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Autore: Churros25    13/03/2021    0 recensioni
CAPITOLO AGGIUNTIVO DELLA STORIA "RES NOSTRAE"
“Non che mi lamenti, ma perché abbiamo lasciato lo zio Sam?”
“Mi ha chiesto di controllare che tutto proceda bene nella provincia. Ormai non si fida più dei governatori.” Nova annuì. Non stava più nella pelle.
“Posso chiederti una cosa?” Il padre la guardò. “Perché hai deciso di passare la carica di Imperatore a tuo fratello, rinunciandovi?” Dæn sospirò.
“Non faceva per me. Non sono mai stato in grado di scindere il cuore dalla testa; e per essere un buon Imperatore bisogna esserne in grado. Così ho preferito limitarmi a servire la patria con i miei soldati e a crescerti.”
“E’ vero che all’inizio non mi volevi?” Il biondo la strinse a sé, guardando la terra ferma che si stava avvicinando davanti a loro. Finalmente.
“Non credevo di essere alla tua altezza.”
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Lo scoprirai presto. Spero.”
Il porto di Atene si mostrò a loro in tutta la sua grandezza.
(passo tratto dalla storia)
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
- Questa storia fa parte della serie 'RES NOSTRAE'
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Nota dell'autrice: Bentornatii! Ho pensato molto se scrivere questa sorta di epilogo di Res Nostrae, ma alla fine mi sono decisa. Spero possa piacervi e mi raccomando di farmi sapere la vostra opinione nei commenti. Buona lettura!


RES VOSTRAE

La chioma bionda era lunga e svolazzava sulla poppa della nave, rincorrendo il vento e il profumo di mare. Incorniciava un visino sottile e abbronzato che donava agli occhioni blu una brillantezza particolare. Un sorriso birichino chiudeva il cerchio; lo aveva “ereditato” da suo padre, uno di quei sorrisi da schiaffi in grado però allo stesso tempo di penetrarti l’anima e incastrarsi lì, dove la ragione incontra il sentimento. La bella ragazza, ormai adolescente, si sporse, abbracciando le onde e gli schizzi d’acqua.
“Nova! Scendi subito da lì!” Lei si girò e alzò un sopracciglio.
“Padre, non sono più una bambina.”
“Per me resterai sempre una trovatella.” Eccolo Dænide. Sempre biondo, sempre circondato dagli occhi verdi e le lentiggini. Forse con qualche ruga in più, ma di sicuro più bello. Era un po’ come il vino. Si avvicinò alla figlia e le circondò le spalle con un braccio.
“Ci siamo quasi.”
“Non che mi lamenti, ma perché abbiamo lasciato lo zio Sam?”
“Mi ha chiesto di controllare che tutto proceda bene nella provincia. Ormai non si fida più dei governatori.” Nova annuì. Non stava più nella pelle.
“Posso chiederti una cosa?” Il padre la guardò. “Perché hai deciso di passare la carica di Imperatore a tuo fratello, rinunciandovi?” Dæn sospirò.
“Non faceva per me. Non sono mai stato in grado di scindere il cuore dalla testa; e per essere un buon Imperatore bisogna esserne in grado. Così ho preferito limitarmi a servire la patria con i miei soldati e a crescerti.”
“E’ vero che all’inizio non mi volevi?” Il biondo la strinse a sé, guardando la terra ferma che si stava avvicinando davanti a loro. Finalmente.
“Non credevo di essere alla tua altezza.”
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Lo scoprirai presto. Spero.”
Il porto di Atene si mostrò a loro in tutta la sua grandezza.
 
Era strano per l’ex Imperatore trovarsi lì, in quella terra. Aveva sempre pensato a quel momento come a qualcosa di magico e pieno di significato, un momento per far conoscere a Nova una parte della storia che non le era mai stata raccontata. Ma niente stava andando secondo i piani.
“Padrone, non riusciamo a capire dove sia la vostra dimora. E nessun Greco è disposto ad aiutarci.”
“La cosa non mi stupisce per niente.” Si guardò intorno. Era uno straniero in terra amica, o così era sulla carta. Ma non sapeva dove andare, o cosa fare. Non avrebbe dovuto essere lì da solo ad affrontare tutto ciò.
