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Autore: Urban BlackWolf    07/03/2021    4 recensioni
Spaccati di vita quotidiana in casa Kaiou/Tenou
Legato alla trilogia: "l'atto piu' grande-Il viaggio di una sirena-La vita che ho scelto"
1- Quattro ante per due
2- Apologia felis
3- Sliding doors
4- La prima di mille notti
5- Il cosplay di Haruka
6- Elona Gay
7- La dissacrante ironia della mia donna
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Elona Gay

 

Legato al racconto:

 

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

Chiuse l’acqua guardando apaticamente le verdure che avrebbe cotto per pranzo non riuscendo a capire perché da qualche giorno si sentisse così strana. Eppure nella sua vita stava andando tutto a gonfie vele; il lavoro, la casa, il suo rapporto con Haruka. Tutto. Dunque perché quella sensazione di disagio nata e cresciuta fino a renderla inquieta e scostante? Dal suo risveglio aveva la netta sensazione che in quel sabato mattina di fine inverno sarebbe accaduto qualcosa di poco piacevole o al più, incontrollabile. E quella strana sensazione d’ineluttabile catastrofe l’aveva turbata tanto che la sua compagna le aveva addirittura suggerito di andare con lei e Giovanna a fare una corsetta sulle pendici della montagna che sovrastava il loro comprensorio. Ormai per quelle due era diventato quasi un rito fisso che si spezzava solamente quando faceva troppo freddo o pioveva forte.

La cosa l’aveva tanto solleticata che guardando la sua bionda vestirsi si era quasi decisa ad accettare, poi però, ricordando come a causa della competizione con la sorella, Haruka ritornasse sfiancata, sporca e sudata, aveva declinato preferendo rimanersene un po’ in panciolle sotto le lenzuola. Ne aveva così approfittato per farsi una buona tazza di tisana calda, respirando il tepore casalingo che regnava quando Haruka non le spalancava la portafinestra del terrazzo mentre faceva su e giù per qualche assurdo lavoretto domestico, ciondolando sorniona assieme a Tigre e pensando con santa calma a cosa avrebbero fatto nel pomeriggio, conscia che senza programmi sportivi, quel fine settimana la sua donna sarebbe stata finalmente costretta a darle retta.

Contro ogni pronostico tutto andò discretamente bene fino a quando, quasi giunto mezzogiorno, Michiru si decise a mettersi ai fornelli. Con molta probabilità per pranzo avrebbero avuto anche Giovanna e così pensò a qualcosa di sostanzioso e optando per un arrosto, stava per metterlo in forno quando il campanello suonò. Controllando l’ora sull’orologio a muro si asciugò le mani nel grembiule e badando a non pestare l’invadenza di Tigre, si diresse alla porta borbottando.

“Lo so che quando esci a correre non vuoi intralci, ma Ruka mia… le chiavi potresti anche portartele dietro. E se fossi uscita?” Disse non guardando neanche dallo spioncino.

“Ci avete messo meno del previsto… Cosa sei, stanca?!” Sfotté e dopo un giro di chiave aprì l’anta alla corrente del pianerottolo.

Quello che vide o per meglio dire, la persona che si presentò ai suoi occhi con fare sicuro ed un tantino altolocato, la lasciò francamente di sasso.

 

 

Spalancando con una manata il metallo grigliato del cancelletto che divideva il comprensorio dal sottobosco, Haruka calpestò con violenza l’asfalto del parcheggio voltandosi di scatto. “Fregata!” Urlò con il poco fiato che ancora aveva nei polmoni.

“Lenta! Sei lenta, Giovanna!”

“Fo…tti…ti…” Ansimò l’altra di risposta mentre percorreva gli ultimi metri di sentiero.

“E’ una questione di fisico. Hai le gambe corte.” Infierì arpionandosi i fianchi nel disperato tentativo di riprendere ossigeno.

“Ripeto… Fottiti!”

“Si. Si.” Sogghignando soddisfatta per l’ennesimo smacco riservato alla sorella, la vide attraversare il cancello e fermarsi accanto a lei mani sulle ginocchia.

“Prima o poi… il portiere si dimenticherà di slucchettarlo e tu su questo cancello ti ci schianterai come un moscerino sul cofano di un’auto, ed io…, io quel giorno godrò come un riccio!”

“Ma quanto sei poco sportiva…”

“Un paio di pifferi, Ruka! Hai barato… Come al solito.”

“Sciocchezze. Vorresti forse che per pietismo ti lasciassi vincere?”

“No, vorrei solo che al mio via tu non fossi già cinque metri avanti. E poi non si era detto che avremmo solo corricchiato?” Disse Giovanna prendendo a camminare pesantemente verso la prima delle tre palazzine del loro comprensorio.

“Io corricchio così…”

“Ed io ti ripeto di andare a farti fottere. Allegramente. Con un bel sorriso stampato in faccia!” Sbuffò mentre un taxi passava loro davanti per uscire subito dopo dal cancello principale.

“Chi sarà arrivato?”

“Boh…, vieni per pranzo?” Chiese la bionda iniziando a fare stretching.

“Volentieri. Per la mezza?”

Controllando l’ora, Haruka annuì costatando quanto poco ci avevano messo. “Ok, ma ti avverto che oggi Michiru è particolarmente nervosa.”

Usando la spalla della sorella come appoggio, Giovanna si afferrò il dorso del piede opposto mettendo in tensione il femorale della coscia.“Come mai?”

La bionda sospirò facendo altrettanto. “Non chiedermelo. Tu che ci lavori insieme non hai nulla da dirmi?”

“Assolutamente no. E tu che ci dormi insieme?” Ridacchiò.

“Sono giorni che proprio non si tiene. Sei veramente sicura che al museo vada tutto ok?”

A quell’insistenza Giovanna pensò rapidamente. Lei e Michiru avevano preso a lavorare a Castel Grande, una come tecnico e l’altra come responsabile e curatrice delle temporanee. Un lavoro che a Kaiou piaceva e che, pur se meno affascinante del restauro di una pala d’altare, le stava portando un’entrata fissa e di conseguenza la certezza di una momentanea tranquillità economica, che di quei tempi non era certo poco.

“In realtà ho visto Michiru particolarmente entusiasta per la prossima mostra, perciò non credo che il suo nervosismo casalingo dipenda da questo. E’ molto carica e non vede l’ora che arrivi il catalogo delle opere per iniziare il progetto delle varie disposizioni.”

“E allora valla a capire…”

“Non sarà per il fatto che le hai chiesto di sposarla?” Insinuò con la voce in falsetto.

Una settimana prima, Michiru si era presentata al lavoro tutta scombussolata rivelandole, dopo non poche reticenze caratteriali, che tra un fornello e l’altro Haruka se n’era uscita con l’ombra di una mezza proposta di matrimonio.

“Non le ho chiesto di sposarmi. - Si difese la bionda cambiando gamba d’appoggio. - Le ho solo detto che se dovesse ricevere la carica di Direttrice del museo ed ottenere così un lavoro fisso… io me la sposo.”

La maggiore allora la guardò scuotendo leggermente la testa. “E questa non sarebbe una proposta?”

“NO! Passi che secondo il target della mia dolce metà quanto a romanticismo io non sarei più sul pezzo da anni, come dice lei, ma che cazzo, almeno un po’ d’impegno…”

“Ok, ok… Avrò capito male.”

“E’ vero che ho accennato al matrimonio, ma era solo per parlare. Manca ancora qualche mese alla fine del mandato dell’attuale Direttore e potrebbe anche scegliere di non andare in pensione. E per Michiru questo vorrebbe dire tornare a fare la libera professionista a sbattersi su e giù per le committenze ecclesiastiche di mezzo Cantone.”

“Michi si è fatta scappare che se dopo otto anni non vi siete ancora sposate è perché lavorando spesso per la Chiesa, tu sia convinta che al far sapere in giro che è gay potrebbe non trovare più molto lavoro.”

“Esatto. Quando lavoraste in Vaticano non vi chiesero lo stato di famiglia?”

“Si.”

“E se pur brava, pensi sarebbe stata scelta se fosse stata sposata con una donna?”

“Conoscendo l’ottusità di alcuni tipi di persone…”

“Brava… Se avesse fatto l’avvocato o la commessa ti assicuro su quello che ho di più caro che me la sarei già portata all’altare dopo il primo anno di fidanzamento. Ma sai quanto le piace il suo lavoro, no? Tele, pale, affreschi…, ci perderebbe gli occhi dietro quella roba. In più Giovanna, abbiamo un mutuo da pagare e tre veicoli da mantenere. I soldi ci servono e il mio stipendio da solo non basta. Sei la prima a dire quanto la vita qui sia cara. Che diavolo pensi accadrebbe se Michiru iniziasse a perdere committenze a causa della sua vita privata?”

“D’accordo sorella, questo lo capisco, ma l’anno mille è passato da un pezzo.”

“Se è per questo anche il duemila, ma se non lo avessi notato, da questo punto di vista la curia è ancora abbastanza bigotta. Non sono tutti come il Cardinal Berti o il parroco della cattedrale che stravede per lei e le molla quadri su quadri pur sapendo da anni che convive con una donna.”

Salticchiando sulle punte Haruka guardò le vette ancora imbiancate. “Comunque non è questo che la turba. La conosco troppo bene. Michi sa da sempre che quando i tempi saranno maturi mi metterò in ginocchio e le chiederò di diventare mia moglie. E non lo farò certo in cucina, potete entrambe scommetterci quello che volete! No... Ci deve essere qualcos’altro.”

“Magari è solo un momento. A noi donne capita spesso di avere la luna girata per centomila motivi diversi.”

“Questo è vero, anche se lei è sempre malto lineare ed è difficile che svalvoli senza un vero e proprio motivo. Vorrà dire che questa sera le farò un po’ di coccole delle mie, tanto per scioglierla un po’. La dottoressa Kaiou ha un paio di punti che se toccati nel modo giusto…”

“O… K… La cosa sta diventando un po’ troppo intima. Meglio che vada.” Ne convenne scherzosamente l’altra.

“Allora ci vediamo dopo e… mi raccomando acqua in bocca. Michi non ama che si parli di lei.”

“Lo so Ruka, tranquilla. Sarò la solita di sempre.”

