VIII.
Glowing Eyes
“This
room is far too dark
For
us to stay around
Redemption’s
not that far
And
darkness is going down”
Glowing Eyes – Twenty One Pilots
“Ripetimi
un po' come ti chiami.”
Con
il naso fuori dal finestrino ed un paio di tondi occhiali da sole,
Stormy osservava il graduale cambiamento di paesaggio, laddove la
foresta di Selvafosca cominciava a lasciare il posto alle praterie:
aveva sempre sentito parlare di un luogo simile ai confini di Magix,
le verdi distese prima delle montagne che ne delimitavano il confine
con il resto dell'universo magico, e non l’aveva mai visto
nemmeno
in foto.
La
ruralità del paesaggio l'aveva sempre affascinata
– nonostante la
città riservasse molte più sorprese –
aveva un profumo che le
ricordava un tempo lontano ed inafferrabile, un tempo che non era
sicura di aver vissuto. Non essendosi mai spinta oltre la periferia,
voleva gustarsi il panorama: sporse la testa a guardare come il sole
baciasse il limitare della foresta, le cime delle fronde degli alberi
ed i fili d'erba che ondeggiavano al passaggio dell'automobile
magica. Le colline si susseguivano una dietro l’altra, la
strega ne
tracciava i contorni con gli occhi scorgendo come, di tanto in tanto,
le loro depressioni nascondessero paesini cresciuti ai loro piedi.
Inspirò
profondamente il lontano profumo degli aghi di pino, voltandosi verso
la città; ed era così lontana da permetterle di
allontanarsi anche
dalla propria vecchia e infelice vita.
“Musa.
Hai la memoria così corta?” la melodyana si
sforzò di usare un
tono scherzoso; l’altra non si accorse del suo fingere e
roteò gli
occhi, continuando a sporgersi fuori dal finestrino.
“Probabilmente
non ho neanche ascoltato. E' che sono successe un sacco di cose ed ho
troppi cazzi per la testa.” rispose, appoggiando il mento
all’avambraccio e sollevando gli occhiali, che stavano per
cadere,
con il pollice.
“Puoi
parlarne, se vuoi. Sai, per sfogarti.” tentò Musa.
Avrebbe
voluto voltarsi verso di lei, ma una curva stretta le impedì
di
distrarsi; la strada cominciava a serpeggiare sul fianco delle
colline.
Stormy
si spostò i capelli dal viso con una mano, guardandola con
la coda
dell'occhio.
“Ti
conosco appena, non te ne potrebbe fregar di meno.” le disse:
il
suo tono era un po' spento, molto meno sarcastico del solito; la fata
le rivolse un veloce sguardo, cercando di studiare in breve il suo
comportamento così inusuale.
Non
ci riuscì; riportò lo sguardo sulla strada,
accelerando appena.
“Non
è detto: ho capito che sei scappata di casa, non posso
sapere cos'è
successo, ma non posso fare a meno di notare che quel qualcosa ti sta
facendo stare male.
Ti
ho dato un passaggio perché non volevo lasciarti
là, sola sulla
strada; ma se non vuoi parlarne, mi sta bene.” rispose,
cercando di
riprendere il tono che aveva usato fino ad allora per non destare
sospetti.
A
tali parole la strega girò
il volto completamente verso di lei, abbassandosi gli occhiali da
sole fino alla punta del naso con l'indice; la guardò con
aria
scettica per una manciata di secondi, studiando le sue reazioni per
capire se stesse facendo sul serio.
“Cosa
c'è?” esordì dopo il silenzio: si
sentiva osservata e, guardando
con la coda dell’occhio il posto del passeggero, aveva
scoperto la
ex nemica a fissarla.
Sentirsi
le
sue pupille
addosso aveva un effetto diverso rispetto a come lo
ricordava: non percepiva la rabbia e il rancore che provava nei suoi
confronti manifestarsi,
la
tensione di uno scontro in procinto di cominciare, il disgusto per le
cattiverie gratuite che le aveva rivolto a più riprese; ma
una
flebile tristezza in crescendo, un’inspiegabile sensazione di
comprensione e compatimento; come se la fata stesse iniziando
finalmente a capire cosa ci fosse dietro a tutti i suoi comportamenti
violenti e iracondi.
“Dici
sul serio? Non è che devi per forza ascoltarmi.” parlò
dopo qualche secondo di silenzio; la curiosità si percepiva
appena
nel tono, ma Musa aveva l’orecchio allenato
a sentire intonazioni diverse, per quanto minime – ancora
una volta, doveva ringraziare il suo potere.
L’atteggiamento
della strega andava ammorbidendosi con lentezza, zittendo quella
diffidenza che s’era ostinata a mantenere per la prima ora di
viaggio.
Alla
melodyana venne da pensare che si fosse sciolta in quanto, nella sua
quotidianità, nessuno volesse mai ascoltarla
parlare; la sentiva stupirsi di avere l’attenzione
di
qualcuno, e si rimproverò
di non averlo notato prima.
In
fondo era così evidente in ogni occasione nella quale il
proprio
gruppo si scontrava con il suo: Stormy doveva assumere il ruolo della
forza distruttiva fuori controllo, attaccava quando le sorelle la
sguinzagliavano, altrimenti non aveva libertà
d’azione. Doveva
essersi stufata da tempo della sua subordinazione, e non erano
mancate le occasioni in cui la questione le si era presentata davanti
agli occhi; ma lei aveva scelto di non farci caso, perché la
strega
era solo un nemico
crudele e sadico, causava
dolore
solo per il gusto di farlo e lei la odiava talmente tanto che il
pensiero di volerla morta l’aveva sfiorata in più
occasioni.
