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Autore: Francine    10/03/2021    2 recensioni
Ammesso che la passione umana abbia la virtù d'innalzarsi al di sopra di ogni assurdo, come si può sostenere che non abbia anche quella d'innalzarsi al disopra dei propri assurdi?
(Yukio Mishima, Confessioni di una Maschera, 1949)
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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7.



 
 
«Oh, qual buon vento?»
 
La dote principale di Yngve non è la bellezza, né il suo cervello che lavora ad un ritmo serrato – serratissimo. La dote di Principale di Yngve – al secolo, Aphrodite dei Pesci – è una faccia di bronzo da primato olimpionico. 
Gli sorride, mentre lo accoglie nel giardino sul retro della Dodicesima Casa, un grembiule addosso e una bandana giallo sole a proteggersi i capelli. Che sia già tempo di potare le piante?, si domanda Rodrigo, avanzando a passi lenti verso il padrone di casa.
 
«Scusa la confusione», dice Yngve, una pietosa bugia, ché il giardino in cui sta lavorando assomiglia ad uno di quei set fotografici en plein air. E Ruy non si stupirebbe di veder apparire da un momento all’altro il fotografo, le modelle e tutto il carrozzone al completo. «Vuoi qualcosa di fresco da bere? Fa un caldo, oggi...»
«Acqua, grazie...»
 
Yngve annuisce, posa le roncole, si sfila i guanti, scioglie il nodo del grembiule e rientra nel fresco della Dodicesima Casa. Punta dritto ai suoi alloggi privati, una carezza veloce a Non Plus Ultra che solleva appena una palpebra quando li vede sfilare, per poi tornare a ronfare beato su una mensola di marmo. Yngve si slega la bandana dalla testa e la posa sul tavolo, quindi gli porge un bicchiere colmo fino all’orlo di acqua fresca. Nella brocca, neppure a dirlo, un rametto di menta e qualche fettina sottile di limone.
 
«Grazie.» La voce di Rodrigo è bassa e tagliente. Quella di chi vuole spiegazioni. Quella di chi è venuto a ribadire che le persone – che gli amici – non si manovrano come burattini per i propri loschi comodi, che…
«Quello è un succhiotto?»
 
Rodrigo arrossisce.
In maniera indecente, inappropriata, indecorosa.
Arrossisce perché sì, quello che la sua mano è corsa a coprire ‒ e che lo scollo della camicia non copre quanto sperava ‒ è un succhiotto. Pegno di Aiolia. Uno dei tanti con cui gli ha costellato la pelle e l’anima la notte scorsa. E con cui il Leone starebbe ancora tracciando la sua personalissima mappa sul corpo dell’amante se questi ‒ Mr Palo nel Culo ‒ non avesse insistito per sgattaiolare via. Perché c’era una questione da chiarire con Yngve, e da chiarire subito, ché a Ruy non piace tentennare e a Shura non piace avere conti in sospeso.
E quello con Aiolia?, gli domanda la coscienza. Con la voce nasale ‒ e petulante ‒ di Yngve.
Sta’ zitta!
 
«Allora? Il gatto t’ha mangiato la lingua? Quello è un succhiotto, sì o no?»
 
Yngve deve essersi alzato con un inconfessabile desiderio di morte, stamattina. Altrimenti non insisterebbe così tanto. Altrimenti la farebbe finita e glisserebbe, come al solito suo, limitandosi ad un sorrisetto innocuo. Invece, no. Invece insiste, le mani sui fianchi come a dirgli che lui aspetta una spiegazione ‒ e più che convincente – circa quanto successo la notte scorsa. O non lo lascerà andare via.
 
«Questo non...»
«Quello è un succhiotto, sì o no?»
«Sì!»
«Alla buon’ora!»
 