“Dirigiamoci prima alla casa del governatore. Poi capiremo cosa fare.” Così Dæn, Nova e la loro scorta si incamminarono per le vie di Atene, grezze e piene di colori. L’aria era così calda che a Nova vennero i brividi. Si guardava attorno affascinata da tutto e tutti, i colori, i banchetti, la musica e la gente. E poi apparve loro davanti: il Partenone.
“Wow” dissero in coro padre e figlia guardando in alto. Splendeva regale e colorato in cima all’Acropoli.
“Perché non siamo venuti qua prima?” chiese Nova. Il biondo rise e proseguirono per la loro strada, fino alla casa del governatore.
“Posso fare un giro nei dintorni?” chiese la ragazza. Dænide scambiò un’occhiata con una delle guardie e annuì.
“Ma non allontanarti troppo.”
 
Felice come non mai, Nova iniziò a perlustrare ogni singolo centimetro della città. C’era così tanto da vedere ed esplorare. Si fermò davanti a un aedo e si mise ad ascoltare: Odisseo raccontava di come sconfisse i Troiani grazie al cavallo. I suoi parenti non avevano mai voluto raccontarle i miti greci e le loro storie, dicendole sempre di non avere tempo e che la storia romana era di gran lunga più interessante. Nova non ne era più così convinta. Il suo sguardo fu catturato da varie spade messe in mostra davanti a un piccolo banchetto.
“Che meraviglia!” esclamò, attirando l’attenzione del proprietario che le sorrise.
“Non sei troppo giovane per interessarti alle armi?”
“E tu non sei troppo greco per sapere come si usano?” Si squadrarono, la giovane ragazza bionda dagli espressivi occhi blu e l’uomo dai folti capelli neri e gli occhioni del colore del mare.
“Ci sottovaluti, bella ragazza.”
“Mio padre mi dice sempre che nella sua intera vita ha conosciuto solo un Greco che sapesse veramente combattere.” Il moro alzò un sopracciglio.
“Deve essere un tipo tosto tuo padre.” Nova alzò il mento, fiera.
“Lo è.” Poi si mise a scrutare le armi esposte, attratta in particolare da un arco.
“Posso provarlo?”
“Non è un arma usuale per i Romani.” Ma gli e lo passò lo stesso.
“E’ un arma degna di pochi. E di estrema precisione.” Nova impugnò l’arco senza alcuna difficoltà. Inutile dire da chi avesse ereditato la sfrontatezza.
“Conosci la storia della strage dei Proci?” Lei fece di no con la testa, curiosa di sapere di cosa si trattasse, e si mise seduta sullo sgabello che il commerciante le offriva.
“Dopo 20 anni lontano da casa, il Re di Itaca, Odisseo, aveva finalmente fatto ritorno ma trovò la sua regina, Penelope, assediata dai proci che volevano usurpare il suo trono e prenderla in moglie. Giunto a palazzo sotto mentite spoglie, grazie all’aiuto del figlio e di un vecchio amico, partecipò a una gara con l’arco indetta dalla Regina per decidere chi sposare: avrebbe accettato la mano di chiunque fosse stato in grado di tendere l’arco e di lanciare la freccia attraverso tre cerchi. Tutti fallirono, tranne Odisseo; quello era il suo arco e nessun altro sarebbe mai stato in grado di maneggiarlo a dovere. Dopo aver vinto la gara, fece chiudere tutte le porte della stanza e uccise tutti i pretendenti della moglie, non lasciandone in vita neanche uno.” Nova lo ascoltava estasiata.
“E Odisseo e Penelope vissero felice e contenti?” Il moro sorrise, triste.
“Non si sa. Alcuni dicono di si. Altri invece che Odisseo intraprese un altro viaggio, da cui non fece mai più ritorno. Altri ancora che Penelope si innamorò di un altro e che per gelosia Odisseo li uccise entrambi.” Nova ci pensò un po’ su.
“Che storia triste…”
“Ma questo ti fa capire quanto quell’arma che tieni in mano sia potente.” La ragazza lo guardò dritta negli occhi.
“Oh, ma lo so eccome.” Lui rise.
