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Autore: Enchalott    08/03/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ultima battaglia del Sud
 
Kiyan strinse il laccio di corda ai cui estremi erano ancorati due pesi sferici: l’arma con cui gli Alkivion catturavano gli animali selvatici, non certo adatta alla difesa personale o alla guerra.
Il cielo sopra la valle di Trodora sembrava sul punto di cadere. Il suolo brullo ebbe un ennesimo sobbalzo e la parete rocciosa che chiudeva uno degli imbocchi rovinò in pezzi. Il capotribù osservò le espressioni spaurite dei suoi e quelle altrettanto terrorizzate dei Rhevia: nessuno era in grado di combattere, sarebbe stata una mattanza se le creature dell’oscurità avessero stabilito di ghermirli.
Erano giunte in quel luogo remoto, serpeggiando tra le rocce e fiutando la paura alla stregua di un’orma, come se al mondo sussistessero così tante tenebre che sarebbe stato impossibile sfamarle tutte. I daimar si erano bloccati senza apparente ragione, fluttuando nelle ombre delle rupi, cercando riparo dalla luce fioca che era il giorno corrente, sospendendo la fruttuosa ricerca.
Kiyan stava riflettendo, tallonato dall’ansia: fuggire sarebbe stato un invito alla caccia grossa, restare un offrirsi inerme all’ecatombe.
«Siamo pronti, bailye» mormorò una voce pacata «Spaventati, ma pronti. Non serve che vi crucciate.»
Uno dei Rhevia, un anziano dall’espressione gentile, si avvicinò malfermo sulle gambe, sorreggendosi con un bastone nodoso e facendo tintinnare i giri di collane.
«Ho scorto differenti modi di lottare e di vincere. Sebbene ciò non corrisponda talvolta alla sopravvivenza fisica.»
Il portavoce degli Alkivion sogghignò.
«Ho la sensazione che sia l’unica via. Raduna i tuoi, darzan, ci batteremo insieme.»
Il vegliardo annuì, commosso per essere stato chiamato “padre adottivo” e si allontanò per riunirsi allo sparuto gruppo di compagni. A sua volta Kiyan segnalò alla sua gente di raccogliersi: strinse a sé gli affetti più cari, attendendo ciò che sarebbe stato, ripulendo la mente da ogni ascendente negativo. Ce l’aveva messa tutta per salvaguardare quegli innocenti. La migliore uscita di scena sarebbe stata non dare soddisfazione agli assassini che li avevano circondati.
«Nessun motto di spirito stavolta?» gli sussurrò la moglie.
«Non saprei, Hysae. Ora come ora mi sto concentrando per andar loro di traverso.»
La donna sorrise, confortata dall’immancabile ottimismo del marito.
La luce svanì. I demoni iniziarono a sciamare per la vallata con rinnovata furia.
 
Sulle mura di Erinna gli arcieri avevano smesso di tirare. Dopo l’ultima scossa, che aveva prodotto una crepa nelle cinte fortificate, la visibilità compromessa dalla polvere si era estinta.
Phylana si era riparata dietro la merlatura con il cuore in gola, portando impressa l’immagine orribile dei demoni che accerchiavano ad artiglio i guerrieri elestoryani, sigillandoli in una morsa formicolante e famelica. La sua faretra era quasi vuota: era riuscita a conservare alcune frecce avvelenate, certa che i daimar sarebbero penetrati attraverso la breccia e avrebbero portato l’attacco decisivo dall’interno. Incoccò un dardo, spingendo lo sguardo affaticato al cortile interno, avvolto dal chiaroscuro innaturale, in attesa del primo avversario.
Un’ombra si mosse lungo il perimetro di pietra. La ragazza si preparò a scoccare.
«Phylana!»
«Anshar! Che fai qui!?»
Lui si acquattò, appoggiando la schiena al riparo del muro. Portava la spada e si era liberato delle bende al braccio, ma l’aria sofferente era un evidente indizio sul suo fragile stato di salute.
«Non posso starmene in disparte mentre gli altri si mettono in gioco.»
«Sciocchezze! Non sei guarito!»
«Conto di non muovermi. Questa è solo per figura» sorrise lui, toccando l’arma.
«Che idea avventata! Se Neyosh lo sapesse, ti riporterebbe a forza nel padiglione medico! Quasi quasi lo mando a chiamare!»
«Neyosh è in un posto meno pericoloso di questo.»
«Come? Aveva giurato che ti avrebbe protetto!»