Rodrigo sbuffa e si lascia cadere su una sedia.
«Non farlo mai più», dice – minaccia – lo sguardo truce e l’espressione incazzata. «Intesi?»
«Non farlo mai più… cosa? Mica te l’ho fatto io, quello
 
A Yngve piace giocare a fare il finto tonto.
Ma oggi proprio non è giornata, ché se da un lato Ruy è più che soddisfatto di come si siano evolute le cose, tra lui e Aiolia, dall’altro gli girano le palle al pensiero di essere stato lo zimbello di Yngve. Uno dei tanti, s’intende. L’ennesimo. E se a Marco non dispiace l’idea di andarci di mezzo ancora una volta – reazione che dipenderà da quanto l’amor proprio del Cancro, di solito sproporzionato, si sarà sentito offeso e da quanto sarà stata brava Shaina a lenire le ferite del suo orgoglio –, a lui no. Proprio, no. Ha già recitato quel ruolo ed è finita malissimo.
 
«Lo sai a cosa mi riferisco!»
«No.» Pausa. «Non lo so.»
 
Yngve vuole che gli tiri il collo.
C’è un’assicurazione sulla tua vita di cui tu sei l’unico beneficiario?
Perché Ruy non si stupirebbe di quest’eventualità. Affatto. Hanno stipulato una polizza ad un minorenne. E non hanno battuto ciglio quando questo minorenne scendeva da solo ad Atene a saldare le rate.
«A proposito. Com’è finita la storia della polizza?»



Rodrigo sa che non dovrebbe impicciarsi, ma è più forte di lui. E quando si accorge di ciò che ha detto, è troppo tardi per rimangiarsi quelle parole.
Yngve si stringe nelle spalle. Come a dire che la questione, ormai, non è più cosa che lo riguardi. Ha passato la patata bollente a Kanon. Con gli interessi. E c’è ancora qualcuno che considera Yngve un’adorabile bambolina.
Povero disgraziato…
 
«Non mi riguarda», risponde infatti Yngve. «La questione appartiene a Kanon, adesso. Al Sacerdote, pardon… Io mi sono limitato a segnalargliela. Sai come sono le assicurazioni, no?»
«No, non lo so.» Pausa. «Come sono le assicurazioni?»
«Pesci rossi quando si tratta di pagare. Squali, quando devono invece riscuotere.»
«Capisco...»
 
Yngve gli versa un secondo bicchiere d’acqua. Rodrigo accetta. Oggi fa caldo. Un caldo asfissiante. E lui avrebbe volentieri evitato di farsi tutte quelle scale per quel chiarimento vis-a-vis. E di dover sfilare davanti agli occhi dei suoi compagni d’arme. 
Shaka e Camus, impegnati com’erano a meditare, non si sono accorti di lui. Solo Milo ha sollevato mezza palpebra, gli ha scoccato un sorriso sornione, e poi è tornato a far finta di creare il vuoto dentro di sé.
Doko di Libra ha sorriso, con l’aria del saputello a cui cambieresti volentieri i connotati. Aiolos l’ha guardato con aria confusa, prima che la reale sostanza delle cose raggiungesse il suo cervello. Poi ha spalancato occhi e bocca e ha aggiunto un «Ah.».
E adesso Rodrigo capisce perché.
Un succhiotto sul collo. 
Come un adolescente colto in castagna dal professore. 
 
«Comunque, visto che siete sgattaiolati via, ti aggiorno sull’esito della riunione», dice Yngve posando il proprio bicchiere.
«Quando hai finito, dillo», minaccia Rodrigo, ma l’altro non sembra voler capire l’antifona.
«Il Sacerdote ha ordinato un’ispezione a tappeto di tutte le Case del Santuario.»
E perché?, pensa Ruy. E poi lo dice: «E perché?».
«Per sincerarsi che non ci siano… Come dire? Spazi nascosti che potrebbero ospitare una o più persone», risponde Yngve. «All’insaputa del Custode, s’intende.»
«Certo», fa Rodrigo. «All’insaputa del Custode...»
Yngve si stringe nelle spalle e allunga le gambe sotto al tavolo. «Mi sembra giusto. E anche sensato, ti dirò. Non si sa mai dove possa andare ad imboscarsi il nemico...»
«Quindi, per un po’ niente pokerino del venerdì?»
 
