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Autore: BabaYagaIsBack    14/03/2021    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Diciannovesimo
§ Non più lo stesso §
parte seconda


 

Avrebbe preferito negarlo, eppure le fu impossibile. Sin dall'istante in cui Noah aveva oltrepassato la soglia dell'università i suoi occhi non erano riusciti a perderlo di vista - e più le si era fatto vicino, più distogliere lo sguardo le era stato difficile. La sua figura era diventata una sorta calamita per lei, un magnete a cui le veniva impossibile resistere, anche se avrebbe voluto.
Il suo istinto predatore stava cercando in lui qualcosa, un segno, tracce dell'uomo che aveva conosciuto e con cui aveva convissuto per quasi tre secoli - perché se doveva essere del tutto onesta, quell'Hagufah non sembrava aver nulla a che fare con i precedenti.

Che Noah fosse un bel vedere era cosa indiscutibile, persino un orbo lo avrebbe notato, ma c'erano stati altri corpi altrettanto ammalianti prima di lui e, per questo, Alexandria non riusciva a capacitarsi di come le venisse complicato guardare altrove. Più se lo domandava, meno capiva e, a un tratto, anche lui sembrò accorgersene.
«Ho qualcosa in faccia?»
A quella domanda Z'év sussultò. 

Si sarebbe dovuta aspettare un commento di qualsiasi tipo di fronte a tanta irriverenza, eppure la prese comunque alla sprovvista.

Svelta spostò lo sguardo sull'asfalto del marciapiede. «No» tagliò corto prima di staccarsi dal muro a cui era rimasta appoggiata per l'ultima ora e muovendo i primi passi in direzione della fermata del bus, quasi volesse fuggire da lui, dalla sua presenza.

Noah la metteva a disagio, terribilmente - e il fatto che non riuscisse a ritrovare in lui alcuna traccia di Salomone era un aggravante ancor più difficile da ignorare.
Già dal loro primo incontro quella sensazione si era fatta largo in lei e, con l'andare dei giorni, non le sembrava affatto essersi placata. Al contrario, si era sentita sempre più indesiderata.
Nell'auditorium, infatti, le era parso che l'unico filo di speranza a cui era rimasta aggrappata per tutti quegli anni si fosse infine definitivamente spezzato; ed era stato l'Hagufah stesso a reciderlo, condannandola. Quando i suoi occhi le si erano posati addosso, senza riconoscerla, la gravità aveva ripreso a fare il suo dovere facendola precipitare in uno luogo tanto scuro che, purtroppo, Alex temette non avere alcuna via d'uscita, eppure non era riuscita a spiegarsene il motivo. Avrebbe piuttosto dovuto gioire di quella situazione, sentirsene in qualche modo confortata - dopotutto se il Re non ricordava lei non poteva essere accusata di nulla -, ma non era stato così. Non era così. Il fatto che Noah non avesse alcun ricordo di lei significava che non avrebbero mai potuto parlare di ciò che era successo e, quindi, non avrebbe mai potuto ottenere il suo perdono o la sua condanna.

«Qualcosa non va?»
La voce del ragazzo la fece nuovamente sussultare, riportandola con brutalità al presente. Nemmeno si era resa conto di essersi persa nei propri pensieri, troppo a disagio per poter prestare reale attenzione alla situazione.
«No» soffiò ancora, questa volta allungando il passo e cercando di mettere più distanza tra loro. Avvertiva Noah vicino, troppo per i suoi gusti, e fu certa che, girandosi, se lo sarebbe potuto trovare a pochi centimetri dal viso.

«Ne sei sicura?» 
Lo ignorò. Non aveva alcuna intenzione di iniziare una conversazione con lui e altrettanto avrebbe dovuto fare l'Hagufah. Perché mai avrebbero dovuto parlarsi, infondo? Lei lo stava evitando, troppo sopraffatta dalle sensazioni di quegli ultimi giorni e preoccupata da quale piega potesse prendere tutta quella storia, e lui a malapena sapeva il suo nome e cosa fosse: non vi era alcun motivo di approfondire... qualsiasi cosa!
«Alexandria?»
Ancora una volta non gli diede retta. 
«Alexandria, fermati!»