«Gli ho chiesto di starmi lontano. Per la prima volta da quando ci conosciamo, gli ho impartito un comando in qualità di suo principe. Quello di scegliere la difesa di una zona meno esposta della città.»
C’era una profonda amarezza nelle sue parole, ma il suo sguardo era fermo.
«E perché mai?»
Anshar sollevò la destra con le dita tese a indicare una cifra.
«Non più di cinquanta. Tale è il numero dei superstiti della mia tribù. Non ho eredi, se non dovessi sopravvivere, il mio successore sarà Neyosh. È un modo per dividere le nostre strade e le nostre possibilità, non certo i nostri cuori. Uno di noi due, se gli dei lo vorranno, continuerà a prendersi cura dei Rhevia.»
«Sarà furente! Non credi che il dispiacere lo esponga ai demoni?»
«Non più della prospettiva di vedermi esalare l’ultimo respiro. È l’unico sistema per salvaguardare lui e la nostra gente. Preferisco che mi detesti, ma che viva.»
Lei avvertì una stretta al petto. Il coraggio che emanava dal giovane era tangibile e si mescolava al suo indomabile spirito di sacrificio. Lo stesso che l’aveva salvata in più di un’occasione. Capiva. Capiva perché Neyosh lo amasse tanto. Per lei era lo stesso, solo da meno tempo.
«Da uomo» proseguì Anshar «Ho intenzione di combattere, non di nascondermi a prezzo dell’esistenza altrui. Questa lama o i tuoi strali sono impotenti contro l’oscurità. È il cuore che deve respingere la tenebra, mostrarsi saldo, non provare timore. È l’anima che deve rimanere immacolata. Suppongo che conservarsi interiormente sani non sarà impresa da poco. Neyosh ha un alto ufficio, non si lascerà sopraffare. Quanto a me, se ti resto vicino, sento di poterci riuscire.»
Phylana lo contemplò trasognata. Era l’ennesima prova della sua saggezza, unita all’affetto profondo che le aveva espresso. Gli prese la mano e lui se la portò alle labbra, sfiorandola con un bacio.
«Se guardo te» continuò il bailye sottovoce «Non mi confonderò, l’amore che provo è la mia guida. E non esiste altro luogo in cui vorrei morire.»
«Non voglio» mormorò lei.
«Cosa vorresti?»
«Ascoltare il tuo flauto.»
Lui estrasse l’ògera dalla cintura di seta.
«Non sarà la mia esibizione migliore.»
«Non sforzare l’articolazione per un mio capriccio! Era un desiderio ipotetico…»
Gli occhi striati di giada del capotribù luccicarono nella penombra.
«Niente congetture. Chiedi e basta.»
La Aethalas avvampò. Lui possedeva il potere di interpretarla. La sua espressione serena le trasmetteva quiete e fiducia.
«Baciami.»
Anshar si chinò e con estremo riguardo impresse le labbra sulla sua fronte. Phylana sollevò il viso e gli offrì la bocca, ricambiò il contatto con iniziale timidezza, poi con una passione che non pensava di possedere. Lui divenne intenso, la strinse tra le braccia, percependo che i loro desideri erano venuti a coincidere.
«Non ho mai baciato nessuno così» sussurrò paonazza.
«Nemmeno io. Siamo sangue del deserto, ci è impossibile amare piano. Non è così?»
Il clamore della battaglia sottostante, che per un istante si era acquietato, riprese con rinnovata violenza, accompagnato dal calare delle tenebre innaturali del male.
«Anshar… ho paura!»
Il giovane trasse il fiato. Intonò un canto e la voce limpida vibrò nell’aria.
 
L’amore ha ascoltato l’invocazione
Stanotte canterà per te
Danzerà nei tuoi sogni
Farà lo stesso ogni domani
Finché il dolore non si smorzerà.
Oggi sarà lui ad alzare la guardia
E la morte non avrà dominio
 
Eudiya stese il braccio: Yerde scosse le ali robuste, assestandosi sulla polsiera di cuoio ribattuto. Gracchiò allungando il collo snello e aprendo il becco ricurvo. Il suo sguardo fiero restò su di lei, in attesa di nuove richieste.
Gli occhi della regina si velarono di commozione: Stelio era tornato, lo strik non aveva espresso dubbi, dopo il rischioso giro di perlustrazione cui lo aveva destinato.
