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Autore: heliodor    07/03/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Giorno di riposo
 
Bazon l’afferrò per la cinta e lei fece per divincolarsi.
“Lasciami” esclamò.
“Ferma” disse il guerriero spingendola verso la palizzata di legno. “Che cosa credi di fare?”
“L’ha ucciso” piagnucolò.
“Fa parte del gioco” disse Bazon.
“Non è giusto.”
“La vita non è giusta” disse il guerriero.
“Non è stato uno scontro leale.”
Bazon ghignò. “La vita non è mai leale. Il vecchio ha sbagliato a venire qui dove tutti potevano riconoscerlo e ci ha rimesso la pelle. Vuoi fare la sua stessa fine?”
Valya tacque.
“Brava. Vedo che inizi a imparare qualcosa.”
Valya si accigliò.
Bazon ha capito che sono una ragazza? Si chiese.
“Anche se ti nascondi dietro quella celata” disse il guerriero ghignando. “Ho capito che sei una ragazza. Non siamo tutti così stupidi. O forse sono io a essere troppo intelligente.”
“Io non sono…”
“Ora non offendermi, Val. O qualunque sia il tuo vero nome.” Si guardò attorno. “Sei più calma adesso?”
Valya fu tentata di guardare nel recinto ma resistette.
“Dimentica il vecchio” disse Bazon.
“Che gli succederà ora?”
“È morto” disse lui. “Peggio di così non può stare.”
“Bisognerà seppellirlo.”
“Ci penseranno i monaci del culto. Loro garantiscono una fossa per chiunque, anche per i rinnegati. Se glielo domandi, ti diranno che le anime di tutti vanno nei grandi campi, anche di quelli che in vita sono stati degli infami. O dei rinnegati.”
“Lui non era nessuna di queste cose” disse Valya.
“Come fai a dirlo? Lo conoscevi appena.”
“Anche tu.”
Bazon si strinse nelle spalle. “Il sole è tramontato, ora ce ne andremo a dormire e domani ti sembrerà tutto più bello. Ce l’hai un posto dove dormire?”
“Sì” rispose Valya.
“Buon per te. Io dovrò arrangiarmi per terra. Ora andiamo.”
Valya lo seguì con riluttanza.
Quando si furono allontanati di qualche centinaio di passi, la presa di Bazon si allentò.
“Ora ti lascio” disse. “Se mi prometti che non tornerai indietro per dare una lezione a quel Donn.”
“Chi ti dice che volevo affrontarlo?” gli chiese indispettita. Non osò dirgli che aveva ragione e che voleva fare proprio quello.
Bazon ghignò. “Lascia perdere. Tu non sai di cosa sono capaci quelli come lui.”
“È per via della sua spada, vero?”
“Quello è solo uno dei motivi.”
“Perché è magica” esclamò lei convinta.
Bazon le rivolse un’occhiata perplessa. “Onestamente non ne ho idea, ma non è saggio sfidare una Lama d’Argento.”
“Cosa sarebbe?”
“È un ordine di guerrieri. I migliori al mondo, secondo alcuni. Non se chiedi a una Lama Askadiana, ovviamente. Loro ti risponderebbero certamente di no, ma vanne a trovare una da queste parti.”
“Cosa sono le Lame Askadiane?”
“Guerrieri immortali” disse Bazon. “O almeno così dicono in giro.”
“Non capisco.”
“Ascolta, Val. Quelli come Donn sono assassini nati. Non è gente con la quale puoi confrontarti e sperare di uscirne viva. Se ne incontri uno, scappa più veloce che puoi. Lo hai visto combattere, no?”
“Non mi è sembrato così forte” mentì.
“Forse non ne hai visti abbastanza di scontri, ma ti assicuro che io non avevo mai visto niente di simile.”
“Tu hai paura” lo accusò lei.
“Certo che ho paura” disse Bazon. “E se tu avessi visto altri guerrieri come Donn in azione, l’avresti anche tu.” Si guardò attorno. “Ora vattene. Vai nel posto che hai trovato e riposati. Dopodomani ci saranno gli scontri più difficili.”
Riposati, pensò Valya mentre si allontanava. Come se fosse facile tornare nel posto dove posso togliermi quest’armatura di dosso.
Non poteva farlo lì e rischiare che qualcuno la riconoscesse, ma con Rann aveva concordato di incontrarsi in una delle tende ai limiti del campo, dove la presenza di persone sembrava minore.
Fu lì che andò, guardandosi attorno col timore di essere seguita e adocchiò quella dove doveva aspettare. L’interno era vuoto, anche se per un attimo aveva temuto che fosse stata occupata da qualcun altro.
In quel caso sarebbe stato complicato farlo andare via.
Il sole calò e le torce vennero accese per illuminare la piazza, dove almeno due o trecento persone erano ancora al lavoro per preparare le arene per il giorno dopo.
Ogni tanto Valya sbirciava di fuori temendo che qualche inserviente venisse lì a smontare la tenda, come avevano fatto con parecchie altre dopo il tramonto.
