Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    08/03/2021    7 recensioni
Sansa ha il viso sfregiato da cicatrici che hanno la forma – e la dimensione, e persino il colore – delle lacrime.
Lui non lo dice mai, ma sa che sono i segni che il tempo le ha inciso addosso e, allora, avrebbe dovuto semplicemente portarla via di lì. Perché il tempo infrange la bellezza e il pianto la rende sciapa e insulsa ma lei – sciapa, insulsa – non lo sarà mai. Il fuoco rende liberi, ha detto, ma qualcuno rimane ucciso nel tentativo di sciogliere le catene.
Meglio essere un cane per sempre, ha risposto lui arditamente, piuttosto che essere liberi in una fiammata.
[Sansa/Sandor | OS | Angst | Questa storia si è classificata seconda e ha vinto il premio "Miglior Angst" al contest “Che bella parola ‘per sempre’” indetto da Pampa313 sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Attenzione: La storia segue lo svolgimento della serie TV, quindi fa spoiler dalla stagione 4 all'ultima.



Sansa ha il viso sfregiato da cicatrici che hanno la forma – e la dimensione, e persino il colore – delle lacrime.
Lui non lo dice mai, ma sa che sono i segni che il tempo le ha inciso addosso e, allora, avrebbe dovuto semplicemente portarla via di lì. Perché il tempo infrange la bellezza e il pianto la rende sciapa e insulsa ma lei – sciapa, insulsa – non lo sarà mai. Il fuoco rende liberi, ha detto, ma qualcuno rimane ucciso nel tentativo di sciogliere le catene.
Meglio essere un cane per sempre, ha risposto lui arditamente, piuttosto che essere liberi in una fiammata.
Sansa Stark ha sorriso e, per un momento, ogni cicatrice s’è ripiegata su sé stessa per poi sparire.
 
 
Lacrime del tempo
 
Just stop your cryin'
It's a sign of the times
(…)
Hope you're wearin' your best clothes
You can't bribe the door on your way to the sky
You look pretty good down here
But you ain't really good
 
 
 