Aveva avvertito l’incrementare del conflitto, ma non era stata in grado di identificare i nuovi venuti: spingere lo sguardo nella confusione delle tenebre che era stato inutile. I messi notizie funeste: le anime prescelte e soggiogate dai daimar avevano rimpolpato le fila degli attaccanti, rendendo superfluo ogni tentativo di difesa. Un tempo erano state i guerrieri appartenenti alle tribù del deserto, ora divenute vittime inermi, costrette a prostrarsi all’oscurità. Uomini rivolti con crudele progettazione, contro la loro stessa gente.
Sporta dalla balconata, aveva udito un’acclamazione gioiosa. Aveva scorto il terzo reparto dell’armata abbandonare la difesa interna delle mura, per lanciarsi in una carica inconsulta. Sapeva che era l’ultima risorsa: se Rei aveva deliberato di far intervenire Neli Delas, era accaduto qualcosa di imprevisto nel bene o nel male.
Era corsa alla torre degli strik per liberarsi dal dubbio atroce, dalla risoluzione del quale sarebbe dipeso tutto, compresa la vita di sua figlia. Rabbrividì al pensiero di Dionissa, che l’aveva allontanata, scegliendo di rimanere con un paio di levatrici. Pregò gli dei affinché l’assistessero nel travaglio, le dessero la forza di stringere tra le braccia la sua bambina, di sopravvivere al parto complicato e all’apocalisse.
Yerde lanciò un richiamo, irrequieto, scrutando la scena sottostante. Forse il sesto senso di predatore gli consentiva di cogliere le sfumature del conflitto, forse le sorti del creato lo rendevano impaziente.
Anche la regina sapeva cosa fare. Vergò poche righe su una strisciolina di carta e la infilò nell’anello del messaggero.
«Vola, Yerde! Trova il generale! Trova Rei!»
Il rapace volteggiò nel cielo straziato, scendendo in un’ampia spirale verso l’infuriare cruento della battaglia.
Eudiya rientrò nella torre. Tutti gli strik diressero a lei le iridi colorate, emettendo rugginose grida di attesa e velata protesta.
«È il momento, miei amati fratelli. So cosa chiedete e ve lo concedo, sebbene il mio cuore si colmi d’angoscia al pensiero di perdere uno di voi. Andate, il re è qui e ha bisogno del vostro aiuto!»
I volatili si staccarono dai trespoli, imboccando l’uscita in un frullio di piume.
 
Dare Yoon spronò il cavallo, aprendosi la strada attraverso l’orda scatenata degli Anskelisia e guadagnando un sofferto metro verso la sua città natale. La spada sguainata era lucida di sangue, l’uniforme era un mosaico di macchie rossastre e spruzzi scuri. L’odore della morte stagnava ovunque.
Soresh rispose al comando, incrementando l’andatura.
Quando erano giunti in vista di Erinna, il reggente aveva lanciato il segnale d’attacco e l’armata dei guerrieri del deserto era scattata in avanti, prendendo i nemici alle spalle. L’arrivo insperato del principe aveva scatenato l’entusiasmo dei paladini del Sud, che avevano replicato in un’esplosione di prorompente sollievo, rifocillando le loro ormai flebili speranze.
L’esercito della capitale, pur schierato e pronto alla difesa, era stato colto di sorpresa dalla perversa tattica dei daimar nel punto in cui si sentiva sicuro. Le creature dell’ombra avevano usato le arti maligne per far sorgere dalla sabbia i gusci di carne fredda che una volta erano esseri umani, lasciati vuoti dai guerrieri divorati una notte dopo l’altra. Yfrenn-ammri li supportava, conferendo ai servi del Nulla la forza necessaria a controllare quelle larve prive di anima.
Dare Yoon imprecò, ruotando la lama nordica e scaraventando all’indietro un paio di Angeli, che avevano avuto l’ardire di attaccarlo.
Ciò che il suo tempestivo arrivo aveva impedito avvenisse tra le tribù, era purtroppo accaduto tra le mura di Erinna. Nonostante avesse fatto il possibile, l’ufficiale si sentì in torto: era un duello all’ultimo sangue tra fratelli, orchestrato con sottigliezza, volto a suscitare il terrore e la rabbia con cui si alimentavano. Qualsiasi vita spezzata era un punto a loro favore.
Affondò il metallo nell’ennesimo avversario. Un richiamo familiare attirò la sua attenzione. Fece voltare il destriero con una mossa di talloni.
