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Autore: Europa91    08/03/2021    2 recensioni
[Demons & Exorcist AU]
[Soukoku]
Chuuya ha scoperto di essersi innamorato di un demone.
“La verità investì il rosso con la forza di un proiettile. Una parte di lui forse l’aveva sempre saputo e voluto ignorare, ma ora era come se ogni cosa avesse improvvisamente acquistato un senso, il suo non mettere piede in convento, l’odio verso Arthur. Il rosso non ci poteva né voleva credere. Aveva rinunciato a tutto per Dazai, non era giusto.”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sisters and Demons'
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Cow-t 11 – Quinta settimana – M2

Prompt: Tradimento

Fandom: Bungou Stray Dogs

Rating: SAFE

Numero Parole: 4202

Note: ancora demoni ed esorcisti AU. Per la lettura di questa storia consiglio di leggere sia “Of Sisters and Demons” che lo spin off “Story of an Exorcist” perché altrimenti molte cose potrebbero risultare poco chiare. Ovviamente c’è stato un salto temporale dalle vicende della prima storia. Prima o poi mi deciderò a scrivere tutte le parti mancanti e ne farò una serie. Si ringrazia come sempre il mio neurone per il titolo perché abbiamo constatato che io ci metto più tempo a cercare un titolo che a scrivere una storia XD

 

 

 

 

 

Dopo un mese, Chuuya aveva deciso di tornare al convento. Non era stato facile, aveva dovuto mettere da parte l’orgoglio ma in quel momento non aveva davvero un altro posto dove andare. Non aveva mai avuto una casa che potesse essere definita come tale, c’era solo quel luogo che dieci anni prima lo aveva accolto. Non vi era altro nella sua vita prima del convento, quel posto che era stato il suo passato, sarebbe rimasto anche nel suo presente e futuro.

Ad attenderlo, davanti al pesante portone d’ingresso aveva trovato Rimbaud che, per tutto il tempo, non aveva cessato di studiare il giovane novizio con un’espressione severa dipinta sul volto. Il cacciatore aveva preferito non dire niente, non ci sarebbe stato nulla in quel momento, che potesse in alcun modo risollevare l’animo del rosso e lui conosceva bene quella sensazione. Innamorarsi di un demone non era affatto semplice, ne sapeva qualcosa. Un tempo anche lui si era trovato nella stessa situazione di Chuuya, diviso tra il dovere e l’amore. Nel suo caso però, Paul, così si chiamava quell’odiosa creatura, gli aveva facilitato il compito scegliendo di andarsene.

C’era però un’altra sottile differenza, tra la sua storia e quella del ragazzo che si trovava a pochi metri da lui; Arthur Rimbaud aveva sempre saputo che l’essere di cui si era innamorato apparteneva a quella razza immonda, che era un nemico. Chuuya invece no, ed era stata quella scoperta a farlo tornare sui suoi passi e mettere di nuovo in discussione tutte le sue convinzioni.

Il rosso aveva fatto qualche passo e superato di poco il suo mentore, non aveva nemmeno avuto la forza di sollevare lo sguardo per incontrare quello dell’uomo che era stato come un padre per lui. Si sentiva sporco e colpevole. Come un qualsiasi adolescente ribelle era fuggito nel cuore della notte insieme a Dazai e ora stava tornando con la coda tra le gambe deluso, amareggiato e tradito. Non avrebbe chiesto scusa né si sarebbe pentito delle sue azioni. Avrebbe chiesto il perdono in un altro momento, quella sera aveva solo bisogno di sentirsi a casa. In un rifugio sicuro in cui leccarsi quelle ferite che facevano ancora troppo male e faticava ad accettare.

Rimbaud lo seguì dentro l’edificio, entrambi non dissero una parola. Chuuya sapeva che non aveva nessuna scusante, aveva tradito l’Ordine, si era innamorato ed era fuggito con un demone. Per poi tornare con il cuore e l’animo spezzato da quella scoperta. Una volta arrivati davanti a quella, che fino a un mese prima era la sua stanza, il rosso si fece coraggio;

«Arthur ecco io»

«Va tutto bene, ora sei tornato»

«Sono un peccatore, non sono degno di restare in questo convento, domani prenderò le mie cose e me ne andrò» era la soluzione migliore al quale era arrivato. Sentiva che era giusto così.