Deglutì
un groppo di saliva, stringendo le mani sul volante; pensare alla
consapevolezza che stava prendendo delle sue forti emozioni negative
verso le nemiche la stava facendo sentire poco bene. Non credeva di
poter arrivare a tanto, ma essendosi considerata sempre dalla parte
giusta – quella in difesa della Dimensione Magica –
non s’era
fermata a riflettere sulla sua moralità ambigua.
La
strega delle tempeste la stava ancora fissando, con le sopracciglia
inarcate.
“Certo,
altrimenti non te l'avrei chiesto.” le disse sincera, alzando
un
po' gli angoli della bocca. Evitò
il suo sguardo con la scusa di dover mantenere il proprio sulla
strada; non avrebbe retto il confronto, non conoscendo
ciò che avrebbe dovuto fare.
L’idea
di abbandonarla stava perdendo la gloria
che aveva provato
verso
la nobile causa di salvare il mondo,
per cui quell’azione sarebbe stata indispensabile; ci aveva
messo
un’ora e mezza per capire che nulla del loro piano fosse
morale.
Eppure
non tutte le scelte giuste erano morali; o così le avevano
detto.
Il
compito doveva essere eseguito per il bene di tutti; tranne quello di
Stormy, pensò.
E
al dovere andavano sovrapponendosi le immagini della possibile vita
della sua nemica, prima che si intromettesse in quella di Musa,
rivoluzionandola e spazzando via ogni traccia di
tranquillità con la
stessa forza dei suoi tornado; prima delle sue disturbanti mire di
conquista del mondo.
Poteva
quasi immaginarla nella propria
stanza,
sola,
alla ricerca di una qualsiasi occupazione che fosse in grado di
tenerla impegnata;
si chiese se avesse avuto contatti esterni oltre alle sorelle, se
non si fosse annoiata a non fare nulla; poteva vederla scappare dalla
finestra – forse avevano una scala antincendio come
aveva visto in alcuni film terrestri,
ma pensandoci bene non le sarebbe
servita
in quanto le sarebbe bastato volare – per un’ora o
due di libertà
in cui sarebbe riuscita a sfogare la sua frustrazione, o forse non
avrebbe avuto abbastanza tempo, abbastanza libertà e le
sorelle l’avrebbero
rintracciata
subito.
Cercando
di figurarsela, tornò a rimuginare sul fatto che di lei non
sapesse
assolutamente niente, oltre
la superficialità che riusciva a vedere.
“Magari
era solo una domanda di circostanza.” Stormy alzò
le spalle,
prendendo un bel respiro come se fosse costretta a confessare uno dei
suoi segreti più oscuri; con ogni probabilità
– pensò la fata,
nel vederla prepararsi un minimo il discorso – non ne aveva
mai
parlato con nessuno e non sapeva da dove iniziare.
Staccò
per un momento gli occhi dalla strada per
sforzarsi di guardarla
arricciare appena le labbra nell'appoggiare il mento al palmo della
mano, concentrando la sua attenzione alle villette sparse tra le
colline.
“Mi
sono rotta di stare con le mie sorelle, tutto qui. Sono pressanti e
non le sopporto più: grazie agli dei non mi hanno mai
considerata
più di tanto.” disse.
Musa
attese qualche momento, credendo che volesse continuare a parlare, ma
Stormy non disse altro. Aveva
sempre dato per scontato che, in qualche modo, andassero
d’accordo;
alcune volte aveva fantasticato su un vincolo di sangue o su
‘qualche
strano rito oscuro da strega’ con il quale Icy aveva legato a
sé
le sorelle, obbligandole a seguirla in qualsiasi impresa le fosse
passata per la mente, ma aveva lasciato tale
idea
alle
battute
divertenti da tirar
fuori con le amiche
in momenti più tranquilli di quello in cui era capitata.
In
realtà, durante gli anni in cui aveva combattuto per la
Dimensione
Magica, non s'era mai interessata più di tanto alla
relazione che le
Trix potessero avere tra di loro; oscillavano tra il mostrare la loro
unione genealogica con orgoglio ed il comportarsi come se
l’unica
cosa che le smuovesse fosse la prospettiva di regnare su tutti gli
esseri magici e stroncare chiunque osasse ribellarsi al loro potere,
permettendo al loro legame di passare in secondo piano.
Tuttavia
notava
fratture più profonde della superficialità alla
quale, di solito,
si fermava nell’osservare i loro comportamenti; come Stormy
era più
di un’isterica che cercava in tutti i modi di rovinare la
vita di
Musa e delle sue compagne senza un apparente motivo
all’infuori del
malato divertimento personale, i
rapporti con le sorelle dovevano essere più complessi di una
semplice gerarchia verticale.
Sentendola
esitare ancora, le venne in mente che forse, a parti invertite, si
sarebbe stufata anche lei di farsi mettere i piedi in testa; avrebbe
raccolto le sue cose e si sarebbe trovata su quella stessa strada
alla ricerca di un posto migliore in cui poter godere della propria
libertà.
“Devono
esser state delle belle stronze se sei arrivata a… beh,
scappare di
casa.” le disse, premendo appena sul freno per impostare la
curva.
Stormy tornò a guardarla, allungando la bocca in un
sorrisetto.
“Molto
più di quanto immagini. Non penso esistano persone peggiori
delle
mie sorelle nell’intera Dimensione Magica.”
dichiarò
soddisfatta, atteggiandosi come se non vedesse l’ora di
parlar male
con qualcuno delle sorelle.
La
fata non faticò a crederle, ma colse l’occasione
per scucirle
qualche informazione, più a titolo personale che per
riuscire a
portare alle altre qualche informazione.
“Oh,
andiamo, credo di aver conosciuto persone peggiori – le
disse,
ricambiando l’espressione beffarda; la strega era testarda ed
orgogliosa, non avrebbe mancato l’occasione di poter
competere –
O vuoi farmi cambiare idea?”