«Dovresti guidare gli Iohro alla scarpata» gli disse Eisen, mandando al trotto il cavallo da guerra «I Melayr sostengono che i guai principali provengano da laggiù e che lo schieramento elestoryano sia stato sfondato. Conosci il territorio, altrimenti non ti chiederei…»
«Sono qui per combattere» sorrise il neo capitano «Non sfoderare il cerimoniale, farò ciò che è necessario.»
Il bailye annuì, ripulendo il balato dal liquido vischioso.
«Io prenderò il comando dell’ala destra degli alabardieri Thaisa. Niyla è ferito.»
«Allora non perdere tempo.»
«Varsya è pronto a coprirvi. Gli dei ti accompagnino.»
«Quelli?!» ribatté l’altro caustico, indicando la volta celeste che ribolliva di spaventosi  fulmini violacei «No grazie, come scorta mi basta la tua tribù.»
Eisen rise suo malgrado, fissando l’espressione fiera del suo allievo di un tempo.
«Promettimi di non diventare più sfacciato di Aska Rei.»
«Non corro il rischio. Buona fortuna, bailye
Il portavoce Iohro lo seguì con lo sguardo finché non fu inghiottito dalla sabbia. La risposta di Dare Yoon non era una battuta: lui sapeva. Sapeva che andare laggiù, dove i daimar convocavano i loro adepti, equivaleva alla morte.
 
Rei incitò i suoi, piantando i calcagni nei fianchi sudati del cavallo e percorrendo per la centesima volta il bordo frastagliato del burrone dal quale le anime carpite dal pozzo fuoriuscivano senza sosta.
«Generale!» gridò uno dei messi «Generale, Neli Delas non riesce a raggiungerci! Sono bloccati, gli Aethalas li respingono con le frecce! È impossibile passare!»
«Anskelisia vorrai dire» lo corresse il comandante «I Guardiani del Mare sono quelli che stanno proteggendo il nostro sovrano a costo della vita. Gli altri non sono che reietti, riciclati e con un arco in mano.»
«Sissignore» convenne il soldato, incerto alla definizione poco ortodossa.
«Riferisci che sto spostando metà del mio contingente. Mi occuperò subito di quegli impostori, non c’è scelta.»
Lasciò che l’araldo galoppasse via, poi diede il comando. Gli uomini piegarono come richiesto, ma le loro espressioni tese gli comunicarono quanto fosse arduo resistere.
Lanciò un’occhiata alla torre meridionale, che emergeva dalla rena vorticante: si terse il viso dalle tracce di sangue, nel vano tentativo di riacquistare un aspetto umano o perlomeno riconoscibile. Lo fece considerando che sua moglie sarebbe stata costretta a identificare il suo cadavere tra le migliaia che avrebbero inframmezzato le dune, sempre che la sabbia non optasse di seppellirlo per conto suo. Sollevò la lama e partì al galoppo.
 
Per un breve attimo Stelio aveva sperato che i daimar si stessero ritirando, quando aveva scorto la via sgombra e il grosso degli avversari si era ridotto ai soli ripudiati e ai loro sulluhat. Per un istante era stato attraversato dalla dannata illusione di sfondare le linee nemiche, ma l’effimera speranza era crollata in una manciata di minuti. Così come quella di ricongiungersi a Eudiya e di guidare l’ultima battaglia del Sud.
L’oscurità era riapparsa trionfante, liberata dall’ultimo impiccio, e il duello era ricominciato con violenza supplementare.
Gli Aethalas, guidati da Varsya in persona, erano rimasti sul crinale delle dune finché era stato possibile identificare i bersagli. Quando la polvere aveva saturato l’aria, erano scesi lungo i versanti sabbiosi, riponendo gli archi e sfoderando i pugnali falcati per gettarsi in un ardito corpo a corpo con gli Angeli.
La scelta era stata dettata, a prescindere dalla necessità, dalle ragioni personali dei Guardiani del Mare, che non avevano perdonato ai reietti quanto avevano fatto alla famiglia del loro bailye. Avrebbe voluto richiamarli all’ordine, ma quella tribù indomita aveva il sacrosanto diritto di scegliere come terminare i suoi giorni. Gli arcieri avevano servito il Sud con fedeltà, giungendo addirittura a simulare un’infamante rivolta per proteggere la loro terra.
Si sarebbe comportato allo stesso modo: Eudiya e i loro tre figli erano la ragione per cui avanzava indefesso, nonostante la consapevolezza che non sarebbe giunto a sfiorare le porte della sua città. Non da vivo.
