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Autore: Lucreziaa31    15/03/2021    0 recensioni
Boston, 2005 stazione Centrale. Leah è una piccola bambina di sei anni che, in compagnia del padre si trova lì per prendere il treno diretto a Worcester. All’improvviso però, il caos. La gente si ammassa, e i due vengono quasi schiacciati. Proprio qui la bimba perde il genitore per qualche secondo, e tra la folla scorge chi è la causa di tale scompiglio: un uomo. I loro sguardi si incrociano immediatamente e tra i due sembra nascere una sorta di connessione.
Successivamente il padre la ritrova, e tutto sembra essere tornato alla normalità . Ma ciò che è appena successo non sarà un episodio isolato, e Leah riscoprirà il perché di questo avvenimento solamente tredici anni dopo.
Strani sogni, misteri enormi, bugie...
Quella di Leah è un’avventura alla ricerca di se stessa, che nasconde il desiderio di ognuno di noi di sfidare il destino, con la speranza di cambiarlo per sempre. Ed è anche la storia di un uomo, che aspetta che quelli siano, finalmente, i suoi ultimi cent’anni.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I due giorni più importanti della vita sono il giorno in cui sei nato e il giorno in cui scopri il perché.” (Mark Twain)
 

«Papà ma quando torniamo a casa?» ogniqualvolta gli occhioni azzurri di quella bambina si illuminavano in quel modo, significava una sola cosa: Leah era confusa. E aveva soltanto bisogno che qualcuno le desse certezze.  

«Non lo so tesoro, non lo so.» il padre le accarezzò dolcemente i capelli. Sforzò un sorriso, dopotutto doveva infondere tranquillità a sua figlia, anche se in fondo era estremamente preoccupato. Non sapeva nemmeno lui quando sarebbero tornati. Sulle spalle portava un grosso zaino nero, pieno delle cose essenziali che sarebbero servite ad entrambi, nulla di più.

Quel nanerottolo dai capelli castano scuro non faceva altro che creare scompiglio in ogni singola situazione, ma quella mattina aveva la piccola testolina soltanto piena di domande.

Era talmente confusa che non riusciva a staccare la minuscola manina dall'orlo della manica della giacca del genitore.

Frank odiava vivere di nuovo quella situazione, credeva di essere fuggito per sempre. Non succedeva da anni, da quando aveva smesso. E non era concepibile che sua figlia fosse messa in mezzo a quel disastro che aveva creato lui, ma era inevitabile. Non poteva lasciarla a casa ad aspettare il suo ritorno, che sarebbe potuto anche non arrivare mai. Aveva appena sei anni. Ed era tutta la sua vita.

«Il treno diretto a Worcester che parte da Boston Centrale è in partenza tra cinque minuti al binario tredici.» una voce metallica femminile risuonò nell'intera stazione. La piccola Leah si guardò intorno: mai aveva visto così tanta gente. Perché era così pieno? Cosa ci facevano così tante persone a prendere un "coso"? Era così importante? 

C'erano donne e uomini che correvano, rispondevano a delle chiamate, senza mai  fermarsi. Molti si scontravano a vicenda, e questo provocava una dolce risatina della piccola.

Frank la guardò, e non potè far a meno di accennare un sorriso. Quanto avrebbe voluto riavere indietro quell'innocenza, proprio come ce l'aveva sua figlia.

Continuavano a farsi spazio tra la folla, dovevano sbrigarsi, altrimenti avrebbero perso il treno.

In mezzo a quel baccano la bimba riusciva a sentire il padre borbottare. Stava sicuramente dicendo quelle parolacce che tanto odiava! Avrebbe voluto rimproverarlo come spesso faceva, con quel cantilenante "Noon si diice!", ma lo vedeva strano quel giorno, forse era meglio evitare.

Cercava di coordinare i passi ai suoi, ma era molto complicato. Le sue gambe corte non riuscivano a tenere il passo con quelle del genitore.