«Ora dormi ne riparliamo domani»

«Tu l’hai sempre saputo vero?» chiese alzando finalmente lo sguardo per incontrare quello del reverendo.

«Si, sapevo che quel ragazzino era un demone»

«Allora perché non mi hai fermato?» ormai aveva la lacrime agli occhi. In quel preciso momento era arrabbiato con se stesso, con quel idiota di Dazai, con Rimbaud e con l’intero universo. Stava soffrendo e doveva trovare qualcuno da incolpare, così sarebbe stato tutto più facile.

«Non mi avresti ascoltato. Prima o poi lo avresti scoperto da solo»

Chuuya era furioso. Sapeva che Arthur aveva ragione, probabilmente non gli avrebbe dato ascolto. Solo qualche mese prima avrebbe riso a quell’idea, Dazai sembrava tutto fuorché un demone. Però poi le cose erano cambiate, lui stesso era cambiato. Ora non era possibile tornare indietro. Aveva già superato il punto di non ritorno.

 

***

 

Un mese prima…
 

Mancavano pochi giorni al compleanno di Chuuya e Dazai come ogni anno da quando si conoscevano era solito organizzare qualcosa di speciale. Quella volta però sarebbe stato diverso. Il rosso avrebbe compiuto diciotto anni, quindi avrebbe raggiunto l’età per prendere i voti ed entrare in seminario.

Era già da parecchio tempo che Chuuya era confuso sul da farsi e sui suoi sentimenti. Da un lato sapeva cosa il destino aveva in serbo per lui. Aveva sempre desiderato poter diventare un cacciatore, seguire le orme di Rimbaud, esorcizzare i demoni e vendicare la sua famiglia sterminata proprio da quelle creature. Era convinto che sarebbe stata questa la strada adatta a lui, l’unica percorribile. Poi era arrivato Dazai. Quell’idiota che durante il loro primo incontro lo aveva scambiato per una suora e gli aveva chiesto di sposarlo, così su due piedi, innamorandosi a prima vista.

Se ci ripensava non poteva che fare a meno di sorridere. In quegli anni le cose tra loro non erano cambiate molto. Litigavano praticamente ogni volta che si vedevano e per ogni cosa, si punzecchiavano di continuo. Però erano sempre insieme. Quando il rosso lasciava il convento per qualche piccola o grande commissione Dazai era lì pronto a scortarlo ed infastidirlo. In realtà Chuuya non trovava la sua presenza così fastidiosa. Con il tempo era arrivato ad abituarsi a quello strambo ragazzino che gli ronzava intorno. Da subito però il rosso aveva dovuto fare i conti anche con i sentimenti che la presenza di Dazai aveva fatto nascere dentro di lui.

Al loro primo incontro quell’idiota gli aveva rubato un bacio. Al secondo era successa la stessa cosa. Al terzo idem. Ormai Chuuya aveva perso il conto di quante volte le sue labbra erano entrate in contatto con quelle dell’altro. Il problema era che con il tempo era arrivato ad abituarsi pure a quello, trovandosi a desiderare sempre di più. Così dai timidi baci a stampo rubati tra una provocazione e l’altra le cose si erano fatte via via più serie. Era pur sempre un adolescente, era curioso e Dazai sembrava intuire meglio di lui ogni suo pensiero o bisogno.

Era da un po' che il rosso era sceso a patti con se stesso e aveva ammesso di desiderare Dazai. Sapeva che tutto ciò era sbagliato, immorale, che probabilmente la sua anima sarebbe finita all’inferno solo per aver formulato quel tipo di pensieri ma non poteva farne a meno. Anche quando non erano insieme non riusciva a toglierselo dalla mente. Era distratto, sia nello studio che negli addestramenti ogni cosa gli ricordava quel idiota. Così dopo la rabbia e la negazione era arrivato alla rassegnazione. Si era innamorato di Dazai e non c’era nulla che potesse fare per cambiare le cose. Ovviamente era impossibile tenere una cosa del genere segreta, soprattutto con il diretto interessato.