Intorno a lui gli Haltaki lottavano brandendo gli eftaster, sporgendosi dalle selle dei corsieri da guerra senza risparmiarsi. Eppure i daimar non diminuivano, erano una marea bruna che non conosceva esitazione, come se ciascuno di essi fosse già padrone del circostante e considerasse i mortali semplici insetti da schiacciare.
Un movimento alla sua sinistra lo fece voltare. Parò appena in tempo il fendente, ma la spada gli scivolò dalle mani madide di sudore e di sangue.
Il sulluhat avanzò, privo di animosità negli occhi cinerini, terribile nella sua oscurità. La pelle livida era cosparsa di gocce nerastre e il triangolo impresso sul mento pareva volerle assorbire con repellente avidità. Il reggente afferrò lo stiletto, impossibilitato a recuperare un’arma di maggiore impatto. L’avversario si mosse con calma esiziale.
«Altezza reale, non leverò la mano su di voi se dichiarerete la resa. Il signore che ci guida pretende la vostra sottomissione. Fate in modo che sia spontanea.»
Stelio comprese che, se non avesse obbedito, quello avrebbe richiamato l’attenzione di un daimar. L’avrebbero tenuto in vita allo scopo di ricattare gli elestoryani, ma lo avrebbero domato con la coercizione, privandolo della volontà. Rifiutò entrambe le possibilità e si preparò a combattere all’ultimo sangue.
Prima che potesse intentare qualunque mossa, qualcosa piovve dal cielo con la forza di un maglio e scaraventò a terra il nemico, infierendo su di lui con indomabile ferocia. Il principe riconobbe il suo salvatore e fissò a bocca aperta la scena cruenta.
«Mandaree?» balbettò incredulo.
Lo strik dalle piume di fiamma lanciò un grido acuto e con un affondo del rostro cavò gli occhi al sulluhat. Gli altri messaggeri alati risposero al richiamo volteggiando in cerchio.
 
Rei sgusciò a fatica dal cavallo, stramazzato. Non fece in tempo a constatare di essere intero, che tre nuovi nemici si appressarono, brandendo le lame. Si raddrizzò zoppicando e ringraziò gli dei per non aver perso la presa sulla spada.
«Quale sfoggio di lealtà» borbottò tra i denti.
Decise di anticiparli e caricò con un montante che squarciò la tunica al più vicino. Il demone ghignò tutt’altro che impressionato. Gli altri due reagirono, impegnandolo in un duello di molteplici mani, troppo abili per essere contrastate da un solo avversario. Rei avvertì il dolore lancinante di una lama che penetrava nel fianco, ma non percepì il calore del fiotto ematico: era un colpo di striscio, ma il taglio cominciò a bruciare come un’ustione. Si bilanciò sulle gambe, ignorando l’incendio, deciso a non ricusare la sfida.
Nessuno di quei rifiuti mostrava timore e non avevano bisogno di accordarsi sulla strategia, come se i loro voleri dipendessero da una delibera superiore.
«Se questo significa che il dannato Ishkur ha vinto, preferisco ammazzarmi da solo. Ma finché non ne ho la certezza, avvicinarvi a me potrebbe costarvi caro!»
I daimar mostrarono le fauci aguzze, divertiti dall’inutile resistenza psicologica.
«Oppure accettarlo» sibilò uno di essi, puntandolo.
«Vallo a proporre a tua nonna!» restituì Rei.
«Magari la tua donna gradirà l’offerta» lo provocò questi con beffarda indolenza.
«Seh, e magari io sarò eletto re!»
«Perché no? Se è quanto desideri, lo avrai.»
«Tsk, non sapete nemmeno cogliere le battute! Siete inutili al creato!»
Tornò all’attacco. Gli avversari rinunciarono a corromperlo, consci non avrebbero avuto presa su un soggetto del genere. I riottosi come lui dovevano sparire dall’esistente. Risposero alla sfida, andando in vantaggio e costringendolo all’angolo. Quando venne colpito una seconda volta, Rei si preparò a morire.
Divinità immortali, risparmiate la mia sposa
Un destriero da guerra lanciato al galoppo tranciò la carica dei daimar, rovesciandoli a terra nell’impatto. Prima che potessero riaversi, il provvidenziale cavaliere tornò indietro e afferrò il generale, trascinandolo in arcione e allontanandosi con la medesima rapidità.