Era
stata una mossa rischiosa; ma Stormy emise una risatina e si
abbassò
nuovamente gli occhiali, piegando la bocca in una smorfia divertita.
“Fidati,
fatina. Non ne hai idea.” scandì bene le parole,
la soddisfazione
le si leggeva sulle labbra; per un attimo il pensiero che il rapporto
poco sano tra lei e le sorelle non fosse esattamente qualcosa di cui
vantarsi le sfiorò la mente, ma fu un attimo troppo breve
per
permetterle di considerarlo.
“Devono
fare proprio schifo, allora.” rispose, evitando di calcare la
mano;
l’irascibilità della strega delle tempeste poteva
prendere il
sopravvento in un attimo, e voleva evitare di volerla gestire quando,
secondo la sua modesta, ma sufficiente, esperienza nemmeno le sorelle
erano in grado di calmarla; eppure ancora, continuava a rendersi
conto di sapere molto meno di quanto si aspettasse sul conto delle
nemiche.
Si
domandò se si sarebbe stupita nello scoprire che le streghe
si
comportassero in modo totalmente diverso da ciò che facevano
apparire; percepì la curiosità crescere
notevolmente al solo
pensiero.
Stormy
fece un’alzata di spalle, mettendo una mano fuori dal
finestrino e
tamburellando le dita nell’aria con un movimento sinuoso.
“Se
un giorno dovessimo rincontrarci, potrei raccontarti un po’
delle
stronzate che ho dovuto sopportare.” fece, distratta dal
vento le
passava tra le dita.
Musa
accennò un sorriso nella sua direzione; e poi
un’epifania la
colse.
Accostò
il prima possibile, sotto gli occhi perplessi della strega delle
tempeste, che schiuse la bocca per parlare.
Ma
la fata fu più veloce.
“Non
hai un posto dove stare qui intorno, giusto?”
Era
stata impulsiva, era conscia di star sbagliando; davanti a lei
c’era
Stormy, la strega che aveva osato colpire suo padre con uno dei suoi
fulmini pur di sfidarla e umiliarla davanti a un folto pubblico, che
aveva evocato l’armata oscura nel tentativo di conquistare
l’universo magico, – e suddetta armata aveva fatto
migliaia di
morti tra i civili di Magix – che aveva ridotto Flora in
condizioni
critiche con un solo, potente attacco; davanti a lei c’era
uno dei
peggiori pericoli che la Dimensione Magica avesse mai ospitato.
Ma
quella Stormy non aveva fatto nulla di tutto ciò: sembrava
solo una
ragazza persa, che nessuno si era preoccupato di considerare, men che
meno aiutare.
Si
trovò a considerare che forse la causa dei suoi
comportamenti
violenti fosse da ricercare in simili mancanze.
“No,
ma so cavarmela. Non è la prima volta che me ne vado:
l’unica
differenza è che questa volta col cazzo che
torno.” le disse,
usando lo stesso tono sprezzante che le rivolgeva in battaglia;
poteva avere la stessa parlata, ma non era l’isterica
sanguinaria che aveva rovinato tutta la sua esperienza al college di
Alfea.
Non lo era ancora; e forse aveva la possibilità di
evitare che lo diventasse, forse quella
era la sua possibilità di
renderla una persona migliore.
“Perché
ti sei fermata? Devo scendere?” chiese poi, vedendo che Musa
non
accennava a rispondere, né a rivolgerle lo sguardo.
“No,
no. Vieni con me su Melody; ho pensato che potresti stare per un
po’
a casa mia.”
La
strega sgranò gli occhi e sollevò le
sopracciglia, incapace di
contenere la sorpresa per quell’uscita impulsiva; se la
melodyana
non avesse dovuto mantenere un atteggiamento sicuro, avrebbe
riprodotto la sua espressione.
Cosa
diavolo le era venuto in mente?
Convivere
con la sua acerrima nemica era un’impresa ben più
grande di lei.
“Mi
sembra abbastanza lontano da Magix.” rispose Stormy,
rilassando i
suoi lineamenti in un sorriso; le sue piccole labbra si erano tirate
così dolcemente da lasciarla quasi
senza fiato.
Era
un’impresa ben più grande di lei, ma per qualche
motivo si sentiva
pronta ad affrontarla.
110 giorni, 13 ore, 23 minuti e 4 secondi alla fine
Con
un elegante gesto della mano, pregno di magia, Darcy chiuse la porta
della bottega; sulla vetrata comparvero in un bagliore scritte dalla
dimensione talmente piccola da risultare quasi illeggibili. Si
mossero in senso orario ad un comando della strega, formando un
sigillo; l'ametista sull'anello di lei brillò per una
frazione di
secondo, e la vetrina tornò buia come in precedenza.
Flora
aveva visto raramente le streghe usare un tipo di magia non
strettamente offensiva, perciò trovò il rito a
cui aveva assistito
affascinante; prima di allora, la strega l’aveva scortata nel
suo
appartamento prima che chiudesse in modo così preciso e
laborioso il
suo negozio.
Non
le aveva mai permesso di vedere il modo in cui le sue dita affusolate
seguivano le linee geometriche e dorate del sigillo, così
delicate e
allo stesso tempo molto precise; non aveva curvato nemmeno un angolo.
Forse
stava cominciando a capire di potersi fidare, pur mantenendo la sua
caratteristica riservatezza.
In
circostanze normali, la fata
avrebbe tenuto a freno il desiderio di arricchire la sua cultura, ma
ora che non doveva più aver paura della
strega dell'oscurità, capì
che non
avrebbe avuto senso
esitare. Si avvicinò al vetro, percependone la pregnante
magia senza
il bisogno di allungare le dita per sfiorarlo;
la strega la osservò senza proferir parola, chiedendosi se
fosse la
prima volta che la fata prestasse
attenzione ad una stregoneria difensiva.