“Ottimo. Allora a dopo…” E salutandosi Haruka approfittò della bellezza delle prime primule sbocciate in un vaso e oltrepassando il portone lasciato aperto per le pulizie, schizzò su per le scale con la voglia matta di stuzzicare la sua donna.

 

 

“Buongiorno cara. Ti trovo bene.”

Con la mano ferma sulla maniglia, lo sguardo perplesso ed il viso di chi ha appena visto un ectoplasma, Michiru neanche rispose e alla donna che le appariva come uno specchio proteso verso il futuro, si limitò solamente a corrugare la fronte.

La sua immagine, ecco cosa stava guardando. Una bella donna composta, dal viso pieno ed ancora giovanile anche se inevitabilmente solcato dall’ineluttabilità delle sofferenze della vita. Solo gli occhi avevano un taglio diverso, non certo riconducibile alla famiglia Kaiou, ma il colore blu profondo che le animava le iridi, Michiru lo aveva sicuramente ereditato da lei.

“Mamma?!” Disse aprendo completamente l’anta.

Ecco la mefitica rogna che da giorni sentiva aleggiarle intorno. Il nervosismo anomalo, la tensione che neanche la compagna era riuscita a stemperare. La netta sensazione di un’ineluttabile catastrofe. Michiru sapeva da sempre di avere un più che ottimo intuito e così, un po’ sibilla, un po’ strega, sin da bambina aveva imparato a servirsene per arrivare preparata ai vari appuntamenti con il destino. Come alla sua prima audizione, quando violino in mano aveva capito ancor prima di salire sul palco che sarebbe stata presa per entrare in accademia, o la notte prima della morte di suo padre, quando presa da uno strano senso d’ansia per cercare un po’ di pace si era rifugiata tra le braccia di un sonnifero, o il giorno che aveva incontrato la sua bionda, quando l’irrazionale scelta di seguirla senza neanche sapere chi fosse, le aveva consegnato una delle fortune più grandi della sua vita. Anche la mattina che aveva conosciuto Giovanna si era alzata dal letto con la consapevolezza che da li a breve sarebbe successo qualcosa d’importante, sia per lei che per la stessa Haruka. E il latte fresco comprato prima dell’entrata in casa di Tigre, o il suo viaggio in Grecia, ad Atene, città scelta a caso tra le centinaia possibili, che le aveva però aperto la strada alla riappacificazione con se stessa.

E ora lei, Flora Kaiou, che mai si era degnata di farsi vedere dalle parti del Ticino e più nello specifico, nella casa che sua figlia divideva da anni con una donna mai veramente accettata da una madre ancora aggrappata alla speranza di vederla un giorno accasata con qualche buon partito

“Michiru…” Sorrise rimanendo immobile.

Allo shock iniziale prese il posto l’imbarazzo più feroce e Michiru dovette richiamare a se tutti i Santi del Paradiso per dare al suo viso una parvenza di normalità.

Deglutendo stirò le labbra rimanendo però sempre sul chi vive. “ Mamma… Ma che sorpresa.” E lo era davvero visto che non ricordava neanche di averle mai dato il suo indirizzo.

“Scusa dell’improvvisata. Ho provato a chiamarti, ma il tuo cellulare risulta sempre irraggiungibile.”

Guardando in direzione del posto dove di solito era solita lasciarlo in carica, Michiru si ricordò di averlo dimenticato nella macchina di Haruka la sera precedente.

“E’ nel box. Li non c’è campo. Ma …, accomodati dai.”

“Visto che non hai il fisso, dovresti quanto meno tenertelo da conto.” Bacchettò entrando.

“Be, siamo in due e Haruka non è solita lasciarlo dappertutto come invece faccio io.” Stoccò di rimando.

Solo in quel momento Michiru si accorse che Flora stava stringendo nella mano sinistra l’asta di un trolley di media grandezza e in un nano secondo un brivido le invase la pelle. “Mamma… è successo qualcosa? Perché sei qui?”

Richiudendo la porta la vide fermarsi poco oltre e continuando a mantenere l’espressione di chi sta per ricevere una mattonata sulla schiena, attese la risposta che però non arrivò.

Notando la profonda ruga sulla fronte della figlia, a Flora scappò invece una risata. “Tesoro mio, se continui ad increspare la pelle del viso così, tra non molto sarai piena di rughe.”

Toccandosi per istinto la fronte, finalmente anche Michiru sorrise rilassandosi.

“Adesso va meglio. Ad una bella donna come te non si addicono l’espressioni contrariate.”

“Non sono contrariata... - Disse prendendole il cappotto. - ..., ma stupita. Tu non sei proprio solita fare queste cose.”

“Cosa? Una visita a mia figlia?”

Esattamente, avrebbe voluto risponderle, ma non lo fece limitandosi ad appendere il soprabito al muro.

“Devo dedurre di stare mettendoti in difficoltà, ma è tanto tempo che non ci vediamo e dato che è stato il tuo compleanno, ho pensato ti avrebbe fatto piacere stare un po’ con tua madre.”

A quelle parole, stranissime e completamente fuori luogo per un rapporto abbastanza asettico come il loro, Michiru non seppe più cosa pensare. Le sembrava di stare vivendo una sorta di stranissimo sogno, come se il suo universo si fosse improvvisamente capovolto sotto una distorsione spazio temporale alla dottor Who.

“Per il mio compleanno…, ci siamo sentite.”

“Si, ma volevo darti il tuo regalo di persona. I quarant’anni sono importanti.”

Sempre più allibita, Michiru le fece cenno di sedersi sul divano chiedendole se volesse un caffè.

“Volentieri.”

“Mentre lo preparo vuoi rinfrescarti? Immagino tu venga dall’aeroporto. Eri in turnè, giusto?”

“A Zurigo, si, ma ho preferito un taxi.” Rispose osservando le spalle della figlia mentre iniziava ad armeggiare con la macchinetta espressa.

Erano passati tre anni da quando si erano incontrate ad Atene e Flora volle prendersi qualche secondo per studiarne la siluette. Michiru aveva preso peso riacquistando le onde sane di quando era ragazza, sintomo questo di una ritrovata salute psicofisica.

“Ti trovo bene.” Disse con convinzione vedendola voltarsi di tre quarti.

“Ti avevo detto di stare meglio.”

“Lo so, ma una madre preferisce sempre accertarsene con i propri occhi. Anche se in effetti… ci ho messo un po’.” E il sorriso che illuminò il volto di entrambe finalmente diede inizio al disgelo.

Il loro rapporto era così, perché girarci intorno.

“Allora, il lavoro? Novità per quel posto di Direttrice a cui accennavi qualche settimana fa?”

“Ancora tutto fermo.”

Fissando un quadro raffigurante un paesaggio marino, la donna più grande respirò profondamente riconoscendo lo stile della figlia. “Ti prenderanno. Sei brava nel tuo campo.” Affermò iniziando a guardarsi intorno. Quella casa dava un senso di calore ed accoglienza e ne fu lieta.

“Non dipende da me, ma grazie comunque dell’incoraggiamento. Ci speriamo tanto.” Se ne uscì non rendendosi conto di aver parlato al plurale.

Già. E l’altra padrona di casa dov’era?

“La signora Tenou?”

“E’ a correre. Così mi si scarica un po’.”

Flora si vide recapitato un vassoio con biscotti e caffè che afferrò mentre Michiru le si sedeva accanto. “Grazie.”

“Prego. Lo prendi sempre amaro, giusto?”

“Giusto.”

“Mamma…”

“E’ molto graziosa la vostra casa, devo farti i complimenti. Trovo sia arredata con gusto, anche se è molto diversa dall’appartamento che avevi a Berna.”

A Michiru non sfuggì la ratta elusione con la quale la madre cambiò discorso. “Be, ero più giovane ed ero sola. Ora sono una quarantenne e vivo con un’altra persona. Tutto quello che vedi è il frutto di una marea di compromessi, anche se devo ammettere che da questo punto di vista Haruka mi ha lasciato carta bianca praticamente su quasi tutto.”

Alzando un sopracciglio Flora assaggiò il caffè. “Quasi?”

E Michiru le indicò una teca ad angolo in fondo alla sala da pranzo dove campeggiavano modellini di moto e sidecar di ogni epoca in scala 1 a 25.

“O buon Dio.” Esplose sorridendo.

“Dovevo pur cedere su qualcosa. Ma tranquilla, si sfoga nel box. E’ quello il suo regno.”

“Immagino che i vostri caratteri siamo abbastanza diversi.”

“Si, ma dopo otto anni di vita in comune credo di essere riuscita a sgrezzarla un po’.”

“Già otto anni…” Quanto tempo aveva passato a fare la guerra alla figlia dopo aver saputo che si era messa con un meccanico del Ticino.

Ma questa guerra era continuata anche dopo l’aver scoperto che Haruka era un Ingegnere ed era stata presa alla Ducati, perché il problema non era la posizione economica o sociale di colei che aveva saputo irretire il cuore di sua figlia, quanto appunto il fatto che fosse una lei. Flora ci aveva perso il sonno, aveva sbraitato, arrivando addirittura alle minacce, ma Michiru era stata irremovibile. La donna si era rifiutata d’accettare la cosa anche quando aveva saputo della malattia al sangue che aveva colpito Tenou. Non che desiderasse il male di quella mezzosangue bionda, semplicemente non riusciva a capire come la sua ragazza potesse sentirsi soddisfatta e completa rinunciando ad avere una famiglia convenzionale. L’uomo era diverso dalla donna, sia fisicamente che mentalmente, ed era questo che stimolava Flora, questo che per lei rendeva bello un rapporto di coppia etero. Per Michiru invece era proprio tutto l’opposto. A parte il fatto che il corpo maschile non l’aveva mai attratta più di tanto, era nel cervello che trovava il relazionarsi con il proprio sesso benedettamente coinvolgente.

“Otto anni, si. - Riprese Michiru fissandola poi seria. - Mamma…, stai morendo?”

“Cosa?!” Chiese l’altra scoppiando poi in una composta risata.

“No tesoro, sono sana come un pesce. Ammetto di non essere mai stata troppo presente, soprattutto dalla morte di tuo padre, ma arrivare addirittura a farmi una domanda tanto macabra…”

Abbassando la testa la figlia chiese scusa.