Pochi giorni le si sono incisi sulla pelle, deformandole quel sorriso sereno in un ghigno da bambola.
Vitrei, gli occhi azzurri che scrosciano su Joffrey in una supplica che è muta e a cui lui è sordo, vitrea la disperazione con cui chiede aiuto a chi non le presterà mai soccorso. Lo capisce così, Sandor Clegane: quello è il giorno in cui la porterà via di lì.
Il giorno in cui le ginocchia smettono di reggerla e, pur di non farla cadere tra la polvere e il disprezzo del proprio promesso sposo, lui allunga un braccio e la solleva per la vita: senza delicatezza, dolcezza non ce n’è nemmeno un frammento, ma Sansa Stark non si sporca di terra il bel vestito. È il suo preferito, ha mormorato di fronte all’approvazione di Joffrey, il migliore che la regina le ha regalato – un dono di Cersei, certo che lo è, ed è il motivo per cui il pigolio spaurito della ragazzina è incrinato e doloroso, pieno di un terrore che cerca di non mostrare ma che inevitabilmente la sfregia al pari di una cicatrice.
Lo capisce nel momento in cui, la vera cicatrice, è la voce di Joffrey che taglia l’aria nell’ennesimo sfregio che il cielo potrà tollerare prima di sciogliersi in pioggia: la sua voce pesa come uno schiaffo, che piega e spezza e frantuma, ma Sansa Stark non è comunque abbastanza disperata da soddisfarne le brame. Joffrey la guarda – e d’un azzurro sporco è quel vestito che, così dice, offende la regal vista – e ride, vedendolo lacerarsi sotto l’attacco brutale delle proprie guardie.
Lei ormai non piange più: ha gli occhi arrossati e fa un rumore che pare un singhiozzo, ma le lacrime si sono asciugate ancor prima di venire alla luce. E son divenute rughe, cicatrici su quel volto di porcellana, vetro che stride su altro vetro.
Sandor la guarda e non gli vengono le parole: forte, il desiderio di gridarle di smettere di soffrire in quella maniera intollerabile, fortissimo l'impulso di prendere e portarla via di lì. Ma gli occhi di Sansa Stark sono fuoco, quando lui muove il primo passo nella sua direzione: fiamme azzurrine, quando lui tende la mano e lei semplicemente scuote il capo in un silenzioso cenno di diniego.
Joffrey non se ne accorge, occupato com’è a ridere dei singhiozzi sanguinosi della sua futura sposa, per rendersi conto che lui ha pensato di pronunciare quelle parole dissacranti – fanculo il re – e di sciogliere la catena. Ma un collare di metallo si scioglie con il fuoco e, Sandor, lingue di fiamma vicino al suo volto non ne vedrà mai più.
«Portala nelle sue stanze, cane» commenta il sovrano di Westeros, torcendosi le mani con aria annoiata. «Oggi la mia signora ha smesso d’essere divertente».
China il capo, non sa fare altro: la solleva come se fosse fatta di piume – e invece ceramica e vetro di mare sono i suoi cocci spaiati – e comincia a camminare, diretto dove Joffrey Baratheon gli ha indicato.
Lei d’altronde non riesce nemmeno a guardarlo, e del coraggio dei suoi avi pare non avere nemmeno un debole surrogato, ma ne ha comunque abbastanza per alzare la mano e avvicinarla al suo viso e. E lasciarla ricadere sulla spalla con un sospiro.
Sandor pensa che potrebbero semplicemente andare via di lì: prendere e fuggire, nascondersi in uno di quei posti che perfino gli Dei ignorano. Ma, quando china il capo e incontra quello sguardo intollerabile di lei – vetro, porcellana, questo sì. Ma anche acciaio – non gli vengono le parole. Non è mai stato bravo, lui, con quegli artifizi da poeta, ecco, poetico non l’è stato mai.
Sansa sì. Sansa ha conosciuto la poesia, l’amor cortese, le favole e le ballate: il dolore di ciò che le è stato tolto, di infanzia rubata, a volte semplicemente ottenebra tutto il resto. Il tempo lascia le proprie macerie sui volti di chi l’ha perso e, sulle gote di Sansa, lacrime condensate scavano un solco sanguinolento appena Joffrey volta l’occhio.
Sandor apre la bocca, le labbra si spaccano su quelle parole insolitamente gentili, mentre lei scuote nuovamente il capo con dolcezza. Non fa il tempo a pronunciarle, che Sansa trova l’ardire di guardarlo negli occhi e stringergli la spalla con la mano sinistra.
Lui non può sentirla, attraverso l’armatura, ma quel tocco pare comunque fiamma che divora la carne.
Sansa Stark ha gli occhi ancora bagnati da lacrime che non ha versato, quando scuote il capo per la terza volta di seguito e sorride – un sorriso che sa ancora di pianto.
Sandor vorrebbe dirle qualcosa, andiamo via di qui, ma semplicemente Sansa apre la bocca e cantilenante pronuncia quelle parole. Vi crede anche lei o sono solamente l’ennesima bugia cui deve sottostare controvoglia?
«Va bene» sussurra, ha il labbro ancora spaccato da uno schiaffo troppo violento di qualche giorno prima.
«Sei tornata a cantare, Uccelletto?» domanda Sandor, atono. «Non è una bella canzone, quella che hai imparato».
Sansa sorride – sa ancora di pianto – e completa la propria ballata.
«Va bene così» ripete, ma come fa ad esserne sicura. «Non è tempo».
 
