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Autore: F_Brekker    14/03/2021    4 recensioni
Dopo aver terminato Il regno corrotto, avevo assolutamente bisogno di far continuare la storia fra Kaz e Inej. La narrazione è ambientata a partire da un periodo ipotetico in cui Inej torna dalla sua prima avventura in mare, a caccia di schiavisti. Lei e Kaz si ritrovano a fare i conti con il desiderio e le difficoltà che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto.
Ho cercato di mantenere il più possibile i personaggi fedeli a quelli descritti dalla Bardugo, spero che non troverete grandi dissonanze fra quelli che conoscete e quelli di cui sto scrivendo.
Buona lettura :)
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Primo bacio 

 

Il picchiettio della pioggia sui vetri delle finestre era un tocco leggero e costante, e sarebbe stato anche piacevole, se la notte non avesse portato con sé incubi per Kaz. Il tempo a Ketterdam era sempre stato così, non aveva mai dato segni di particolare clemenza, eppure questo non era mai stato un problema. Fino a quel momento. Stese la gamba, nel movimento gli sembrò quasi di sentirla cigolare. Buttò la testa all’indietro, appoggiandola contro al muro. Neanche il soffitto fu clemente. Debolmente illuminato dalla lampada che teneva ai piedi del letto, era un sfondo perfetto su cui rappresentare il terrore di vedere la Spettro, la nave di Inej, elegante e terribile come lei, sprofondare fra le onde della tempesta, essere inghiottita dalla furia incontrollata del mare. A dire il vero, per quanto ne sapeva lui, Inej poteva essere ovunque, e forse non era nemmeno sulla nave. Vederla libera di sfrecciare verso il suo sogno di giustizia era stato bello quanto doloroso. Estremamente doloroso. Non che non l’avesse previsto, per quanto le emozioni fossero variabili più complesse da calcolare. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, e nel delirio di quella notte cominciava a chiedersi come avesse potuto permetterlo. Tuttavia, a volte, la sentiva la voce della ragione. Inej non era una principessa incapace di badare a sé stessa, era forte e temibile, e lo scintillio dei suoi pugnali aveva mandato sottoterra più persone di quante Kaz stesso potesse ricordare. Non aveva bisogno di lui, non più. Sentì una fitta alla gamba. 

Si costrinse ad alzarsi e ad andare in bagno a sciacquarsi il viso. Si tolse i guanti, li appoggiò in un angolo, sciolse le dita: il solito rituale. L’acqua gelida non fu piacevole ma servì al suo scopo, e si riprese dal suo intrico di pensieri. Adesso basta. 

E invece no. Fu in quel momento che la sentì, la sua presenza. Inej era lì, nella penombra, ma Kaz non sapeva più dire in quale stato di coscienza si trovasse.

— Kaz? —. Non se la sarebbe lasciata scappare, che fosse un’allucinazione, un sogno o la realtà. Non dopo due mesi senza di lei.

— Inej —. Oh, era reale, lo era eccome. Ed era bagnata fradicia.

Non era ancora pronto per parlarle. Un capoclan del Barile con la voce che tremava come una foglia, non se lo sarebbe mai perdonato. Aprì l’armadio e tirò fuori una camicia asciutta, e gliela porse. Lei la afferrò senza nemmeno guardarla.

— Come stai, Kaz? —. Lo esaminava con la stessa attenzione con cui lui esaminava lei.

— Come sempre, Spettro, ma non sembra che si possa dire lo stesso di te —. Lei abbassò lo sguardo e si allontanò verso il bagno, per indossare la sua camicia. I ratti del Barile non erano certo famosi per la loro galanteria, ma le voltò le spalle, per non guardarla. Oltretutto in questo modo ebbe anche il tempo di passarsi le mani, ancora nude, sul viso, sui capelli, con gesti frenetici. Aveva aspettato questo momento per due mesi, e adesso ne se stava lì come un palo arrogante incapace di mettere insieme una frase sensata per fare sentire Inej a suo agio.