“No, non è colpa tua cara, sono io che negli anni ho mancato anteponendo a te, prima la malattia di Victor, poi il dolore per la sua scomparsa ed infine la mia carriera.”

“Conta poi il fatto di non avere mai accettato la mia omosessualità…” Un colpo che Flora incassò a fatica.

“L’ultima volta che ci siamo viste ti chiesi tempo Michiru. Credo che ne sia passato a sufficienza.” Ammise staccando d’improvviso gli occhi da quelli della figlia per rivolgerli alle sue gambe.

Sentendo qualcosa di caldo e morbido strusciarsi contro il suo polpaccio, si sporse in avanti. “E tu?”

“E’ Tigre. L’abbiamo trovato nel nostro box un paio d’anni fa.”

“Mia figlia con un gatto?”

“Un’altra cosa che ho dovuto concedere. Ma sono contenta di averlo fatto.”

“Ha un musetto impertinente, ma simpatico. - Ammise Flora facendo al felide tigrato un paio di grattini sotto al mento. - E sembra anche parecchio spavaldo.”

La madre aveva sempre avuto il potere di vederci giusto. “Gli piaci, il che è strano, perché è molto diffidente con chi non conosce. E’ disarmante come alle volte assomigli ad Haruka. Devo ammettere di sentirmi spesso e volentieri in inferiorità numerica.”

“Alludi alla spavalderia? Mi ricordo come l’unica volta che abbiamo avuto modo d’incontrarci, la signora Tenou abbia trattato Paul.”

Forse sarebbe stato tutto molto meno imbarazzante se quel giorno Haruka avesse capito sin da subito chi fosse la coppia che aveva davanti.

“Glielo rimprovero a tutt’oggi.”

Compiendo un movimento con la sinistra, la madre ridimensionò la cosa. “O poco male. Di motori Paul non ne ha mai capito nulla! E poi non sono stata io a dirti di esserti trovata un cavallo di razza?”

“Si…” Ed un velo si posò sulla conversazione fino a quando Michiru non chiese alla madre del signor Maiers.

“Sta bene. E’ rimasto a Zurigo per delle faccende.” Disse tornando a guardare Tigre che stranamente sembrava molto attratto da lei fino a quando, dilatando impercettibilmente le iridi, il piccolo rizzò il collo all’insù per poi correre verso la porta.

“Che succede?”

“Scommetto che ha sentito il passo di Haruka. Riconosce anche il suono del motore delle nostre auto.” Confessò orgogliosamente prima di alzarsi e seguirlo.

Cinque secondi ed uno scampanellio inondò l’appartamento e l’ansia di Michiru tornò a montare come una marea. Ora cosa sarebbe successo? Ovvio che ad Haruka sarebbe venuto un infarto, ma dopo superato l’embolo, sarebbe riuscita a tenere testa a sua madre? Certo che si e questo non avrebbe fatto altro che inasprire a suon di frasi sgradevoli il già precario equilibrio che si sarebbe istaurato tra loro.

Quando Michiru aprì la porta si vide recapitata una primula condita da un rapido bacio sulle labbra.

“Eccomi! Non dirlo al portiere, ma era troppo bella per non portarla alla mia dea.”

“Ruka…” Sibilò l’altra cercando di mantenere una certa distanza.

“Ei piccoletto! Quando sono uscita non mi hai filata di pezza!” Disse gasatissima lasciando il fiore alla compagna per issarsi Tigre tra le braccia.

“Ruka…”

“Michi mia, però sabato prossimo ti accodi. C’è un odore di primavera! Il sottobosco è spettacolare.”

“Amore…” Richiamò interrompendola.

“Che c’è?”

“Abbiamo ospiti… - E mormorando aggiunse. - Non è colpa mia.” Lasciando poi che la bionda inquadrasse Flora dietro la linea della sua spalla.

Quando il cervello di Haruka riconobbe la donna ancora seduta sul divano, uno stranissimo suono le uscì dalla gola, un misto tra il rantolo di una bestia morente e il porpottare di un furetto davanti ai fari di un tir. Il consequenziale e comprensibilissimo o cazzo che riecheggiò potente nella sua mente costrinse Tigre a saltarle giù dalle braccia prima di essere stritolato.

“Si… gnora Kaiou?!”

“Signora Tenou…” Rispose l’altra alzandosi dalla seduta per fissarla da pari.

Il viso di Haruka cambiò tanto rapidamente espressione che Flora sentì intimamente di aver portato un primo, ipotetico punto. La giovane donna che ora se ne stava impietrita accanto a sua figlia, non ricordava affatto la bionda spavalda ed un tantino strafottente vista ad Atene. Non una camicia nera calzata con disinvoltura, non un paio di Ray ban dall’inconfondibile stile a gocci anni ottanta posati sul naso e una mano infilata con nonchalance nei jeans, ma una donna dal tronco fradicio cinto da una semplice canottiera tecnica inscurita dal sudore, con la capigliatura corta arruffata ed un paio di ciclisti macchiati d’erba.

“La trovo in splendida forma.” Infierì Flora solcando le labbra con un sorriso malizioso.

Abbassando immediatamente lo sguardo al petto, Haruka si rese conto dell’indecenza con la quale era salita su per le scale.

“Ruka… è meglio che tu vada a farti una doccia e a metterti qualcosa di più… pesante.” Consigliò Michiru iniziando a spingere quella locomotiva accaldata su per i reni.

“S…si. Vado.” Obbedì rauca contraccambiando lo sguardo della compagna con uno molto, ma molto più enigmatico.

“Hai pronunciato per tre volte il suo nome ed è spuntata fuori dal camino?” Bisbigliò togliersi le scarpe da ginnastica.

“Smettila… Ne so quanto te.” Rispose l’altra.

Sgattaiolando in camera da letto, Haruka ci si rintanò per una mezz’ora buona lasciando al pragmatismo della dottoressa Kaiou l’incombenza e, perché no, l’arduo compito di scoprire cosa ci fosse realmente sotto a quella visita a sorpresa.

Così messo il fiorellino in acqua, Michiru tornò dalla madre sentendosi dentro una strana soddisfazione. Aveva infatti notato come Flora avesse registrato quel gesto d’amore e non mancò di sottolinearglielo

“Ricordo che anche papà ti portava spesso degli omaggi floreali, anche se non andava a sradicarli nelle fioriere condominiali. La rimprovero quando vandalizza il verde giù da basso, ma devo ammettere che mi fa piacere quando lo fa.” Disse, ma la madre non commentò tornando a guardarsi intorno.

Tirare fuori qualcosa da Michiru era sempre stata un’impresa, ma in quei minuti Flora dimostrò di essere ancor più coriacea. Non ci fu partita; ad ogni domanda la donna glissò con rapidità e maestria così che alla fine la figlia si arrese.

“Per quanto resti?”

“Ho qualche giorno libero. Vorrei approfittarne per riposare un po’. Credo andrò alle terme.” Laconica e diretta non convinse Michiru neanche un po’.

“E il signor Paul ti raggiungerà?”

“No. Non credo proprio.”

Ed improvvisamente eccolo l’indizio che stava cercando! Da anni quei due erano praticamente inseparabili, sia sul lavoro, che nella vita di tutti i giorni. I dodici anni di differenza che dividevano la madre e il signor Maiers non erano mai stati un ostacolo; troppo composto lui, troppa femmina alfa lei. All’interno di quella strana coppia ognuno era riuscito a ritagliarsi pertugi ideali per un rapporto equilibrato e duraturo. Era perciò stranissimo non vederli insieme. Stranissimo ed indicativo.

“Mamma… Vi siete lasciati?” Ancora una domanda diretta e questa volta Flora contrattaccò.

“Cara, non ti ricordavo con così poca mancanza di tatto.”

Il viaggio che la figlia aveva fatto in Grecia tre anni prima l’aveva cambiata lacerando quella barriera emozionale che con tanta fatica Michiru era riuscita a tessere in anni di duro e controproducente lavoro. La mancanza di savoir-faire che Flora stava notato in lei, era la lampante conseguenza di un repentino cambiamento interiore.

“Scusami.”

“No, non farlo. Non con tua madre. E’ un bene che tu riesca finalmente ad esprimere quello che pensi. Diciamo che Paul ed io ci stiamo prendendo una pausa di riflessione. Ecco tutto.” Ammise mentre la porta della camera da letto si riapriva lentamente.

Cazzo… è ancora qui! Pensò Haruka che sotto la doccia aveva ingenuamente sperato in un assurdo abbaglio psicotropo.

“Allora signora Tenou…, come andiamo?” Domandò fulminea Flora tornando a guardarla con quel suo fare indagatore.

Cacchio vuole fare? Conversazione?! “Molto bene, grazie. E lei?” E lei? Questa si degna di entrare in casa nostra dopo otto anni e tu fai il coniglietto bagnato? Andiamo Tenou… Sai fare meglio di così!

“Un po’ stanca, ma bene. Poc’anzi stavo dicendo a Michiru quanto sia accogliente la vostra casa.”

Bada Tenou… c’è l’inchiappettata… Stai attenta. “Grazie, ma è tutto merito di sua figlia.” Ammise avvicinandosi, ma rimanendo a debita distanza accanto al camino.

“Il lavoro?”

“Procede.” Molto vaga appoggiò le spalle alla mensola non staccandole gli occhi di dosso.

In quel sabato mattina dall’aria mite, Haruka si era alzata tutta contenta, perché il programma che aveva scelto insieme a Michiru era così benedettamente rilassante che solo la copia spiccicata della boma atomica avrebbe potuto farglielo saltare in aria. E puntuale Elona Gay era arrivata! E aveva la faccia tosta di una donna che la detestava da sempre e che per di più non si era mai degnata di farsi vedere dalle loro parti. Neanche nei momenti più neri della figlia. Questa consapevolezza l’incattivì portandola ad esporsi per prima.

“Invece lei? Qual buon vento la porta qui da noi? Francamente avevo perso le speranze.” Ghignò mentre la compagna le lanciava un’occhiataccia.

“Il mio compagno parla ancora del nostro fortuito incontro ad Atene e di come sia stata tanto cortese nell’aiutarlo….” Incalzò Flora rimettendo così la bionda al suo posto.

“Mmmmm….”