Teneva stretto il suo Bobby, l'orsetto di peluche che preferiva. Non doveva lasciarlo andare per nulla al mondo, altrimenti sarebbe rimasto solo, pensava.

Mentre i due stavano camminando, all'improvviso un baccano in lontananza si fece sempre più vicino. Alcune urla. Cosa stava succedendo? Leah non fece nemmeno in tempo a girarsi per guardare, che la gente iniziò a spostarsi improvvisamente in maniera confusionaria. In un secondo le persone di fianco a loro gli andarono addosso, e loro stessi stavano per cadere addosso ad altre persone ancora.

Ma per fortuna, il padre riuscì a tenersi in equilibrio, e di conseguenza a sostenere la figlia.

L'orso di peluche era ancora stretto tra le mani della piccola, ora aveva ancora più paura di perderlo. 

«Ma cosa diavolo...» Frank stava per continuare la frase, ma vide la bambina che lo stava guardando, e si fermò.

«Leah, veloce, andiamo, o perderemo il treno.» pronunziò successivamente, con estrema serietà.

La graziosa bimbetta annuì velocemente, e in men che non si dica, seguì il padre, con sempre maggior difficoltà a passare tra quella confusione. Mai nella sua breve vita aveva visto così tante persone, talmente tanto ammassate.

Quel giorno era iniziato in una maniera strana, e stava procedendo come tale.

Ad un tratto il padre si perse tra la folla. Dov'era finito? Le gote di Leah stavano divenendo rosse, e gli occhi le iniziavano a bruciare. Stava per mettersi a piangere. Doveva essersi accorto che lei mancava. Non era riuscita a tenere il passo con lui, ed ora era rimasta sola. 

Mentre teneva stretto il suo orso di peluche, spostò lo sguardo davanti a lei. Un uomo era appena caduto a terra, probabilmente era inciampato. Questa vista le fece completamente dimenticare il fatto che stesse per piangere. L'uomo Si stava toccando il ginocchio, forse si era fatto male. Era abbastanza giovane, probabilmente sui trent'anni. Aveva i capelli neri, il viso pulito, e non era nemmeno molto alto. La piccola iniziò a guardarsi attorno: nessuno sembrava essersene accorto, e chi se ne accorgeva, iniziava a guardare quel pover'uomo con uno sguardo colmo di disprezzo. Sembrava che stessero guardando l'essere più spregevole del mondo. Mai lei aveva visto qualcuno essere guardato con così tanto odio. Talvolta alcuni ne avevano un leggero timore.
Cosa poteva aver fatto di male perché nessuno si chinasse per aiutarlo ad alzarsi? O semplicemente che qualcuno si degnasse di guardarlo con un'espressione più umana? Quelle occhiate erano spesso accompagnate da commenti non molto cortesi. «Chissà che ti arrestino.»

«Che gente, sempre in mezzo...» questi erano quelli più "gentili". Tutti gli altri non voleva nemmeno ricordarseli.

La vista di Leah si spostò su quell'uomo tanto ignorato.

In un men che non si dica i loro occhi s'incrociarono, e la bimba ne rimase quasi pietrificata. Non aveva paura. Non lo disprezzava. E perché gli altri lo facevano, invece? Continuava imperterrita a fissare quegli occhi blu, e più lo faceva, più non riusciva a staccarsi. Per la prima volta iniziò a sentire qualcosa di particolare, un'emozione che non aveva mai provato prima, e che forse nessun uomo avrebbe mai potuto sentire nella propria vita. Non era facile da descrivere, era come se ci fosse qualche genere di collegamento, il silenzio delle loro anime faceva rumore in mezzo a quella confusione, si sentiva l'unica capace di capirlo, di non ignorarlo, e di provare un minimo di pietà. Ma questo era soltanto una parte di quello che la sua piccola testolina stava elaborando in quei brevi secondi. Tutto ciò andava oltre la semplice pietà, era come se qualcosa di più forte avesse preso possesso di lei. Sembrava che una forza sovrumana la tenesse legata a quell'uomo, e di renderli entrambi incapaci di resistere a questa potenza.  Sebbene non lo conoscesse, in quegli attimi, come magicamente, solamente attraverso uno sguardo, le pareva di aver ritrovato un amico perso... Non era uno sguardo rivolto ad uno sconosciuto qualsiasi, quello era probabilmente lo sguardo rivolto allo Sconosciuto.