Aveva appena richiuso quando il velo si scostò facendola sobbalzare.
Il viso di Rann fece capolino attraverso il velo che la separava dall’esterno.
“Finalmente” disse esasperata. “Sei in ritardo.”
Rann entrò nella tenda. “Mi spiace, ma doveva trovare una scusa per allontanarmi dalla forgia e non potevo farlo prima di finire il turno di lavoro.” I suoi occhi caddero sull’armatura. “Che cosa hai combinato?” chiese allarmato.
Valya trasalì. “Cosa?”
“Lì” disse il ragazzo.
Sotto il fianco c’era un’ammaccatura che mostrava uno squarcio ampio quanto il palmo di una mano. Valya ricordò che lì era stata colpita da Faelar, un guerriero basso e tozzo che combatteva con un’ascia. I suoi colpi erano stati forti, ma era anche lento e Valya l’aveva aggirato colpendolo alle spalle.
“Non è niente” disse con tono sufficiente. “Non sono neanche ferita.”
“L’hai distrutta” si lamentò Rann.
“Non è vero” fece Valya. “È solo un’ammaccatura.”
“Guarda qui. C’è un buco.”
“Puoi ripararla?” domandò preoccupata.
Rann assunse un’aria sofferente. “No. Non lo so. Mi serve tempo.”
“Hai tutta questa notte e domani” disse Valya.
“Devo riposare. E domani devo lavorare alla forgia, io.”
“Sembra quasi che tu mi stia rimproverano, quando ti sto facendo un favore.”
Rann la guardò stupito. “Un favore?”
Valya annuì. “Faccio vedere a tutti quanto sono buone le tue armature.”
“Nessuno sa che l’ho creata io.”
“Ma lo sapranno quando vincerò il torneo. Allora lo svelerò e tu diventerai famoso. Il più grande fabbro di Ferrador. I clienti faranno la fila davanti alla tua bottega.”
“Io non ho una bottega.”
“Ne aprirai una.”
“Con quali soldi?”
“Quelli che avrò vincendo il torneo.”
“Se, vincerai.”
“Con la tua armatura e la mia spada è impossibile che io perda. Avresti dovuto vedermi, Rann. Li ho battuti tutti e senza faticare molto.”
A parte in un paio di scontri, ma evitò di dirglielo. E ci sono almeno tre o quattro combattenti che sembrano davvero forti, anche per me, ma non gli disse nemmeno quello.
Rann borbottò qualcosa. “Ti aiuto a toglierla. Non puoi tornare al palazzo vestita così.”
“Come farai a riportarla indietro?”
“Ho detto a tutti che andavo in città a procurarmi dei nuovi attrezzi. Nessuno mi farà domande quando mi vedranno con questa sacca sulla schiena.”
“E se te le facessero lo stesso?”
Rann fece spallucce. “Inventerò una scusa.”
“Fai attenzione.”
“Grazie di preoccuparti per me” disse lui.
“Parlavo dell’armatura. Sarebbe un peccato perderla.”
Rann sospirò affranto. “Sento che sarai la mia morte.”
Valya sorrise e uscì dalla tenda.
Per tornare al palazzo percorse le stradine che si dipanavano attorno alla piazza d’arme, la via illuminata dalla luce che filtrava dalle finestre aperte. Poteva solo immaginare di cosa stessero parlando i cittadini di Ferrador mentre sedevano al tavolo della cena.
Della guerra, si disse. E del torneo. E forse di me, aggiunse con una punta di orgoglio.
Ricordava ancora le grida di incitamento del pubblico.
Val, Val, Val.
La piazza d’armi era deserta fatta eccezione per un paio di guardie che la videro sfilare verso l’entrata degnandola appena di un’occhiata fugace. Valya rivolse loro un cenno di saluto per farsi riconoscere e marciò decisa verso uno degli ingressi laterali.
Nei giorni precedenti aveva studiato un percorso poco usato da quelli che abitavano a palazzo per non rischiare di incontrare qualcuno e doversi giustificare per il ritardo con cui era rientrata.
Aggirandosi tra i corridoi bui ritrovò la strada per la sala d’armi e mise a posto la spada, quindi tornò sui suoi passi e si diresse ai bagni.
Prima di presentarsi per la cena doveva togliersi di dosso la puzza di sudore rancido che spandeva attorno a sé. Andò alla sua stanza e prese da un cassetto dei vestiti puliti. Usò un braciere per scaldare l’acqua e riempì la vasca. Quando fu dentro, il tocco tiepido dell’acqua e il profumo dei sali che vi aveva versato dentro alleviarono parte della fatica che sentiva.
Izora le aveva spiegato come usare quei sali e in quale combinazione per ottenere il risultato migliore. Rimase immersa nell’acqua finché non divenne meno che tiepida e solo allora, con riluttanza, decise di asciugarsi.
Stava infilando la blusa che aveva preso dalla sua stanza quando Olethe apparve sulla soglia.
“Eccoti qui” disse la donna.
Valya sussultò, ma Olethe non sembrava arrabbiata.