«Ma che diamine!» esalò Rei, aggrappandosi alla vita dell’uomo «Dare Yoon!?»
«Sempre in mezzo ai guai!» brontolò questi, dando di tallone a Soresh.
Il generale liberò la tensione in una risata, bilanciandosi sulla sella e voltandosi per accertarsi che non li stessero inseguendo.
L’amico arrestò il cavallo a pochi metri dallo strapiombo, portandosi fuori pericolo. Alcuni guerrieri Iohro lo raggiunsero sbucando da direzioni opposte.
«Non sono mai stato tanto felice di vedervi!» esalò Rei «Là sotto è la bocca dell’inferno, non capisco se i miei uomini siano ancora vivi.»
«Siamo qui per questo» spiegò Dare Yoon «Se non blocchiamo la fuoriuscita dei daimar, tutte le iniziative divengono inutili.»
«Nessun miracolo dal Nord, eh?»
«E neanche dal Sud. Temo che dovremo sbrigarcela da soli. Risolvere le questioni con questa è più nel nostro stile… generale» ultimò esibendo la spada.
Rei sorrise, stringendosi una benda di fortuna intorno alla ferita.
«Sempre drastico, capitano» rimandò, accennando alla decorazione sulla spalla del collega «Ma in fondo obiettivo.»
Le essenze deamhan brulicarono minacciose, ponendo fine ai convenevoli. Il comandante delle armate si apprestò a dare l’ordine d’attacco, ma qualcosa sviò la sua attenzione, arrestandolo con il piede nella staffa.
«Ci mancano solo le allucinazioni» mugugnò, osservando lo strik in avvicinamento «Deve essere colpa delle lame nere di quei bastardi!»
«Niente affatto» intervenne Dare Yoon «È Yerde!»
Il rapace planò, individuando il destinatario della missiva. Rei aprì l’anello con velocità febbrile e impallidì per gradi. Strinse i denti e per un attimo apparve indeciso. Poi forzò se stesso, congedò il volatile e montò in sella.
«Rei…» sospirò cupo Dare Yoon.
«Pronti alla battaglia. Nessun riguardo personale.»
«Vuoi dirmi di grazia qual era l’urgenza?»
«Niente a che vedere con la situazione.»
«Insomma! Ti conosco da una vita! Si tratta di Dionissa, vero?»
Il generale mantenne per un attimo l’aria inflessibile, poi cedette all’angoscia.
«La bambina sta nascendo.»
L’altro sputò fuori un’imprecazione.
«Va’! Che aspetti?»
«Il mio posto è qui.»
«Il tuo posto è accanto a lei! Potrebbe essere l’unica occasione per…»
Per vedere sua figlia. Il generale lo sapeva benissimo e l’affanno che sentiva al pensiero di non poterla contemplare solo per un istante gli lacerava il cuore.
«Dionissa sa che le sono vicina nell’anima.»
«Non è la stessa cosa!» ringhiò Dare Yoon «Muoviti, ci penso io qui! Credi che non sia capace di guidare gli Iohro senza di te?»
«Non è il momento di discutere!»
«Appunto! Prendi Soresh, è capace di mangiarsi un paio di sulluhat per volta! Arriverai al palazzo in men che non si dica! Muoviti!»
«Tu faresti una cosa del genere!?» si difese Rei incollerito «Se te lo proponessi, rimarresti offeso per anni!»
Dare Yoon lo afferrò per il risvolto della casacca e lo scrollò senza convenevoli.
«Ma te ne sarei grato per sempre. Se avessi la possibilità di proteggere la donna che amo, non mostrerei esitazioni! Non c’è disonore in questo! Lo capisci?»
Rei trasecolò, sconcertato da ciò che era appena uscito dalle labbra dell’amico. Forse Dare Yoon è il risultato di un’allucinazione e mi trovo tra le ombre del pozzo con l’erronea convinzione di essere vivo.
Eppure le redini che gli piazzò in mano risultarono decisamente concrete.
«Dovrei lasciarti qui a morire al posto mio?!» sbottò.
«Non al posto tuo. Al mio posto, come sempre.»
«Sei un dannato imbecille!» soffiò Rei, trattenendo la commozione.
«Non è una novità.»
Montò in arcione e si sporse a stringergli il braccio con calore fraterno.
«A presto, Yoon.»
«A presto, generale» replicò questi, battendo la mano sui quarti posteriori di Soresh.
Il corsiero da guerra schizzò al galoppo come se avesse le ali ai garretti.
   
 
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