Avrebbe voluto tanto aiutarlo, ma si sentiva come bloccata. Chi mai avrebbe prestato attenzione ad una minuscola bambina? Lei era una degli ignorati. Lei si sentiva proprio come quell'uomo, ignorata, a tratti quasi disprezzata dalle persone. Lo capiva perfettamente. Non le balenò in testa neanche per un secondo l'idea che la folla stesse avendo ragione ad ignorarlo, disprezzarlo, screditarlo. Anastasia le diceva spesso che era brutta, mentre i suoi compagni di classe non facevano nulla per difenderla, nessuno apriva bocca, nemmeno Emy, la sua migliore amica, provava soltanto a mettersi contro Anastasia. E quando chiedeva aiuto, si trovava sola. Proprio come quell'uomo quel cinque Marzo del 2005 alla stazione Centrale dei treni di Boston, disteso a terra, che stava sperando che qualcuno lo aiutasse. Lei era come lo Sconosciuto. Sembrava che gli occhi dell'uomo le chiedessero aiuto, ma leggeva anche dell'altro, come se lui avesse capito ciò che lei stava pensando, e viceversa. Si era immobilizzata lì, a quasi due metri da lui. Doveva aiutarlo. Si era perfino quasi dimenticata del fatto che avesse perso suo padre. Ma prima che potesse muovere un muscolo, tutto successe talmente in fretta che non riuscì a capacitarsene. Due poliziotti saltarono addosso all'uomo, e lo ammanettarono. «Andiamo Leah, non devi più prestare attenzione agli sconosciuti.» la voce di suo padre! Ma allora la aveva trovata. Non se ne era andato per sempre! La piccola non potè far a meno di sorridere. Ma allo stesso tempo posò di nuovo gli occhi su quell'uomo che poco prima era a terra, ma che ora stava per essere portato via dai poliziotti. Ricominciarono a camminare. «Scusami babbo. Ho avuto tanta paura.» gli disse mentre quell'immagine era sempre più lontana dalla sua vista. Chissà cosa sarebbe successo a quell'uomo, ora. Perché la polizia lo aveva ammanettato? Forse aveva fatto qualcosa di sbagliato? Ma a lei sembrava un uomo buono... Oh, ma a tutti capita di sbagliare, qualche volta. Frank si fermò per un secondo, e la prese rapidamente in braccio, dovevano accelerare l'andamento, e sua figlia non ne era capace. «Per fortuna mi sono allontanato solo di qualche passo, menomale che tu sei rimasta ferma lì, e che ti ho ripescata subito.» asserì lui in seguito. «Perché nessuno lo ha aiutato? Cosa ci faceva lì?» domandò la bambina, cambiando discorso, preoccupata per la sorte dello Sconosciuto, il quale lei non era stata in grado di aiutare. Il genitore fece finta di nulla, come se la figlia non avesse detto assolutamente nulla, o un'assoluta sciocchezza. Perché non replicava? Lui rispondeva sempre alle sue domande, forse un po' di meno a quelle sciocche, ma certe volte anche a quelle. Mai aveva fatto finta di non aver sentito. Forse aveva parlato a voce troppo bassa? No, non le pareva. Allora perché il babbo aveva spostato lo sguardo su di lei, per posarlo su ciò che era davanti a lui? Anche in questo momento, si sentiva ignorata. Erano arrivati davanti al treno. Frank la fece entrare, per poi fare lo stesso. Avevano fatto giusto in tempo, poiché stava per partire.
   
 
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