pallone senza preavviso: stava per cadere accidentalmente sul tettuccio del suo SUV, ma per fortuna era riuscito a prenderlo tra le sue mani mentre era già fuori dal mezzo. Da quel momento, però, aveva deciso di non restituirlo a sua nipote, a meno che non avrebbe risposto ad uno dei suoi indovinelli.

«Te lo ripeto ancora una volta, Hanako cara!» disse lo zio, agitando nell’aria l’indice mentre stringeva saldamente il pallone sotto il braccio. «Cosa fa un telefonino in mezzo ad un campo da calcio?»

«Che ne so, zio!» rispose la ragazzina, incrociando le braccia con disappunto. «Fa le foto ai giocatori sul campo?»

«Sbagliato!»

Hanako abbassò la testa e restò in silenzio a riflettere sulla risposta. Poi, con uno scatto, uscì di casa sotto gli occhi attoniti di suo zio Noboru che subito lasciò il pallone e decise di seguirla. La trovò al citofono della casa accanto, e senza pensarci due volte premette il tasto per suonare.

Noboru si grattò la cima della testa, un po’ sorpreso da quella reazione per lui strana: conoscendo sua nipote, sapeva che anche lei - come i suoi fratelli, del resto - non si arrendeva mai, e più di tutti riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva.

«Insomma...» balbettò l’uomo, diminuendo le distanze con lei. «Ti sei arresa? Vuoi davvero che porti con me il tuo pallon–»

«Buonasera, scusate il disturbo: sono Hanako! Può affacciarsi Hoshiko al balcone? Solo un momento, vi prego!»

Lo zio continuava a non capire. Era evidente che sua nipote lo stesse ignorando, e continuava a non capire il motivo per il quale aveva deciso di chiamare la sua vicina, nonché la sua migliore amica... così, di punto in bianco. Alzò lo sguardo insieme a lei, ed entrambi videro la porta di una delle stanze del primo piano - proprio quella che si affacciava sulla strada e che ora era di fronte a loro - scorrere da un lato, rivelando una ragazza dai castani capelli corti fino alle spalle e tenuti indietro da un cerchietto che stava reggendo un cordless all’orecchio.

«Sì, sì, Aoki-san: è proprio Han-chan! Aspetta un attimo...»

Quella ragazza abbassò il cordless e puntò lo sguardo verso Hanako, per poi salutarla con la sua solita allegria.

«Ciao, Han-chan! Stavo giusto per chiamarti: Aoki-san mi sta dicendo che–»

Hoshiko smorzò la frase non appena vide la sua amica agitare le dita della mano per imitare il becco di un’oca che starnazzava.

«Sentiamo: ora cosa vuole mister bla-bla-bla?» rispose Hanako in modo beffardo. «Già che sei in linea con lui, potresti anche dirgli: qualsiasi cosa hai in mente, sai già che con Morisaki non c'è storia, tsk!»

Con un sorriso di sfida, Hanako strinse quella mano in un pugno e tirò giù il pollice, ricordandosi di quanto accaduto da quando era entrata nel club di calcio insieme alla sua amica. Il ragazzo che in quel momento era al telefono con Hoshiko, Isamu Aoki, come i suoi compagni non vedeva di buon occhio il loro ingresso nella squadra: Hanako e Hoshiko erano le prime due ragazze che avevano fatto richiesta di entrare nel club di calcio come giocatori e non come manager o tifose, in un luogo storico dove non esisteva ancora una squadra di calcio interamente femminile.  Quel giovane fu il primo a ricredersi quando le vide giocare in campo: le due amiche rivaleggiavano con i suoi compagni di squadra, e anche con lui che - da capitano - pensava di essere il più forte.

Nonostante alla fine si fossero chiariti, con Hanako era sempre un continuo battibeccarsi. Era nato in loro un sentimento di competizione, che ogni volta li portavano a scontrarsi sia a parole che sul campo; tuttavia alla fine, anche se non lo davano troppo a vedere, avevano iniziato a volersi bene e a rispettarsi, e questo lo sapeva molto bene proprio Hoshiko che in quella bizzarra relazione d’amicizia si era ritrovata ad essere una sorta di mediatore. Ed era proprio lei che in quel momento, di fronte al gesto dell’amica, si trattenne dal scoppiare a ridere, immaginando come l’avrebbe presa Isamu se avesse avuto la possibilità di vederla.

«Guarda che non può vederti, Han-chan...» sussurrò Hoshiko, cercando di non farsi sentire dal suo interlocutore.

«Non ci interessa: l’importante è che riceva il messaggio, forte e chiaro!»

Noboru iniziò a fare qualche passo indietro, cercando di sgattaiolare fuori da quella situazione nella quale era capitato suo malgrado. Forse sarà meglio tornare a casa di mio fratello - pensò, mentre stava già preparando le sue gambe ad un’eventuale fuga improvvisa - quando Hanako ha quell’espressione non si sa mai cosa potrebbe accadere...

«E tu? Dove credi di andare?»

Lo zio sobbalzò. Beccato: sua nipote gli aveva rivolto uno sguardo fulmineo, con le braccia conserte. «Non mi sono dimenticata del mio pallone...» sentenziò la ragazza, avvicinandosi a lui in un battibaleno, «se Hoshiko riesce ad indovinare le darai il mio pallone. Chiaro?»

Dal balcone Hoshiko spalancò gli occhi, non riuscendo a capire di che cosa stesse parlando la sua amica. «Il... il pallone?»

«Esatto!»

Hanako prese per il braccio lo zio e lo trascinò nuovamente fino al cancello, per poi esclamare: «Hoshi-chan, sai cosa fa un telefonino in mezzo ad un campo da calcio?»

Ed è venuta fin qui solo per questo?!

