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Autore: Enchalott    15/03/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La fine del mondo
 
Dionissa emise afferrò il lenzuolo su cui era adagiata. La nuova contrazione la lasciò senza fiato. Un rivolo di sudore le percorse il viso esangue e il collo, perdendosi nella scollatura madida.
«Coraggio tesoro, spingi» la incitò una delle levatrici Thaisa «Ci sei quasi.»
Per lei non era rilevante rivolgersi con il titolo alla principessa di Erinna: era una donna che stava partorendo, in ciò identica alle altre sin da quando esisteva il mondo. Continuò ad assisterla, preoccupata più per la sua debilitazione che per lo scontro spaventoso fuori dalla reggia.  
Dionissa si sforzò, poi ripiombò esausta sui cuscini. Le levatrici si scambiarono uno sguardo inquieto. L’intuito femminile suggeriva che non rimaneva molto tempo.
«Solo un attimo di tregua, poi devi mettere al mondo tua figlia. Devi aiutarla adesso.»
La ragazza annuì, inalando l’aria e sollevandosi sui gomiti. Il dolore tornò a riempirla come un’onda per poi lasciarla spossata. Avrebbe dovuto ascoltare sua madre e permetterle di rimanerle accanto o concedersi il capriccio di richiamare Rei. Scacciò l’idea egoista, focalizzandosi su quanto il fisico allo stremo le stava chiedendo.
Una disarmonia si incuneò tra i suoi sensi. Una presenza oscura e furtiva si insinuò nella stanza, precipitandola in un silenzio innaturale. Due bagliori rosso sangue barbagliarono nell’ombra, maligni e terrificanti.
Le ancelle nella camera adiacente singultarono terrorizzate, poi si immobilizzarono: le divennero spente, vuote. Si afflosciarono con un rantolo e rimasero immobili.
Le levatrici Thaisa percepirono il pericolo insidioso: una mise mano al pugnale, lasciando la principessa alle cure della compagna.
«Vedo la bambina! Solo uno sforzo!»
Dionissa impiegò tutte le energie residue per dare alla luce Shionade. Urlò e si afflosciò sfinita. Avvertì il pianto della neonata come ovattato.
Rei, ho mantenuto la promessa. Non ho rimpianti ora che ti ho dato una parte di me.
L’ombra avanzò, infierendo sul corpo riverso della donna che aveva lottato per impedirle di procedere.
«È una meraviglia» mormorò la guaritrice, ponendo la piccola tra le braccia della madre.
La veggente strinse al seno sua figlia, vincendo la debolezza e la sensazione che lì accanto qualcosa di perverso stesse risucchiando ogni forma di bene. Shionade smise di singhiozzare. Dionissa sorrise commossa, specchiandosi negli occhi grigi della bambina, percependo in lei il Kalah, forte come una speranza volta al futuro.
Il daimar falciò con indifferenza l’ultimo ostacolo che lo separava dalla principessa, stagliandosi nel chiaroscuro oscillante delle fiaccole sacre, che avevano avuto l’ardire di non estinguersi al suo passaggio. Lo sguardo di sangue esaminò le due prede inermi. Non riuscì ad avanzare, respinto dal legame affettivo che le univa.
«Vattene» ansimò Dionissa «Qui c’è troppo amore per te, demone.»
«Kheera sta attendendo la tua morte» sogghignò l’ombra con studiata perfidia.
La ragazza cinse il fagotto che occultava la bimba.
«Anche all’altro mondo ti impedirò di nuocerle. Allontanati, servo del male!»
Il triangolo violaceo del daimar si distorse. Una risata lugubre gli sorse dalla gola, echeggiando per la stanza. Indicò il cielo spezzato in due
«Il Nulla presiederà persino l’oltre.»
La veggente boccheggiò. Aveva la vista appannata, il dono aveva smesso di risponderle. Non aveva più tempo.