Touché.
Yngve sorride, ma Rodrigo ha scorto una crepa sulla sua pelle d’alabastro.
Tranquillo, pesciolino, questa era solo una botta dritta, pensa il Capricorno, versandosi da sé un terzo bicchiere d’acqua. Ci sarà tempo per un bell’affondo come si deve. Ma non subito. Più avanti. Queste sono solo bordate gentili. D’avvertimento. Scambi di cortesia, ecco. Buona educazione. Nessuna persona sana di mente rovinerebbe un bell’incontro assestando subito un paio di stoccate mortali. Sarebbe una barbarie.
Invece, così, c’è tempo. C’è respiro. C’è danza. Bellezza. E a Yngve piace, la bellezza. Specie se ha la pelle bianchissima e i capelli rosso fiamma, pensa Ruy. Che è pronto, prontissimo a scommettere che c’è lo zampino di Marin, in tutta questa vicenda ‒ dal rametto di menta per aromatizzare l’acqua, alla ricerca di nuovi e sconosciuti spazi all’interno delle Dodici Case. 
Come se i relativi Custodi non li conoscessero uno per uno. 
Come se i relativi Custodi non avessero battuto palmo a palmo le Case loro assegnate, vuoi per conservare i propri strumenti di lavoro (Mu), vuoi per pratiche meno nobili come nascondere qualche spuntino notturno (Marco); mezza dozzina di pile di riviste porno (Yngve); o qualche buona bottiglia di vino da stappare alla bisogna (Étienne).
 
«Saranno tutti troppo affaccendati a controllare le planimetrie della propria Casa per pensare al pokerino del venerdì», ghigna Yngve. E, se possibile, quell’espressione maligna lo rende ancora più bello. Come le sue rose bianchissime. Quelle più letali. Quelle che ti uccidono prima ancora che tu ti sia reso conto della loro pericolosità.
«E immagino che la cosa abbia una sua utilità», commenta Rodrigo, tamburellando le dita sul legno del tavolo. «Suppongo che Marin non ne potesse più di nascondersi dietro una colonna ogni santa volta che qualcuno passava per la Dodicesima Casa.»
«Supponi bene.» Pausa. «Certo che siete proprio strani… »
Noi, eh?, pensa Rodrigo. E poi lo dice: «Noi, eh?».
«Ma insomma! Vi tolgo le castagne dal fuoco e vi lamentate pure!» Yngve mette su un’espressione offesa, offesissima. Nella sua personalissima visione delle cose, ha fatto loro un favore. Guadagnandoci in prima persona, ça va sans dire, ché il bellissimo Aphrodite dei Pesci non è certo Madre Teresa di Calcutta; ma ha ragione: il pokerino del venerdì è - era? - una di quelle spine nel fianco di cui chiunque, al Santuario, avrebbe volentieri fatto a meno. A cominciare da Yngve. «Siamo onesti. Ti piaceva giocare a poker ogni benedetto venerdì sera?»
Rodrigo tentenna. Temporeggia. Esita. Traccheggia. Poi, alla fine, confessa: «No. Io odio giocare a poker.».
«Che ti dicevo?», e il viso di Yngve torna ad essere radioso. Come un bocciolo in procinto di schiudersi al sole di Aprile. O un prete che t’ha colto in fallo nel segreto del confessionale. «Che poi, ad essere sinceri, che senso ha giocare a poker senza soldi? Che gusto c’è? Tanto vale giocare a scacchi! Comunque sia, è finita. Una mano lava l’altra… »
«E tutt’e due lavano il viso.» 
 
Rodrigo incassa. Va bene così. È giusto lasciare che anche l’avversario dia un paio di stoccate. Magari di striscio. 
«Permettimi una domanda...»
«No. Non vogliamo che la cosa sia di dominio pubblico», ma non era quella, la domanda che voleva porgli Ruy. Ovvio, che vogliano mantenere la cosa riservata. Anche se, facendo un rapido calcolo, sono in tre a sapere della loro liaison: Ruy, Marco e Aiolia. E se Ruy è prontissimo a mettere la mano sul fuoco sulla propria riservatezza così come è pronto a farlo per Marco - strano, ma vero -, non è sicuro che Aiolia sia una tomba.
«Sì, ma...»
«C’è un passaggio segreto che collega il Santuario alla Dodicesima Casa», ma non era nemmeno quella, la domanda fatidica. «Basta saltare tra le rocce, come le capre.»
«Sì, ma...»
«Sì, ma; sì, ma… » Yngve sbuffa. «Cosa sei, un disco rotto?»
E due, pensa Rodrigo.
«Tu e Marin stavate insieme anche quando… Sì, insomma… »
«Anche quando c’era Saga sul trono di Athena?» La testa di Rodrigo va su e giù. «Sì. Più o meno. Da quando lei ha capito che con Aiolia non c’era storia.» Pausa. «Sai com’è… a lui piaceva qualcun’altro… »
Rodrigo non raccoglie. 
È troppo interessato - abbagliato - dal fatto che anche Yngve abbia ricevuto un due di picche. Che anche il bellissimo e letalissimo Aphrodite dei Pesci sia una seconda scelta, in un certo qual modo. C’è giustizia a questo mondo…
«Comunque non capisco la domanda», prosegue Yngve. «Chi l’ha detto che non si debba andare a letto con il nemico?»
«Il buonsenso?»
«Il buon senso! Che solenne fesseria», commenta Yngve. «Il buon senso è come una cane alla catena: ringhia e latra e abbaia, ma alla fine si stufa, si accuccia sulle proprie zampe e schiaccia un pisolino. Basta solo avere l’intelligenza di non starlo a sentire.»
 