“Comunque sono qui per i quarant’anni di mia figlia. A proposito cara… - Disse rivolgendosi direttamente all’altra donna. - Ti ho portato un presente!” Ed aprendo la borsa dimenticata tra i cuscini della seduta ne estrasse un pacchetto dall’incarto molto curato.

Dire che Michiru fosse frastornata era poco, dire che era in ansia per la postura aggressiva a braccia incrociate messa su da Haruka, lo era ancora di più, ma quando aprendo il pacchetto le comparve davanti agli occhi un bracciale d’oro bianco con un ciondolo a forma di delfino marcatamente Swarovski, rimase senza parole.

“Oddio mamma…, è bellissimo.”

“Ho pensato che nonostante le montagne di qui siano piacevoli, questo potrà alleviarti la malinconia del non poter vivere accanto al tuo VERO ed unico amore; il mare.”

“Piacevoli?” Inquisì la bionda socchiudendo gli occhi.

“Be signora Tenou…”

“Haruka!”

“… Haruka. Volevo solo dire che mia figlia ha sempre amato più il mare che le montagne. Già quando eravamo tornati a Berna la sapevo a disagio per il freddo e le giornate cupe, ma almeno li c’era del sano svago culturale.”

“Sano svago culturale?!”

“Pensi perciò la mia sorpresa quando qualche anno fa mi disse dov’era andata a vivere.”

“Mamma!” Cercò d’intromettersi Michiru.

“Questa non è mica la montagna del sapone. Sono le alpi, signora!”

“Indubbiamente dal punto di vista paesaggistico questo è… un bel posto, ma deve ammettere che Bellinzona non può certo essere paragonata alle grandi metropoli dove mia figlia è cresciuta, come Tokyo, Atene o la stessa Berna.”

“Credo che nella vita ci siano cose un tantino più importanti del mare o dell’andare in giro per musei e teatri.”

Flora fece leggermente finta di stupirsi. “Vedo che conosce bene gli interessi della mia ragazza.”

“E non soltanto quelli!”

“Va bene! Perché non pensiamo seriamente a cosa fare per pranzo? Mamma gradiresti riposarti o andare in un ristorante del centro?” Chiese Michiru scattando in piedi mentre la compagna alzava un indice verso l’ospite.

“Visto signora? Abbiamo anche noi un centro.”

“Non prenda subito d’aceto Haruka. Non intendevo certo offenderla, quanto sottolineare l’ovvietà di alcune cose.”

Per esempio di quanto lei possa essere una grandissima stronza? Si… lo sapevo già! Pensò la bionda mentre il cellulare nella borsa dell’ospite iniziava a suonare.

Prendendo l’apparecchio Flora si scusò andando a rispondere in terrazza.

“Haruka, cosa stai facendo?” Domandò sottovoce Michiru.

“E’ lei! Ma l’hai sentita?!”

“Certo, come ho sentito te!! Ti sta solo provocando per metterti alla prova. Lo fa con tutti, figuriamoci con la donna di sua figlia. Ti consiglio di non abboccare ai suoi giochetti, perché finiresti con il perdere, amore.”

“Ma dico! Viene in casa nostra a dirmi che in pratica ti ho relegata nel paesello e non dovrei neanche avere il diritto di una replica?”

“Non ha detto questo.”

“Certo che l’ha detto! E poi, andiamo Michiru…, la mia ragazza? Ma se non ti si è mai inculat…”

“Basta così! - Ordinò con durezza per poi scendere a più miti consigli. - Ti prego Ruka, cerca di farlo per me.”

Sospirando pesantemente la bionda accettò la stretta al braccio muovendo impercettibilmente la testa. “Ok Michi, ma non te la prendere se nella nostra storia, Flora Kaiou non sarà mai uno dei miei personaggi preferiti.”

“O amore.” Sorrise dolcemente sfiorandole le labbra.

Quando Flora terminò la telefonata, la figlia la trovò ferma in piedi al centro della terrazza

“Quell’uomo è impossibile!” Dichiarò stentorea fissando il cellulare.

“Tutto bene mamma?”

“Michiru, sono troppo sfacciata nel chiederti di mangiare a casa? Non mi sento di vedere gente.”

“No, certo. Tanto più che oggi abbiamo un bel menu.” Affermò sicura posandole affettuosamente una mano sulla spalla.

Menu che però comprendeva anche la solita carica briosa di Giovanna, il che vista l’aria non era il caso di far scatenare. Michiru decise così di chiamare l’amica per chiederle di non venire a pranzo. Cosa che naturalmente non trovò Haruka affatto d’accorso.

“Non è giusto!”

Ringhiò a denti stretti cercando di non farsi sentire da Flora ormai votata a gustarsi un po’ di sole all’esterno.

“Giovanna capirà.”

“Allora sarò più chiara. Non è giusto nei MIEI confronti.”

“Scusami?” Chiese afferrando il cellulare dell’altra per chiamare l’amica.

Bloccandole la mano Haruka la costrinse a guardarla. “Siamo una contro due. Che fai Kaiou, vuoi togliermi i rinforzi?”

“Io sarò sempre dalla tua parte amore.”

“In questo caso ne dubito.”

“Cosa?!”

“Guardami bene e dimmi che a parte lo shock iniziale, tu non sia contenta di vederla.”

“Certo che lo sono, ma questo non vuol dire che alla bisogna non ti spalleggerò.”

“Invece penso che per farla star buona finirai per schierarti con lei.”

Staccando bruscamente il contatto, Michiru tornò a scorrere la rubrica. “Non dire assurdità, Tenou!”

“Visto? Già mi dai contro.”

“Haruka, si comprensiva. Credo che mia madre stia avendo problemi con il signor Maiers, perciò sarebbe oltremodo carino starle un po’ accanto e farla sentire a suo agio.”

“A maggior ragione! Non intendo fare Madre Teresa senza avere l’artiglieria pesante, perciò non rinuncerò a Giovanna!” Intimò sentendo suonare il citofono.

Guardandolo entrambe, la bionda tirò su le spalle sorridendo. “Oh…, ma che peccato. E’ già qui!” E andò a rispondere mentre Michiru rendeva gli occhi a due fessure infuocate.

Ti assicuro che quando fai così di ammazzerei…. Posando il cellulare sulla penisola e contando mentalmente fino a dieci, Kaiou uscì dalla porta a vetri annunciando alla madre l’arrivo di un’altra ospite e pregandola di parlare da li in avanti in italiano.

Quando Haruka aprì l’anta della porta vedendosi recapitato un vassoio di dolcetti, afferrò il polso della mano che lo stava reggendo scaraventandolo dentro l’appartamento con tutto il resto.

“Ci hai messo troppo!”

“Ci ho messo il giusto. Ma che ti prende?”

“Mi prende che siamo nella merda!”

“Siamo?! Cosa avrei fatto se sono appena arrivata?” Si difese togliendosi le scarpe.

“Ti ricordi il taxi di prima? Ecco cos’ha scaricato sull’uscio della mia povera casa.” Lagnò indicando con il mento la terrazza.

Uscendo da dietro il muro, la maggiore intravide due donne parlare sedute attorno al tavolino in ferro battuto che decorava l’esterno. “Avete ospiti?”

“Abbiamo un grossissimo dito al… - Fermandosi scosse la testa vinta. - E’ la madre di Michiru.”

Giovanna sapeva tutto di Flora Steiner Kaiou; del suo rapporto con la figlia, del suo detestare Haruka e della negazione ad oltranza del loro rapporto, ed è per questo che guardando la sorella sorrise come se avesse appena detto un’eresia. “Ma stai scherzando?!”

“Ho la faccia di una che ha voglia di scherzare?”

“No… a guardarti meglio hai la faccia di una che non sa se prendere a testate uno spigolo o buttarsi di sotto a volo d’angelo.”

“Brava…, vedo che hai capito.”

“Ma che ci fa qui?” Chiese tornando a sbirciare la scena.

“Michi pensa che abbia problemi con il compagno.”

“E viene a risolverli qui da voi?”

"Così pare…”

Un paio di secondi e Giovanna esplose divertita. “Che culo! - Per poi mollarle una pacca sulla spalla e fare per andarsene. - Ok… Allora ciao.”

Haruka scattò come una molla bloccandola per un braccio. “Come allora ciao. Dove vai?!”

“A casa.”

“E no! Tu resti qui a giocare di squadra.”

“Squadra?! Nooo. Io contro una suocera non mi ci metto.”

Suocera. Forse per la prima volta da quando aveva conosciuto Michiru, nel rapporto di coppia Tenou-Kaiou questa parola stava iniziando ad avere un senso, un significato ben preciso che spiazzò la bionda facendola deglutire a vuoto.

“Cazzate Giovanna! Io non ho suocere!”

“Non è la madre della tua donna? E allora è una suocera. Hai una suocera.”

“E piantala di dire quella parola.” Supplicò grattandosi la testa.

“Ma di cosa ti lamenti?! Sei riuscita ad evitarla per anni.”

“Vorrei puntualizzare che è stata LEI ad evitarmi, non io.”

“Va bene. Ora però vai a fare la brava padrona di casa. Ci sentiamo questa sera.” E fece per rimettersi le scarpe.

“Giovanna, ti prego... aiutami! Sei mia sorella, cazzo!”

”Oddio, stai proprio nel panico.” Dissacrò l’altra alzando le sopracciglia.

Da quando in qua Tenou si prostrava nel chiederle una mano? La maggiore la guardò talmente stupita che la bionda cercò immediatamente di correggere il tiro.

“Cosa vuoi per rimanere?” Chiese aprendo le contrattazioni come in una casba berbera.

Facendo finta di pensarci su, Giovanna prese tempo dilatando a dismisura l’ansia dell’altra. “Mmmmm, vediamo un po’…”

“Giò…”

“E aspetta! Non mettermi fretta. Dunque…”

“Volevi gli sci? Ti regalo gli sci!”

“Naaaa. Quelli posso benissimo comprarmeli da sola. Meglio un qualcosa di più intimo. Un qualcosa che proprio non ti riesce.”

“Allora?!”

“Otto abbracci e due ti voglio bene. Fatti e detti convinti, da spendere nell’arco di una settimana!”

“Ma… Che ca… - Dilatando le narici in un grosso boccone d’aria Haruka cercò di non cedere. - Tre abbracci e BASTA!”