“Sei una tosta, per essere una Romana.” Nova sorrise.
“Come si chiama, signore?”
“Castiel.”
“E’ un piacere, Castiel. Io sono Nova.” Il moro rimase spiazzato. Non molte ragazze avevano quel nome. Non da Roma. Non con i capelli biondi e gli occhi blu. Deglutì a fatica.
“Come si chiama tuo padre?” Lei lo guardò confusa.
“Dænide.” E si fermò lì. Sapeva di non poter dire di più, per la sua sicurezza. Castiel si riprese l’arco e iniziò a raccattare tutta la sua roba, con lo scopo preciso di fuggire da lì.  
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese Nova. Le piaceva parlare con quel tizio e non voleva che se ne andasse. Castiel scosse la testa.
“No…no…ho…ho un impegno. In cima all’Acropoli. Devo andare.” Si mise una bisaccia in spalla e fece per andarsene.
“State andando là in alto?” La ragazza puntò il suo sguardo in alto, implorante. Il moro la guardò. Non poteva essere lei; non doveva. Avrebbe scombussolato tutta la sua vita; o forse gli e ne avrebbe ridata una. Voleva saperne di più, ma aveva anche paura di scoprire. Eppure, il pensiero di avercela lì davanti e di poterla perdere di nuovo si rilevò terrificante.
“Ti va di accompagnarmi, trovatella?” Lei sorrise e insieme alla guardia raggiunse il moro.
“Anche mio padre mi chiama così.” Si, pensò Castiel, era decisamente lei.
 
Camminarono lungo un sentiero in salita tra gli ulivi che arriva fino ai piedi del massiccio colonnato dei Propilei.
“Avete famiglia?” chiese Nova. La incuriosiva quell’uomo, dell’età di suo padre, ma così diverso da lui. Castiel scosse la testa.
“No…o meglio, ce l’avevo un tempo, tanto tempo fa.”
“Cosa è successo?” Ma dopo aver posto quella domanda, la ragazza se ne pentì subito. “Non volevo essere irrispettosa. Sto cercando di imparare a tenere a freno la lingua.” Castiel sorrise. Quella ragazza era così piena di quel biondo che aveva lasciato anni prima, così simile a lui. Avrebbe voluto fermarsi e guardarla bene in volto, scoprire se avesse ereditato dal padre qualche espressione, qualche gesto. Ma sarebbe risultato inopportuno. In fondo, non sapeva se le avessero mai parlato di lui.
“Ho dovuto lasciare le persone che amavo. Per la loro sicurezza.” Nova annuì, senza voler approfondire ulteriormente.
“Siete sempre rimasto qui ad Atene?”
“No.” La ragazza lo guardò, curiosa. “Ho passato qualche tempo a Roma.”
“E’ la mia città, sapete?”
“Lo avevo intuito.”
“Vi siete trovato bene?” La salita si faceva sempre più ripida.
“Più di quanto avessi potuto immaginare.”
“E vi è dispiaciuto andarvene?” Nova, senza volerlo, stava facendo tutte le domande sbagliate che iniziavano a portare a galla ricordi che per anni Castiel aveva cercato di far sprofondare.
“Ci ho lasciato un pezzo del mio cuore.”
“Eravate innamorato?” Nova sorrideva. Le piacevano le storie d’amore, anche se non ne aveva viste tante nella sua vita. Suo zio non si era mai più risposato dopo che aveva lasciato Lavinia e suo padre non lo era mai stato e le aveva sempre detto che mai e poi mai avrebbe potuto legarsi a una donna. “E a un uomo?” ribatteva allora lei. Ma il padre trovava sempre un escamotage per eludere la domanda.
“Mi ero innamorato, anche se questo non faceva parte dei miei doveri.”
“Eravate uno schiavo?” Castiel annuì e Nova rabbrividì.
“So di cosa il mio popolo si è macchiato le mani, ma l’Imperatore sta cercando di cambiare le cose. E mio padre mi ha sempre insegnato che nessuno ha il diritto di disonorare così un altro uomo o donna che sia.”