«Oggi sei strano» il demone continuava ad osservare il giovane novizio mentre era intento a spaccare della legna;

«Disse quello che preferisce starsene a guardare da un albero invece che venire a dare una mano»

«Se vuoi che ti aiuti basta dirlo, farei di tutto per mia moglie» aggiunse facendogli l’occhiolino;

«Non mi serve l’aiuto di un lavativo come te. Vorrei solo che te ne stessi in silenzio»

«Ripeto sei strano. Non ti sei nemmeno arrabbiato quando ti ho chiamato moglie» il rosso si bloccò, in effetti non ci aveva fatto caso, forse era la forza dell’abitudine.

«Sta zitto»

Dazai invece optò per scendere da quell’albero ed avvicinarsi alle sbarre. Aveva intuito ci fosse qualcosa che preoccupava Chuuya e non poteva lasciar correre.

«Un giorno mi dovrai spiegare anche il perché non ti decidi ad entrare» sbuffò il rosso prima di avvicinarsi a quello che ormai era diventato il loro portone. Luogo segreto di quei fugaci incontri. Era una zona abbastanza riparata, stando in quel punto in particolare erano certi di essere al riparo da occhi indiscreti. Dazai aveva sorriso, mostrando il suo ghigno migliore.

«Lo faccio per te. Potrei cadere in tentazione se vedessi altre giovani suore, forse una delle novizie potrebbe rubarmi il cuore»

Il rosso alzò gli occhi al cielo.

«Sarebbe solo una benedizione»

Tuttavia si fece sempre più vicino alle sbarre. Dazai allungò una mano fino ad afferrare la sua. Fece intrecciare le loro dita. Le mani di Chuuya erano così piccole mentre erano strette alle sue e il demone le adorava, come ogni cosa appartenesse a quel ragazzino che per primo dopo millenni gli aveva fatto battere il cuore.

«So che qualcosa ti preoccupa. Ne vuoi parlare?»

Quello era solo un altro dei mille motivi per i quali Chuuya aveva finito con l’innamorarsi; quel ragazzo lo capiva senza bisogno di parole.

«Zitto e baciami»

Il moro lo osservò dubbioso. Di solito il novizio non prendeva mai l’iniziativa, da quando era diventato così sfacciato? Dazai però non poté proprio evitare di cogliere al balzo quell’occasione. Avrebbe esaudito ogni ordine della sua futura consorte. Il bacio che si scambiarono fu lungo e sempre più voglioso. Il demone era preoccupato, c’era qualcosa che non andava. Per questo allontanò il rosso, anche se controvoglia.

«Andiamo parla»

«Non c’è nulla che non va»

«Chuuya smettila, non puoi baciarmi in quel modo e dire che va tutto bene. Non sono un idiota anche se a te piace pensarlo»

«Sai che non lo penso davvero, cioè si lo penso ma» ecco era andato in tilt.

«Chuuya» la voce di Dazai si era fatta di colpo più profonda e dolce. Il giovane novizio si trovò attratto da lui come una falena verso la luce. Lo tirò più vicino a sé era come se le sbarre del portone non esistessero in quel momento. Il più piccolo alzò il viso incontrando finalmente lo sguardo di quel demone dalle fattezze umane;

«Tra poco sarà il mio compleanno» ammise finalmente

«Lo so» si affrettò a dire Dazai poi ebbe un’illuminazione;

«Farai diciotto anni»

«Già, l’Ordine si aspetta che io prenda i voti» calò nuovamente il silenzio. Ogni cosa aveva all’improvviso acquistato un senso.