«L’uomo che te l’ha posta in grembo l’ha promessa a Kheera per avere salva la vita» continuò l’essere oscuro, indicando la neonata «Tua figlia è già mia.»
Dionissa spalancò gli occhi.
Non è vero, non crederò mai a quel mostro, ma sono così debole e stanca e…
«Kheera pagherà le sue menzogne!»
La voce inconfondibile, carica d’indignazione, raggiunse la principessa con l’effetto della pioggia estiva sull’aridità deserto.
«Rei…»
Il generale oltrepassò la soglia: il mantello della tinta del tramonto, unico colore nel buio, frusciò al suo incedere. Le iridi d’acciaio scintillarono di collera in un baluginio minaccioso, più affilato di quello della spada che stringeva in pugno. Una visione di temerarietà e vigore inguainata nell’uniforme tortora del Sud.
Kheera si volse, scivolando sul pavimento come se non avesse corpo.
«I miei fratelli ti hanno colpito» constatò con bieca soddisfazione «Le ferite delle lame nere non guariscono. Servono ad attirare il nostro interesse su una preda indebolita. Non hai scampo, mortale.»
«Lo credi tu, rimasuglio del pozzo! Non c’è nulla che l’amore non possa sanare! In questo momento ne sono pieno, sai che può distruggerti. Sei certo del duello con me, vigliacco?»
Il daimar ruggì infuriato, precipitandosi sul nuovo arrivato senza esitare.
«Rei!»
Dionissa esalò il suo nome, ma il richiamo non fu che un alito inudibile. In quelle condizioni non avrebbe potuto assistere l’uomo che amava, ma rifiutò rimanere passiva.
Il clangore metallico delle spade che cozzavano rimbombò nell’ambiente scuro.
«Raggiungi il nulla che tanto apprezzi!» sputò il generale, affondando la lama.
La creatura malvagia sogghignò, svicolando come se niente potesse abbatterla.
«Kheera è una creatura d’alto rango, non è fragile come i suoi fratelli.»
Rei tornò alla carica, ma il nemico si limitò a ingaggiare, muovendosi con odiosa lentezza, digrignando i denti quando la forza positiva che lo combatteva si faceva prossima. Poi qualcosa cambiò. Un’essenza buona, composta di ricordi amorevoli si diffuse nell’aria. Era pura e calda, limpida, quasi palpabile. Il daimar grugnì, strizzando gli occhi come se ne fosse acciecato. Comprese che il flusso disgustoso proveniva dalla donna e si rivoltò per eliminarla, schiumando di rabbia.
«Non osare!»
L’ufficiale gli sbarrò la strada, certo che qualcosa avesse urtato il demone.
È l’amore immenso di Dionissa, che ha preso forma in Shionade e non ha confini.
Il cuore di guerriero si abbeverò a quella fonte. Attaccò, sapendo che lei non avrebbe retto a lungo, che quello sforzo avrebbe potuto portargliela via. La lama incontrò una strana concretezza, come se l’essere inconsistente fosse divenuto vulnerabile.
Kheera gridò di dolore e di sorpresa, arrestandosi alla sensazione sconosciuta. L’arma del generale non gli concesse scampo e tornò a colpirlo con letale precisione. Non ci fu rifugio. La spada impietosa lo squarciò a metà, dissolvendo il buio e l’odio di cui era composto. Ciò che rimase di lui implose con uno schianto, disseminando chiazze scure sulle pareti e sul pavimento.
Rei rifiatò, incredulo davanti al fenomeno, tergendosi dal volto gli schizzi appiccicosi che lo avevano investito.
«Ce ne hai messo a crepare, bastardo!»
Scrutò l’ambiente a caccia di altri pericoli, ma non ne intercettò. La principessa era riversa tra le coltri con la piccola appoggiata sul petto.
No… no!
Si precipitò al suo capezzale, sollevandola con ansia e prendendole la bambina dalle braccia. Shionade si mosse gorgogliando.