“Tuo padre non ha mai avuto uno schiavo personale?” Castiel sapeva che non avrebbe dovuto fare quella domanda. Ma voleva sapere. Che fine aveva fatto il biondo? Cosa era successo da quando se ne era andato? Aveva paura di incontrarlo, forse non voleva neanche, ma Nova era lì ed era l’unica che poteva darle qualche risposta.
“Una volta, credo. Ma non ne parla mai, nessuno lo fa. Una volta però mi ha detto che non è finita bene.” Per niente, pensò Castiel.
“E’ stata una grande storia d’amore?” incalzò di nuovo lei. Giunsero all’imbocco della via Panatenaica e il Partenone si aprì davanti a loro in tutta la sua meraviglia. Si sedettero su una roccia.
“Non avrei potuto chiedere di meglio, credo.”
“Uomo o donna?” Castiel la guardò stupito. Lei fece spallucce, con un sorriso malizioso.
“Uomo. Anche se all’epoca eravamo solo ragazzi.”
“Era un romano?” Castiel annuì.
“Quindi voi eravate un greco deportato nell’Urbe come schiavo e vi siete innamorato di un romano?” A Nova brillavano gli occhi dall’emozione. Castiel rise.
“Si, ero molto ribelle all’epoca. E non è finita qui.”
“Cos’altro?”
“Era il mio padrone.” Nova spalancò la bocca.
“Ma come fate ad essere ancora vivo?”
“Lui amava me.”
 
Proseguirono lungo la via, inondati dal calore del sole e dal vento.
“Come mai tu e tuo padre vi trovate ad Atene?” Domanda rischiosa, ma doveva farla.
“L’Imperatore lo manda spesso a controllare le province. Di solito non lo accompagno, ma questa volta mi ha chiesto di andare con lui.”
“E sai come mai?” Castiel non era così ingenuo da pensare che fosse per lui.
“Non lo so di preciso. Ma era molto agitato e lo è stato per tutto il viaggio in nave. Non l’ho mai visto così.” Nova sorrise.
“Com’è di solito tuo padre?”
“La persona più forte che io conosca. E’ molto protettivo, verso tutta la famiglia, e divertente, quando non è impegnato a far rigare dritto i suoi soldati. Il popolo lo ammira molto. E poi è molto bello.”
“Davvero?” Castiel non faceva alcuna fatica a crederci.
“Mm-mm, quasi quanto gli dei.”
“E questa bellezza gli ha permesso anche una moglie?”
“Nah, siamo solo io e lui. E lo zio e la nonna.” Castiel era felice di sapere che Samellius e Marianna stavano bene.
“Ti dispiace che lui non abbia trovato qualcuno?” Nova ci pensò su un attimo.
“Credo che qualcuno lo avesse trovato, ma non ho mai ben capito bene cosa sia successo.” Da lì proseguirono in silenzio. Quel posto lo esigeva. Nova si perse a guardarsi intorno. C’era un vento leggero che riempiva l’aria di calore e profumo di ulivi; la luce del sole si posava con forza sulla pietra e faceva risplendere i colori e le vesti della gente. Il brusio delle chiacchere e le risate dei bambini era confortante per la ragazza. Si sedettero su un lato del Partenone e rimasero a contemplare la vista.
Dopo qualche ora iniziarono a scendere da dove erano saliti.
“Tuo padre non sarà preoccupato?”
“C’è Lucilius con me. E’ uno dei migliori e papà si fida di lui.” Proprio in quel momento, Dænide fece la sua comparsa sulla loro strada. Era sudato, con le guance rosse per il caldo e risplendeva, nella sua divisa da soldato romano.
“Trovat…” Il nome gli morì sulle labbra. Castiel era davanti Dæn. E Dæn era davanti a Cass. Per i passanti, per Lucilius, per Nova quello non era altro che un incontro tra un greco e un romano, tra due culture diverse, tra due conoscenti. Per loro due era tutt’altro. 13 anni senza vedersi, scriversi, sentirsi. Si incontravano solo nei sogni ma senza poterselo comunicare. Si guardarono. E quello bastò a entrambi per ritornare indietro, a quelle parole urlate da Dæn al finire della loro storia e a cui Cass non aveva mai risposto. Nessuno dei due osò muovere un muscolo.