«Non sei obbligato» gli fece notare;

«Smettila. Questo lo so anche io. Ho sempre creduto che un giorno sarei diventato un cacciatore come Arthur, era il mio modello»

Dazai non poté evitare di fare una smorfia nell’udire quel nome, non gli era mai piaciuto quell’esorcista. Per prima cosa era un Rimbaud, e poi era geloso di come Chuuya lo guardava. Lo venerava quando in realtà non sapeva cosa nascondesse quell’uomo, al sua vera natura. Arthur Rimbaud non era un santo e non era perfetto come il rosso credeva. Di una sola cosa il demone si era stupito. Il cacciatore doveva aver intuito subito la sua vera identità eppure non aveva detto nulla a Chuuya. Si era limitato a osservarli da lontano, senza celare il disprezzo nei suoi confronti. Però non aveva giocato sporco né tentato di allontanarli. Dazai non capiva le sue reali intenzioni ma non gli importavano, fintanto che poteva avere Chuuya stretto a sé come in quel momento tutto il resto passava in secondo piano.

«Ora però non sono più così sicuro di quello che voglio» bastò quella piccola confessione a riportarlo alla realtà. Chuuya era arrossito e stava inutilmente tentando di nascondere il volto dopo quell’imbarazzante ammissione.

«Oh chibi» Non aveva resistito e lo aveva baciato. Era più di quanto potesse sperare. Il rosso superato lo stupore iniziale non si era sottratto e lo aveva assecondato. La sua mente era nel caos ma baciare Dazai era un buon modo per mettere a tacere tutti quei pensieri assordanti che non gli davano tregua.

«Ho in mente una sorpresa fantastica per il tuo compleanno» disse il demone non appena si staccarono.

«Non mi dirai di che si tratta vero?»

«Se te lo dicessi che sorpresa sarebbe?» e in pochi minuti erano tornati ai soliti battibecchi.

Era il giorno prima del fatidico compleanno e il rosso si era alzato con un’ora d’anticipo per dedicarsi al suo addestramento. Nel corso di quegli anni aveva incrementato la massa muscolare ma non era cresciuto in altezza, finendo con l’essere superato da Dazai. Per il suo orgoglio quello era stato un duro colpo da accettare ma non si voleva arrendere, aveva deciso di incrementare il numero di esercizi e le ore di allenamento sperando di guadagnare ancora qualche centimetro.

Era uscito dal convento per un giro di corsa mattutina e Dazai come sempre si era palesato sulla sua strada.

«Buongiorno Chuuya come siamo mattinieri oggi» lo aveva salutato sfoderando il solito irritante sorriso che però ultimamente aveva anche lo strano potere di fargli battere il cuore;

«Levati non vedi che mi sto allenando» disse prima di superarlo

«Tanto non diventerai più alto di così»

Come facesse ad avere la capacità di irritarlo con una sola frase restava un mistero. Un attimo prima il rosso avrebbe voluto baciarlo mentre ora voleva solo riempirlo di pugni. Quel ragazzo era una spina nel fianco eppure non sarebbe stato in grado di immaginare una vita senza di lui. Per questo non poteva prendere i voti.

Si fermò in mezzo alla strada. Dazai si avvicinò.

«Penso di aver preso una decisione» ammise con una calma che nemmeno lui era certo di possedere. Il demone trattenne il fiato non muovendosi di un millimetro.

«Non posso prendere i voti» disse solo questo ma fu sufficiente.

Il moro lo raggiunse in pochi passi. Erano l’uno di fronte all’altro.

«Questa sera a mezzanotte vieni al nostro portone. Ti aspetterò lì e ti darò il tuo regalo di compleanno» Il rosso gonfiò le guance come un bambino capriccioso,

«Bé potresti anche darmelo ora no?» Dazai sorrise prima di abbassarsi per rubargli l’ennesimo bacio.

«Non barare, non è ancora il tuo compleanno e poi voglio che sia speciale» sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra. Chuuya si trovò a tremare. Per tutto il resto della giornata non fece altro che pensare alle parole di Dazai e immaginare cosa potesse aver pensato per lui.

Mancavano pochi minuti alla mezzanotte quando uscì senza far rumore dalle sue stanze. Non riusciva a resistere la curiosità lo stava facendo impazzire, inoltre aveva voglia di vedere Dazai, il bacio di quella mattina era stato troppo fugace, voleva di più e visto che era il suo compleanno sapeva che l’altro avrebbe soddisfatto ogni sua richiesta.