“Cinque e un ti voglio bene.”

“Quattro. Quattro abbracci e la mia parola d’onore che non mi legherò al dito questa tua becera estorsione! E bada Aulis, sai che se voglio posso essere una gran bastarda.”

“Ma tu non lo vuoi perché mi ami troppo!” Sogghignò. Era davvero insolito e oltremodo spassoso vedere Haruka tanto smarrita.

Ispirando nuovamente la bionda raddrizzò la postura allungando la destra. “Andata.”

Ma Giovanna di risposta allargò le braccia pronta a giocarsi il primo bonus. Stirando le labbra e strizzando gli occhi mosse il busto a destra e a sinistra aspettando il suo pegno.

“Oddio, perché?!”

“Non borbottare e vieni qui, mia bella sorellina spacca culi.”

 

 

“Ma come fa! Come diamine fa!”

“Non lo so. - Rispose Michiru posando la pila di piatti del servizio buono sul granito della penisola. - Sembra che si conoscano da sempre.”

Voltandosi per controllare i fuochi, Haruka alzò le spalle ormai priva di una qual si voglia risposta. Giovanna non soltanto era riuscita ad integrarsi perfettamente con il carattere di Flora, ma sembrava addirittura che le due si piacessero. Si vedeva gesticolare la donna più giovane e di risposta ridere l’altra, in una specie di balletto sincronizzato dove Michiru ed Haruka erano ignare osservatrici. E se alla prima la cosa non poteva che far piacere regalandole un gran sollievo, alla seconda iniziavano a girare vorticosamente le scatole.

“Solo per il fatto che non ti porti a letto, non vedo perché tua madre debba apprezzarla più di me!” Vomitò aprendo di scatto il cassetto delle posate.

“Ruka, non esagerare.”

“Ma guardale li! Sembrano pappa e ciccia.”

Nella speranza di smuovere quel transatlantico sul punto d’affondare, Michiru le soffiò in un orecchio che sarebbe stato carino raggiungerle in terrazza. “Perché non esci a parlare con loro? Qui ci penso io. Se mia madre riuscisse a conoscerti per quello che sei veramente, ti adorerebbe.”

Ma niente. Haruka la guardò come una bambina offesa ed afferrando la pila dei piatti li portò sulla sobria tovaglia che ricopriva il piano vetrato del tavolo della sala da pranzo. Dio, quanto si sentiva insofferente. Non era certo colpa della sorella, ma era lampante che il suo ingresso avesse rotto gli equilibri a favore di una distensione che Michiru stessa definiva benedetta.

Le starà raccontando le barzellette, pensò iniziando a disporre con non troppa cura quattro piatti piani e quattro fondi.

“Per me è merito del suo sangue latino. Da quando la conosco, Giovanna non ha mai fatto troppa fatica a fare amicizia con le persone.” Disse la compagna portando a tavola i bicchieri.

“Non lo so! Può essere.” Acidissima iniziò a piegare i tovaglioli freschi di bucato.

E Kaiou esplose. “Allora visto che di sangue latino ne hai anche tu, forse sarebbe il caso che lo facessi saltar fuori!” Stilettò a brutto muso per poi tornare verso l’arrosto che intanto stava facendo bella mostra di se nel forno.

Serrando occhi e labbra la povera bionda cedette alla prevista inferiorità numerica. Stava decisamente vivendo un incubo che non sembrava voler trovare fine.

Poco più tardi si sedettero a mangiare desinando tranquillamente tra una chiacchiera e l’altra, tutte tranne Haruka, che tra bocconi mandati giù a forza si riempì di vino e cibo come se fosse stata la sua ultima cena. Michiru naturalmente non approvò, ma non disse nulla. Non le piaceva neanche come la madre le stesse guardando. Era lampante che Flora stesse analizzando e valutando il loro rapporto, sezionandolo nei minimi particolari. Un gesto, una carezza, insomma tutto. Com’era lampante che stesse provando un indicibile gusto a mettere in difficoltà una Tenou mai stata brava nel nascondere i sentimenti d’intolleranza.

Se si fosse trovata di fronte un’altra donna e non la signora Kaiou, Haruka avrebbe sicuramente saputo come far finire la cosa, ma per quieto vivere e per rispetto della sua compagna, stette al gioco evitando ogni confronto, ogni agguato. Non sarebbe diventata il pasto di quella famelica leonessa, avesse dovuto trascorrere i suoi ultimi giorni metaforicamente rannicchiata sul ramo di un’acacia.

Verso il primo pomeriggio il tempo si guastò ed un forte vento proveniente da nord abbassò improvvisamente le temperature tanto che si decise di accendere il caminetto. Sprovviste della legna sufficiente per l’intera serata, Haruka costrinse Giovanna ad andare a prendere qualche ciocco dimenticato nel box. Almeno sarebbe riuscita a prendere un po’ d’aria.

Così rimaste nuovamente sole, madre e figlia ripresero una conversazione più intima e personale.

“Hai mangiato bene?”

“Molto. Non sapevo fossi tanto brava ai fornelli.”

“Mi piace e mi rilassa, anche se per mancanza di tempo posso sbizzarrirmi solamente il fine settimana.” Sistemandosi più comodamente sul divano, Michiru iniziò a rilassarsi mentre Flora le chiedeva da quanto tempo conoscesse Giovanna. Tempo addietro aveva saputo che tra la donna italiana ed Haruka non ci fosse un rapporto fraterno per così dire, normale.

“Questa estate saranno quattro anni.”

“Allora vi siete incontrate durante il tuo lavoro in Vaticano.”

“Già. E non sapeva di avere una sorella. Sono stata io a dirle di Haruka ed in pratica ha farle conoscere.”

“Che straordinaria coincidenza. Quante possibilità c’erano di fare amicizia con la sorella segreta della tua… compagna.” Ammise non sforzandosi neanche più di tanto nel pronunciare quel sostantivo per lei tanto difficile d’accettare.

Michiru colse e ne gioì. “Immagino pochissime. Ancora oggi, quando ci penso, non mi sembra possibile.”

“Giovanna ha un buon carattere. Mi piace.”

“Ho visto. E’ raro vederti tanto a tuo agio.” Piccò dolcemente vedendola sorridere.

“E con Haruka va d’accordo?”

“Per alcuni versi hanno caratteri molto simili; sono testarde e competitive, ma anche molto generose. Entrambe avrebbero voluto una sorella con cui crescere, ma ritrovarsela superati i trent’anni è stato abbastanza sconvolgente. Soprattutto per Haruka. Ci ha messo un po’ prima di riuscire ad aprirsi.”

Alzando le sopracciglia Flora affermò di non essere affatto stupita della cosa. “Tenou è d’indole guardinga.”

“Lo so mamma. Proprio come te.” E questa volta toccò alla figlia sorridere divertita.

Cambiando un discorso che avrebbe potuto metterla in difficoltà, Flora chiese delle sue lezioni di violino. A tal riguardo Michiru era sempre abbastanza vaga al telefono.

“Come procedono? Hai fatto progressi?”

Ma sospirando Michiru le rispose di no. “Riesco a suonare scolasticamente qualche partitura, ma è come se la mano destra fosse scollegata da tutto il resto. In più te l’ho detto; non ho proprio tempo.”

“Per ciò che si ama il tempo lo si trova sempre.”

“Questo è vero, ma nel caso preferisco rilassarmi in cucina o nuotare piuttosto che inquietarmi con l’archetto.”

Una frase detta talmente a cuore aperto che Flora se ne dispiacque. Sporgendosi verso la figlia per accarezzarle una mano le chiese di poterla ascoltare.

“O no mamma. Ti prego. Ricordami come suonavo a sedici anni.”

“Che sciocchezze cara. Molto probabilmente posso aiutarti.”

“Ne dubito.”

“Lascia che sia io a giudicare.” Disse rendendo la voce simile ad un comando e Michiru, che conosceva molto bene quel timbro dittatoriale, si arrese alzandosi.

Andando verso il mobile dove si trovavano il giradischi e i vinili di classica, ne aprì un’anta per estrarre una custodia scura. Facendo scattare le cerniere alzò il coperchio afferrando il violino. Non le piaceva affatto suonare sapendo di essere ascoltata. Aveva addirittura costretto Haruka ad insonorizzare il suo studio perché non voleva che i vicini sentissero. Soltanto alla compagna permetteva di assistere agli esercizi e comunque sempre con disappunto. Si vergognava Michiru. Per lei era insopportabile che il talento cristallino che era stata da giovane, fosse ora costretto dalla fragilità di un maledetto tendine a fare accademia sulle partiture scolastiche. Eppure continuava, nonostante tutto il supplizio che sentiva nell’anima ogni volta che provava e falliva.

“Andiamo nel mio studio. Preferisco suonare li.”

Flora la seguì senza commentare ed una volta chiusasi la porta alle spalle vide la figlia fare un paio di grossi respiri prima di assumere la classica postura di una violinista. Nel vederla ebbe un brivido sovrapponendo per istinto la siluette della donna che ora le stava davanti, alla ragazza di un tempo. Posizionando la mentoniera, Michiru strinse l’archetto nella sinistra iniziando a farlo scivolare sulle corde. Lo fece rapidamente. Come se fosse un compito mal digerito.

Il suono si diffuse per la stanza, tra le scaffalature, i pennelli, il tavolo da lavoro ed il cavalletto dove riposava un quadro che aspettava ancora di essere terminato. Si diffuse anche nell’animo di Flora che provò una specie di scossa nel sentire nuovamente la figlia dopo venticinque anni. Aveva conservato delle registrazioni e le ascoltava spesso, ma non era la stessa cosa.

Dopo un paio di minuti Michiru staccò improvvisamente l’archetto dalle corde serrando con forza le labbra. Alzando il mento chiuse gli occhi scuotendo la testa.

“Che cos’è che non va? Ci penso e ci ripenso, ma proprio non riesco a focalizzare quale sia il problema.”

“Te lo dissi che non sarebbe stato facile riappropriarti del ritmo.”

“Come io ti dissi che non mi sarebbe importato, perché tornare a fare una musica quanto meno decente sarebbe stato lo stesso appagante.” Ricordò.

“Ma non lo è.”