“Ciao Dæn” sussurrò il moro. E il biondo non riuscì a non ricominciare a respirare.
“Oh, per Giove!” esclamò Nova. “Lui è il padrone di cui eravate innamorato!” Dæn e Cass si voltarono a guardare Nova. Il biondo confuso e il moro in imbarazzo.
“Nova…” sussurrò Castiel. I tre rimasero a fissarsi reciprocamente, senza sapere cosa dire e cosa fare.
“Lux, mi riaccompagni giù?”
“Vengo con te” disse il padre, quello biondo.
“Oh, no no” asserì lei, con fare birichino. “Voi due avete molto di cui parlare.”
“Ci sono cose che devi sapere anche tu.”
“Allora dopo parleremo tutti e tre. Forza Lux, andiamo.” E così Nova li lasciò soli. E i due, che si erano amati e desiderati per anni, di colpo non sapevano come comportarsi. Si incamminarono così in silenzio, prendendo una stradina secondaria per tornare in piazza, circondata da ulivi e canti di uccelli, e si studiarono reciprocamente.
Castiel doveva dar ragione a Nova: Dæn era simile a un dio. I capelli leggermente più corti di come se li ricordava, gli occhi ancora così verdi abbelliti dalle rughe d’espressione donate dall’età, e quel profumo di stabilità che non era mai più riuscito a trovare in nessun altro uomo.
“Noto con piacere che sono ancora 33.” Il biondo lo guardò confuso. “Le tue lentiggini.” E sorrise, timido. E con lui Dæn.
“Noto con piacere che la tua particolarità non è andata perduta.”
“Nessuno è riuscito a cambiarmi.”
“Sarebbe stato un affronto.” Si guardarono e respirarono.
“Quanto è passato?” chiese Castiel.
“13 anni” rispose Dæn e si concesse di guardarlo più attentamente, mentre procedevano lungo la stradina. I capelli erano più arruffati e più lunghi, con sfumature quasi blu; il che faceva risaltare quel colore degli occhi che Dæn immaginava di vedere ogni giorno in Nova. Era più muscoloso ma meno rigido e impacciato. Era nel suo mondo e di questo il biondo si accorse subito.
“Come mai hai raccontato a Nova di noi?”
“Come mai tu non lo hai fatto?” Castiel parve quasi offeso. Possibile che si erano dimenticati così facilmente di lui? Dæn rimase un attimo in silenzio.
“Per un po’ ho continuato a raccontarle di noi, ma dopo qualche tempo faceva troppo male.”
“Come mai hai abbandonato la carica di Imperatore?” Castiel aveva sete di sapere.
“Stesso motivo. E non volevo che Nova ci rimettesse oltre.”
“E come mai siete venuti qui?” Il biondo si fermò e guardò l’uomo che aveva amato.
“Volevo che ti conoscesse.”
 
La strada del ritorno sembrava tre volte più lunga dell’andata. O era così che i due speravano che fosse. Dæn percepiva un Cass per nulla tranquillo. E Castiel percepiva un Dæn distrutto.
“Cass…” Il biondo si fermò e lo implorò. “Che cosa vuoi dirmi?” I due occhi blu si fecero piccoli e si piantarono in quelli verdi. Non voleva offenderlo, ma lui si sentiva così.
“Perché Nova non sa chi sono?” Cercava di tenere un tono tranquillo, ma quella conversazione ne esigeva un altro. Il Romano distolse lo sguardo e si accasciò sul ciglio della strada, con i piedi a penzoloni nel vuoto.
“Era più facile in questo modo.”
“Per chi?”
“Per me.”
“E ti è sembrato un comportamento corretto? Far si che la bambina che ti ho aiutato ad accettare e aiutare si scordasse di me?”
“Questo tuo atteggiamento non mi era mancato per niente…”
“Non cambiare discorso. Voglio avere delle risposte.” Dæn non sapeva cosa dire, se non la verità, anche se banale.
“Per un po’ lei ha chiesto di te e io le raccontavo più che potevo. Pensavo mi avrebbe aiutato tenere viva la tua memoria. Poi io ho smesso di raccontare e lei ha smesso di chiedere.”
“Perché hai smesso?” Dænide si voltò verso il Greco.