Rimbaud vide Chuuya aggirarsi di soppiatto per i corridoi, intuì qualcosa ma decise di lasciar correre. In fondo era stata una sua scelta quella di non rivelare al nipote la vera natura di Dazai. Credeva forse troppo ingenuamente che il rosso avrebbe scelto l’Ordine, che nulla avrebbe fatto crollare la sua fede. Solo col senno di poi si sarebbe reso conto dei suoi errori.

Intanto il novizio aveva raggiunto il portone. Dazai era lì ad attenderlo. Gli tese la mano che l’altro afferrò senza esitazione.

«E queste bende? Sono nuove»

«Mi sono tagliato»

«Ha a che fare col mio regalo»

«Forse» disse sorridendo prima di fermarsi. Lo guardò per qualche secondo;

«Penso sia passata la mezzanotte quindi tanti auguri Chuuya» concluse prima di baciarlo.

«Siamo in mezzo alla strada razza d’idiota» non era arrabbiato ma solo infastidito, cosa sarebbe successo se qualcuno li avesse visti? Non lo voleva sapere.

«A me non importa, non è mai importato»

«Come non ti è importato scoprire che ero un ragazzo»

«Esatto. Mi piaci perché tu sei tu, Chuuya. Neanche in mille anni troverò qualcuno che mi fa battere il cuore come fai tu» l’altro arrossì fino alla punta dei capelli e distolse lo sguardo. Non capiva come Dazai riuscisse a dire frasi così imbarazzanti senza problemi.

«Tra mille anni saremo solo polvere» ammise. Il demone restò in silenzio. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dire la verità al rosso, aveva già rimandato fin troppo.

«Dai vieni» fu la sola cosa che riuscì a rispondere riprendendo a camminare.

Erano giunti di poco fuori dal centro abitato. Era un luogo in cui Chuuya era sicuro di non essere mai stato. Era una piccola casetta circondata da un fitto bosco. Sotto la pallida luce della luna sembrava un luogo incantato.

«Ti piace?»

«Si»

«È tutta tua»

«Stai scherzando spero?»

«No, l’ho trovata qualche anno fa ma era abbandonata così mi sono messo a sistemarla per regalarla alla mia dolce sposa» Chuuya lo guardò storto;

«E quando avresti avuto il tempo per farlo visto che eri troppo occupato ad infastidire il sottoscritto? Per non parlare che sei totalmente negato con i lavori manuali, non ti darei in mano nemmeno un seghetto» Dazai alzò le mani in segno di resa;

«Ok diciamo che ho pagato qualcuno per sistemarla» anche se pagato era una parola grossa. Era più corretto dire che aveva sfruttato i suoi poteri demoniaci per ottenere dei piccoli favori. Però quello che contava era il risultato, Chuuya sembrava felice, nonostante non avesse smesso per un secondo di guardarlo male.

«Non voglio sapere come ti sei procurato quel denaro» Dazai sorrise.

«Dai vieni, ti mostro l’interno»

Era davvero un ambiente piccolo e confortevole. Chuuya se ne innamorò al primo sguardo. C’erano una cucina accessoriata con tutto l’indispensabile, un divano, un letto matrimoniale. Era tutto perfetto e non sapeva in che altro modo descriverlo. Non poteva credere che Dazai gli avesse fatto un simile regalo. Gli aveva dato una casa, un posto fuori dal convento, solo per loro. A quel pensiero si rabbuiò di colpo;

«Non sono sicuro di voler tornare» ammise con un sussurro. Il moro gli si avvicinò;

«Allora non farlo»

«Ma Dazai» il moro gli posò un dito sulle labbra facendolo tacere;

«Restiamo qui io e te, per tutto il tempo che vorrai» Era un bellissimo diavolo tentatore e in quel momento Chuuya era troppo confuso e innamorato per rifiutare.