“Vedo con piacere che inizi a comprendere come si vive in un posto civile.”
Valya annuì.
La donna sospirò e andò via.
Valya rimase ancora un po’ ad asciugarsi, poi infilò i vestiti puliti e tornò alla sua stanza. Solo allora, esausta, si gettò sul giaciglio. Nemmeno tirò su le coperte che il sonno l’aveva già afferrata.
Sognò di tornei e duelli contro cavalieri dal mantello candido e quando il primo raggio di sole filtrò dalle imposte e le baciò le palpebre, si sollevò riposata.
 
Mentre scendeva le scale vide Ferg passare con la testa bassa e lo sguardo cupo. Stava per chiamarlo quando notò con la coda dell’occhio un’ombra agitarsi nell’angolo più distante della sala.
Donn, il cane da guardia di Dalkon, sostava con le braccia incrociate davanti a una porta di legno.
“Fammi passare” disse Ferg stringendo i denti.
“Il comandante è in riunione.”
“È entrato solo lui nella stanza” ribatté l’altro.
“Ci stai spiando per caso?”
“Fammi passare” ripeté Ferg.
Donn raddrizzò la schiena. “Altrimenti?”
La mano di Ferg scivolò verso l’elsa della spada, ma una seconda mano gli afferrò il polso. Era quella di Zeb Abbylan.
Valya nemmeno l’aveva notato mentre si avvicinava alle spalle del fratello.
Ferg si divincolò con uno strattone. “Lasciami.”
“Vieni via” disse Zeb con tono tranquillo ma deciso.
“Dopo che avrò parlato con quello lì” disse Ferg indicando la porta.
“È tempo sprecato, non ti riceverà. E tu stai per cacciarti in un guaio.”
“Tuo fratello è saggio” disse Donn. “Dovresti ascoltarlo.”
Ferg gli rivolse un’occhiataccia mentre Zeb lo trascinava via.
Valya attese che si fossero allontanati di qualche passo e scese gli ultimi scalini. Avanzando con cautela arrivò all’angolo, oltre il quale udì delle voci. Si fermò, non sapendo se tornare indietro o rivelare la sua presenza.
“Hanno rovinato tutto” stava dicendo Ferg con voce rotta.
“La governatrice ha dato il suo permesso” disse Zeb con tono tranquillo.
“Tu lo sapevi?” chiese Ferg con tono accusatore.
Silenzio.
“Dannazione, Zeb. Non ne aveva alcun diritto.”
“È la governatrice della città. Il suo volere viene dopo solo quello della regina.”
“Il torneo doveva distrarli dalla guerra, non esasperarli. Ci sono state decine di risse e di accoltellamenti. Quattro persone sono morte.”
“Lo so” ammise Zeb.
“Se proprio volevano uccidere quel rinnegato, potevano farlo dopo la fine degli scontri.”
“Dalkon voleva lanciare un segnale.”
“E c’è riuscito. Ora ci considerano degli infami.”
Zeb brontolò qualcosa. “Devi calmare la lingua. Vattene dal palazzo per qualche giorno, non farti vedere. Hai un posto dove andare, no?”
“Non voglio andarmene.”
“Hai quasi sfidato a duello Donn. Devi andartene o lui cercherà di provocarti di nuovo.”
“Che ci provi.”
“È proprio quello che temo. Vattene o manderò i miei uomini a trascinarti via. E loro non saranno molto gentili.”
“Agli inferi. Sembra quasi che tu sia contento.”
“Ti sembro felice?” gli chiese Zeb.
Ferg non rispose e subito dopo Valya udì l’eco di passi che si allontanavano. Attese qualche altro istante per superare l’angolo e non si sorprese di trovare il corridoio deserto.
Quando raggiunse Rann lo trovò che lavorava alla forgia, l’espressione corrucciata.
“Non ti stai occupando dell’armatura.”
Lui grugnì qualcosa. “Oggi lavoro doppio.”
Valya si accigliò.
“Ho molto da fare, me ne occuperò più tardi.” Trasse un profondo sospiro.
“Sei preoccupato? È per l’armatura?” domandò Valya piena di apprensione. Senza l’armatura non avrebbe potuto partecipare alla seconda giornata del torneo.
“No, non è per l’armatura. E sì, sono preoccupato.”
“Per cosa?”
“Per tuo padre.”
Valya scosse la testa. “Che ha combinato stavolta?”
“Niente. È da ieri che non si fa vedere. In effetti nessuno l’ha più visto da almeno due giorni.”
“Se fossi in te non mi preoccuperei. Anche a Cambolt spariva spesso e per più di due giorni. Una volta…”
Rann scosse la testa con vigore. “Non si è assentato, Valya. È proprio sparito. E ha preso le sue cose, compresi alcuni attrezzi che usava solo lui.”
“Vuoi dire che è andato via?” domandò lei con un filo di voce. “Che mi ha lasciata qui da sola?”
“Non lo so, ma ci vorrà poco prima che qualcuno noti la sua assenza. E allora varranno a chiederci dove è andato e che fine ha fatto.”

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