Se l’altroieri Yngve gli è sembrato terrificante, oggi lo è ancora di più. 
Sarà per l’espressione sicura con cui ha appena pronunciato quelle parole; sarà per la penombra della cucina; sarà perché un pensiero del genere è così tipico di Yngve da non fare una grinza in bocca a lui; sarà quel che sarà, ma oggi la spina dorsale di Rodrigo è attraversata da un brivido lunghissimo e intensissimo. Come se Étienne ci fosse passato sopra, e come se Milo avesse voluto aggiungere un paio di aculei dei suoi. Così, per non essere da meno.
 
«Perché interrompere una relazione solo perché la fazione di uno vuole ammazzare quella dell’altra? Per un Sacerdote megalomane e impostore ed una ragazzetta che fa la voce troppo grossa? Che assurdità! Sono cose che capitano!» Yngve lo squadra, come a volergli sondare l’anima. «Anche Aiolia militava nella stessa squadra di Marin, no? Eppure questo non ti ha impedito di...»
«È una questione differente.»
«Talmente differente da essere identica.»
 
Rodrigo alza le mani.
Non ne vale davvero la pena. Quando Yngve si mette in testa una cosa, è capace di procedere come un treno fino alla propria meta. Quale che sia. Pure l’angolo più remoto - e freddo - del Cocito.
 
«E poi, la riunione di ieri è stata utile un po’ a tutti. O sbaglio?», domanda Yngve scoccando un’occhiata più che eloquente al succhiotto che decora il collo di Rodrigo. «E già che c’ero, ho anche fatto notare la… perdita che mi sta allagando casa.»
«Il fiume d’acqua che attraversa il naos, intendi?», ché sì, Yngve ha ragione. C’è un vero e proprio rigagnolo che scorre con indefessa convinzione al di sotto del rialzo al centro della Dodicesima Casa. Non gli si può dar torto.
«Quello», risponde Yngve. «Sai, da ragazzino aveva la sua utilità...»
«E per cosa? Per tenerci dentro le bottiglie di birra?»
«No. Dei pesci rossi.»
 
La voce di Marco buca il silenzio della Dodicesima Casa come un boato. Non l’hanno sentito arrivare. Eppure, il cervello di Rodrigo ha registrato i versi improbabili di Non Plus Ultra. Lo stava salutando. Quella lince travestita da gatto nutre una passione smodata per Marco. Come se fosse lui, il suo padrone. E Yngve glissa, anche se la cosa lo irrita. Come un dente cariato che pulsa, pulsa, pulsa…
Marco avanza. Come se quella fosse la cucina della Quarta Casa. Come se da un momento all’altro potesse spuntare fuori Francesca e chiedere loro se gradiscono una spuntino. Una cosetta veloce, tanto per mettere qualcosa nello stomaco. Mormora un «’giorno» poco convinto, scosta una sedia e vi si stravacca sopra, mentre Non Plus Ultra gli si acciambella sulle gambe. Come è suo costume.
 
«Dei pesci rossi?!»
«Sì», risponde Marco. «Quello è un succhiotto?»
 