Raggiunsero il letto il pochi istanti. Entrambi sapevano cosa stava per succedere. Il rosso non aveva paura, desiderava Dazai con ogni fibra del suo corpo. Quando si concesse a lui non pensò di star commettendo un peccato, ma solo a quanto amava quel ragazzo tra le sue braccia. Aveva preso una decisione e non sarebbe tornato sui suoi passi. Era da codardi scappare e rifugiarsi in quel luogo ma per una frazione di secondo pensò che quel sogno infantile potesse avere un futuro.

«Ti amo»

Furono le prime parole che lo accolsero al suo risveglio. Il moro era ancora disteso accanto a lui e lo fissava con uno sguardo innamorato. Si avvicinò solo per poterlo baciare. Chuuya odiava e amava quella dannatissima bocca, non poteva farci nulla.

«Ti amo anche io» aggiunse dopo averlo tenuto un po' sulle spine. Poi sentì una fitta di dolore,

«Stai bene?» si premurò di domandare Dazai

«Certo, non preoccuparti, penso che debba solo aver modo di abituarmi tutto qui» nascose il viso nel cuscino mentre il moro urlava di gioia;

«Vuol dire che non vedi l’ora di rifarlo vero? Dovremmo anche pensare ad una data per il matrimonio…»

 

***

 

Per un po' erano stati felici. Lo erano stati per davvero, se ripensava a quei giorni Chuuya non poteva che etichettarli come i più belli della sua vita. Stava insieme a Dazai praticamente tutto il giorno, da quando si risvegliava stretto tra sue braccia a quando si addormentava cullato dal suono del suo respiro. In quel luogo lontano da tutto e tutti esistevano solo loro. Sarebbe stato troppo bello pensare che sarebbe potuta durare per sempre.

Un mattino Chuuya si era alzato all’alba e si era recato in paese per acquistare del cibo, per quanto la vita rurale fosse bella ogni tanto sentiva il bisogno di tornare alla civiltà. Fu sorpreso quando al suo ritorno trovò un ospite in casa. Era un ragazzo dai capelli corvini che il rosso non aveva mai visto e aveva un atteggiamento decisamente sospetto. Quando Chuuya era entrato i due stavano discutendo animatamente;

«Dazai-san deve capire che…»

«Oh Chuuya sei tornato» l’ospite lo aveva fulminato con lo sguardo, prima di tornare a rivolgersi a Dazai ed ignorarlo completamente

«Sarebbe questa la vostra sposa? Mori-san non permetterà mai che voi...»

«Akutagawa ora fa silenzio» sia il modo, che il tono di voce utilizzato fecero sussultare Chuuya. Non aveva mai visto quel lato dell’altro. Gli fece quasi paura, sembrava essere totalmente un’altra persona, faticò a riconoscerlo.

«Dovete tornare negli Inferi la pazienza del Boss sta finendo e…»

«Akutagawa vattene» gli aveva tirato uno schiaffo ma ormai era troppo tardi. Chuuya era sulla soglia della porta che lo fissava con occhi spalancati. La verità investì il rosso con la forza di un proiettile. Una parte di lui forse l’aveva sempre saputo e voluto ignorare, ma ora era come se ogni cosa avesse improvvisamente acquistato un senso, il suo non mettere piede in convento, l’odio verso Arthur. Il rosso non ci poteva né voleva credere. Aveva rinunciato a tutto per Dazai, non era giusto. Fece per andarsene. Uscì di corsa di casa ma non ebbe tempo di compiere pochi passi che il demone lo raggiunse e lo afferrò per un braccio;

«Aspetta lasciami spiegare»

«No, sei un demone. Perché cazzo non me l’hai detto? Pensavi che non l’avrei mai scoperto? Cosa era un piano segreto per abbattere l’Ordine?»

«Cosa diavolo c’entra l’Ordine? Non era nessun piano Chibi»

«Non sono sicuro di voler sentire una spiegazione Dazai»

«Sono il Demone dei suicidi»

«Ah» non sapeva che altro dire;

«Te lo avrei detto, te lo giuro ma non mi sembrava mai l’occasione giusta» ogni secondo Chuuya sentiva crescere dentro di sé solo tanta rabbia mista a delusione;

«Momento giusto eh, magari in una delle tante sere in cui scopavamo poteva passarti per la testa» Urlò divincolandosi da quella presa,

«Come posso ancora fidarmi di te?» concluse voltandogli le spalle. Dazai non provò a fermalo, sapeva che aveva ragione.