E d'improvviso, quasi il suo corpo avesse smesso di appartenerle, le gambe smisero di muoversi - ma non per colpa dell'Ars o del sigillo, bensì del suo tono, di quella voce.

Noah le si parò davanti accertandosi di bloccarle la strada e, con il fiato corto, le puntò addosso gli occhi, facendola vacillare appena. Per un solo istante Z'év sentì il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di trovare sostegno perché, quando i loro sguardi s'incontrarono, un brivido freddo le corse lungo la schiena. D'un tratto le fu impossibile fingere di non vedere in lui ciò che Levi aveva scorto sin da principio: il loro Sovrano. Fu come trovarsi di fronte a un fantasma, una visione - e come tale, durò solo pochi istanti, ma furono sufficienti a farle desiderare di allungare una mano, aggrapparsi alla sua maglia e tirarlo a sé, premendoglisi al petto.

«Mi spieghi che problema hai con me?» 

Alex batté le palpebre, mandando in frantumi l'illusione.
«C-che?»
«Non fare la finta tonta, okay? E' ovvio che non ti piaccio e che non vuoi avere nulla a che fare con me.»
Guardandosi attorno, Z'év si rese conto di essere fin troppo esposta alle orecchie dei passanti: «Non credo sia il caso di affrontare questa discussione qui e ora, Noah.» Chiunque avrebbe potuto ascoltarli, persino qualcuno di indesiderato, come gli adepti del Cultus - e doveva evitare a qualsiasi costo che quella possibilità potesse diventare realtà. Peccato che il suo interlocutore sembrasse non rendersi conto del pericolo.
«E quando vorresti affrontarlo? A malapena mi rivolgi la parola, non fai altro che fissarmi male!»
«Ti ho dett-»
«Levi e Zenas non fanno altro che parlarmi del passato, mi stanno addosso in modo quasi soffocante, mentre tu... tu mi eviti! Perché diamine li hai seguiti se non vuoi avere nulla a che fare con me?»

E d'istinto, rendendosi conto di non sapere come zittirlo, gli afferrò il colletto della giacca costringendolo ad abbassarsi alla propria altezza; come Nakhaš, anche lui la superava di quasi una spanna, forse più - e per tenere il tono di voce il più basso possibile, quella le parve l'unica soluzione adottabile.
«Ascoltami bene, moccioso, ho duecentosessantadue anni, okay? E negli ultimi ventisei, ogni singolo giorno, ho creduto di essere la ragione per cui le persone che più di tutto amo sarebbero morte, quindi scusami se il fatto che tu non abbia memoria di me, di noi, mi destabilizza.» Sapeva di avere le narici dilatate, i denti digrignati e la mascella contratta, eppure si rese conto che Noah non si stava preoccupando di nessuno di quei dettagli: aveva gli occhi erano fissi nei suoi, completamente persi e, rendendosi conto di cosa potesse vedervi all'interno, o pensare guardandoli, lo spinse via, rimettendo distanza tra loro. 

Non doveva dargli modo di scorgere alcuna delle sue reali emozioni, di intravedere la colpa. Non in quel momento, non così presto, non senza prima ricordare quel giorno.

Il ragazzo parve vacillare, sopraffatto con grande probabilità da ciò che non riusciva a capire; e come biasimarlo? Privato della propria memoria non era altro che un involucro vuoto, un corpo incapace di empatizzare, di consolarla, di placare i suoi rimorsi.

«Credi che lo faccia di proposito?» lo sentì biascicare dopo qualche secondo: «Fidati, non è così. Quindi smettila di incolparmi per qualcosa che non posso controllare.» 

Alex si morse il labbro tentando di trattenere le parole, ma fu inutile. Prima ancora che potesse rendersene conto, le sentì uscire di gola: «E' solo che ho bisogno di lui, NoahE tu... tu non puoi aiutarmi. Non ora, quantomeno.» 
Lo vide aprir bocca, provare a dire qualcosa, ma non gliene diede modo. Avanzando - e quasi sbattendogli contro - Z'év riprese a camminare verso la fermata del bus. Stringendosi nelle spalle, in parte imbarazzata e in parte amareggiata, si maledì per avergli dato corda anche solo per quei pochi minuti: non avrebbe dovuto. 
«Muoviamoci, ci aspettano.»

 

   
 
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