***
 
Ne percepisce la vicinanza come un cane che fiuta l’odore di casa e, d’altronde, lei sa di quello: di sogni, casa, una vecchia ballata e un bel vestito. E Sandor Clegane sa che la troverà lì, con sua madre, a Nido dell’Aquila – una parte di lui, molesta e che non tace mai, lo prega di sperare il meglio per lei (anche se è fuggita, e non con lui).
O, almeno, così crede. Chissà cosa gli dirà, Sansa Stark, nel vederlo riportarle sua sorella minore. Se anche volta penserà che è un principe o un eroe delle fiabe, o se s’è semplicemente disincantata anch’ella come Joffrey Baratheon sognava di farle fare. Se hanno smesso di contare, le ballate, in una vita che si rivela sempre e solo priva di musica.
Arya si dimena, percepisce il pericolo affilato che si dirama da quel luogo, e morde e scalcia come per evitare di rivedere una sorella che non ha mai amato né temuto, ma adesso sì – forse entrambe.
Il lupo teme d’essere ingabbiato, che gli mettano al collo quel che di più al mondo ha sempre temuto: una collana, come quella che Cersei ha regalato a Sansa, un collare. Il Mastino le lancia un’occhiataccia, ma lei non smette di borbottare.
Una cantilena, i nomi dell’odio, ma anche una preghiera: Nido dell’Aquila le restituisce uno sguardo placido, un fulmine nel cielo terso, mentre Sandor avanza tra i propri pensieri con fatica – in una nube di pioggia, lei.
Nei paesi circostanti, lo dicono tutti che. Che Petyr Baelish ha una figlia che non si mostra mai e solamente pochi sguardi eletti ne han colto i tratti del viso – è bella fa far male, dicono – e il cielo che si riflette nei suoi occhi. Non preserva somiglianza del sangue paterno, e dunque chissà chi sarà la madre.
Dovresti vederla, ha sentito sussurrare tra le strade, una signora così bella! Così elegante, così cortese!
Dovresti vederla, ha sentito sussurrare in ogni luogo in cui s’è avventurato, una signora così triste! Sembra che gli Dei le abbiano dipinto in volto un dispiacere che è viscerale, insensato, e niente riesca a toglierlo di lì.
Sandor non l’ha vista, ma vorrebbe farlo: cercare quella donna che infesta il nido di Lysa Arryn come un fantasma, per riscoprirla esattamente come l’aveva lasciata chissà quanto tempo prima. Lui lo sa.
Ne è certo di una certezza che uccide il cuore, Alayne Stone è Sansa Stark: ha cambiato pelle, capelli, ma è sempre lei. Il cielo in uno sguardo che non ferisce, ma uccide soltanto.
Arya Stark s’agita sul cavallo, rifiutandosi d’esser consegnata a quella zia che non ha mai visto, di cui a stento ha sentito parlare: non pensa che sua sorella possa esser fuggita da Approdo del Re, la terranno ancora lì – a lei l’avranno messo, un collare.
La Porta Insanguinata restituisce uno sguardo atono, al cane senza collare, e Sandor allora semplicemente s’infrange sulla risata un po’ sguaiata di Arya.
Se la immagina davanti, con capelli neri come l’ebano – di cui s’intuisce una punta di rosso – e quegli occhi impossibili. Scuote il capo.
«Va bene così. Non è tempo».
 