 

***

 

Così era tornato al convento. Aveva vagato per tutto il pomeriggio ma quella gli era parsa l’unica soluzione sensata. Era un traditore, un peccatore, ma sapeva che in quel posto lo avrebbero comunque accolto, Arthur lo avrebbe fatto. Non si era sbagliato ed ora riposava nelle sue stanze. Gli sembrava di essersi appena risvegliato da un lungo sogno.

Non poteva accettare che Dazai fosse un demone. Lui odiava quelle creature, un tempo aveva giurato a se stesso che si sarebbe vendicato per la tragica fine dei suoi genitori, diventando un esorcista. Invece era finito con l’innamorarsi del nemico, aveva tradito i suoi stessi principi, il suo Ordine quando era arrivato a concedersi a lui. Chuuya non era pentito di nulla, se ne avesse avuto l’opportunità probabilmente avrebbe rifatto le stesse scelte. Faceva male, così tanto che quasi non riusciva a respirare. Aveva il cuore spezzato e ci sarebbe voluto del tempo per elaborare e superare il tutto. Sapeva che quella notte non sarebbe comunque riuscito a chiudere occhio, continuava a pensare a Dazai e a quei giorni trascorsi insieme.

Era tornato al convento perché aveva bisogno di tempo per mettere ordine tra i suoi pensieri e fare il punto della situazione anche se ormai il suo cuore aveva già deciso. Avrebbe provato ad allontanarsi Dazai, non sarebbe comunque bastato per espiare il suo peccato ma per il momento, andava bene così.

L’indomani a mente fredda avrebbe chiesto consiglio a Rimbaud, lui avrebbe saputo cosa fare. Per Chuuya il reverendo possedeva tutte le risposte. Non poteva sapere che anche l’animo del suo mentore un tempo era stato scosso dai medesimi dubbi.

Il rosso, chiuso nelle sue stanze, si sentiva solo e privato di una parte di lui. Non credeva che la presenza di Dazai fosse diventata così indispensabile, gli mancava come l’aria, il dolore al petto di colpo si fece sempre più forte e intenso tanto che dovette alzarsi dal letto per raggiungere il bagno più vicino. Un conato di vomito lo travolse. Rimase qualche minuto appoggiato ad un secchio a rimettere quel poco che aveva mangiato nel corso di quell’assurda giornata. Probabilmente il suo fisico stava rispondendo a tutte le emozioni provate in quel giorno. Non gli era mai capitato di ammalarsi o stare male in generale ma non era mai arrivato a soffrire così tanto. Quando la nausea cessò si alzò piano per dirigersi a letto, sperò di addormentarsi in fretta e al risveglio di trovarsi ancora tra le braccia di Dazai.

Non poteva credere di essere stato così cieco, per tre anni non si era accorto di nulla o meglio, aveva ignorato i segnali che l’altro gli lanciava. Non poteva incolpare solo il demone. Dazai non lo aveva forzato a fare nulla. Non lo aveva rapito, era stato Chuuya a scegliere di seguirlo. Era stato il rosso a concedersi a lui andando contro al suo credo. Dazai era solo colpevole di averlo fatto innamorare. Chuuya si addormentò cullato da quel pensiero. Non avrebbe mai rinunciato a quel demone, lo sapeva, ma per quella sera finse che ci sarebbe riuscito. Era più facile abbandonarsi ad una serie di menzogne piuttosto che accettare una verità che lo avrebbe solo fatto soffrire.

In quella che un tempo era stata la loro casa, Dazai osservava la luna mentre veniva nascosta da un paio di nubi, l’oscurità sembrava essere calata di colpo.

«Allora sei pronto a tornare?» Mori era davanti a lui e gli tendeva la mano, il demone fece un passo avanti;

«Ormai non c’è più nulla che mi tenga legato a questo mondo».

  
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