“No. Per niente.”

A Flora venne quasi da ridere. Sua figlia non si smentiva mai. Troppo perfezionista, troppo caparbia, troppo meticolosa.

“E’ la mente cara. Tu pensi troppo.”

“A cosa?! I movimenti li conosco a memoria.”

“No. Conosci a memoria i movimenti della mano sinistra sulle corde e la fluidità della destra nel guidare l’archetto su di esse, non viceversa.”

“E allora?” Chiese stizzita per tanta calma.

“E allora devi ingannare il tuo cervello.”

Non riuscendo a seguirla, Michiru le chiese di spiegarle meglio e la madre voltandosi verso il grande specchio montato dietro la porta la invitò accanto a se.

“Vieni qui e prova a suonare guardandoti riflessa.” Consigliò e la figlia iniziò a capire.

“Il tuo cervello ricorda perfettamente come si suona con l’impugnatura classica, devi solo convincerlo che lo stai ancora facendo. Con l’aiuto dello specchio i tuoi occhi gli manderanno l’immagine corretta. L’immagine che ha memorizzato in anni di studio.”

“Possibile sia così semplice?”

“Può darsi. Prova…” Incoraggiò posandole per qualche istante le mani sulle spalle.

Michiru si guardò. Di rimando l’immagine di una bellissima quarantenne con un maglione chiaro a valorizzarle le forme del petto ed una gonna lunga fino al ginocchio. Nelle mani un violino ed un archetto; amici, compagni della sua gioventù.

Impugnando nuovamente lo strumento tornò a formare le prime note e quello che notò subito fu la scioltezza nei movimenti della mano destra. La madre aveva ragione; la differenza era abissale, soprattutto per una purista del suono come lei. Non avrebbe certo ripreso la destrezza di una volta, ma almeno poteva dirsi un vibrato sicuro e pulito.

Gettando uno sguardo alla madre dietro di lei, la vide sorridere e lo fece a sua volta interrompendosi per voltarsi e gettarle le braccia al collo.

“O mamma!”

“Visto? Ogni tanto dovresti fidarti dell’esperienza di tua madre. Non pensare di essere la prima violinista ad avere avuto un infortunio.”

“Grazie.” Soffiò sentendosi stringere a sua volta.

 

 

Lanciando l’ultimo ciocco nella cassetta, Haruka impugnò un manico aspettando che la sorella facesse altrettanto. “Credo possa bastare.”

“Pensavo che sul terrazzo di legna ne avessi ancora.”

“Certo che ne ho, ma avevo bisogno di sparire dai radar di quell’arpia.” Ammise uscendo ed aspettando che la bascula del box si chiudesse del tutto.

“In effetti ti ha studiato tutto il tempo.”

“Bella roba. Ma di un po’, prima di pranzo, sulla terrazza, di cosa avete parlato che rideva tanto?”

Una vigorosa spinta al maniglione d’emergenza e la porta anti incendio che portava all’ascensore si aprì e Giovanna passò per prima bilanciando il peso con la forza dei bicipiti. “Nulla di che. Visto che è una donna che mette parecchia soggezione, per rompere il ghiaccio le ho raccontato di come l’altro giorno io abbia fatto saltare l’impianto elettrico delle sale delle temporanee e Michiru abbia sclerato convinta fosse stato un topo.”

“Sempre la solita casinista! Cerca di tenertelo da conto questo lavoro.”

“Siiii. Tranquilla.”

“Tranquilla ha fatto una gran brutta finaccia.” Richiamando l’ascensore Haruka la fulminò chiedendole se fosse tutto li.

“Si, perché?”

“Non ti ha chiesto nulla di me?”

“No. E che avrei potuto dirle, scusa. So che Michiru le ha accennato della nostra storia, perciò sa benissimo che su di me non può contare più di tanto.”

“Be, in questi quattro anni qualcosa di me l’avrai pur capita.”

“Certo, che freghi a Pes, nella corsa, mi rubi tutte le patatine bruciacchiate che lascio per ultime ai lati del piatto, quando vieni da me mi finisci sempre la birra e non me la ricompri mai, che devo estorcerti gli abbracci con l’inganno e sto ancora aspettando il libro che ti ho prestato questo inverno.”

Guardandola storta Haruka ammise che erano altre le cose serie che sapeva.

“Tu dici?”

“Certo! Potevi dirle che sono affidabile, onesta, volenterosa, una gran lavoratrice, che sono leale sul lavoro e con gli amici e che amo sua figlia come se non più di me!

“Questo dovresti dirglielo tu.”

“A me quello che mi rode più di tutto è sapere quanto quella donna non mi possa soffrire. Non sono stata io a far fare a Michiru coming out e anche se fosse, sarebbe un punto d’onore e non di demerito!”

“Però venire è venuta.”

“Si, dopo otto anni!”

“Meglio tardi che mai. - Giovanna sorrise serafica avendo capito quanto all’amica avesse fatto piacere rivedere la madre. - Sai, mentre oggi le guardavo pensavo che tra le tre, Michiru è l’unica ad avere ancora un genitore. A me sarebbe piaciuto farvi conoscere la mia mamma. Come mi sarebbe piaciuto parlare con la tua, anche se visto il casino che ha combinato nostro padre non so se la cosa sarebbe stata reciproca.”

“Io credo di si.” Borbottò la bionda guardando le porte scorrevoli dell’ascensore aprirsi.

“Dici?”

“Sei appiccicosa Giovanna, appiccicosa e strana e quando hai la luna girata ti sbatterei al muro, ma le saresti andata a genio.

“Be, grazie. Non farmi tutti questi complimenti o potrei anche montarmi la testa.”

”Posso dirlo perché sono tua sorella e fai parte della mia famiglia.”

“Ok, passi. Dimmi, com’era tua madre?”

Per assurdo che fosse, non avevano mai parlato delle loro rispettive madri, forse per paura di ferirsi o di starci male. “Era una donna tenace, forte ed orgogliosa, ma anche dannatamente innamorata dell’amore, proprio come Michiru. Vedeva il buono in tutti anche se mi raccomandava sempre di farne passare di acqua sotto i ponti prima d’iniziare a fidarmi di qualcuno. - Sorrise spingendo il pulsante del terzo piano. - Ricordo che mi spalleggiava di continuo, soprattutto in campo sentimentale. Con le ragazze mi diceva sempre di andarci piano e mi tirava le orecchie quando secondo lei ,quella di turno non la trattavo a dovere. Era così diversa da Flora. Per lei la mia omosessualità non era un problema, invece pare che per quella donna sia il centro di tutto.”

“Non lo sarebbe stata neanche per la mia. Nel sapere che Sebastiano aveva avuto un’altra figlia non dicendomelo, credo ci sarebbe rimasta un po’ male, ma poi nel vederci insieme avrebbe sorriso e sarebbe stata contenta.”

Haruka stemperò guardandola di sottecchi. “Contenta che mi estorci baci e abbracci?”

“Anche. Sei così stitica… Devo pure inventarmi qualcosa. Sai, il mio più grande rammarico è di non avere ricordi che comprendano entrambe, perciò se puoi… provaci Ruka. Prova a soprassedere al fatto che Flora non ti accetti.”

“Non è facile Giovanna!”

“Lo so. Come so che per amore ci proverai.”

Ricordi, pensò la bionda. Michiru era l’unica che poteva ancora costruirne e la sorella aveva ragione.

Quando aprirono la porta dell’appartamento trovarono Flora e Michiru che guardavano le foto che quest’ultima voleva da sempre sul davanzale del caminetto. Cosa che mandò per l’ennesima volta Tenou fuori rotta.

“Non tornavate più.” Esplose la compagna con un sorriso luminosissimo.

“Scusa amore. Il box è un macello. Ho fatto fatica a trovare la legna. Però mi sono ricordata di prenderti il cellulare.”

“Grazie.”

“Voi cosa stavate facendo?”

“Sto facendo vedere a mamma le foto che ritengo essere più belle. Ci sei anche tu Giò.”

“Si, quella oscenità che continui a chiamare la vostra prima foto insieme. Signora Flora, di grazia, glielo dica anche lei che va tolta da li. Mi si vede solo il naso e la cosa non è affatto lusinghiera.” Disse neanche troppo scherzosamente lasciando la cassetta alla sorella per poi fare per congedarsi.

“Ragazze, si è fatto tardi. Io andrei. Signora Flora è stato un piacere. Se vuole, più tardi posso accompagnarla io al suo albergo. Ho la macchina ancora sul piazzale.”

“Grazie. Non ho prenotato, ma ho visto che c’era una gran disponibilità di camere praticamente in tutti gli alberghi della città.” Commentò tranquilla chiedendo poi alla figlia d’indicarle la struttura che secondo lei avrebbe fatto al suo caso.

“Sono tutte valenti, puoi scegliere quello che vuoi…”

“Io avrei un’altra idea. - Intervenne Haruka iniziando a sistemare la legna nella bocca del camino. - Potrebbe sempre restare qui da noi.”

 

 

Passando l’ultimo cuscino alla compagna, Michiru aprì con un semplice gesto il divano letto che si trovava nel suo studio. Questa mossa Haruka doveva proprio spiegargliela.

“Mi hai stupita, lo riconosco. Mai mi sarei aspettata un invito simile da parte tua. Primo perché non sopporti avere gente per casa e secondo… - Abbassando la voce le sorrise grata. - …perché non sopporti lei.”

Alzando le spalle Haruka distolse lo sguardo facendo una smorfia. “Che vuoi che ti dica…”

“Dimmi che mi ami.” Suggerì posandole gli avambracci sul collo.

“Mi sembra di avertelo appena dimostrato.”

“E’ vero e ti ringrazio, ma… dimmelo.”

“Mamma mia! Non ti sarai presa la stessa malattia di Giovanna?!”

“In che senso?”

“Lo so io. Comunque si… ti amo.” Le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire.

“Sai, la mamma mi ha insegnato un trucchetto per suonare meno scolasticamente.”

“Ecco perché sei tanto euforica.” Affermò iniziando ad accarezzarle la vita. Era calda e perfetta la sua Michiru.

“Si.”

“E funziona?”

“Mi sembra. In più mi ha chiesto di raccontarle un po’ di noi. Ecco perché le stavo facendo vedere le foto sul camino.” Occhi negli occhi si avvicinò tanto da strofinare il naso contro la punta di quello dell’altra.