«Dionissa!»
La veggente schiuse le palpebre e cercò di metterlo a fuoco.
«Amore mio, ti assomiglia… è bellissima.»
Rei scostò la stoffa che avvolgeva sua figlia e finalmente contemplò il suo viso. Sorrise intenerito, sostenendola con l’altro braccio e appoggiandosela al cuore.
«Guarda cosa abbiamo combinato…» pronunciò emozionato.
Le dita di sua moglie gli si posarono sulla mano. Lui trasalì al tocco incerto.
«Qualche volta lei ti stupirà. Saprà cose che nessuno le ha insegnato, ma tu non inquietarti, amore mio. Come per me, così per Shionade, il Kalah è parte della vita. Io sarò nel dono. Fidati quando nostra figlia ti parlerà di me.»
«Che… che stai dicendo?»
«Sii felice, Rei. Promettimelo.»
Le lacrime incontrollate del generale piovvero sul volto di lei, mescolandosi alle sue.
«Mi rifiuto di compiere un simile giuramento! Non ti lascio andare… Dionissa!?»
Lei non rispose. Lui si sentì morire.
«Dionissa!»
Il cielo fu rischiarato da una folgore, che si ramificò in incrinature bianche. La terra tremò, trasmettendo la vibrazione alla torre meridionale. Il chiarore abbacinante invase la stanza, illuminandola a giorno e costringendo il comandante a serrare gli occhi. Si piegò sulla sua donna, stringendola forte.
«Amore mio! Non abbandonarmi! Non puoi, non adesso! Divinità misericordiose! Non lei! Prendete me!»
Aska Rei non realizzò ciò che stava accadendo fuori dal suo abbraccio. Continuò a cingere il corpo inerte di Dionissa e la bambina che non avrebbe mai conosciuto la madre, scoppiando in un pianto inconsolabile.
 
Dare Yoon fu inchiodato a terra supino. Gli artigli acuminati dei daimar gli si conficcarono nelle braccia, procurandogli nuove ferite. Strinse i denti e fissò con rabbia il terzo demone, che lo scrutava dall’alto in basso con plateale soddisfazione.
Intorno a lui, presso l’orlo del precipizio dal quale le forze oscure si riversavano sulla capitale, gli Iohro stavano combattendo. La confusione della battaglia gli investì i timpani, oltrepassando il rombare del sangue. Si divincolò inutilmente.
Al moto di ribellione l’essere oscuro ghignò, assottigliando le palpebre orlate di viola e contemplandolo come carne da offrire in sacrificio. La punta della spada nera gli tagliò in due la casacca lacera e gli incise la pelle all’altezza del cuore. Dare Yoon si rivoltò, ma non effuse alcun gemito.
«Giura!» ordinò il servo del Nulla, spingendogli la lama nel petto con crudele e lenta scrupolosità.
L’ufficiale prese fiato e gli sputò in faccia.
La creatura malvagia si ripulì con la manica, ma non era che spietato dileggio.
«Karse banchetterà con i brandelli della tua anima. È giunto quaggiù per ghermirla, un’agognata vendetta.»
«Ma guarda, non vi facevo tanto nostalgici.»
Il daimar fece balenare un sogghigno malevolo e incrementò la pressione. L’arma penetrò, dirigendosi al cuore del soldato. Lui emise un grugnito, cercando di resistere alla voluta tortura. Avvertì lo scorrere del sangue, ma non diede al nemico la soddisfazione di mostrarsi piegato.
«Cosa ti mancherà, quando strapperò la tua vita per donarla a Yfrenn-ammri?» lo schernì il demone «Porgi il tuo addio, lo perderai per sempre a causa della tua stolta caparbietà.»
Dare Yoon non raccolse l’ennesima provocazione.
«Vuoi uccidermi a furia di sproloqui?»
Nonostante la risposta ardita, un’immagine gli si delineò nella mente: quanto più gli sarebbe mancato assunse una fisionomia precisa. Non era frutto della coercizione. Trasalì alla risposta involontaria e sorprese di se stesso per quel gioco assurdo prodotto dalla coscienza in punto di morte.
La spada gli trapassò il cuore nello stesso istante in cui il suolo prese a tremare.
Dare Yoon fissò il cielo straziato della sua terra, nella fine tutto divenne bianco.
 
Eudiya arretrò, abbandonando la balconata dalla quale stava seguendo, lo scontro.
La scossa di terremoto si abbatté sul palazzo con una violenza maggiore rispetto alle precedenti, facendole mancare l’appoggio. La torre degli strik si sbriciolò come creta essiccata male, ostruendole ogni via di scampo. Tossì, riparandosi dal pulviscolo con una falda del mantello, senza distinguere un cammino alternativo in quella caligine innaturale. Provò a rialzarsi, sostenendosi alle macerie che avevano preso il posto del camminamento, orientandosi a naso.
Una sagoma si tratteggiò al diradarsi lento del polverio: impossibile che qualcuno l’avesse raggiunta per prestarle soccorso. Indietreggiò, certa che si trattasse di un essere oscuro. Snudò il pugnale, preparandosi a combattere.
Il daimar sgusciò dalla nebbia giallastra e la squadrò con commiserazione. Non sfoderò neppure la spada.
La volta celeste esplose in un boato primordiale.
 
 
Màrsali provò ad arrestare l’emorragia che zampillava dal torace possente di Kesthar. L’affondo micidiale lo aveva trapassato, lasciandolo stordito. Non aveva mollato l’ascia e si era sorretto, rifiutando di cedere con sovrumana resilienza. Aveva allontanato l’avversario, poi si era accasciato a terra. Il respiro era un sibilo gorgogliante, il volto sfregiato una maschera di sofferenza e di sangue, ma ancora fremeva e ricusava la resa.
La veggente di Odhran aveva le mani rosse, madide come la stoffa che cercava di opporre al flusso. I dehalbh erano scomparsi sotto la tinta che indicava la morte prossima dell’uomo di cui era innamorata.
«M-Màrsali…»
«Non parlare! Non parlare!»
La voce della fanciulla era rotta dalle lacrime, dalla consapevolezza che gli restavano pochi istanti, dalla consolazione che lo avrebbe raggiunto.
«Quanti ancora? Quanti sono? Non… non riesco a distinguerli.»
Le dita del guardiano le sfiorarono la guancia. L’anello che aveva serbato per secoli la Gemma del Cielo scintillò, mutilato del suo ornamento.
«Sono riuscito a salvarti?» bisbigliò «Non sono uno spergiuro?»
«Non lo sei. Mi hai strappata al pericolo. Il tuo amore lo ha fatto. Sei il mio cuore, Kesthar… ti supplico, resisti!»
«Non vado da nessuna parte, mia dolce sposa… devo ancora renderti felice… resto con te… aiutami ad alzarmi e…»
Màrsali gli baciò le labbra esangui, premendo sullo squarcio che gli dilaniava il petto, cercando di non turbarlo con il suo pianto disperato.
«Amore mio…»
«La mia scure… ti proteggerò…»
Gli guidò la mano sull’impugnatura viscida di sangue e la strinse nella propria. Kesthar le sorrise. Il suo corpo teso allo spasmo si rilassò.
Màrsali rimase appoggiata al marito, incapace di staccarsene, attendendo la fine aggrappata a lui come se fosse il luogo più sicuro del mondo.
L’acqua inondò la sporgenza, travolgendo ogni cosa, preceduta da un fragore che parve polverizzare l’esistente. La realtà riacquistò la tinta abbagliante della neve che sin dalla genesi aveva coperto la gelida Iomhar.
 
Adara lasciò che l’acqua dell’oceano la lambisse, incapace di distogliere lo sguardo dal vuoto che la morte di Anthos aveva inflitto al creato. Il Nord vibrò, come reagendo all’assenza del suo principe. Uno sciacquio ritmato la strappò alla disperazione muta che l’aveva privata di ogni volontà. Lo stallone bianco avanzò attraverso le acque vorticanti, nitrendo piano.
«Illtyd…»
L’animale le strofinò il muso contro la spalla e l’afferrò con i denti, tirandola con vigore. Sbuffò dalle froge, cercando di smuoverla. Protestò alla sua passività, impennandosi e infradiciandola di spruzzi.
«Cosa stai cercando di dirmi?»
Gli occhi scuri del purosangue erano tristi ma decisi. Lo sguardo espressivo e sofferente che incrociò il suo le ricordò quello di Anthos. I pezzi del cuore ferito bruciarono di sconforto.
«Mi ha chiesto di vivere, di essere felice…»
Illtyd nitrì con enfasi, scrollandosi e battendo lo zoccolo nel fango. Adara si sostenne ai finimenti, appena in tempo per evitare l’onda di piena. Si issò in groppa, come tante volte aveva fatto quando suo marito l’aveva portata tra le vie innevate di Jarlath. Il rovescio di ricordi le offuscò la vista: lacrime bollenti tornarono a rigarle le guance, impossibili da frenare.
«Vai!» comandò senza pensare a meta alcuna.
Il cavallo appiattì le orecchie e superò la piana allagata con testarda volontà. Avanzò finché non raggiunse un rialzo, poi si lanciò al galoppo sui pochi metri di terra non sommersi dall’alluvione. La principessa si abbassò in arcione e serrò le palpebre, affidandosi all’istinto del destriero, certa che conoscesse la strada e che l’avrebbe condotta dove il suo padrone voleva che restasse.
Illtyd lo sa.
Per la prima volta Adara obbedì a suo marito.
La terra si fendette fino al nucleo con un rombo assordante.
 
 
Irkalla schiuse gli occhi nell’inconsistenza trasparente dell’altrove. Lo sguardo penetrante frugò le profondità della dimensione extraumana e divenne impetuosità dilagante quando individuò ciò che stava cercando.
Era pervaso da una sensazione di immane vigore, l’energia divina gli scorreva nelle membra con l’onnipotenza che aveva quasi dimenticato nei millenni d’esilio. L’assenza dell’involucro mortale lo fece sentire libero, invincibile come sempre era stato. La natura immortale lo ammantò, restituendogli il pieno controllo di ciò che era e rappresentava.
Le labbra rosate si piegarono in un sogghigno che aveva il colore della rovina.
«Ishkur…» pronunciò tra i denti, come se il nome lo ripugnasse.
Il cerchio disgiunto sulla fronte emanò una luce candida, accompagnata da un bagliore corvino altrettanto intenso. Fissò l’essenza deamhan che stagnava con eccessiva baldanza sullo spazio-tempo che costituiva l’esistente.
Il Nemico, privo di forma mortale, non si sottrasse alla sfida, condensandosi in un nodo di puro male. Il Distruttore lo osservò divertito.
«Addio per sempre.»
Non si prese la briga di sollevare le braccia. Emanò la potenza che concentrava in sé fine e principio. L’aura dorata scaturì da lui, investendo impietosa l’avversario, spazzando via tutto ciò che era ombra.
Il buio si dissolse, i filamenti di tenebra arsero ed evaporarono in fumo sottile. Deamhan arretrò con un ululato muto, incalzato dall’energia invincibile che fagocitava e annientava ogni sua fibra, lasciandosi alle spalle un vacuum che assumeva l’aspetto della luce pura e limpida della giustizia.