Yngve si stringe nelle spalle. «Appena arrivato non spiccicavo mezza parola di greco. Il Sommo Sion credeva fosse una buona idea. Sai, per farmi ambientare.»
«E che fine hanno fatto, quei pesci rossi?», domanda Rodrigo, lo sguardo che si perde ad incontrare quello di Non Plus Ultra, il meraviglioso norvegese delle foreste di Yngve, tanto bello quanto stronzo. Almeno quanto lui. Una palla di pelo che s’inventa nuovi e arditi modi per palesargli quanto lui gli stia enormemente sulle scatole. E il sentimento è reciproco. Li hai mangiati tu, bestia immonda?
«Andati», risponde Yngve. «Uno dopo l’altro. Avevano il brutto di vizio di scivolare lungo la corrente e finivano nella piscina di Camus.»
Strano, pensa Ruy. Strano davvero. 
«Non fanno più i pesci rossi di una volta, vero Bellezza?», commenta Marco, accarezzando la testa di Non Plus Ultra. Che inizia a ronfare con maggiore convinzione.
«Ti sei lavato le mani?»
«Lava i peccati, non solo il viso.»
 
Marco sorride. Segno che è arrivato fin su la vetta armato delle peggiori intenzioni. Possibili e immaginabili. Ed è sobrio. Sobrissimo. E se da sbronzo è un pericolo pubblico perché bocca e cervello non sono più connessi - ammesso che lo siano mai stati -, da sobrio Marco rappresenta il tuo peggior incubo divenuto realtà.
E Yngve lo sa.
E Yngve lo aspetta al varco.
Come quando erano marmocchi e combattevano tra di loro, ché gli altri erano troppo, troppo piccoli per poter fare ragionevolmente sul serio.
La sua mano continua ad accarezzare il pelo bianchissimo di Non Plus Ultra.
 
«Certo, non fanno più nemmeno le capre di una volta», sospira, specchiandosi negli occhi blu del gatto. «Andare a letto con il leone. Cose da pazzi, vero? O forse, è arrivata l’Apocalisse? Sai com’era quella storia, no? E l’agnello giacerà con il leone...» Pausa. Non Plus Ultra gnaula. E Marco puntualizza: «Agnello. Non capretta.».
«Parafrasando: finché Mu se lo tiene nei pantaloni… »
«Fottiti. Tu e tu. E pure tu, bestia immonda… »
 
Quindi Rodrigo butta indietro la testa e sbuffa.
No, non la pianteranno. Anzi, continueranno a sfotterlo per un bel pezzo, e ci sta: tra amici si fa così, ché siamo pronti a risollevare gli spiriti in ambasce, ma anche a riportare coi piedi per terra i cuori che hanno appena incominciato a volare. Non per cattiveria o malanimo, nossignore; per prudenza, ché l’unico limite è davvero il cielo. E spesso il cielo sembra così vicino da darti l’illusione di poterlo toccare, solcare, attraversare, facendoti scordare che le tue ali, ahimè, sono tenute insieme con della cera ancora tenera. Così un amico, un amico vero, ha sempre pronte due cose: una buona bottiglia di sano bibendum - qualcosa che ti lasci mezzo morto a terra, sostituendo le pene d’amore con un'emicrania coi controfiocchi - e una scorta di cerotti e bendaggi con cui riattaccare un cuore in pezzi. 
 
«Credo, però, che ci vorrà del tempo», prosegue Marco. E poi, quando il suo sguardo legge la perplessità sul viso di Ruy, aggiunge: «Per essere ripagati, intendo. Sai, devono pensarci le assicurazioni...».
«Ah, beh. Allora l’abbiamo messo in banca!», sbuffa Rodrigo. 
«Bisogna sapersi accontentare», filosofeggia Yngve. 
Rodrigo accavalla le caviglie sotto al tavolo e lo fissa dritto nelle palle degli occhi. «Più che altro, bisognerà trovare una nuova forma previdenziale...»
«Scusami?»
 
Fouet. Dritto alla spalla destra. E ho appena cominciato, Yngve...
«Yngve, io ti conosco. Quindi non fare il furbo con me.» Pausa. «Io non sono Saga.»
«Sì. Ma Saga ti ha messo nel sacco.» Pausa. «O sbaglio?»
 