Noboru stette per perdere l’equilibrio per la grande sorpresa. Non era facile che gli altri rispondessero bene al suo indovinello... però Hanako lo stava prendendo seriamente, così seriamente al punto di aver coinvolto i suoi amici: da un simpatico gioco tra zio e nipote si stava trasformando quasi in una questione di vita o di morte per la ragazza.

Dopo aver riflettuto a lungo, alla ricerca della possibile risposta che sembrò non arrivare, Hoshiko si riportò il cordless all’orecchio e disse: «Hai... hai sentito, Aoki-san? Tu sai cosa fa un telefonino in mezzo ad un campo da calcio?»

Hanako urlò forte e chiaro, senza pensarci due volte: «Figurati se riuscirà ad indovinare, quello scemo!»

«Chi hai chiamato “scemo”, Morisaki?!»

Hoshiko allontanò di scatto il cordless, insordita dall’improvviso urlo del loro compagno di squadra, che subito proseguì: «Yamamoto-san, dille che la risposta è: “Non si fa i cavoli suoi”, proprio come lei!»

«Ha detto...» iniziò a balbettare la ragazza, cercando di scandire bene le parole che aveva sentito, «ha detto che non si fa i fatti suoi...»

«Ah?»

Hanako inarcò un sopracciglio. «Scommetto che ha detto anche ben altro... vero?» Poi tirò un profondo sospiro, cercando di mantenere la calma il più possibile. Lasciò il braccio dello zio, e gli chiese: «Allora? È la risposta giusta?»

Noboru scosse la testa con un sorriso sornione. «Ovviamente no. Ti darò un piccolo indizio: ha a che fare con tuo–»

«Ah-a! Dì a Aoki che ha sbagliato alla grande: zero pari, e palla al centro!»

Un’altra volta. Hanako aveva interrotto suo zio un’altra volta, soddisfatta per quella sorta di sfida che si era inavvertitamente creata tra lei e il suo rivale Isamu.

Noboru chiuse gli occhi, portandosi le mani nelle tasche. Se avessero continuato così, sarebbe stato probabile che avrebbero trascorso tutta la serata fuori casa, e avrebbero finito per festeggiare il compleanno di suo nipote più sotto le stelle che sotto il caldo tetto della casa di suo fratello... ma, in fondo, anche lui era felice. Era felice di vedere sua nipote così su di giri, che sotto sotto sembrava apprezzare il piccolo gioco che era iniziato solo con lui e con il quale era riuscita a coinvolgere alcuni dei suoi compagni di scuola, trasformandola in un’ennesima competizione tra loro.

Contenta lei... contenti tutti!

 

 

 

«“Cerca la rete?” E tu hai svegliato mezzo vicinato per aver scoperto una risposta così semplice?»

Yuzo non riusciva a credere a ciò che le sue orecchie avevano appena sentito. Era appena rientrato a casa, e la prima cosa che aveva visto era sua sorella Hanako che, con uno sguardo mogio, si era sdraiata sul divano e stava osservando la cornice della piccola plafoniera che illuminava il soggiorno.

«Quando lo zio Noboru me l’ha spiegato ci sono rimasta male...» sussurrò la ragazzina, continuando a fissare in alto. «E dire che sono brava in lingua inglese... la rete di calcio, “net” in inglese. Ma come gli vengono: è in gamba con gli indovinelli a tema...»

Il fratello le si sedette accanto, e le pose una mano sulla spalla mentre con l’altra continuava a reggere il ghiaccio, ormai mezzo sciolto. «Non era facile, lo ammetto. Quando avevo la tua età, anch’io ci sono cascato... gli indovinelli dello zio Noboru sono fatti apposta per farti impazzire!»

«E quel che è peggio è che ho pareggiato con Aoki... potevo vincere, questa volta!»

«Quel ragazzo ti sta proprio antipatico, eh?»

Hanako annuì. In quel momento le venne da pensare a tutto ciò che avevano vissuto insieme, e si ricordò che in realtà Isamu era - come lei - un grande fan della Generazione d’oro del Giappone, ragazzi dalle straordinarie capacità che stavano riuscendo a scrivere una pagina significativa nella storia del calcio giapponese: tra questi vi era anche suo fratello, e grande era stato lo stupore di Isamu quando aveva scoperto che lei era la sorella di... sì, proprio di quel Yuzo Morisaki.

Quel «Stai scherzando, vero? Non vi assomigliate affatto! Sei sicura che non ti abbiano scambiata per qualcun altro nella culla dell’ospedale?» riecheggiava ancora nella sua mente in maniera così prepotente e violenta da provocarle qualche piccolo brivido.

Per lei era scontato che quel ragazzo le stesse antipatico: una delle cose che Isamu le ripeteva spesso era che non era degna del cognome che portava... come faceva a starle simpatico se agli allenamenti si sentiva dire che solo con la sua presenza stesse infangando il buon nome di suo fratello?

«Già...» rispose la ragazza. «Ti rispetta molto e ti adora, così come tutta la tua squadra... ma quando si tratta di me non fa sconti. Ormai mi odia, è evidente!»

«Vuoi sapere come la penso? Forse ti vede come un modo per migliorare e diventare più forte.»

«Eh?»

La giovane sbarrò gli occhi, sorpresa. Quella spiegazione le sembrava piuttosto strana, ma decise di non replicare; suo fratello non aveva mai detto parole a casaccio, ciò che aveva detto doveva avere un senso.

«A volte una persona si arrabbia perché in realtà ti vuole bene, e ti dice delle parole crudeli solo per farti reagire e spronarti a fare del tuo meglio... e penso che sia lo stesso anche per voi due. Si vede lontano da un miglio che non vi odiate affatto: finché ci sarà fiducia tra voi e avrete lo stesso obiettivo da raggiungere, tutto il resto passa in secondo piano.»

«E tu come fai a dirlo?»