“Non hai idea di quanto facesse male…”
“Come, scusa? Sono stato obbligato a salire su una nave e a tornare in un paese che ormai non riconoscevo più, senza possibilità di tornare indietro. Ho dovuto ricominciare da capo, da solo. Secondo te non stavo male?” A Dæn vennero gli occhi lucidi mentre lo ascoltava.
“Però il pensiero che tu avessi Nova e le parlassi di me mi faceva stare meglio. E invece scopro che tu sei stato troppo codardo e troppo pigro per…”
“Codardo e pigro?” Il biondo si alzò di scatto.
“Il tuo servo se ne era andato dalle palle e così tu eri libero di rifare finalmente ciò che volevi. E perché continuare a ricordare qualcuno che non avresti mai più rivisto?”
“Cass…per favore, smettila.” La voce del biondo era rotta.
“Ti sto per caso ferendo?”
“Ti ho salvato la vita e tu lo avevi capito. Non c’era molto da fare all’epoca. Perché sei così arrabbiato con me?”
“Perché sei tornato.” Il biondo parve confuso. “Sono passati 13 anni, Dæn, che motivo c’era di tirare di nuovo in ballo tutta questa storia e farci soffrire di nuovo? Sappiamo entrambi come andrà a finire.” Si guardarono. Era forse così? La storia si stava ripetendo di nuovo? Dæn fece un passo in avanti, con calma. Il Greco non indietreggiò.
“Perché sei tornato?”
“E’ una domanda questa volta?” Cass annuì, senza staccargli gli occhi di dosso.
“Sam mi ha chiesto di…”
“Dæn…” Il biondo sorrise e gli si fece più vicino. Cass sentì finalmente il suo odore e sospirò. Gli era mancato più di quanto gli facesse piacere.
“La storia si ripete, Cass. E noi facciamo parte di essa.”
“Inevitabilmente soffriremo di nuovo.” Castiel fece un passo avanti a sua volta. Erano così attaccati.
“E ci ritroveremo di nuovo.” Si guardarono e come quella prima volta, a Roma, da servo e padrone, nella camera del biondo, si baciarono, ad Atene, da offeso e distrutto, nella culla del moro. Si presero il loro tempo, niente fretta, non come 13 anni prima. Niente gesti spinti o sussurri sconci. Solo un tocco delle labbra. Si erano amati nonostante il tempo e il mare, non avevano bisogno di altro. Per il momento. Fronte contro fronte, respirarono e sorrisero, malinconici.
“Quanto ho sognato questo momento” ammise Dæn.
“Non ti chiederò se ha superato le tue aspettative, Romano.” Il biondo rise, prendendo tra le mani il viso di Castiel.
“Ho pregato e sei tornato.”
“Ho amato e ti ho ritrovato.”
 
Scesero in piazza che ormai si stava facendo buio. Nova era lì ad aspettarli, agitata e curiosa.
“Voglio sapere tutto.” Il moro guardò il biondo e arrossì. “Ok, solo ciò che è consono che io sappia.”
“Nova” disse Dæn ridendo, “Prima andiamo a casa e poi ti racconteremo tutto. Cass si ferma a cena da noi.”
“Davvero?” chiese il moro, confuso.
“Ovviamente, Cass!” esclamò Nova, facendo il verso al padre. Per lei era una novità osservare il padre in un momento del genere, di felicità.
“Solo io lo chiamo così.”
“Da oggi non più.”
 
La casa che il governatore aveva messo loro a disposizione era modesta ma spaziosa, con due camere separate per Nova e Dæn, e un grande spazio per cucinare e mangiare.
“Papà, da quando cucini?”
“Da mai. Cucinerà Castiel.” Il moro lo guardò confuso.
“Mi inviti a cena e poi mi fai cucinare? Un po’ rude.”
“Non ti sei mai lamentato prima…” Il tono era malizioso e Cass arrossì, più per la presenza di Nova che per l’insinuazione. Ma lei non fece neanche una piega; aveva sentito di peggio da parte dei soldati romani.
“Io voglio sapere la storia.” Dæn sbuffò e si mise ad aiutare Castiel, a cucinare non sapeva bene cosa.