***
 
We never learn, we've been here before
Why are we always stuck and running from
 
 
Nel Villaggio c’è sempre silenzio, e raramente s’odono notizie del mondo esterno: ma, del grande matrimonio, se ne sente parlare fin lì – e Sandor deve soffocare un brivido di disorientato disgusto, nell’apprenderlo: Sansa Stark sposerà il bastardo dei Bolton, dicono, la figlia del Nord piega il capo per riprendere la propria corona.
Piegare il capo, un’attività che l’è sempre riuscita bene: Sansa Stark sorriderà dolcemente al proprio novello sposo, e gli perdonerà d’esser un mostro. Ma chi verrà a salvarla, questa volta, si domanda silenziosamente Sandor Clegane spaccando la legna, pranzando, persino dormendo. Chi salverà Sansa Stark dall’ennesimo mostro che capiterà nella sua vita?
Non sei brava a imparare, Uccelletto – sono le parole che le direbbe se la rincontrasse – non lo sei mai stata1.
Sandor Clegane non lo dice mai a nessuno, nemmeno a sé stesso ma, tra i confusi pensieri che gli animano il sonno alla sera e la veglia alla mattina, pensa che. Che avrebbe voluto, forse, avrebbe potuto.
Salvarla lui. Che idea insensata, bislacca, come gli sarà venuta in mente? In un turbinio di colori, il Mastino ha scosso la testa, stanco: buffa cosa, il per sempre, quando non inizia mai ma finisce soltanto. E Sansa Stark per lui non è iniziata – va bene così, non è tempo – ma di certo è finita e finirà per sempre, asciugandosi come una lacrima tra le coperte di Ramsay Bolton.
Salvarla da lui? Una voce gli straccia i pensieri, deformandoli, e semplicemente dice la verità – come l’hai salvata da Joffrey?
È che i per sempre sono solamente stupida spazzatura, e lui spacca la legna come fosse il collo di quel bastardo dei – di – Bolton. Vorrebbe farlo. Vorrebbe spezzare il collo a tutti, come polli spennati, solamente per portarla via di lì.
L’immagina. Stesa in un letto che sa fatto di silenzio, di certo lui non sarà stato gentile con lei (nemmeno Sandor lo sarebbe stato) e lei avrà inghiottito lacrime amare, amarissime.
Avrà ancora le guance fatte di cicatrici, e saranno solamente gli ennesimi segni che il tempo le ha lasciato addosso.
Sandor se l’immagina accendere una candela e lasciarla alla finestra, ogni sera: un segnale, la sua personalissima benedizione. Peccato che nessuno accorra mai, nemmeno lui, soprattutto non lui.
Una candela che lascia residui cerosi sul davanzale e, allora, lei ci passa sopra l’unghia del pollice per rimuoverli.
Lui potrebbe accorrere, come il cavaliere che forse lei sogna ancora, e dirle andiamo via, questa volta per davvero.
Ma Sansa Stark sorriderebbe – e crepe nel viso come nuove cicatrici – e allora semplicemente ripeterebbe le proprie stesse parole, ferendolo a morte. Sandor conosce fiamme che feriscono meno di quella consapevolezza incandescente che gl’infuoca il cuore in una seconda disgustosa cicatrice. Quante ferite dovrà ancora sperimentare, prima di imparare a lasciarla andare anche nei suoi pensieri?
Violentata, stuprata senza pietà2: quanto orgoglio dovrà inghiottire prima di chiedergli di andare a salvarla?
«Va bene così. Non è tempo».
 
***
 
 
Quando finalmente la rivede, Sansa Stark è diventata una statua di metallo rigata in viso, come se degli artigli di drago le avessero sfregiato il bel volto di bambola. Sfregi a forma di lacrime, nota Sandor, ma lei ha sempre gli occhi ostinatamente asciutti.
Sansa l’osserva come se fosse interessata a carpirne i segreti, inclina il capo con aria interessata – ha ancora gli occhi azzurri come l’inferno.
Finalmente, riesce a guardarlo e lo vede per davvero, così tanto che Sandor si sente l’ennesima cosa nuda ed esposta che verrà posta di fronte ai piedi dell’erede degli Stark. Non basta il vino, ad annegare quella sensazione, il fatto che il tempo sia passato lasciando su entrambi segni che sono visibili e pure tangibili – a forma di lacrime. Se vi passasse sopra la mano – sempre troppo grande e forte per il viso di lei – scoprirebbe che sono altrettanto bagnati.
«Sei cambiata, Uccelletto» osservi, la voce che sa di sorrisi. «Non sarebbe accaduto niente, se avessi lasciato Approdo del Re con me. Nessun Ditocorto, nessun Ramsay…Niente di tutto ciò».
Sansa sembra rifletterci, e nostalgia le scava il viso nell’ennesima lacrima che il tempo la costringerà a sperimentare, prima di chinarsi e stringergli la mano con la propria. Sandor sobbalza, di fronte a quel contatto inaspettato, ma gli occhi di Sansa Stark sono ancora duri come zaffiri.
«Senza Ditocorto, Ramsay e il resto» risponde, calma. «Sarei stata un uccelletto per tutta la vita3».
Sandor pensa distrattamente che l’infanzia infinita della maggiore della Stark è terminata bruscamente, senza lasciare vestigia sul suo viso. Non c’è più niente di smussato o infantile, in lei, s’è tutta affilata al ritmo del gelo che deve aver provato dentro di sé.
L’ha resa così Ditocorto, vendendola a Ramsay, che l’ha rimodellata a sua immagine e somiglianza. C’è qualcosa di bello e rovinato, in Sansa Stark, qualcosa che è stato reso sempre più acuminato dal dolore: è stata quella storia, pensa distrattamente Sandor – che le ha fatto male, e l’ha cambiata4.
«Adesso cosa farai?» le domanda, mentre una parte di sé nota che Sansa Stark non gli ha ancora lasciato la mano. «Cercherai un re, per essere la regina che saresti dovuta essere?».
«Dicono tutti che dovrei sposarmi» commenta Sansa, calma. «Che non esiste regina senza re e, allora, se vorrò ancora essere regina dovrò sposare qualcuno che porti una corona».
«Ma tu non vuoi» commenta Sandor, atono. «O mi sbaglio?».
Lei gli stringe leggermente la mano – ha ancora della cera sotto l’unghia del pollice – e sorride, ma al buio sembra più l’ennesima incrinatura che le sfregia il bel viso.
«No» conferma. «Non voglio».
È il momento in cui Sandor sa di dover pronunciare quelle parole, che è finalmente venuto il momento in cui le dirà – fuggiamo, andiamo via di qui. In qualche posto bisognerà pur esser libero – e lei risponderà. Scuotendo il capo, capelli di fiamma che bruciano quasi quanto quello sguardo di ghiaccio.
«Va bene così» sussurra Sansa Stark, ancora una volta. «Non è tempo».
«E quando mai lo sarà?» risponde lui, con tono sarcastico. «Non ci sarà mai un tempo per questo, non è vero?».
Non riesce a dire un tempo per noi, sono parole che si rifiutano di uscire: perché Sansa Stark scuote il capo ancora una volta, con un sorriso che non è dispiaciuto, che non è niente se non un’inutile flessione dei muscoli del viso.
«Solo se credi nel per sempre» risponde, piano.
«E tu ci credi?» la rimbecca, Sandor, sfilando la propria mano da quella di lei. «A questa cazzata, il per sempre. Tu ci credi?».
«Immagino di no» ammette Sansa, sospirando. «Non più».
Il Mastino s’alza di scatto, facendo tremare il tavolo, e i passi coprono le ultime parole che lei pronuncia – più a sé stessa che a lui.
«Ci ho creduto» sussurra l’erede degli Stark, piano. «Pensavo davvero che ci sarebbe stato un tempo, prima o poi».
Sandor l’ha sentita, ma è più comodo per entrambi fingere che non l’abbia fatto.
 