Hanako si alzò di scatto, si aggrappò alla giacca che Yuzo stava ancora indossando e si premette contro, mugugnando. Si chiedeva se una cosa del genere fosse successa anche a suo fratello - e se la risposta fosse stata davvero affermativa, pensò che sarebbe stato meglio chiedergli qualche consiglio sul come affrontare Isamu, che non fossero solo continui battibecchi e occhiatacce.

Yuzo appoggiò il ghiaccio sul comodino che si trovava al fianco del divano e accarezzò dolcemente la testa di Hanako. Sapeva che nel pubblico lei non era avvezza agli abbracci e alle carezze, anche con i membri della sua stessa famiglia, ma in privato si lasciava andare: nonostante il tempo che stava scorrendo inesorabilmente, Hanako sarebbe stata sempre la sua sorellina, e lui il suo fratellone.

«Molti dei miei compagni di squadra sono stati nostri acerrimi avversari... e alcuni di loro ci hanno davvero odiato, all’inizio. Per esempio, non potrò mai dimenticarmi della prima violenta pallonata in faccia... avevo proprio la tua età, sai?»

«A proposito di pallonata in faccia...»

La ragazza sollevò gli occhi e con l’indice gli punzecchiò il viso un po’ gonfio per il colpo incassato poco prima, mostrando un sorriso smaliziato. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio, vero? Sei un portiere, dovresti iniziare a concentrarti sulle mani: la tua faccia non è il bersaglio delle freccette!»

«Tranquilla: è la stessa cosa che ho detto a Sugimoto...»

«Sugimoto?»

A quel cognome per lei ormai noto, Hanako drizzò le orecchie. Sapeva a chi si stesse riferendo suo fratello perché conosceva molto bene i membri della squadra di calcio delle superiori Nankatsu, e subito gli rivolse uno sguardo compiaciuto, pronto a provocarlo.

«Ah... hai capito il mio fratellone! “Vado al campetto per allenarmi, non aspettatemi per cena!” e poi... e poi ti diverti a fare strage di cuori. Chi l’avrebbe mai detto... e bravo il nostro dongiovanni!»

Yuzo diventò paonazzo in volto e subito si portò una mano sul petto nell’atto di giurare, senza accorgersi che l’aveva posata proprio dove c’era l’omamori che Kumi gli aveva regalato.

«Guarda che sono andato davvero al campetto! C’è il custode come testimone!»

«Sì... di matrimonio! Aspetta che lo dico a Hoshiko: io e lei ti organizzeremo un banchetto come si deve, roba che anche i Wakabayashi invidieranno!»

«Dai, non scherzare!»

«Infatti non sto affatto scherzando! Galeotto fu il pallone, e chi lo lanciò!»

«Certo: una macchina idiota che vorrei funzionasse di più» borbottò Yuzo, afferrando il ghiaccio che aveva lasciato e lanciandolo a Hanako. «Fammi un favore: metti questo nel frigorifero, torno subito.»

Il portiere si diresse verso le scale che portavano al primo piano, sorridendo di gusto. Hanako diede un sonoro sbuffo, sorridendo anche lei.

«Fratelli... tsk! Siete tutti uguali!»

 

Yuzo aprì la porta ed entrò nella sua stanza, chiudendola subito dopo a chiave. L’ultima cosa che avrebbe voluto era che sua sorella lo seguisse di soppiatto fin là, prendendolo alle spalle o facendo ogni genere di commento sull’ipotetico matrimonio tra lui e Kumi con il semplice scopo di prenderlo affettuosamente in giro.

La sua presenza non gli dava fastidio, ma per un attimo preferì restare da solo. Tirò un profondo sospiro e, lanciando il giubbotto sul letto, si avvicinò alla scrivania con un sorriso lieve ma colmo d’affetto, che perdurò anche quando notò sul piano la presenza di alcune lettere, quelle dei suoi due fratelli che, da un po’ di tempo, non abitavano più in quella casa.

Ogni volta che Yuzo non c’era, sua madre aveva la premura di lasciare su quella scrivania le lettere che arrivavano e che erano indirizzate a lui, senza aprirle e - soprattutto - senza permettere che fossero gli altri a farlo, soprattutto Hanako che ogni volta era divorata dalla curiosità di conoscere il contenuto.

Il giovane si sedette e cominciò ad aprire le lettere, iniziando da quelle di suo fratello Ken'ichi. Si era dedicato appieno agli studi presso l’università di Tokyo, e le fotografie dove lui era sempre più sorridente e rilassato avevano messo in luce il suo essersi ambientato in quella megalopoli molto lontana. Con lui, Yuzo e la sua famiglia si sentivano tutte le sere; nonostante ciò il maggiore dei fratelli si divertiva ad inviare lettere a tutti loro, raccontando nei dettagli la vita che trascorreva tra lo studio e il divertimento - parola, quest’ultima, che dopo lo shiken jigoku era finalmente tornata nel suo dizionario anche se con un impatto decisamente minore rispetto ai tempi delle medie e superiori.

Dopo avergli risposto Yuzo passò alle lettere del fratello mezzano. A differenza di ciò che accadeva con il maggiore, l’argomento “Takaji” non emergeva molto nei dialoghi con i genitori, sebbene di volta in volta anche lui inviasse delle lettere come Ken'ichi per tenere aggiornata la famiglia sulla situazione che stava vivendo. Per Takaji, la fine delle superiori aveva sancito anche la fine della sua carriera da studente: non aveva tentato lo shiken jigoku e, anzi, si era subito gettato nel mondo del lavoro, svolgendo dei lavoretti saltuari in tutta la città di Nankatsu; agli occhi di tutti sembrava non aver trovato la sua strada, accontentandosi solo di guadagnare soldi in qualsiasi modo.

Invece, Takaji sapeva molto bene quale sarebbe stato il suo futuro. Lo avevano intuito i suoi genitori, che lo imploravano di tentare quei famigerati esami per le ammissioni all’università; lo sapeva Ken'ichi, che gli consigliava di non fare cavolate ogni volta che si mettevano in contatto, e in un certo senso lo aveva capito anche Yuzo, sebbene in realtà non avesse ben capito che cosa avesse in mente suo fratello: aveva intuito che in realtà Takaji voleva attuare un piano ben preciso, e che per farlo serviva denaro, molto denaro.

Tuttavia, ogni volta che chiedeva qualcosa in merito attraverso giri di parole e brevi domande lanciate con nonchalance nei discorsi che facevano, Takaji riusciva sempre a cambiare argomento in modo da non poter contrattaccare; finché, circa un anno dopo il suo diploma, Yuzo aveva trovato sulla sua scrivania un biglietto da parte del mezzano.

“Alle due di notte in camera mia. Cerca di non mancare, altrimenti verrò a svegliarti con il verso del falco a tutto volume nelle orecchie! - Takaji”

Incuriosito da quella che sembrava essere una novità, dato che i due non si erano mai parlati in quell’insolito orario notturno, Yuzo aveva cercato di restare sveglio per presentarsi all’appuntamento con suo fratello. Era entrato in quella stanza di soppiatto, cercando di non svegliare gli altri membri della famiglia che stavano dormendo su quello stesso piano - i loro genitori e Hanako - e la prima cosa che aveva notato era la presenza dello zaino da montagna color oliva a terra e rigorosamente aperto, che Takaji utilizzava per le sue escursioni sul monte Fuji e le montagne circostanti, vicino alla libreria a parete di analogo colore; libri e volumi sui parchi naturali sparsi per la scrivania accanto alla libreria; le porte completamente aperte del suo armadio, che si trovava dalla parte opposta della stanza; alcuni dei suoi vestiti sparsi per tutto il letto centrale ad una piazza e mezzo dalle lenzuola verdi che richiamavano le pareti con il loro colore.

Le prime parole che a Yuzo erano uscite di bocca, anche se pronunciate sottovoce, avevano chiaramente espresso il suo grande stupore di fronte a quella scena bizzarra e inusuale.

«Che caspita stai facendo?»

E le parole con le quali Takaji aveva risposto non avevano fatto altro che accrescere in lui quei primi dubbi che si erano formati nella sua testa.

«Sto per partire, Yuzo.»

Inizialmente il fratello minore non riusciva a crederci, pensando che si trattasse di uno scherzo che il mezzano stava architettando per i loro genitori. Ma, quando i loro sguardi si erano incrociati, Yuzo si era accorto che gli occhi del fratello erano maledettamente sinceri.

Takaji stava davvero per andare via da quella casa.

Anche lui stava per andare via.

Anche lui...

Yuzo chiuse gli occhi e incassò il colpo senza esternare ciò che stava provando in quel momento. Tristezza, preoccupazione, anche la nostalgia: sentimenti che si mescolavano e si riavvolgevano tra loro come la lenza di un mulinello in funzione, in attesa di un futuro che non pensava che sarebbe arrivato così presto. Credeva, infatti, che lui sarebbe stato il primo dei due ad andare via da quella casa; nel corso di quell’anno trascorso insieme si era abituato alla presenza - inizialmente non prevista - di quel suo fratello che adorava molto la foresta e i parchi naturali.

Come se avesse percepito quel suo turbinio di sentimenti, il mezzano gli afferrò la mano con un largo sorriso. «Non dire niente a nessuno, mi raccomando. Partirò domani a notte fonda per andare in Canada... è un segreto che deve restare tra noi!» aveva detto, nel rivolgere lo sguardo verso la libreria dove, accanto a qualche volume, esponeva con orgoglio piccole riproduzioni di animali della foresta.

Yuzo si trattenne dall’urlare per l’improvvisa sorpresa: mai avrebbe immaginato che il piano del mezzano fosse quello di partire alla volta di una meta così lontana e quasi irraggiungibile. Era pur sempre vero che ormai era abituato all’assenza del loro fratello maggiore, che si trovava a Tokyo; tuttavia il cambiare continente di residenza da parte di Takaji era decisamente un’altra questione, che avrebbe sconvolto ancora di più l’equilibrio della loro solida famiglia.

«Hai pensato alle conseguenze?» gli aveva chiesto a bruciapelo, accomodandosi con lui sul pavimento con la schiena contro il letto. «Se non lo dici a mamma e papà... non penso che la prenderanno bene, sai?»

«No... credimi: è meglio così!»

Takaji aveva alzato lo sguardo verso il soffitto in legno, incantandosi ad osservare le visibili venature che correvano da parte a parte. Con un sorriso, felice per la nuova vita che stava per iniziare dall'altra parte del mondo, il mezzano aveva allungato la mano all’indietro e spostato alcuni dei vestiti che ricoprivano il letto, tirando fuori un piccolo libro; poi lo aveva dato a Yuzo e aveva aggiunto: «È il mio regalo anticipato di compleanno, fratellino. Inizia a sfogliarlo solo quando arriverà quel giorno: troverai una bella sorpresa!»

A distanza di due anni, quel libro era proprio lì, sulla scrivania di Yuzo, accanto a quelle lettere che stava leggendo. In mezzo a quelle pagine, da un angolo del volumetto stava sbucando una fotografia che Yuzo stava usando come segnalibro, la stessa che con grande sorpresa e commozione aveva trovato nel giorno del suo compleanno, quando aveva aperto quel libro come il fratello gli aveva ordinato di fare.

In quell'immagine, quasi sbiadita dal passaggio del tempo, vi erano lui e Takaji: due bambini in mezzo a quella che sembrava essere un parco naturale, accanto ad alcuni pappagalli dai svariati colori. Loro due al Kakegawa Kachouen, quindici anni prima…

Nell’alzare lo sguardo e rivolgerlo, ancora una volta, verso quel libro e in particolare a quella piccola fotografia, Yuzo sorrise e si ricordò della promessa che lui e suo fratello avevano fatto quel giorno, che entrambi avevano giurato di mantenere per sempre: una classica promessa da bambini, che normalmente il tempo avrebbe cancellato, ma che loro erano sempre riusciti a rinnovare man mano che diventavano sempre più grandi.

La promessa di stare insieme, e di volersi bene per sempre.

Sulla prima parte ci erano riusciti per ben sedici anni; poi Takaji aveva deciso di partire per andare lontano, sfidando la stessa sorte e tutto ciò che gli altri avrebbero detto o pensato di lui, in particolare i genitori.

Sulla seconda, però, nemmeno quella gigantesca lontananza era riuscita a spezzare quella loro promessa: nonostante tutto, continuavano a volersi bene come sempre e tutti i giorni entrambi avevano iniziato a benedire i progressi della tecnologia che permetteva loro di potersi vedere e mettersi in contatto per tutta la giornata.

Con la lettera tra le mani, Yuzo estrasse dalla busta che aveva in mano ciò che era rimasto all’interno: un’altra fotografia, questa volta più recente, che ritraeva Takaji con un paio di occhiali da sole, con un accenno di barba ispida sul volto, i capelli ormai cresciuti legati in una coda e vicino ad una Jeep immersa nel cuore di quella che sembrava una foresta quasi incontaminata. Sulla sua spalla c’era un falco solitario, dettaglio che fece tornare alla mente di Yuzo le parole di quella promessa che si erano scambiati, in quel giorno ormai lontano.

 

«Sai una cosa? Quando sarò grande voglio vivere proprio qui, tra gli uccelli! E noi saremo per sempre insieme, vero fratellino?»

«Sì, voglio stare con te... per sempre! Ti voglio tanto bene!»

 

E quando girò la fotografia, Yuzo lesse con attenzione e con una punta di orgoglio la dedica che il mezzano gli aveva scritto. Era felice per la notizia che aveva saputo dalla lettera e della quale quella fotografia ne era l’ennesima conferma: suo fratello aveva trovato un lavoro nel Algonquin Provincial Park del Canada, a diretto contatto con gli animali come aveva sempre sognato fin da piccolo.

“Dopo tanta fatica finalmente sono entrato nello staff del più grande parco dell’Ontario, hai visto? Ora vedi di impegnarti nel campionato giovanile e di diventare un calciatore di tutto rispetto, altrimenti ti mando subito questo falco... ha un bel caratterino, e l’ho addestrato apposta per farti passare le pene dell’inferno con il suo becco: dato che non potrò venire subito in Giappone per prenderti a calci nel sedere lo farà lui al posto mio, in men che non si dica! Metticela tutta, fratellino: farò sempre il tifo per te!”

Il giovane iniziò a ridere commosso, mentre alle sue spalle qualcuno bussò alla porta della stanza. Dalla voce Yuzo capì che, a quanto pare, le sorprese per il suo compleanno non erano ancora finite.

«Un momento, arrivo!»

Si asciugò le lacrime che involontariamente gli erano sfuggite dagli occhi, rimise a posto la scrivania e corse ad aprire la porta.

Lo farò... fratellone! Impegnati tanto anche tu, mi raccomando!

 

 

Nel corridoio del primo piano, Noboru deglutì e si passò una mano sullo stomaco in subbuglio.

Si era ritrovato di fronte alla porta d’ingresso della stanza del suo terzo nipote, deciso a consegnare quell’enorme scatola che aveva portato da casa sua: era riuscito a superare con successo la parte più difficile, quello di distrarre Hanako prima che lo tempestasse di domande sul contenuto del misterioso pacco. Per sua fortuna, dal cielo qualcuno aveva deciso di aiutarlo così, ad un tratto, la ragazzina aveva ricevuto una telefonata e da quel momento era stata impegnata - o, forse, sarebbe stato meglio dire pienamente coinvolta - in un’animata discussione con uno dei suoi compagni di squadra, un certo “Aoki” o qualcosa di simile; si era così rifugiata di corsa nella cucina, sotto gli occhi increduli della stessa Izumi che stava riordinando quel piccolo locale dopo la cena, rivolgendo a tutti le spalle e iniziando poi a gesticolare vicino alla finestra.

Noboru, dunque, aveva approfittato di quel momento per recuperare la scatola dal suo SUV e portarla al primo piano, posandola di fronte alla stanza di Yuzo.

Ti prego... apri subito questa porta! - aveva pensato con gli occhi chiusi e le mani giunte. Se arriva Hanako all’improvviso sarà la fine!

Non appena udì il rumore della porta che aveva di fronte e che si stava aprendo, subito afferrò la scatola e si intrufolò nella stanza senza dare il tempo di salutarlo a suo nipote, che nel frattempo era rimasto con la mano alzata e lo stava guardando piuttosto sorpreso.

«Erm... zio?» farfugliò Yuzo, guardandolo con occhi sbarrati mentre con l’altra mano teneva ben salda la maniglia della porta.

«Ti prego chiudi questa porta a chiave prima che tua sorella si accorga che sono qui e ti ho portato qualcosa che non ha visto e che per ora non deve vedere» sussurrò Noboru tutto d’un fiato.

«Giusto!»

Yuzo fece schioccare le dita e con un sorriso richiuse la porta a chiave. Con un gesto invitò lo zio a sedersi vicino alla scrivania, mentre lui si lanciò sul letto, accanto al giubbotto che non aveva ancora riposto nel suo armadio. «Hanako è sempre troppo curiosa su qualsiasi oggetto che arriva a casa... soprattutto se è grande come quella scatola lì!»

Il giovane indicò il pacco che lo zio aveva appena portato, e continuò: «Se l’hai portato qui, cercando di non farlo vedere a mia sorella... suppongo che hai avuto un’importante ragione. Non avrai per caso scoperto un tesoro e stai cercando di nasconderlo?»

Noboru rise, e ignorando l’invito del nipote si chinò sulla scatola, appoggiando le mani sulla superficie e guardando Yuzo dritto negli occhi.

«Questo è molto più di un semplice tesoro. Si chiama Ran... e da oggi è tuo.»

«Ran?»

«Proprio così: Ran. Sì, lo so: come nome può sembrarti strano, ma–»

«Ran... mi piace come nome! Di qualsiasi cosa si tratta, sono sicuro che sarà fantastico! Grazie mille!»

Yuzo interruppe ciò che stava dicendo lo zio e con un balzo si avvicinò al pacco: fin da subito era molto incuriosito dal contenuto e iniziò ad esaminarlo, sfiorando la superficie con estrema delicatezza. Poi lo afferrò, e notò subito come in realtà fosse difficile anche solo il sollevarlo da terra: dal grande peso, il contenuto non sembrava essere qualcosa di futile.

«Ti dispiace se lo apro ora, zio Noboru?»

«Certo che devi aprirlo ora!» rispose l’altro con un sorriso calmo, e con il palmo della mano aperta batté ripetutamente sulla superficie della scatola. «Questo gioiellino è in avanti con gli anni, proprio come me... però ricordati che ha un’anima anche se non può dire nemmeno una parola. Trattalo bene, e vedrai che saprà ricambiarti con altrettanto affetto!»

«Va bene!»

Yuzo prese il taglierino dal portapenne che aveva sulla scrivania, e con esso aprì la scatola misteriosa. Non appena sollevò il primo pezzo di polistirolo che circondava tutte le pareti interne del pacco, restò senza parole.

«No...»

In fretta e furia, ma cercando comunque di non rovinare nulla, indirizzò la lama del taglierino verso gli angoli esterni della scatola, cercando di rimuoverla il più possibile senza danneggiare nulla: l'ultima cosa che avrebbe voluto era il rompere il suo contenuto.

«... no!»

Poi crollò seduto sul pavimento, contemplando l'oggetto che aveva rivelato. Aveva ragione suo zio a dire che era molto più di un tesoro: non era solamente una cosa che gli sarebbe piaciuta e che di certo avrebbe trattato con molta cura, ma dal nome impresso nella seconda scatola che era uscita fuori - questa volta ricca di immagini e di scritte rispetto al cartone che la conteneva - era davvero un oggetto che costava quasi una fortuna.

«Un... un Takahashi...» balbettò, per poi strofinarsi gli occhi, incredulo per la sorpresa. «È proprio un telescopio Takahashi! Ma come hai fatto ad averlo: è introvabile!»

Gli venne quasi da piangere per quel regalo: per un astrofilo come lui, il ritrovarsi in casa uno strumento del genere era come possedere la manna caduta dal cielo. Con quel telescopio, da quella notte e per il resto della sua vita poteva divertirsi ad osservare da vicino la volta celeste, con le stelle e i pianeti che la popolavano; poteva farci diverse cose, da un semplice dare un'occhiata a vere e proprie fotografie del panorama stellare.

«Come ho fatto ad averlo, dici?» domandò Noboru. Si sedette accanto a suo nipote e gli cinse le spalle con un braccio, tirandolo a sé. In quel momento il suo mal di stomaco tornò a farsi sentire: era a causa di quel sentimento di nostalgia con il quale aveva iniziato la giornata quando aveva preso quel pacco, così pesante non solo per il contenuto fisico ma anche - e soprattutto - per il carico di ricordi che quel telescopio conteneva al suo interno.

«È una storia un po’ lunga...» iniziò, con un amaro sorriso sulle labbra, «ma se devo riassumerla in poche parole... beh: posso dirti che apparteneva ad una persona a me molto cara. Ci teneva in una maniera che non hai idea, ed era molto gelosa se qualcun altro avesse osato anche solo toccarlo! Però... però se avessi conosciuto questa persona, credimi: ti avrebbe affidato questo gioiellino ben volentieri!»

Yuzo restò in silenzio. La curiosità di saperne di più su quella persona che lo zio aveva appena tirato in ballo era molta: si chiedeva chi fosse, ma dallo sguardo malinconico che nel frattempo dominava il volto dello zio intuì che dietro a quell’oggetto c’era qualcosa di doloroso ed esitò a chiedere a Noboru ulteriori informazioni sulla sua identità.

Per parlarne così... forse il precedente proprietario non c’è più... o forse è ancora vivo ma hanno litigato di brutto...

Decise quindi di spostare il discorso su ben altro: «Se il telescopio apparteneva a questa persona... e questa persona ci teneva così tanto... allora perché l’hai regalato a me?»

«Perché lei era un’appassionata... proprio come te.»

Noboru si alzò in piedi, sfiorando con dolcezza la scatola che ora aveva di fronte. Si voltò verso suo nipote, mostrando un largo e sincero sorriso.

«E proprio come te... le piaceva molto il calcio anche se non è mai entrata in una squadra come giocatrice. Per questo, anche se quest’anno hai deciso di non iscriverti all'università per dare priorità al calcio, questo non vuol dire che non puoi essere un astrofilo come si deve! Però...»

Lo zio si inginocchiò e pose le mani sulle spalle di suo nipote, stringendole piano. «Devi promettermi che, se l’anno prossimo ti iscriverai all’università e supererai l’esame di ammissione, ti impegnerai molto anche nello studio. Sono certo che ci riuscirai, perché dietro ai tuoi occhi si nasconde una grande determinazione per realizzare i sogni che porti nel cuore...»

«Lo farò, zio.»

Yuzo lo abbracciò e lo strinse più forte che poteva. Di fronte ai suoi occhi vi era la confezione nella quale si trovava il telescopio e l’emozione che ne scaturiva ogni volta che lo guardava era sempre così forte da togliergli il fiato: con quello strumento poteva continuare ad ammirare e studiare la volta celeste in quell’anno di pausa che aveva deciso di prendere per dedicarsi appieno al calcio. In un anno tutto poteva accadere, ma in quel momento era certo che qualsiasi cosa sarebbe accaduta la sua crescente passione per l’astronomia non si sarebbe affievolita. Anche se alla fine avesse deciso di accantonare l’idea di iniziare un percorso di studi che lo avrebbe portato ad essere uno studioso dell’universo, era certo che con quel telescopio avrebbe sicuramente continuato ad essere un ottimo astrofilo.

In quel momento, Yuzo continuò a pensare alle parole dello zio. Come si era promesso qualche minuto prima, il giovane non voleva rovinare l’atmosfera di serenità che si era creata in quella stanza con altre domande volte a svelare l’identità del precedente proprietario del telescopio che lui possedeva: ne era curioso... ma la sua curiosità poteva attendere.

Ciò che, invece, non poteva più attendere era una silenziosa promessa che Yuzo stava per rivolgere verso colei che aveva amato quell’oggetto, proprio come lui avrebbe fatto da quella sera in poi.

 

Chiunque tu sia… prometto che me ne prenderò cura, come avresti fatto tu!

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Come promesso, qui abbiamo un grande ritorno: Noboru! Quanto era mancato, sigh! Lui aveva aperto questo ciclo di storie su Yuzo, così per me è stato giusto chiudere questo ciclo proprio con questo personaggio... proprio così: questa sarà l'ultima storia nella quale vedremo solo Yuzo e la sua famiglia. Però la storia di Yuzo non è conclusa, per cui restate sintonizzati! (Anche perché, da come avete capito, in questa parte ci sono ancora delle cose che non sono del tutto chiare: sappiate che l'ho fatto apposta. :3)

Prima di proseguire con le note di fine capitolo, un piccolo angolo delle note che riguarda un personaggio del tutto particolare... non solo perché litiga quattrocentosessantamila volte al giorno con la nostra Hanako:

 

- Isamu Aoki 「青木勇」 è il compagno di scuola di Hanako e Hoshiko, figlio di madre italiana e padre giapponese. Un tipo spocchioso e ribelle, ha incontrato le due amiche al club di calcio della Shutetsu, e come i suoi compagni all'inizio non riusciva a sopportare la loro presenza perché sono state le prime ragazze a voler entrare nel club come calciatori e non come tifose o supporters della squadra. Col passare del tempo, Isamu si affeziona molto alle due (e, sì: sotto sotto anche a Hanako, anche se non la sopporta nonostante - come avete letto - sia un grande fan di suo fratello e in generale dei giocatori della squadra giapponese ;P)

Il suo nome significa "coraggio", mentre il suo cognome "albero blu". Fun fact: i suoi genitori hanno scelto un nome che nel suono si avvicinasse molto a quello italiano; infatti, "Isamu" si avvicina molto a "Samu", cioè "Samuele". ;)

 

Detto questo, passiamo subito all'angolo delle note di fine capitolo:

 

- Tutta la prima parte rappresenta un gioco di parole con la parola "Ran" al centro di tutto. Sì: prima di tutto Ran è una persona realmente esistita nella vita di Noboru (ma su questo ci tornerò presto), e in giapponese il kanji di "orchidea" 「蘭」 si pronuncia proprio "Ran" - motivo per il quale sulla scatola del telescopio c'era scritto proprio il termine "orchid", cioè "orchidea" in inglese. Il perché l'adesivo sia in lingua inglese e non in giapponese non lo rivelo qui ma sempre prossimamente... per cui in realtà la questione "Ran" non si chiude qui;

- A proposito del telescopio, no: il nome Takahashi non è un omaggio all'autore di Captain Tsubasa, LOL! Esistono davvero dei telescopi di marca Takahashi, che sono telescopi rifrattori utilizzati per l'astronomia amatoriale. Nel nostro caso si tratta di questo modello che, nonostante sia datato, ha un alto costo perché ancora insuperabile nelle sue funzioni (e anche per questo è quasi introvabile).

Una piccola nota, forse inutile per molti di voi: siccome Yuzo sta terminando le superiori, ovviamente non è un astronomo perché non ha ancora iniziato il percorso che lo porterà a diventarlo... quindi, per ora è solo un astrofilo. Ormai sappiamo come andrà avanti la sua storia, però sarebbe bello se un giorno diventasse davvero un astronomo: un portiere astronomo... diciamocelo, quante probabilità ci sono che possa diventarlo? Quasi nulle, però noi ne siamo certi: Yuzo può tutto! XD

- Tornando alla realtà dei fatti, forse qualcuno di voi si ricorda di quella scena del capitolo 14 del World Youth dove molti membri della All Japan Youth ribadiscono la volontà di restare nella squadra ricordandosi di aver anteposto questa partecipazione ad altre cose, come le offerte da parte di squadre importanti... o come, nel caso di Yuzo, rimandare di un anno l'ingresso all'università. La domanda sorge spontanea: a quale università stava pensando di accedere il nostro portiere? Ebbene: ancora oggi non abbiamo una risposta, sigh. ;_____;

Per questo motivo, nel mio caso ho immaginato che avesse voluto intraprendere un percorso che avesse avuto a che vedere con lo studio dei pianeti, delle stelle e dell'universo in generale. Del perché di questa passione ve ne avevo già parlato nelle note del capitolo sui dodici anni, per cui mi fermo qui;

- E, a proposito della All Japan Youth... ok, ammetto che su questo mi sono consultata tempo fa con la Melanto. Prima di scrivere questa parte, il mio dubbio era: "Ma se il ritiro per il campionato mondiale giovanile inizia a febbraio e continua per qualche mese... se la scuola in Giappone termina a marzo e il campo d'allenamento si trova nei pressi di Nankatsu, molti di loro saranno tornati qualche volta a casa, no? In effetti... chissà dove Yuzo avrà festeggiato il compleanno, dato che cade proprio il 12 marzo - perciò nel bel mezzo del ritiro..." La Mela mi ha detto che è probabile che Yuzo possa aver fatto ritorno a Nankatsu nel giorno del suo compleanno, per cui ho deciso di ambientare anche questa parte proprio a Nankatsu, in una giornata del tutto tranquilla... anche se, come avete visto, lui continua ad allenarsi nonostante sia "in pausa", LOL;

- Riguardo la storia di Kumi Sugimoto, che molti di voi conoscono e della quale (soprattutto per chi non la conosce) in questa parte ho raccontato brevemente le vicende che questo personaggio ha vissuto nel manga: è vero che all'inizio era entrata nel club di calcio solo per stare il più possibile vicina a Tsubasa, ed essendo alle prime armi era la persona meno esperta di calcio... tuttavia, ho ragione di credere che nel corso degli anni sia maturata e abbia acquisito esperienza. A pagina 13 del capitolo 1 dello speciale Captain Tsubasa - The strongest opponent! Holland Youth, le manager della squadra delle scuole superiori Nankatsu (Sanae, Yukari e Kumi) sono state definite "le migliori del Giappone" dagli stessi giocatori della squadra: è vero, in realtà si tratta di un loro commento, ma questa resta la dimostrazione del fatto che Kumi sia migliorata molto nel corso del tempo e alla fine sia rimasta nel club anche per una vera passione verso questo sport. È una cosa meravigliosa, non trovate? :')

Per questo motivo nella mia storia volevo rappresentarla come una ragazza che, alla fine, si è affezionata a ciascun giocatore, perciò anche a Yuzo. E qui vi dirò: sono stata molto vaga nel testo... ma onestamente li trovo carini insieme, anche come coppia e non solo come grandi amici, sebbene nel canon non abbiano interagito per niente; inoltre, sempre nel capitolo sopracitato, pare che la nostra Kumi abbia occhi per "un certo capellone" - te la rubo volentieri, khrenek! (L'espressione di Yukari mentre la osserva è impagabile, come se avesse voluto dire "Ahia, ci risiamo", ahahah!)

- "Ogni mondo è paese"... e questo vale anche per i modi di dire! Non è un caso che nel testo ho lasciato intatta l'espressione "Chi si somiglia si piglia", perché in realtà anche in giapponese è molto simile: 「類は友を呼ぶ」 letteralmente vuol dire una cosa del tipo "Il simile chiama il suo amico" (che, curiosità nella curiosità, DeepL Translate traduce con "Gli uccelli di una piuma si affollano insieme": stranezza a parte, quella degli uccelli simili che si ritrovano è un'immagine molto bella, a mio parere!)

- Penso che molti di voi sanno come si festeggia San Valentino in Giappone... ma ve la riassumo! Mentre in Italia gli innamorati usano scambiarsi dei doni solo il 14 febbraio, in Giappone nel giorno di San Valentino sono solo le ragazze a consegnare dolcissimi doni (dove per "dolcissimi" intendo proprio "dolci": cioccolata, biscotti e altro, tutto fatto a mano!) Un mese dopo, nel White Day sono i ragazzi a ricambiare a loro volta i doni che hanno ricevuto. Insomma: questa è la ragione per la quale il nostro Yuzo pensa alla combinazione San Valentino/White Day di fronte a ciò che Kumi sta per regalargli (salvo poi essere smentito in pieno, LOL);

- L'omamori è un tipico portafortuna giapponese, che assicura protezione e fortuna a chi lo riceverà. Da quel che ho capito non costano moltissimo - ragion per cui Kumi può permettersi di regalarlo a tutti i membri della squadra - e ce ne sono di diversi tipi e colori, a seconda della fortuna che si vuole augurare al destinatario. Piccola curiosità: gli omamori non durano per sempre, infatti sono considerati efficaci solo per un anno se non si distruggono prima; per questo motivo bisogna sostituirlo ogni anno;

- Come in molte zone del mondo, anche in Giappone esiste il calcio femminile... di conseguenza anche una vera e propria Nazionale, la Nadeshiko Japan! Ci sono stati degli alti e bassi nel corso della storia del calcio femminile in Giappone, e in particolare qui ho fatto accenno alla storia delle squadre di calcio femminili nella città di Nankatsu... che (ancora) non esistono nella serie ufficiale. Pensate a una scuola di antiche radici come la Shutetsu, dove fino a quel momento ci sono state squadre completamente composte da ragazzi e non anche ragazze: l'ingresso di Hanako e Hoshiko è stata vista come una vera "rivoluzione", ed è normale che all'inizio non è stato considerato in modo positivo... ma, alla fine, tutto è bene quel che finisce bene, e le due sono state accettate proprio grazie alle loro capacità dimostrate sul campo;

- Sono certa che anche nella lingua giapponese esisterà qualche indovinello che riguarda il calcio; purtroppo finora non sono riuscita a trovare qualcosa di utile, per cui mi sono affidata alla lingua inglese - nonché quella italiana. Spezzo una lancia a favore di Hanako: è vero che ormai insegnano l'inglese anche in Giappone... però è normale che non ci sia arrivata subito! XD

- Una piccola e breve curiosità, qui potete avere un'idea della stanza del nostro Takaji. Si tratta della prima foto del gruppo "camere da letto con pareti verdi", salvo che il letto è più stretto;

- L'Algonquin Provincial Park è uno dei più grandi parchi del Canada, ed è il più antico - fondato nel 1893. Ha una ricchissima flora e fauna, e anche grazie alle attività che si sono sviluppate nel corso degli anni è diventato un punto molto frequentato da chi vuole entrare a contatto con la natura. Se volete saperne di più, al di là del sito ufficiale, qui trovate un articolo su questo parco provinciale.

 

Detto questo, anche oggi vi ringrazio per essere giunti fino a qui... e con Yuzo ci vedremo direttamente alla fine di questa storia, con tutti i cerchi che si chiuderanno - o quasi, perché sicuramente qualcuno resterà aperto, LOL!

Al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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