“Ok, in breve…quando ti trovarono davanti alla porta delle nostre cucine, tua nonna decise di affidarti a me. E dato che in quel periodo io e Castiel…beh ecco…stavamo insieme o qualcosa del genere, per un po’ ci siamo presi cura di te insieme.”
“Non è andata proprio così” ammise ridendo Castiel, tagliando una zucchina.
“La nonna mi ha detto che tu all’inizio non mi volevi.”
“Appunto” fece eco il moro, “Dovetti supplicarlo. Non si sentiva all’altezza, ma io gli dimostrai il contrario.” Cass e Dæn si guardarono e Nova non riuscì a capire chi si perse negli occhi di chi, ma era bello guardarli.
“E chi è stato a fare il primo passo tra voi due?”
“Lui!” esclamarono in coro.
“Sei stato tu, Cass. Mi sei venuto praticamente addosso una delle prime sere e ti sei messo a contare le mie lentiggini.”
“33!” urlò Nova, dando il cinque a Castiel.
“Dæn, tu ti sei dichiarato apertamente. E io, se non ricordo male, ti ho respinto inizialmente.”
“Fa ancora male” sorrise il biondo. Quanto gli piaceva respirare di nuovo, senza quel peso al petto che gli impediva di viversi appieno i momenti. Sarebbe rimasto lì per sempre, in quella casa, con l’amore della sua vita e la loro figlia.
“La nonna e lo zio erano d’accordo con la vostra relazione?”
“Si, credo” ammise Castiel, “Sam all’inizio non fu proprio accomodante con me. Credo avesse paura che potessi ferire suo fratello. Invece Marianna mi è stata sempre di grande aiuto e spero di esserlo stato anche io per lei.”
“Ok, ho tantissime altre domande…”
“Nova, lascialo un po’ respirare.”
“No, va bene. Mi è mancata tanto.” Nova arrossì, girò il tavolo e abbracciò Castiel, come se lo conoscesse da una vita; e un po’ era così.
“Chi ha dato il primo bacio?” Dæn scoppiò a ridere.
“Io” ammise il moro, arrossendo, “Ma perché stai ridendo?”
“A ripensarci, è stata una scena assurda. Ero così confuso.”
“E’ stato bello?” Dæn e Castiel non ebbero bisogno di guardarsi per rispondere all’unisono che si, era stato bello.
“Anche io spero di vivere una storia come la vostra, un giorno.”
“Non te lo auguro, trovatella.”
“Perché no?”
“Perché abbiamo sofferto entrambi, molto.”
 
La cena si rivelò più buona del previsto e Nova non aveva ancora finito le domande.
“Chi ha detto per primo le famose due paroline?” Castiel si bloccò di colpo e Dæn iniziò a sparecchiare.
“Che c’è?” chiese allora la ragazza dai capelli biondi.
“E’ ora di andare a letto, trovatella.”
“Ma papà..”
“Nova!” Il tono non ammetteva repliche. Così la trovatella, dopo aver dato la buonanotte, si ritirò in camera. I due rimasero soli, in compagnia di una candela e della luna che timida sia affacciava dalla finestra.
“Dovremmo parlarne, non credi?” iniziò Castiel.
“Non sei obbligato a darmi spiegazioni.” Dæn si mise in piedi di fronte alla finestra e Cass lo seguì, appoggiandogli il mento sulla spalla.
“Avrei voluto dirtelo anche io. Ma non volevo darti troppe speranze.”
“Come avrei potuto? Sapevo a che cosa stavamo andando incontro.”
“Non volevo che ti sentissi ancora di più in colpa. E non volevo neanche ammetterlo a me stesso.”
“Troppo vergognoso amare un romano.” Il tono era ironico, e questo ferì Castiel.
“Troppo facile. Almeno per me.”
“Quale parte della nostra storia è stata facile?”
“Quella in cui mi sono innamorato di te. E’ stato come sorridere davanti a un bambino che ride. Involontario e rassicurante.” Il biondo a quel punto si girò verso il suo Greco.
“Dormi qui, stanotte?”
“Abbiamo ancora tanto di cui parlare.”
“Per quello c’è sempre domani.”
   
 
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