Haruka percepì una certa eccitazione nel comportamento della sua dea, tanto che dovette monasticamente farsi forza per allontanarsela un po’ dal corpo.

“C’è tua madre di la e se ci vedesse… Addio a tutti i progressi fatti non so neanche io come.”

“Va bene…”

“Dai, finisci di farle il letto. Io vado stoicamente a reggere le barricate.”

Un fugace bacio e la bionda tornò dalla loro ospite intanto molto concentrata sulla collezione di modellini. Occhi incollati alla vetrina, Flora sembrava realmente interessata a quella che per Michiru era invece un vero accumulo di polvere.

“Credevo che l’avrei trovata a guardare la collezione di dischi di sua figlia.”

“In realtà stavo provando a vedere se tra i tanti modellini ci fosse la moto che mio marito aveva da giovane.”

Spalla a spalla la bionda se la guardò stupita. “Il modello?”

“BMW R75 - Rispose fieramente gonfiando il petto. - Erano gli anni settanta e a me e mio marito ci piaceva passare le giornate libere su e giù per le strade. Poi la nascita di una figlia e gli impegni sempre più pressanti ci suggerirono di mettere la testa a posto. Ma la vedo stupita…”

“Un po’… Comunque no, quel modello non ce l’ho.”

“Ma come, è un must!”

“Lei ha ragione, moto teutone estremamente affidabile, ma sono anche conscia che se aumentassi il numero dei miei modellini sua figlia mi caccerebbe di casa.”

E per la prima volta da sempre, contro ogni logica e previsione, due donne bizzose che si erano fatte la guerra per anni, una attaccando e l’altra difendendosi, risero insieme.

“Michiru mi ha detto che anche lei ha una moto.”

“Si! Aspetti…” Andando verso la libreria, la bionda afferrò un testo dalla copertina rossa e bianca che poi altri non era che l’annuario della Ducati del 2018. Sfogliando le pagine patinate arrivò ad un paio di fotto a suo giudizio mozzafiato.

“Ducati Panigale 959. E’ una bellezza, glielo assicuro. 955 centimetri cubici di potenza, motore quattro tempi, cilindri a V. Una volta risolti i problemi al forcellone, questa bambina me ne ha date di soddisfazioni…”

Nell’esprimere ciò che vedeva fotografato su quelle pagine, Haruka s’infervorò talmente tanto che Flora sorrise chinando leggermente la testa da una parte. La bionda rivide in quel gesto la sua dea e vergognandosi si ammutolì di colpo.

“Certo è parecchio sportiva. Sta attenta quando ci porta mia figlia, vero?”

Riprendendo quota la donna più giovane richiuse il libro facendosi seria. “Si, certo.”

“Allora intesi.”

“Mamma, la stanza è pronta.” Michiru uscì dal suo studio e nel vederle insieme in quella sorta di tregua, rimase bloccata con le dita sull’interruttore.

“Grazie cara, credo che ne approfitterò per coricarmi subito.”

“Non vuoi cenare?”

Flora andò vicino al trolley dimenticato in un angolo dell’ingresso ammettendo di essersi saziata a pranzo. “Quale dei due bagni posso usare per non darvi troppo disturbo?”

“Usa pure il mio. Vieni, ti do gli asciugamani.”

Haruka le vide entrare nell’ambiente dalle maioliche gialle che oltre alla cucina e al suo studio, componevano il regno della compagna, iniziando a sentirsi ancora più nervosa di quanto non lo fosse già stata per tutto il giorno. Ruka, prega di non avere fatto il passo più lungo della gamba, pensò tornando a concentrarsi sul camino.

 

 

Quella domenica mattina Michiru si svegliò di buon ora. Intenzionata a preparare una sostanziosa colazione, si prese tutto il tempo per fare le cose per bene, alla sua maniera. Abbandonando la penisola che in genere vedeva lei e la compagna iniziare la giornata, sistemò il tavolo disponendo tutto l’occorrente per soddisfare i gusti di sua madre, poi, una volta davanti ai fuochi, iniziò a preparare le uova alla Benedict, un piatto che a Flora, bernese purosangue, era sempre piaciuto molto.

Quando cinque minuti dopo Haruka uscì dalla loro stanza, tutto si sarebbe aspettata tranne di avere le narici invase da quell’olezzo terrificante. “Dio del cielo… Ma che cosa stai facendo?” Chiese avvicinandosi con circospezione.

“Sei svizzera e non riconosci una tipica colazione elvetica?”

“Sarà colpa della parte italica che ieri mi hai intimato di tirar fuori.” Rispose scherzosamente afferrandole i fianchi da dietro per cercarne il collo con le labbra.

A quel tocco però, Michiru si scansò un poco non staccando gli occhi dalla padella.

“Che c’è?”

“Nulla. Ho da fare, amore. Voglio che sia tutto perfetto.”

“Sei sicura?”

Ma sentendola nuovamente vogliosa di un contatto, Kaiou si scansò ulteriormente.

“Michi… - Voltandole un poco il mento per costringerla a guardarla, Haruka cercò d’imporsi anche con l’aiuto della statura. - Che cosa avrei fatto questa volta?”

“Non lo capisci da sola?” Ed ecco la conferma.

Lasciandole il viso per poggiarsi al piano di granito della penisola, la bionda scosse la testa aspettando una spiegazione.

“Ti sei scansata!”

“Quando?”

“Questa notte! Non hai accettato le mie carezze ed è stata la prima volta Haruka!”

L’altra sbatté le palpebre ricordando. In effetti la compagna aveva ragione. L’aveva sentita accoccolarsi contro la sua schiena, preludio ad uno dei classici approcci che usava quando la voleva. Da li, le sue dita avevano iniziato ad insinuarsi tra le pieghe della T shirt della bionda puntando decise all’attaccatura del seno.

Haruka l’aveva fermata un attimo prima che iniziasse e giocherellare con uno dei suoi capezzoli.

“No, Michi mia… E’ tardi. Dormi.” Le aveva sussurrato per poi raggomitolarsi ancor più in posizione fetale.

“Tutto qui?! Ero stanca, dai.” Cercò di tagliar corto.

“Eri stanca? Da quando ti conosco non sei MAI stata troppo stanca da sottrarti alle mie carezze. - Disse voltandosi di scatto. - E smettila di minimizzare! Questa cosa mi ferisce ancora di più.”

“Non voglio che tu ti senta ferita o offesa.”

“Ma lo sono!”

Allora vista la situazione, Haruka dovette cedere e confessare l’esatto motivo di quel gesto. “E’ da quando eravamo nel tuo studio che ho capito che mi volevi, ma…”

“Ma?” Incalzò.

“Porca miseria, non lo capisci? C’è tua madre di la!”

“Se credi ci avrebbe sentite, ti ricordo che tra la nostra stanza e lo studio ci sono due bagni… Alias tre muri e circa quattro metri!”

“Si…, va bene…” Lamentò poco convinta cercando di chiuderla li, ma andandole sotto Kaiou non demorse.

Si va bene, cosa?”

“Lascia perdere. Non voglio essere fraintesa.”

“E no! Adesso parli.”

“Se proprio insisti. Vedi Michi mia, forse tu non te ne rendi conto, ma quando… - Abbassando la voce al minimo, Haruka si sporse verso il suo viso. - …quando hai un orgasmo, spesso e volentieri ti capita di essere, come posso dire,…, un po’ esuberante.”

“Esuberante?!”

“Rumorosa! Sei rumorosa amore. E tanto!”

Spalancando gli occhi e corrugando la fronte l’altra tirò il busto indietro non credendo alle proprie orecchie. Haruka fu lesta nel mettere immediatamente le mani avanti.

“Non fare quella faccia, non è una cosa brutta, anzi mi ha sempre eccitata da morire, ma converrai con me che con tua madre nello stesso appartamento…”

Bastarono solamente un indice ed un medio alzati di scatto a mezz’aria e la bionda si azzittì di colpo. Lo sguardo di Michiru fu più eloquente di mille insulti urlatigli contro e quando dopo aver spento i fornelli si diresse a passo di carica verso la loro stanza, Haruka capì inequivocabilmente che questa volta il dazio da pagare all’Olimpo della sua dea sarebbe stato salatissimo.

 

 

A Flora venne da ridere, si perché altro non poteva fare vista la situazione nella quale sua figlia l’aveva cacciata. A braccia conserte si strinse nella giacca da motociclista che proprio quella stessa subdola creatura le aveva prestato.

“Non c’è che dire Haruka…,; Michiru ci ha proprio intortate per bene.” Ammise voltando il collo verso la donna che poggiata alla sella della sua moto, si stava godendo il panorama usando la sua identica postura.

“E noi ci siamo cascate come due allocche. Senza offesa.” Aggiunse sospirando rumorosamente.

“Senza offesa.” Rimarcò tornando alla valle che si estendeva sotto di loro.

Flora non avrebbe mai pensato che sua figlia sarebbe arrivata a tanto, o forse avrebbe dovuto quanto meno immaginarselo quando dalla porta dello studio, l’aveva intravista parlottare animatamente con Tenou per poi defilarsi imbufalita nella loro camera da letto.

Per le restanti due ore Michiru era stata con la bionda, intrattabile, ostile, dittatoriale, insomma, una vera e propria spina nel fianco. Haruka si era lasciata comandare a bacchetta girando come una trottola per casa dietro a puerili faccende che come un buon soldato aveva eseguito senza batter ciglio, masticando amaro, lanciando occhiatacce, ma non rispondendo mai a quelle che a Flora sembravano provocazioni.

Conosceva molto bene quell’atteggiamento d’arpia, perché lei stessa lo aveva usato in gioventù con suo marito Victor e negli ultimi anni con Paul, per punirli di qualche loro mancanza, ma oltre a questo Flora non aveva visto e non pensando minimamente a qualche assurda subdola strategia militare, aveva accantonato quella rappresaglia di coppia non volendosene minimamente occupare. Tutto sommato la signora Tenou era una persona gradevole, ma lungi da lei immischiarsi nel suo rapporto con Michiru. Ed invece avrebbe fatto meglio ad essere più accorta, perché, quando francamente stanca di quel suo assurdo comportamento, Haruka aveva espresso il desiderio di uscire, la compagna ne aveva approfittato andando a dama con entrambe.

