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Autore: Alarnis    08/03/2021    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cavalieri e contadini

 
“Il problema non è qual è il nostro piano.” disse con un sorriso ironico Ludovico sottolineando, “Il problema è: tu chi saresti?”.
In effetti non c’erano state presentazioni. Moros portò l’indice della mano destra al capo imbarazzato e forse impacciato di quell’interrogatorio. La voce di Ludovico era ostile mentre lo fissava; la schiena appoggiata ad una parete portante del capanno; un’aria di sufficienza in viso.
Moros raccolse il coraggio a due mani, di fronte a quei cavalieri sconosciuti chiarendo chi fosse. “Sono Moros e vengo dalle campagne di Raucelio.” fece allungando la mano amichevole.
“Ztt” alzò il lato della guancia Ludovico, mentre ritornato schiena dritta e allungato il braccio, gli abbassò sgradevole la mano con la sua, “E che aiuto ci potresti dare. Sentiamo?”.
Moros si sentì umiliato. Era così che mortificavano i potenti: non solo con il castigo delle spade, ma anche con le parole.
Si stupì a pensare nessuno avesse preso le sue difese, neppure Braccioforte. Del resto perché l’omone avrebbe dovuto cantare le sue lodi? Si conoscevano appena.
Indietreggiò e negando col capo si accorse di essersi sbagliato. Lui non si era offerto d’aiutarli, ma cosa più grave aveva pensato di chiedere aiuto ad un giovane non diverso dallo stesso Gregorio, che in passato l’aveva accolto al castello con un ambiguo Chi non muore si rivede!
Braccioforte intervenne trattenendolo saldo al braccio e prendendo, ora sì, le sue difese.
“Non giungere a conclusioni avventate, Ludovico Chiarofosco!” consigliò l’amico, mentre Moros orgoglioso chiariva non avesse più importanza: non avrebbe di certo strisciato di fronte ad una persona simile per farsi aiutare.
Ma Braccioforte non gli avrebbe permesso di andare senza una risposta, infatti paternamente lo rispese “Non fare il bambino.”, subito accavallato dalla voce del rosso Alberico, che con un sorrisetto sottile in viso ironizzava “Lo è!”; anche se i tre cavalieri non dovevano essere più grandi di Moros se non di pochi anni. Di certo la vita che avevano condotto li aveva resi più sicuri rispetto a quello che consideravano uno sprovveduto contadinotto.
“Forse hai ragione!” concesse tregua Ludovico, ma gli occhi verde arancio sembravano valutare Moros solo in base ai vantaggi che avrebbe apportato alla loro causa.
“Sei di Raucelio.” rifletté il biondo giovane “Di certo non ci seguiresti per ritornare a Rocca Lisia.”: era chiaro chiedesse… Quindi perché?
“Sei un mercenario?” indagò il bruno Federico, guardando con attenzione il suo abito da viaggio. Correggendosi poi “Non lo sembri.”, come se avesse parlato prima di pensare. Gli occhi azzurri indagatori, mentre andava a sedersi su di uno sgabello malfermo.
“E’ un contadino.” parlò per Moros, Braccioforte, senza disprezzarne la condizione.
“Speri in terre?” sviolinò Ludovico: le tempie corrucciate, impressionato e interessato, come se potesse mercanteggiare, con poco, tanto.
Bhe! Il biondo giovane si sbagliava si disse Moros, perché il suo coraggio non era in vendita.
“Non mi interessa la terra.” avvertì. “Non mi interessa Rocca Lisia.” azzardò come potesse conquistarla anche da solo. “Potrei avere un conto in sospeso con Gregorio Montetardo.” avvertì vago, creando involontariamente aspettativa.
“Gregorio?” appuntò Ludovico come se affermasse La cosa si fa interessante!
“Diciamo che valgo un premio!” scherzò Moros, facendo stendere il sorriso di Ludovico di una piega maliziosa, che ironizzò “Una taglia.”.
Converti le paure del nemico in possibilità! Rischia! La voce di Guglielmo, suo mentore, dentro di lui, lo portò a dire : “Voglio sapere del passaggio segreto.” sfidando Ludovico mentre lo guardava negli occhi.
“Se c’è?” indagò il rosso Alberico separandosi i ciuffi dei capelli con noncuranza: un taglio corto, scalato sul collo.
“Non era una domanda.” disse freddo Moros, determinato.
“Ed è sì, la risposta.” accordò Ludovico sorprendendolo, non cessando di sorridere superbo, visto che forse potevano trovare un accordo. Un uomo in più per un segreto in meno.
Non era la prima volta che Moros si stupiva della liberalità di chi si sentiva superiore a lui all’inizio, ma poi restava stupito della sua risolutezza e cocciutaggine. Si ricordo del magro soldato Ubaldo: arrivato con arroganza davanti alla casa di Matilda.