Gli
occhi smeraldini di Flora
si mossero su ogni angolo della
vetrata con ammirazione, notando come la forza dell'incantesimo
mirava a pareggiare la solidità delle barriere che venivano
instaurate in difesa di Alfea; lei stessa aveva contribuito a
rafforzarla in più occasioni, pertanto non poteva che lodare
il
lavoro della sua ex nemica nel completare una magia protettiva di
tale potenza da sola.
Accennò
un sorriso, voltandosi verso di lei.
“Ho
letto di stregoneria protettiva con l'aiuto di sigilli solo sui
libri, non ne ho mai vista una dal vivo. Hai un potere veramente
notevole.” ammise con piacere; Darcy apparve disorientata dal
complimento per una frazione di secondo, come se avesse perso
l'abitudine a ricevere le attenzioni che, durante i suoi anni a
Torrenuvola, l'avevano portata ad essere una delle ragazze
più
popolari.
Di
fatto, la mezzana che aveva davanti, l'abitudine non l'aveva mai
presa; nonostante ciò, Flora si stupì nel non
vederla piena
d'orgoglio per il suo apprezzamento.
“Sono
stata costretta ad imparare in fretta. Ma grazie per il
complimento.”
rispose, piegando appena all'insù gli angoli della bocca:
non
l'avrebbe detto ad alta voce, ma il carattere supportivo e quieto
della fata le stava piacendo.
Al
di fuori della sorella minore e della sua
personale spia che s'occupava di aggiornarla sulla situazione a Magix
con regolarità in cambio della sua protezione, non aveva
molti
contatti né forzava una conversazione con i clienti che
varcavano la
soglia del suo emporio; non ne vedeva
il motivo.
Condividere
informazioni personali con estranei l'avrebbe portata ad esporsi,
cosa che già
in circostanze normali non adorava fare; poi,
da
quando aveva
scoperto che era stata messa
una taglia sulla sua testa, s’era
fatta ancora
più riservata di quanto
lo fosse stata
in precedenza.
Pur
vivendo lontana dalla metropoli, non si sentiva di abbassare la
guardia; aveva visto girare esseri magici poco raccomandabili anche
nei pressi del suo negozio, e non aveva nessuna intenzione farsi
scortare
da quel megalomane
che aveva osato metterla
al bando.
Flora
era silenziosa e si dava da fare; non faceva domande scomode, non la
disturbava mentre era impegnata, e non apriva bocca nemmeno con i
clienti – che se avessero scoperto la sua vera natura, di
fata non
corrotta, avrebbero scatenato il putiferio.
Non
aveva ancora pensato a cosa farne di lei; ennesima stranezza della
settimana, siccome non stressarsi su una questione spuntata dal nulla
in un battito d’ali era una delle ultime cose che faceva; era
stata
impegnata, si disse.
Impegnata
a capire da dove venisse, perché non fosse stata corrotta,
cosa
fosse venuta cercando in una città malconcia e desolata come
Magix;
ovviamente senza chiedere nessuna informazione alla diretta
interessata.
Era
arrivata a pensare che
potesse essere l’ennesimo tentativo di sua sorella maggiore
per
aiutarla a rimanere al sicuro; aveva scacciato il pensiero dicendosi
che sua sorella avrebbe fatto meglio ad aiutare sé stessa
prima di
mandare fatine agli altri, e si era concentrata sul proprio
lavoro.
Del
resto, credeva con fermezza che ad Icy non importasse che di
sé
stessa.
Una
fata della natura le
era
utile per crescere erbe particolari, per le quali rischiava di
farsi seguire e trovare,
così aveva deciso che non sarebbe stata una cattiva idea permetterle
di restare per più tempo;
inoltre poteva soddisfare la propria curiosità in merito al
suo
arrivo, prendendosi un doppio guadagno con un’azione sola.
Flora
si era adattata in fretta e si era resa utile in ogni modo le fosse
possibile; aveva mantenuto sempre alta l’attenzione per non
compromettersi, senza però privarsi di iniziare a sentirsi a
suo
agio con la strega.
Le
piaceva dirsi di starsi rilassando perché non aveva altra
scelta se
non condividere l’appartamento con Darcy, che si faceva mille
scrupoli pur di tenere lei e sé stessa al sicuro; e, di
tanto in
tanto, le strappava qualche informazione mascherando le sue domande
come un modo per far luce nella confusione che, plausibilmente,
regnava nei suoi pensieri.
Non
poteva affermare in pieno di starle mentendo siccome, da quando si
era svegliata in ciò che rimaneva di Selvafosca ed aveva
rischiato
un paio di volte la vita, aveva capito ben poco della realtà
distorta in cui era capitata; e sperava sempre che tra quelle
informazioni ce ne fosse qualcuna relativa all’avvistamento
di una
delle sue compagne; stava tentando di usare la situazione a proprio
vantaggio, anche se negare di starsi affezionando con lentezza a
quella versione della strega dell’oscurità sarebbe
stato alquanto
ipocrita.
Quando
la strega si mosse, Flora la
seguì in silenzio sul retro dell’edificio, fermandosi
di fronte a lei come da prassi; si
era abituata a quel procedimento e non temeva più che
potesse
nascondere un eventuale tentativo della strega di sottrarle i poteri.
Darcy
prese due passi verso il muro opposto, facendovi scorrere sopra le
dita: parvero
far attrito con la pietra dei mattoni, rigidi e freddi, nel muoversi
con grazia da sinistra a destra e vice versa, ma alla sesta
ripetizione del movimento, la loro consistenza si fece più
morbida e
setosa, il colore più uniforme. I polpastrelli della strega
propagavano ora delle pieghe sul tessuto della tenda, che aveva preso
il posto della parete;
nel
momento in cui la scostò con un gesto lento,
i
mattoni laterali si piegarono perpendicolarmente
verso l’interno, andando
uno ad uno a comporre i due pilastri
di una modesta arcata; sulla
chiave di volta regnava lo stesso sigillo di protezione che la fata
le aveva visto tracciare sulla vetrina del negozio.
Anche
se non era la prima volta che vedeva cadere un’illusione
così
realistica – aveva toccato lei stessa la parete, senza essere
in
grado di percepire la differenza tra la realtà e
l’inganno, tra
pietra e tessuto
– Flora percepì un senso di fascino nel vedere la
strega
che entrava
nel passaggio nascosto, tenendo
alzata la tenda con l’avambraccio.
Pur
trattandosi di una sua nemica, che doveva tenere costantemente
sott’occhio e della quale non poteva fidarsi, la fata si
permise di
provare ammirazione per la capacità della strega di
ingannare non
solo lo sguardo, ma tutti i sensi.
La
seguì in fretta, quando si accorse di star esitando un
po’ troppo
davanti al passaggio; e, persa nei suoi pensieri, per poco non
sbatté
contro la schiena di Darcy, che si era arrestata a un paio di metri
dall’arcata. Flora si sporse oltre lei per capire cosa, o chi,
l’avesse spinta a fermarsi: scorse un uomo seduto nella
penombra
del portico,
dalla bocca sottile e la mascella scolpita illuminate dalle braci di
una sigaretta. Quando le vide si alzò, appoggiando la
schiena al
muro; la fioca luce rossa illuminò un sorriso strafottente
sul suo
volto.
“Credevo
non prendessi apprendisti, Darcy. E’
strano vederti in compagnia di qualcuno che non sia tua
sorella.”
Darcy
sbuffò alla provocazione.
“Era da un po’ che non ti facevi
vivo, pensavo ti fossi fatto ammazzare – lo ripagò
con la stessa
ironia, procedendo verso di lui – Parliamone dentro,
è più
sicuro.”
Flora la seguì in silenzio, cercando di capire
perché quella voce le sembrasse così famigliare;
avvicinandosi, i
suoi occhi si abituarono al buio, cominciando a delineare le fattezze
dell’uomo – che ora aspettava paziente che Darcy
annullasse la
potente magia protettiva che avvolgeva l’abitazione.
Dovette
trattenersi con tutte le sue forze dal sussultare; non
poteva riconoscerlo in un mondo in cui, di fatto, non si erano mai
incontrati. Riven fu il primo ad entrare; e la fata poté
constatare
che oltre al carattere dello Specialista che lei aveva conosciuto,
aveva mantenuto anche il suo portamento.
Le circostanze in cui
si era trovato avevano cambiato il
suo aspetto, marcando il suo viso con un paio di vistose cicatrici,
così
come
il rapporto che aveva sviluppato con la strega; non sembravano
particolarmente intimi, ma a Flora parevano trovare la compagnia
reciproca confortevole.
Si
trovò a domandarsi quanto fosse stato diverso il loro primo
incontro, rispetto a quello che le compagne le avevano raccontato
durante il Giorno della Rosa; non adorava ficcare il naso negli
affari altrui, ma approfondendo il motivo per cui stessero
collaborando avrebbe potuto regalarle un indizio sui responsabili
della distruzione di Magix, o almeno una pista da percorrere per
ritrovare le compagne.
Si
chiuse la porta alle spalle, lasciando che la strega
dell’oscurità
riattivasse le proprie difese; l’aria
tesa che andava costruendosi le fece capire che Riven non si
aspettasse di trovare qualcun altro oltre a Darcy; ipotizzò
che
dovesse parlarle di qualcosa d’importante, notando la sua
visibile
impazienza che si manifestava nel tamburellare le dita sulla
scarpiera all’ingresso.
“Vado
in stanza a riposare.” esordì quindi, dandogli le
spalle con una
strana fretta, dettata dal disagio crescente che stava provando.
Darcy
le aveva dato la stanza di Stormy nell’attesa di trovarle
un’altra
sistemazione, e la fata aveva
sperato, e ancora sperava,
che ciò sarebbe
successo prima del ritorno della minore; non aveva idea di come fosse
la Stormy che si aggirava per quella versione di Magix, ma i ricordi
dei suoi violenti scatti di rabbia, seguiti da fulmini e tempeste,
erano abbastanza
vividi nella sua memoria da
farle desiderare di non doverla incontrare per tutta la sua
permanenza.
Di
tanto in tanto si sentiva nervosa ad aver a che fare con una delle
Trix, non osava immaginare quale sarebbe stata la sua reazione quando
sarebbero diventate due, nello stesso luogo e senza che lei potesse
contare sull’appoggio delle compagne.
La
strega le rivolse un veloce sguardo, terminando il suo incantesimo.
“Come
vuoi.” le
rispose, prendendo
posto sulla poltrona con un movimento fiacco; invitò il
ragazzo a
sedersi, ma questi preferì restare in piedi, appoggiato con
le mani
allo schienale del divano.
Flora
accostò la porta, allontanandovisi a sufficienza per evitare
che
Darcy la scoprisse ad origliare, ma non abbastanza per non sentire la
sua voce.
“E’
una fata non corrotta. L’ho trovata a Selvafosca una
settimana fa e
abbiamo deciso di unire le forze: lei non aveva un posto in cui stare
ed il suo aiuto è molto utile per il mio negozio.
Questo è
quanto.”
“Questo
è quanto? – rispose subito Riven – Non
si vede una fata pura a
Magix da cinque anni, non mi sembra una cosa da poco. Cos’hai
intenzione di farci?”
“Niente,
una sola fata non basta. Ho intenzione di cercarne altre, se si
trovassero a Magix si potrebbe fare qualcosa. Informerò mia
sorella,
tu tieni gli occhi aperti quando riparti.”
Riven
sorrise, ironico.
“Mi
permetti di restare? Gentile da parte tua, ti stai facendo
influenzare?”
“Oh,
smettila Riven. Piuttosto: suppongo tu sia tornato qui per portarmi
delle notizie, quali
sarebbero?” gli rispose, troppo stanca per reggere il suo
gioco
provocatorio.
Il
ragazzo esitò, prendendo finalmente posto a sedere;
appoggiò i
gomiti alle ginocchia, piegandosi verso il tavolino da caffè
che li
separava.
“Ho
ripreso i contatti con Sky e Brandon per capire cosa stessero
architettando i membri rimasti degli Specialisti: li ho trovati in
una condizione miserabile, costretti ad accettare del lavoro sporco
di merda per sopravvivere, ma il punto non è questo. Non
possiamo
contare su di loro, Rick deve aver messo una taglia anche sulla loro
testa.
Ero con loro quando Sky è stato ucciso, e sono
abbastanza sicuro che Brandon sia stato preso prigioniero, sai
già
per cosa vorranno usarlo. Ho rischiato la pelle anche io, se non
fosse stato per il tuo incantesimo protettivo.”
“Se
è stato Rick a dare il via a tutto questo, non è
detto che il mio
incantesimo sia abbastanza potente da proteggerti un’altra
volta,
quindi cerca di stare attento.” lo interruppe.
“Infatti
non era sufficiente, ma sono stato fortunato. Quella che ci ha
trovato era tua sorella e mi ha risparmiato.”
Fu
Darcy ad esitare, corrugando la fronte a tale notizia.
“Mi
avrà riconosciuto.”
“Non
penso sia per quello. – gli disse, ancora perplessa
– Deve aver
riconosciuto l’incantesimo, avrà capito che lavori
per me. Icy ti
ha sempre odiato, non avrebbe sprecato l’occasione di
farti fuori. Sei riuscito a capire cosa sta facendo?”
“Ti
stai preoccupando?”
“Affatto”
rispose secca.
“Sto solo cercando di capire cos’ha in mente.
Se dovessi trovare altre fate pure non voglio che mi intralci per
cercare di conquistare il mondo o cazzate simili.”
Riven
l’ascoltò con un sorrisetto sarcastico: sapeva che
una delle poche
cose in grado di far imprecare Darcy era tirar fuori sua sorella
maggiore, e provava uno strano senso di compiacimento nel vedere
quanto si innervosisse a parlarne.
“E
poi non ho bisogno della sua pena.”
“Beh,
la sua pena mi ha salvato il culo. Ma la mia stima per tua sorella
finisce qui: ora che so che non vuole farmi fuori cercherò
di
rintracciarla e tenerla d’occhio.
Non
sembrava lavorare per qualcuno, forse aveva solo bisogno di
soldi.”
“Resta
comunque in guardia. Non si sa mai come possa reagire nel vederti
troppo spesso e la situazione potrebbe ritorcertisi contro.”
Il
ragazzo fece un’alzata di spalle.
“Ho
i miei metodi, lo sai. Forse ho in mente qualcosa che le farebbe
credere che io sia più utile di quanto pensi.”
Flora
smise di ascoltare, allontanandosi per sistemare le poche cose che
era riuscita a recuperare per sé.
Darcy
le aveva mentito: aveva due sorelle, come la strega che lei, per tre
anni, aveva conosciuto; eppure capiva perché aveva omesso il
particolare, aveva colto il tono di disprezzo con cui aveva parlato
di Icy.
Il particolare che aveva richiamato la sua attenzione
riguardava direttamente lei come fata: la strega voleva usarla,
necessitava del suo potere per uno scopo; scopo del quale Riven era a
conoscenza e per il quale, con ogni probabilità, stava
lavorando da
tempo.
Doveva
assolutamente scoprirne i dettagli, curandosi di non tradirsi.
In
una situazione del genere, non poteva rivelare a Darcy di esser
venuta a Magix con altre cinque ‘fate pure’: il
rischio che
comportava la sua fiducia era troppo alto.
118 giorni, 22 ore, 58 minuti e 25 secondi dalla fine.
Una
volta discese le scale infinite dell’edificio che torreggiava
su
una delle piazze principali di Magix, Hecate aveva aperto con fatica
una modesta botola di metallo sotto un cumulo di calcinacci; la magia
le impregnava le dita, il che aveva
fatto
pensare a Bloom che, in fondo, la sua sequestratrice non avesse una
forza fisica straordinaria.
La
donna fissò i suoi grandi occhi neri su di loro; un
paio di
ciocche di capelli entrarono nel suo
campo visivo
quando alzò il volto.
“Dovete
entrare, se non l’avete capito.” il tono
uscì più flemmatico
che minaccioso, ma fu sufficiente a far muovere le due fate; Stella
decise – con suo estremo disgusto – di
essere la prima a scendere dalla scala arrugginita che si intravedeva
all’estremità della botola: come fata del Sole e
della Luna poteva
illuminare lo spazio circostante che, scendendo mano a mano,
notò
essere nero come la pece.
Quando la luce traballante
dell’edificio cominciò a venir meno, Stella
faticava a
vedere dove mettesse
i piedi e le mani; percepì le vibrazioni della scala, segno
che
anche Bloom fosse stata gentilmente
invitata a scendere e, dopo una
manciata di minuti,
– non
era sicura si trattasse effettivamente di
minuti,
siccome
il
tempo sembrava dilatarsi ad ogni piolo – la botola venne
chiusa con
un movimento secco, che echeggiò nell’antro oscuro.
Stella
toccò il suolo in quel momento, schioccando le dita per
crearsi una
luce; seppur debole nel sottosuolo, il suo potere illuminò
abbastanza da permetterle di vedere la prima parte di una galleria
dal soffitto basso, costellata di stalattiti a loro tempo limate e
distrutte.
“Non
usare i tuoi poteri.” udì subito
alle
sue spalle; l’istinto la fece voltare, e per poco non prese
un
infarto nel vedere Hecate proprio dietro di lei, con la mano sopra
alla sua fonte di luce, intenta a soffocarla.
“Non c’era
bisogno di essere così inquietante.”
borbottò, soffocando
l’urlo che aveva avuto la decenza di controllare; chiuse
la mano a pugno con
un solo ed elegante movimento,
ed
entrambe
sprofondarono
nuovamente nell’oscurità.
Essendo
stata l’ultima a passare attraverso la botola, non avrebbe
dovuto
raggiungerla prima che l’avesse fatto Bloom, ma Stella era
troppo
stanca e nervosa per chiedersi come avesse fatto.
Sarebbe
stato inutile scervellarsi su qualcuno che non avesse ancora mostrato
la natura della sua magia; ipotizzò fosse teletrasporto, ma
poteva
esser stato veicolato anche da un oggetto magico – lei stessa
era in grado di spostarsi grazie al suo anello, del resto.
“Non
dovete far vedere la vostra magia in giro, pensavo fosse
chiaro.”
rimarcò
la
donna in
modo neutro.
La
principessa di Solaria
non riusciva a delineare il suo volto, ma poteva esser sicura di
avere il suo pungente sguardo addosso, sguardo
che ricambiò più che volentieri.
“Allora
cosa facciamo, camminiamo al buio? Mi sembra un’ottima idea,
così
se qualcuno, o qualcosa, dovesse attaccarci non lo
vedremmo
neanche.” le rispose sarcastica, prendendo un passo laterale
verso
la via d’entrata sia per allontanarsi dalla sua
sequestratrice, che
per assicurarsi che l’amica fosse in procinto di arrivare; e
per
poco non si fece schiacciare una mano dalle sue scarpe.
Hecate
ignorò il tono della principessa di Solaria, mantenendo il
suo
atteggiamento indifferente.
“Conosco
bene la strada. E se incontreremo qualcuno, me ne occuperò
io.”
E
prese subito a camminare davanti a loro, con l’intenzione di
non
perdere tempo; Bloom prese la mano di Stella, rimandando mentalmente
una nuova strategia di sopravvivenza a quando sarebbero state sole
–
o almeno, sperava di trovare l’ispirazione durante il
tragitto –
e appoggiò con cautela una mano sulla spalla della donna.
Poté
sentirla irrigidirsi sotto i vestiti, ma lei
non
proferì parola e proseguì nel suo percorso.
Avanzarono
per una quindicina di minuti nell’oscurità
più completa, seguendo
i passi di Hecate, prima che la fata della Fiamma del Drago non
riuscì più a stare in silenzio e diede voce ai
dubbi che le
frullavano per la testa da almeno un’ora.
“Cos’avete
intenzione di fare con noi?”
Hecate
percorse un altro metro senza aprir bocca, prima di rispondere.
“Potreste
arrivarci da sole – fece una pausa per
ascoltare le loro ipotesi,
ma sentendo che nessuna delle due fosse
intenzionata a parlare, sospirò – Rick vi vuole
per il vostro
potere, ovviamente. Soprattutto
quello della biondina, che ha raggiunto il livello massimo conosciuto
finora.”
Stella
roteò gli occhi allo scarso interesse che traspariva dalla
spiegazione molto sintetica che aveva loro dato; una
risposta simile non l’aiutava affatto a capire cosa stesse
succedendo al mondo magico.
“E
tu invece cosa vuoi farci con il nostro potere?” le chiese in
tono
provocatorio, provocazione che l’altra, come
d’abitudine, non
colse.
“Niente.
A me voi non interessate; se non avessi da guadagnarci seguendo gli
ordini di Rick, sareste già state libere da un
pezzo.”
Bloom
percepì sotto la sua mano che la donna aveva alzato le
spalle con
fare indifferente.
Non
sapeva ancora che dinamiche di potere intercorressero tra i due, ma
per quanto disinteressata e all’apparenza calma, Hecate le
era
sembrata più potente del suo stesso superiore; non riusciva
a
trovare un senso nel loro rapporto, soprattutto perché ai
suoi occhi
la donna pareva guadagnarci solo una serie di seccature.
Inspirò
ed espirò quell’aria viziata, prima di prender
coraggio e
decidersi a parlare.
“Sembri
più forte di Rick, che motivo avresti di stare ai suoi
ordini?”
Di
nuovo, sentì i muscoli della loro sequestratrice irrigidirsi.
“Non
rispondo a domande personali.” e con ciò, fece
nuovamente calare
il silenzio tra loro.
La
mezz’ora che le separava dalla superficie trascorse lenta,
con il
rumore di tre paia di passi che rimbombava nell’antro; oltre
ad
esso, le fate non erano in grado di udire nulla.
I
luoghi sotterranei che avevano visitato fino ad allora tendevano ad
essere umidi, invece l’aria nella galleria era fredda e
secca, e
nonostante la presenza di acqua, che scorreva sulla roccia calcarea,
doveva esserci stata in precedenza – altrimenti le stalattiti
sul
soffitto non avrebbero avuto modo di formarsi – nessuna delle
due
poteva sentire una singola goccia cadere al suolo.
Hecate
proseguiva dritta e a buon passo, quasi fosse certa di non trovare
un’anima oltre a loro in un luogo così remoto;
poi, d’improvviso,
svoltò a destra, abbassandosi per infilarsi in una galleria
secondaria.
Sentendo
venir meno il contatto con la sua spalla, Bloom si abbassò a
sua
volta, rivolgendo la testa verso Stella.
“Ci
stiamo abbassando, Stel.” sussurrò, portando in
alto la mano che
reggeva la sua per
farle toccare la roccia appena sopra le loro teste: scoprì
di non avere molto spazio di movimento, e la sensazione che la donna
le stesse portando in un posto particolarmente isolato
per eliminarle e disporre dei loro resti cominciò a prendere
piede
nella sua mente; a favore di tale tesi c’era il suo trattare
lei e
Stella come se fossero un fardello da portarsi appresso – con
ogni
probabilità lo erano, dato che il suo superiore gliele aveva
appioppate senza sentir lamentele – ma a smentirla
nell’immediato
si ripresentò l’idea
che la donna le avesse condotte nel sottosuolo per evitar loro di
incontrare qualche figura pericolosa.
Se
avesse voluto disfarsi di loro si sarebbe limitata ad esporle, o a
lasciarle dove le aveva trovate; allora poteva aver mentito dicendo
che non aveva alcun interesse per loro, e volerle con sé
solo per
poter usare la loro magia al momento giusto.
Pur
confusa, sapeva di non potersi fidare; aveva avuto un assaggio del
suo potere poco prima e, nemmeno aggrappandosi a tutto
l’orgoglio
che possedeva, avrebbe potuto affermare di avere una chance contro
di lei;
non padroneggiava abbastanza la Fiamma del Drago per arrivare ad una
concentrazione di magia simile e, anche se ne fosse stata in grado,
avrebbe rischiato di perdere il controllo attingendovi
così velocemente e senza preparazione. Hecate non
s’era mostrata
minimamente affaticata dopo averle schiacciate al suolo, soffocando i
loro poteri a tal punto da costringerle
a ritrasformarsi.
Avendo
un momento per riflettere, s’interrogò su come la
donna potesse
aver raggiunto una preparazione simile; se le circostanze
l’avevano
spinta a superare il suo limite, anche gli altri esseri magici
dovevano possedere un potere notevole; non riusciva a capire da dove
potessero averlo sviluppato.
Decise
che avrebbe provato a domandarglielo una volta si fosse trovata al
sicuro; Hecate la inquietava, ma al momento era l’unica in
grado di
darle le risposte che cercava; inoltre avrebbe potuto strapparle
qualche informazione sul luogo in cui si trovavano le Trix,
supponendo che si trovassero effettivamente a Magix e non agli
antipodi della Dimensione Magica.
Hecate
si arrestò di colpo e Bloom, impreparata, sbatté
il naso contro la
sua schiena, facendo inciampare anche Stella, che fortunatamente
riuscì a reggersi in piedi; la donna ignorò il
contatto, disegnando
con il palmo della mano un cerchio all’altezza del suo viso:
un
portale bluastro risplendette nella galleria, permettendo finalmente
alle fate di vedere qualcosa.
Ma
prima che potessero guardarsi intorno, Hecate si fece da parte.
“Entrate.”
“Dove
porta?” chiese subito Stella, assottigliando lo sguardo; la
donna
non rispose.
“Lo
chiedo perché non sei la persona più affidabile
che conosca, e non
so se stai cercando di liberarti di noi o meno.” aggiunse
seccata.
Nonostante
la luce piuttosto scarsa, entrambe le fate riuscirono a vedere la
loro sequestratrice alzare gli occhi al cielo.
“Non
perderei tempo ad uccidervi, mi bastava lasciarvi là fuori.
Non ci
sarebbe voluto molto.” e per la prima volta, si
percepì una nota
di nervosismo nel suo tono; Bloom pensò che non fosse
così paziente
come l’aveva immaginata, ma in fondo stava rispondendo alla
fata
del Sole e della Luna nello stesso modo in
cui rispondeva a Rick; forse la
differenza stava nella mancanza di
una punta di disgusto.
“Non
può essere peggio di questo posto.” disse allora,
rivolta verso
l’amica; tirò le labbra in un sorriso, per
comunicarle che finché
fossero rimaste insieme, sarebbero uscite da quella situazione. Non
seppe se Stella colse il messaggio segreto, ma le strinse leggermente
la mano e, con lei, si avviò verso il portale.
Avvertenze
e condizioni per l’uso:
Buonasera
a tutti, o buongiorno, o buon pomeriggio; dipende a che ora state
leggendo questo capitolo, ma facevo prima a dire “buon
tutto”.
Vi
ricordate quando vi avevo detto che speravo di non metterci un altro
anno e mezzo ad aggiornare? Eccoci qua.
Del
resto ci ho messo solo un anno e due mesi, è già
un miglioramento –
miglioramento per cui sono comunque desolata, e per cui la scusa
è
sempre la stessa: questa testina si deve laureare.
Quindi,
nonostante la pandemia mi abbia donato molto più tempo in
casa
davanti al computer, il tempo volava in lezioni, studio e crolli
psicologici, mentre continuavo a rimandare la sistemazione di questo
capitolo prima di pubblicarlo; del resto non mancava molto alla
stesura, eppure mi ci è voluto un secolo.
Vi
chiedo scusa.
Spero
che questo 2020 sia stato più clemente con voi di quanto lo
sia
stato con me ma, ehi, almeno ho una chance di laurearmi in corso.
Come
di consueto, ringrazio LadyNabla
e Ghillyam
onnipresenti, ma anche Applepagly
che c’è con il pensiero – aspetto
novità da tutte voi,
soprattutto tu Erin. Che il mondo possa ispirarti in ogni modo
possibile, prego che anche tu possa ritrovare un po’ di tempo.
Ringrazio
tutti per la somma pazienza e spero davvero tanto di non tenere
questo ritmo imbarazzante. Mi piacerebbe finire questa storia in un
tempo utile.
Alla
prossima missione, sperando che non sia come l’uscita di
Metroid
Prime 4 (che doveva uscire qualcosa come due anni fa). Mi sono
accorta che ho scritto una cosa simile anche nelle note dello scorso
capitolo, ma la mia cadenza davvero mi sta preoccupando.
Mary