***
 
Just stop your crying
It's a sign of the times
We gotta get away from here
 
 
Sansa ha il viso sfregiato da cicatrici che hanno la forma – e la dimensione, e persino il colore – delle lacrime.
Lui non lo dice mai, ma sa che sono i segni che il tempo le ha inciso addosso e, allora, avrebbe dovuto semplicemente portarla via di lì. Perché il tempo infrange la bellezza e il pianto la rende sciapa e insulsa ma lei – sciapa, insulsa – non lo sarà mai. Il fuoco rende liberi, ha detto, ma qualcuno rimane ucciso nel tentativo di sciogliere le catene.
Meglio essere un cane per sempre, ha risposto lui arditamente, piuttosto che essere liberi in una fiammata.
Sansa Stark ha sorriso e, per un momento, ogni cicatrice s’è ripiegata su sé stessa per poi sparire.
Ha quel sorriso negli occhi, Sandor Clegane, mentre le fiamme l’avvolgono insieme al corpo di suo fratello – e sa di ghiaccio che si scioglie lentamente.
Non è tempo, ha detto Sansa Stark così tante volte che pare inutile contarle, e adesso non lo sarà mai più. Ma Sandor, nel per sempre, per un minuto soltanto.
Ci ha creduto.
 
 
Remember everything will be alright
We can meet again somewhere
Somewhere far away from here
(Harry Styles, Sign of the Times)


 

1Dalla serie tv: "I'm a slow-learner. But I learn".
2Sempre dalla serie tv
3Indovinate? Dalla serie tv
4Irama, Bella e rovinata: Tu bella e rovinata | Da quella storia che ti ha fatto male | e ti ha cambiata

Buongiorno a tutti. Grazie per avermi letta e, prima di ogni altra cosa, grazie a LadyPalma per avermi suggerito la canzone adatta a questa storia.
Detto ciò: io non scrivo mai in questo Fandom, leggo e basta, e ad oggi ancora mi domando perché cimentarmi in qualcosa dove so di fallire al 99%. Ma io se non sbatto la testa non sono contenta, quindi eccomi qui: spero che a qualcuno questa storia possa piacere.

Gaia
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie