Avevo mille motivi per odiarti: eri tutto ciò che avevo sempre considerato come immondo e indegno, una cancrena purulenta. Bruciavo di rabbia ogni volta che ti incontravo per i corridoi di Hogwarts perché, secondo me, una Nata Babbana non aveva alcun diritto di frequentare una scuola di magia.
Così cercavo in tutti i modi di metterti in difficoltà, di farti sentire inferiore, perché era questo ciò che credevo. Davvero. Eppure, dentro di me, ammiravo il tuo coraggio, la tua determinazione, la tua bravura, anche se non avevo il coraggio di ammetterlo neppure con me stesso. Fingevo di disprezzarti, facendo scivolare su di te uno sguardo di malcelato odio, ma era solo una maschera che ho saputo portare talmente tanto bene al punto da autoconvincermi.
«Granger», ti dicevo in modo sdegnoso, «questa scuola non è un posto adatto alle Mezzosangue come te».
Hogwarts in realtà aveva istruito migliaia di giovani maghi e streghe, anche Nati Babbani come lo eri tu, ma ammettere apertamente la tua eccellenza sarebbe stato come rinnegare me stesso.
I tuoi occhi si velavano di lacrime, però non piangevi, perché non volevi darmi la soddisfazione di vederti crollare.
«Lasciami in pace, Malfoy», mi rispondevi guardandomi sempre dritto negli occhi con quella tua fierezza fuori dal comune.
Ma io continuavo imperterrito a offenderti in ogni modo possibile e immaginabile.
Non ne potevo fare a meno. Ormai per me eri diventata il bersaglio ideale dei miei insulti. Prendevi allora i tuoi libri, le tue pergamene e te ne andavi via, lasciandomi lì, da solo, consapevole che l'indifferenza era la miglior difesa contro la mia arroganza.
Quando un giorno non ti ho più visto in giro e mi era stato riferito che eri andata via insieme a Potter e a Weasley ho sorriso trionfante, convinto di averti finalmente sconfitto, anche se dentro di me sentivo solo un grande vuoto.
Ritornato a casa per le vacanze pasquali avevo una strana inquietudine nel cuore: un’ondata di terrore stava per travolgerci tutti e con mio sommo stupore cominciai a temere anche per la tua vita.
Speravo di salvarti fingendo di non riconoscerti quando sei stata catturata, ma mia zia Bella ti ha torturato per ore e le tue urla strazianti le sento ancora adesso.
Ti incontro dopo tanto tempo dalla fine della guerra mentre passeggi da sola per le vie di Diagon Alley e, raccogliendo quel minimo di coraggio che posseggo, ti fermo e ti chiedo se possiamo parlare, magari davanti a una tazza di tè.
Un leggero refolo ci accarezza i volti e tu, portandoti un ricciolo dietro l’orecchio, annuisci e mi segui silenziosa.
«Vuoi zucchero e limone», ti chiedo mentre, seduti al tavolino di un bar, ci guardiamo imbarazzati per quella strana situazione, «oppure solo latte?»
«Zucchero e limone, grazie», rispondi con un leggero sorriso che sa tanto di perdono.