Ubaldo non era sceso da cavallo. “A voi di casa!” aveva sgarbatamente urlato per far uscire qualcuno.
Giustamente erano usciti o arrivati tutti, dalla casa e dai campi adiacenti: Matilda e i figli, Moros compreso. Uno stuolo di monelli, grandi e piccoli, robusti e malconci, cenciosi o meglio rattoppati.
“Cerco madama Matilda.” si guardò intorno Ubaldo con aria di sufficienza; puntando il viso spigoloso proprio al volto di sua madre che acconsentì a dire “Sono io. Matilda.” La donna fece un goffo inchino, alzando di pochi centimetri la lunga tunica; i capelli arruffati e cotonati che sembravano un cespuglio o degli stracci sfatti e ammucchiati a chiocciola. Il volto del soldato Ubaldo che la squadrava con un visibile disgusto, se non valutarne la formosità di fianchi e seno, che prominente Matilda non si dava cura di contenere, al contrario evidenziava con un’ampia scollatura.
“Il mio signore e vostro, Guglielmo Montetardo, conte di Raucelio, tiene a dimora vostro nipote Nicandro.” declamò il soldato, accompagnando a quelle parole un sacchettino che lasciò cadere ai piedi del proprio cavallo “Questo è per il disturbo, da parte del mio signore.”.
Matilda perplessa in viso. Non si era neppure presa la briga di cercare Nicandro e del resto se Ubaldo non avesse specificato nipote avrebbe avuto difficoltà a riflettere su chi potesse mancare all’appello. Il suo solito: uno più uno meno.
Ubaldo concluse “Non venite a cercarlo.” chiarì. “Non vogliamo accattoni pidocchiosi.”: i fratelli Fernando e Bernardo che inopportunamente gli si scaccolavano davanti, Jacopo con il solito moccolo al naso che colava come cera di una candela, Berenice che si grattava la testa e non solo quella. Di certo non smentivano quell’affermazione.
Ubaldo girò il cavallo senza attendere un assenso, messaggi o proteste. Finiva tutto così. I suoi fratelli che già sfollavano, chi dentro, chi a giocare, chi riprendeva a sfaccendare in casa e nella campagna.
Moros aveva guardato gli altri per cercare qualcuno che avesse rimorso di chiedere spiegazioni, ma di fronte al loro girare le spalle s’era deciso a frenare il soldato iniziando a corrergli appresso, nell’indifferenza dei fratelli.
“Aspettate.” continuò a rincorrere l’andatura al trotto del soldato che non sembrava intenzionato a girarsi o aspettarlo.
Lo seguì richiamandolo ancora e poi ancora, ma alla fine tacque per risparmiare il fiato, limitandosi a rincorrerlo.
“Golia, abbiamo compagnia.” lo sentì suggerire al cavallo: un buon palafreno dal manto color marrone lucido.
Il soldato aveva capelli castani, miele una volta accarezzati dai raggi di un sole generoso che riscaldava l’aria.
Ubaldo si girò un istante a guardarlo: aveva un viso triangolare magro e scavato, basette a mezza guancia e pizzetto sulla punta del mento, gli occhi scuri e una fascetta rossa che gli cingeva la fronte come un anello. Anche se di fisico asciutto aveva un’aria forte e uno sguardo che sapeva il fatto suo.
Moros lo guardò bieco. Si fermò un istante spolpato, le mani al fianco sinistro dolorante, ma poi continuò per non farsi seminare. Con uno scatto riprese a seguirlo, ma gli sembrò che l’andatura del cavallo fosse stata frenata.
Iniziò ad affiancarlo, ma incespicando finì a terra di colpo. Tirò un’insolenza mai vista, dettata dalla frustrazione, ma si rialzò nuovamente.
Si dette uno slancio per raggiungerlo, ma si sorprese nel vederlo fermarsi.
“Deve essere importante.” accordò il soldato.
“Sono Ubaldo.” si presentò breve, mentre porgeva una carezza al suo cavallo, lucido nel manto, nobile e stabile come sull’attenti.
“Moros, signore.” fece altrettanto, mentre tendeva il viso verso l’alto rivolto al cavaliere.
“Sei mai salito su un cavallo?”.
Moros negò, poi a parole pronunciò “Mai.”.
“Piede sulla staffa. Ti aiuto a salire!” disse il soldato togliendo il proprio piede dal sostegno, perché Moros si desse lo slancio a salire, nel contempo favorendogli la mano.
Moros aiutato e agile in prima persona riuscì a salire al primo colpo e non sembrò goffo, meritandosi un “Ottimo, ragazzo!”.
“Mi ricordo di te.” avvertì il soldato: era uno degli uomini che avevano minacciato Moros con le lance il giorno in cui aveva conosciuto la ragazza della freccia.
Che solo ora aveva un nome: Lavinia.
   
 
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