— Kaz? —. Sentì le dita della sua mano posarsi sulla sua scapola. Si voltò. La camicia era decisamente troppo grande per lei, che si era arrotolata le maniche per far sbucare le mani.

— Non ti aspettavo stasera, Inej. Pensavo fossi a centinaia di miglia da qui —. Lei sembrò imbarazzata.

— Hai ragione, avrei dovuto avvisarti. Volevo che fosse... una sorpresa. —. Si avvicinò alla finestra, come se volesse andarsene. Lui fu più rapido.

— No, Inej.... —. Lei guardò la mano che aveva afferrato la sua, con un’espressione stupita in volto. Nessuno dei due si era ancora abituato. 

Inej gli si avvicinò lentamente. Chissà quante cose aveva da raccontargli, quanti rischi aveva preso, quante preghiere aveva pronunciato ai suoi Santi in quel lungo periodo passato fra i mari. Le sue labbra non sembravano aver intenzione di narrare niente di tutto ciò. Dentro di lui era il caos. 

Vide la mano di Inej alzarsi verso il suo viso, con una calma che gli avrebbe permesso di sfuggire al suo contatto almeno dieci volte. Venti, dato che era pur sempre Kaz Brekker. Quando finalmente non ci fu più nessuno spazio fra la sua pelle e quella di Inej, avrebbe voluto che la sua mente fosse inondata dal suo profumo, da quelle immagini di lei che così frequentemente gli annebbiavano i pensieri, che gliela facevano desiderare al punto da farlo impazzire. E invece sentiva la nausea montargli dentro, il sudore imperlargli la fronte. Anche se era lei, la sua Inej. 

Doveva essere più forte della sua angoscia, doveva dominarla. Con un gesto rapido le sciolse il laccio che legava la sua treccia. I capelli bagnati le incorniciarono il viso. La sentì trattenere il respiro. E lui, respirava? Non era importante. 

— Mi sei mancato — sussurrò lei. Ma lui lottava dentro di sé per tenere a bada tutto, la nausea e il ruggito che la stava scavalcando, e pensò che se avesse aperto bocca, non sarebbe più riuscito a controllare nulla. La guardò, sperando che nel suo sguardo disperato lei potesse leggere che ovviamente, per tutti quei maledetti Santi, anche lei gli era mancata.

Lei lo capì, ma ora aspettava. Toccava a lui.

Infilò le dita fra i suoi capelli. All’inferno, erano bagnati, e l’acqua rendeva le sue dita viscide. Si irrigidì terribilmente, i muscoli della mascella contratti. Eppure quella notte non permise al corpo di Jordie di riaffiorare nella sua memoria, non permise al mare di portarlo giù. 

Quel momento era suo e di Inej.

La ragazza Suli che lo conosceva meglio di chiunque, aspettò paziente che la lotta nei suoi occhi terminasse. Lui si concentrò sulla camicia asciutta di lei, gli sembrava una buona idea. Fu troppo. La nausea, l’orrore del contatto, lo smarrimento, non poterono niente contro l’urlo selvaggio che aveva in petto. Provò a rendere quel bacio almeno un po’ romantico. Il contatto delle loro labbra, le mani di Inej nei capelli, e le sue, le sue mani che non trovavano pace, bramando di toccare tutto quello che non avevano potuto fino a quel punto.

Non è facile neanche per me.

Quella frase fu come un enorme allarme che dilagò nella sua mente. Non voleva metterla in difficoltà, non voleva metterla a disagio.

— Inej... —. 

— Vai avanti —. Non avrebbe dovuto dirlo. Inej bruciava come un tizzone ardente fra le sue dita. Oh no, non c’era più lo scrosciare delle onde, c’era solo il fuoco che divampava in loro. Senza controllo, decisamente senza controllo. 

Il resto fu intrecci di dita, di mani, di gambe. S’intrecciarono i loro respiri, i loro battiti, e tutto ciò che restava dei loro corpi. Le parole furono superflue, e ne uscirono ubriachi.

Nulla sarebbe stato più lo stesso. 

   
 
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