Sì, Yngve vuole davvero morire, oggi. Morire male. Dolorosamente. Un affondo dritto al cuore, dopo che Ruy gli avrà colpito ripetutamente braccia, gambe e torso. Che bellezza, tirare di scherma con la spada. E colpire tutto il corpo dell’avversario. Perché limitarsi al busto, o aggiungere anche le braccia, quando si può mirare - e sconquassare - l’avversario per intero? Vuoi mettere la soddisfazione? Il gioco di gambe? La grazia?
Strano che la scherma non ti piaccia, Yngve…
 
«Touché.»
 
E pure Marco aspira ad emulare san Sebastiano. Com’era? Asinus asinum fricat... 
«Sì. Per buona grazia vostra», ribatte Rodrigo. Calmo. Serio. Compassato come al suo solito, ché in duello non ci si può far prendere dall’ansia o dalla foga, ma serve usare il cervello. E Yngve, di cervello, ne ha da vendere. Forse anche troppo. E non ha paura di usarlo. Galleggiare a pelo d’acqua richiede cervello. E pelo sullo stomaco. E una buona dose di savoir faire e savoir vivre che garantiscano un discreto senso dell’equilibrio in un mondo perennemente sul filo del rasoio. 
«Desperate times, eccetera eccetera… » Come se la questione fosse finita lì. Come se, invece, non fosse appena iniziata.
 
«Non lo metto in dubbio», ribatte Ruy. «Così come non metto in dubbio che quel premio sarebbe potuto essere una sorta di… come chiamarla?»
«Chiama le cose con il loro nome e falla finita», e quando la voce di Yngve si abbassa così, è segno inequivocabile che l’hanno punto sul vivo.
«Perfetto. Chiamiamo le cose col loro nome», concede Marco. «Pensione, come ti suona?»
«Mi suona corretto», commenta Yngve. «Uno non può fare il Santo di Athena per tutta la vita. Bisogna anche pensare al futuro.»
«Yngve, tecnicamente noi...»
«Sì, lo so», lo interrompe l’altro. «Lo so. Tecnicamente, noi non abbiamo futuro, ma il No Future del punk non mi si addice. Né si addice a te. O a Marco.»
«No, in effetti no», replica il diretto interessato, camicia bianca e jeans immacolati. 
Troppe borchie? «Quindi?»
«Quindi, io punto a restare vivo il più a lungo possibile», confessa Yngve. Senza pudori, paure o reticenze varie. Con un’onestà che spiazza ancora di più, sentendola uscire dalle labbra rosate di Yngve. Uno che è prontissimo a rifilarti una scusa che indori la pillola più amara da ingoiare, seduta stante. «Ma per restare vivo il più a lungo possibile occorrono soldi. Denaro. Moneta sonante, ché campare costa. E i miei gusti sono ricercati.»
«E punti ad una polizza assicurativa? Sul Sacerdote?»
«E su chi altri, scusa?», gli domanda Yngve. Sinceramente perplesso. «Il Sacerdote è l’ultimo che scenderà in battaglia. Quindi anche l’ultimo a restare in vita. Senza contare che il Sommo Sion...»
«O chi per lui… »
«… o chi per lui, aveva duecent’anni.» Pausa. «Ti sembra logico che un vecchio di duecento anni cominci a menare le mani? Che potrebbe fare? Tirare la dentiera al nemico?»
«La protesi all’anca farebbe più danni», ridacchia Rodrigo. Ché Yngve sarà pure uno stronzo, sarà pure un paraculo, sarà pure la spina avvelenata in un roseto rigoglioso, ma lo fa ridere. Di cuore, pancia e anima. Ecco perché loro tre si sono presi. Ecco perché si trova bene in loro compagnia. Nonostante Marco sia uno sbiellato e Yngve uno scienziato pazzo a piede libero. «Però non ci credo che abbiano assicurato la vita di… »
«Certo che no.» Il sorriso di Yngve è un lampo bianco scoglio. Come la chiostra dei denti di un pescecane. «Ho assicurato Saga. Non il Sacerdote.»
«Figlio di puttana… »
«Sono bello, mica scemo!» Yngve allarga le braccia, come a dire: Tu quoque, Rodrige!. E poi lo dice: «Tu quoque, Rodrige!».
«Sì, sì. Qui, Quo e Qua.» Ruy fa un gesto con la mano, come a scacciare via una mosca fastidiosa. «E adesso come la risolvete? Il premio riscosso e… »
«Perché ti imminchionisci su questa faccenda? Vuoi accendere una polizza assicurativa sulla tua vita? O su quella di Aiolia?», e lo sguardo affilatissimo di Ruy fa capire a Marco che non è il caso di scherzare con il fuoco. «Kanon… il Sacerdote, pardon, rifilerà la patata bollente a Saori. Athena.»
«E?»
Yngve si stringe nelle spalle. «E te l’ho detto. Non ne ho. La più pallida. Idea», risponde, cadenzando bene le parole, quando è vero l’esatto contrario. «Posso solo azzardare l’ipotesi che Saori...»
«Athena.»
«… che Athena si rivolga ad uno studio di avvocati con gli attributi. Suvvia, la Fondazione Grado avrà pure qualcuno che curi i suoi interessi, no?»
«Suppongo di sì.»
«È bene che se ne occupi lei. Chi meglio della dea della strategia può uscire fuori indenne da questa situazione?»
«Da questo pantano, vorrai dire...», puntualizza Rodrigo. E poi aggiunge: «Gesù, Giuseppe e Maria. E tutto questo perché?»
«Tutto questo per un piatto di minestra.»
 