“Ricordati che abbiamo un ospite e l’andarsene la trovo una cosa estremamente maleducata…” Le aveva detto guardandola indossare giubbotto e sciarpa.

“Senti Michiru, a me dispiace di averti involontariamente offesa, questa notte, questa mattina o in una vita precedente, ma sono stufa del tuo comportamento, perciò se non vuoi che ti manchi di rispetto un’altra volta rispondendoti male di fronte a tua madre, sarà meglio che mi lasci un’oretta in santa pace.”

“Vuoi uscire proprio adesso?!”

“Si! Il tempo è splendido per una corsetta.” Afferrando le chiavi della Ducati aveva cercato di non badare agli occhi di brace che l’altra le stava puntando contro.

Andarsene sarebbe stata un’azione veramente scortese e Haruka sapeva perfettamente di stare per innescare una critica da parte della signora Flora. Ma poco le importava.

“Bene…, allora vai Haruka, ma… - Il sorrisetto sornione da disfida cavalleresca che aveva sollevato leggermente gli angoli della bocca di Michiru, avevano preannunciato la disfatta della sua povera compagna. - … sarebbe carino che portassi anche mia madre.”

Haruka e Flora, seduta su uno sgabello della penisola, avevano allora esploso un cosa all’unisono.

“Amore…, vado in moto.” E le aveva tintinnato davanti le chiavi.

“Lo so. Non vedo quale sia il problema. A mia madre piacciono. Vero mamma?”

“Cara, non credo sia il caso.”

“O e perché mai?”

“Te lo spiego io il perché Michi. Non pretenderai mica che la faccia salire in moto all’amazzone?!”

Aveva abboccato con tutte le scarpe Haruka. scarpe, calzini e tutto il resto, così come Flora, che sentendosi forse derisa, forse sfidata, era intervenuta per mettere i puntini bene evidenziati sulle I.

“Mi dispiace deluderla, ma so come si va in moto.”

“A si? - Arpionandosi i fianchi la bionda aveva allora alzato il mento convintissima che quella donna non si sarebbe mai spinta oltre. - Vogliamo provare? Ma badi; i motori di oggi sono assai più performanti di quelli del secolo scorso. Non so se mi spiego.”

“Cara, non sono stata giovane nella preistoria. Crede forse che io abbia paura della velocità?”

“Ne sono quasi certa.”

“Non so cosa le dia tutta questa smisurata sicurezza, ma per me va benissimo. Ho un paio di pantaloni comodi che faranno proprio al caso nostro.”

Così era stato; Michiru le aveva salutate mezz’ora più tardi complimentandosi con se stessa e tornando a godersi la pace ritrovata.

“Secondo lei quand’è che sua figlia avrebbe deciso questa cosa?” Chiese Haruka alzandosi gli occhiali da sole dal naso per guardare Flora dritta negli occhi.

“Non saprei, ma le posso assicurare che sapeva già come sarebbe andata a finire. Ci ha pungolate quanto basta aspettando la nostra reazione.”

“Sa una cosa? Sua figlia è diabolica.” Ammise la bionda scuotendo la testa.

“Non lo aveva ancora capito?”

“Riesce sempre a farmi fare tutto ciò che vuole, questo è vero, ma… - Stringendo le labbra s’interruppe una frazione di secondo. - Si. In effetti…, lo sapevo già.” E non le rimase altro che ridersela.

“Comunque aveva ragione sulla sua moto; è veramente molto, aspetti come ha detto? Performante.”

Haruka si grattò la testa tornando ad inforcare gli occhiali. “Mi perdoni. Non intendevo offenderla.”

“Non si preoccupi. E’ stata una bella corsa, anche se spero che con Michiru non corra così tanto.”

No. Mai. Lo aveva fatto solo per fargliela fare nei pantaloni, ma visto il viso serafico di Flora, aveva fatto clamorosamente cilecca anche in quello.

“No, signora Kaiou. Amo troppo sua figlia.” Si lasciò scappare e non se ne pentì affatto, perché era la sacrosanta verità.

“Vogliamo andare?”

“D’accordo.” Disse la bionda inforcando la sella ed infilandosi il casco.

Proprio al ritorno da quell’assurdo giro su due ruote, sul piazzale del parcheggio di fronte alla palazzina dove viveva sua figlia, Flora vi trovò Paul ritto in piedi accanto alla sua auto. La sorpresa della donna non fu neanche lontanamente paragonabile a quella di lui nel trovarsela aggrappata alla schiena di un centauro che altri non era che la donna di Michiru. Haruka lo salutò, aspettando che la passeggera scendesse e dopo aver ripreso il casco li lasciò da soli imboccando la discesa che portava ai box.

“Non avrei mai pensato di trovarti qui.” Esordì la donna passandosi per puro vezzo femminile una mano fra i capelli per ravvivarli un po’.

“Ma lo speravi.” Sorrise lui sornione penetrandola con i suoi grandi occhi castani.

“Non scherzare con me Paul. Lo sai che non ti conviene.” Eppure era così felice di vederlo.

“Lo so Flora, ma converrai che questa volta non sia mia la colpa. Sei stata tu a travisare le cose, tu a sbattermi davanti al tavolo dei giudici e tu a farmi condannare pur sapendo della mia innocenza.”

“Di questo non posso ancora esserne certa.”

Paul l’aveva tradita un’infinità di volte, ma mai con i sentimenti, ed anche se questo per una qualsiasi donna equivale sempre ad un’umiliazione, il sostegno che quell’uomo terribile sapeva darle non aveva prezzo. Lui tornava ogni volta. Ma dopo tanti anni passati insieme e tanti rospi ingoiati a forza, complice anche la drastica riduzione dei concerti e perciò la mancanza di una valvola di sfogo, Flora non era più disposta al perdono. Anche se forse questa volta, l’aspettarsi il peggio l’aveva fatta scattare ancor prima che quest’ultimo si fosse realmente consumato.

“Ancora non mi credi? Nonostante tutte le prove in tuo possesso?” Avvicinandosi la vide abbassare per un attimo lo sguardo. Era testarda, ma non stupida.

“Sei scappata come una scolaretta.” Le bisbigliò all’orecchio provocandole stizza.

“Piantala! Mi ci hai costretta.”

“Si e ti è piaciuto, perché sapevi che ti avrei inseguita.”

“Come facevi a sapere che fossi venuta proprio qui?” Domandò cercando di non badare a quello che il suo fiato caldo stava facendo ai suoi sensi.

“L'altro giorno non è stato il compleanno di Michiru?”

“E allora?”

“Ho provato ad indovinare. Le ho fatto una telefonata, ma è stata una tomba, perciò se non fossi arrivata avrei dovuto aspettare qui per tutto il giorno sperando di averci visto giusto.”

Flora sorrise arpionandogli il sale e pepe dei capelli. “Le donne Kaiou sanno sempre come comportarsi.”

 

 

Inarcando schiena e collo, Haruka urlò all’esplosione del suo piacere schiacciando subito dopo le spalle al materasso.

“Oddio… “Ansimò sentendo il corpo nudo della sua dea scivolarle languido lungo il fianco.

Per un lungo istante nella loro camera da letto immersa nella penombra e nel silenzio della notte ci fù l'immobilità piu' assoluta, poi colei che aveva iniziato e condotto quell’univoca danza, ridacchiò vittoriosa costringendo la bionda a rivedere gran parte delle cose che le aveva detto quella stessa mattina.

“Lo hai fatto apposta…” Inquisì affannata.

“Non so assolutamente a cosa tu stia alludendo, amore.” Rispose Michiru tornando ad accarezzarle la pelle dello sterno come se stesse disegnando non so quale figura ancestrale.

“Si che lo sai. Cosa ti sarebbe preso altrimenti?!”

“Avevo solo voglia di farmi perdonare...”

“Non ti credo.”

“… per averti trattata male…”

“Bugiarda.”

“…per il tiro mancino che ti ho lanciato con mia madre…”

“Tzs…”

“… e per averti costretta ad andare al ristorante con lei ed il signor Maiers prima del loro ritorno a Zurigo.” Concluse tornando a ridergli nell’incavo del collo.

“Kaiou… Slegami!” Soffiò divincolando le mani saldamente bloccate alla testiera dalla grazia di un foulard colorato.

“Perché? Mi sembrava stessi gradendo.”

“Non mi piace stare sotto, lo sai.” Si difese voltando il viso verso la porta, perché anche se sapeva che nella penombra della stanza Michiru non avrebbe mai potuto metterla a fuoco, si stava vergognando da morire.

“Ma ogni tanto ami che sia IO a prendere il controllo…”

“Si, ma ora sciogli questi nodi.”

“Ne sei proprio sicura? Eppure Haruka, ti ho vista così… esuberante.”

E la bionda ebbe la conferma dell’enorme astuzia della sua donna. Si era presa la vendetta che tanto aveva bramato e pianificato per tutta la giornata e lei era stata l’inconsapevole preda di quel banchetto lussurioso iniziato come un gioco e finito con l’estasi.

“Michi…”

“Non ci sarà mia madre, ma non so se hai notato come la testiera del nostro letto confini con il vano scala…”

“Michi…” Piagnucolò disperata rilassando le braccia sopra la testa.

“… Ed essendo le due del mattino non avresti dovuto fare così TANTO RUMORE, amore mio.”

“Ti ho detto che mi eccita sentirti gemere.”

“Sapessi quanto eccita me sentirti urlare.” E scoppiarono a ridere tornando a baciarsi.

“Si, ma adesso slegami. Voglio sentire la mia dea sotto di me e renderle la giusta pariglia.”

 

 

 

Salve a tutte/i. Torno a bussare alla vostra attenzione con un’altra one shot, ringraziando TenouHaruka10 per l’idea di far nuovamente scendere in campo Flora. Ecco perché, pur non amando quello che ha rappresentato per il mondo il nome Elona Gay, ho voluto chiamare questo capitolo così; una sorta di bombardiere a forma di madre piombato sulle teste delle nostre ragazze senza il ben che minimo preavviso. Spero vi sia piaciuto e che vi abbia portato un po’ di allegria.

Ciauuuu

 

   
 
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