Il male imperversante fu ricacciato nei recessi che gli erano destinati dall’origine del cosmo, cercò rifugio tra le viscere oscure di Yfrenn-ammri, ma non trovò ricovero, solo i resti disintegrati del pozzo che non era più luogo in cui occultarsi.
La vampa pulita del Distruttore lo raggiunse sull’abisso, nel quale avrebbe voluto precipitare ogni forma di vita per abusarne, e non lo risparmiò. Tutto ciò che era asservito all’ombra venne dilaniato, fu dissipato e non poté ricostituirsi a fronte della volontà ineluttabile dell’Immortale che presiedeva allo sterminio come unica legge.
Ciò che davvero eliminò deamhan dall’eternità fu l’amore di cui il suo potere era impregnato, un calore immane mai sperimentato e mai concesso a partire dalla genesi. Ogni spazio e tempo divenne candido, nuovo, purificato. Le scintille brillanti del miracolo attraversarono il cielo sconvolto del mondo nel quale Irkalla era vissuto e perito, annullando qualunque destino.
Tutto si fermò, in bilico tra annientamento e speranza, tra termine e possibilità.
Le iridi d’ambra del dio più terrificante del pantheon seguirono impassibili l’estinzione delle esistenze demoniache e decretarono l’unica realtà che desiderava scorgere. Il segno bianco e nero tra le ciocche scompigliate si spense. Il silenzio scese in ogni angolo dell’universo.
Irkalla appoggiò la destra sul cuore, nel punto esatto in cui la spada a lui destinata lo aveva attraversato. Poi svanì.
 
Kalemi inalò l’aria come se fosse un atto indispensabile. Osservò lo scenario che si delineava nel cosmo in cui, fino a un istante prima, l’ombra aveva cantato una spocchiosa vittoria. Per un infinitesimo il Nemico aveva allungato le sue spire tenebrose sul regno eterno. Erano salvi. Il dio della Distruzione aveva vinto.  
Il principe celeste staccò le mani dalla ringhiera del Palazzo delle Anime. I presenti si guardarono con un’identica distensione dipinta sui volti increduli.
Solo Amathira lasciò trapelare il turbamento interiore dovuto alla scomparsa definitiva del gemello e allo scoccare dell’attimo in cui avrebbe dovuto abbandonare i suoi cari. Si chinò e strinse al seno Yasha, sussurrandogli parole dolci e consolatorie. Lui si abbrancò alle sue vesti, rifiutando la separazione dalla madre.
«Trattieni tuo figlio, Reshkigal» decretò Kalemi «Comprendo le bizze dovute alla giovane età, ma mi attendo un atteggiamento decoroso. E tu, Amathira, smetti di versare lacrime. Nessuna è sufficiente a mondare il dolore che hai causato. Affronta la punizione con dignità.»
«Soltanto un momento, mio signore. Permettimi di tranquillizzare il mio bambino, lascia che gli dica addio!»
Il sovrano aggrottò la fronte contrariato e posò la mano sulla spada a doppia lama.
«Obbedisci, Amathira. Non costringermi alle maniere forti.»
Elkira e Valarde agganciarono gli sguardi ansiosi a quello malinconico del dio della Morte: se Reshkigal avesse deciso di reagire in difesa della sua amata, il pantheon sarebbe incorso in una nuova catastrofe. La tensione raggiunse l’apice.
«Fermi!»
La stentorea esortazione congelò tutti. Le divinità si volsero all’unisono, in preda a sentimenti differenti.
Irkalla avanzò adagio, vestito degli abiti laceri e insanguinati che aveva indossato nella sua forma mortale. La sinistra stringeva la stoffa macchiata di scarlatto all’altezza del cuore, come se la ferita che gli era stata inferta fosse destinata a dolergli in eterno. La sua figura imponente e snella si stagliava nella luce placida della dimora degli dei, annunciando che Deamhan era scomparso e che nessuno avrebbe osato attaccare il regno degli Immortali.
Il Distruttore era tornato a casa.
   
 
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