Ėjzenštejn. Nientepopodimenoche. A Yngve piace toccarla piano, pianissimo. Un sussurro appena. Sennò che gusto c’è? E qualcosa, nella mente di Rodrigo, gli suggerisce che sarebbe un perfetto Vakulinčuk, nella sua divisa da marinaio russo. A patto di lasciarsi crescere un paio di poderosi mustacchi, cosa che Yngve non sembrerebbe essere propenso a fare.
Il morto chiama, pensa Rodrigo. E la scalinata che collega le Dodici Case tra di loro assomiglia un po’ troppo a quella di Odessa, per i suoi gusti. Abbiamo già avuto una carrozzella col bambino. Vediamo di non metterci pure gli stivali dei soldati. E il montaggio analogico.
 
«A tal proposito… » 
 
E quando Marco esordisce in questa maniera non è mai una cosa buona. Anzi. C’è puzza di piombo, in quella cucina; troppa per respirarla ed essere ancora vivi a lungo. Adesso ti metti a citare Sergio Leone? Tutta colpa di Marco. Sua e di quei film con cui monopolizza il giovedì sera. La prossima volta, fantascienza. Dura&pura. Blade Runner, ad esempio. Per cominciare. Per sciacquarsi l’anima. Fino alla prossima volta. Io ne ho viste, di cose… 
 
«E se accendessimo una polizza sulla vita di Athena?»
«Sei impazzito?!»
«Piano, macho», gli fa Marco, l’aria atarassica di chi non ha alcuna intenzione di mettersi a fare a botte all’interno di una cucina immacolata. «La polizza avrebbe come beneficiario uno dei Santi di Bronzo. La Biscia. O il marmocchio con l’armatura color caramella», e Rodrigo si rilassa. 
Lo fissa, come a scrutargli l’anima, e quando vede che non c’è alcuna fregatura - al momento - nelle parole di Marco, raccoglie la sedia da terra e si risiede compito. Yngve incrocia le dita, rilassa le spalle e osserva Marco con molta, moltissima attenzione.
«La stipuleremmo con una compagnia assicurativa del Gruppo Grado», prosegue Marco. «Così, magari Saori… Athena, pardon, la pianterebbe di infilarsi di testa in ogni casino in cui inciampano i suoi graziosi piedini… Sul serio. Ho fatto quattro chiacchiere con quel moccioso.»
«E?»
«E quella benedetta ragazza se li cerca col lanternino, i guai!» Marco allarga gli occhi blu scuro, l’espressione incredula di chi non sa da che parte cominciare a raccontare. «Se a rapirla non è un dio che s’è svegliato col culo scoperto, lo va a cercare lei. Colonne sottomarine. Speroni di ghiaccio alla deriva. Giare. Rovi. Altari. Una volta l’hanno messa pure su una nave vichinga.»
«Su una nave vichinga?!»
«Sissignore!», commenta Yngve. «E mica una su nave qualunque. Su Naglfar. Nientepopodimenoche!» 
E quando vede che questo nome non fa accendere alcun interruttore nella testa di Rodrigo, Yngve aggiunge: «La nave del Ragnarok. L’unica e sola.».
«Ah.»  
«Esattamente.» Pausa. «Adesso capisci perché è di vitale importanza stipulare una polizza sulla vita di Athena? Pardon, di Saori?»
«Magari potremmo parlarne a quel gorilla del suo lacchè… Com’è che si chiama? Takumi?»
«Tatsumi», puntualizza Rodrigo.
«Fa lo stesso!» sbotta Marco. «Secondo me, lui potrebbe essere d’accordo...»
Rodrigo si stiracchia i polsi, allunga le gambe sotto al tavolo e si rilassa contro lo schienale. E dice: «Potrebbe essere una buona idea. Ma prego, Marco, prego. Inizia a spiegare. Sono tutto orecchi… ».





I matti non vanno assecondati.
O meglio: i pazzi furiosi vanno assecondati fintantoché in ballo c'è la vostra salvezza. Non va dato loro corda, a patto di non sperare che vi si impicchino da sé, togliendovi dall'imbarazzo (e da un'accusa di omicidio, ché sono trent'anni, minimo, da scontare nelle patrie galere. Sì, avete un tetto sulla testa e vitto e alloggio, tuttavia...).
Questa storia è colpa di SherryVernet.
Perché i pazzi non vanno assecondati, si diceva; e lei mi ha assecondato, mi ha fornito la corda (rigorosamente d'oro), mi ha corretto anche le virgole (dimostrandosi un'ottima cartina tornasole) e mi ha tenuto la manina durante il parto (podalico e pentagemellare) di quest'idea. Che se ne stava buona buona nella mia testa a decantare (in realtà, a diventare compost, ma non sottilizziamo) da almeno quindici anni. Da quando, cioè, un'avventurosa ragazzetta decise di piazzare una rock band improvvisata sulla cima dell'Undicesima Casa. E sì, anche se la cosa sembrava totalmente campata per aria e pretestuosa (com'era la faccenda dello scagliare la prima pietra?), il mio occhio cadde sulla forma
so bizarre dell'Undicesima. Che non assomiglia ad un tempio greco o ad una sua rivisitazione neoclassica, secondo la cucuzza bacata degli americani; assomiglia ad un inglesissimo patio in un parco, uno di quelli in cui l'orchestrina locale suona la domenica pomeriggio.

Poi, ripescando dal dimenticatoio per nobilissime cause i giochi per PS2 - rispettivamente:
Saint Seiya- Il Santuario e Saint Seiya - Hades - ho avuto la (sgradevole?) sorpresa di vedere come alcunio interni fossero stati ammodernati secondo l'estro degli sviluppatori. I quali sviluppatori hanno ben pensato di inserire un rialzo all'interno del naos della Dodicesima Casa per farvi scorrere un fiume. Non sto scherzando. C'è un fiume che scorre alla Dodicesima, ruscellio incluso.

E poi c'era quell'idiozia della
liaison tra Leaphya e Aiolia da vendicare. Ché capiamoci, a me sarebbe anche stato bene che il Gattozzo si fosse preso una sbandata per quella donzelletta, con buona pace di Marin (che nel frattempo sa Iddio che fine ha fatto); è la messa in scena che grida pietà e - soprattutto - vendetta. Mi sono presa un pizzico di libertà e mi sono tolta lo sfizio di giocare con i cliché. Considerate questa storia ambientata in un universo parallelo (con il pokerino del venerdì, Non Plus Ultra e il suo folle ammmmore per Marco, e un fugace accenno a Francesca, l'Attendente della Quarta Casa la cui caponatina resusciterebbe pure i morti e la cui cotta per Shura è nota anche ai sassi del Santuario. Since 2014.), uno in cui può succedere di tutto e di più.

I miei ringraziamenti vanno dunque a SherryVernet per la poderosa mano datami durante questa storia. E a voi, per aver letto fin qui.
Spero vi stiate divertiti e spero ci incontreremo ancora!
E adesso,
pe' falla corta, pe' falla breve, mio caro oste portace da beve!

 
   
 
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