Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    17/03/2021    2 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! 
Ecco un nuovo capitolo, sono in campagna e la connessione lascia un po' a desiderare e quindi non volevo impazzire per caricarlo, ma alla fine ci provo ;) 
Altre note in fondo! (PS: se non avete letto il capitolo 138 del manga non leggete le note in fondo al capitolo!)



VIII


 
Levi era cambiato.
Nei giorni successivi all'incidente nella distilleria, era diventato molto più scostante e nervoso. 
Continuava a farle trovare i pasti pronti, a lavorare con lei sui registri del Corpo di Ricerca, ma al di là delle comunicazioni essenziali aveva praticamente smesso di parlarle. 
Cercava di evitarla il più possibile sbrigando da solo tutte le attività che richiedevano di uscire di casa, come occuparsi dei cavalli, prendere l'acqua al pozzo o recuperare la legna per camino e stufe. 
All'inizio, Mikasa aveva deciso di non commentare, per evitare di dare troppa importanza a quella che poteva essere una brutta giornata successiva a qualcosa che lo aveva spaventato, però dopo più di una settimana, la ragazza cominciava a preoccuparsi seriamente. 
 
Continuava a ripercorrere continuamente gli avvenimenti di quella giornata, cercandovi il momento nel quale avesse fatto qualcosa di sbagliato. L'unica cosa che le veniva in mente era sempre il suo attacco di panico. Lì per lì, il fatto che lei lo avesse aiutato non sembrava aver cambiato le cose tra loro, ma ormai quella sembrava essere l'unica spiegazione possibile: il capitano si sentiva in imbarazzo. 
O forse era stato quella notte, quando si era svegliata e l'aveva trovato sulla porta della camera? Avrebbe dovuto trattenersi dal dirgli che ormai non poteva più fare a meno di preoccuparsi di lui? 
Era stato in quel momento che aveva sorpassato un confine che non era stata in grado di vedere?
 

La sua presenza sembrava infastidirlo. Ormai Mikasa aveva quasi paura di fargli domande inerenti al loro lavoro temendo che lui finalmente decidesse di cacciarla. Si sentiva ferita, come non credeva che avrebbe mai più potuto sentirsi. Dopo tutto quello che aveva passato, non avrebbe mai creduto possibile soffrire per qualcosa di così futile come qualche giorno di broncio, eppure era così.
Non si meritava di essere trattata così, soprattutto dopo tutto il tempo che avevano passato insieme. Alternava momenti di rabbia, nei quali assumeva un'espressione ancora più scostante di quella di lui e gli lanciava continue occhiatacce, ad altri in cui l'idea che lui le chiedesse di andare via la faceva piombare in una cupa disperazione. 
 
Continuava a chiedersi se non fosse lei a dover proporre di andarsene. La sua presenza chiaramente non gli faceva più piacere, tutt'altro. Forse avrebbe dovuto tirare fuori quel briciolo di orgoglio che ancora le restava e andar via, magari dopo una bella frase velenosa a effetto. 
 
Oppure – e questa era l'opzione che la atterriva di più – avrebbe dovuto provare a parlargli, per chiedere cosa ci fosse che non andava. Non sapeva cosa fare. Aveva persino pensato di scrivere ad Hanji, per chiederle non si sa quale consiglio, ma ovviamente aveva cancellato l'idea dalla sua mente un istante dopo. 
 
Continuava a crogiolarsi nel suo disagio attimo dopo attimo. Non riusciva neanche a godersi la neve o la fonte termale come prima. 
 
 

Il decimo giorno, erano entrambi seduti al tavolo a lavorare sulle carte del corpo di Ricerca, mentre fuori imperversava una tempesta di neve e vento che faceva tremare i vetri delle finestre. Era da poco passata l’ora di pranzo, ma il cielo era così cupo che sembrava già notte. Levi aveva già acceso le lampade ad olio e alimentato il fuoco nel camino con alcuni grossi ciocchi. Entrambi indossavano due maglioni ciascuno e guanti di lana senza dita.

Mikasa stava ricopiando in bella la storia piuttosto incredibile di una ragazza di nome Ilse. Il capitano confrontava alcune lettere con i registri ufficiali. Se non fosse stato per il silenzio pesante e teso che si emanava dal suo compagno, la ragazza non avrebbe potuto chiedere di meglio per quella giornata invernale.
Dopo due ore di completo mutismo, si decise ad aprire la bocca per prima, trovandosi davanti a una incongruenza della storia che richiedeva una conferma.
 
«Puoi aiutarmi di nuovo a rimettere in fila questi passaggi?»
 
Levi sbuffò rumorosamente mentre alzava gli occhi al cielo.
 
Una scarica di rabbia attraversò Mikasa a quella ennesima dimostrazione di insofferenza, ma riuscì a contenersi e mantenere un’espressione neutrale.
 
«Che diavolo c’è di così difficile, si può sapere?» sbottò lui, strappandole il volume dalle mani.
 
Mikasa non ci vide più.
 
Sentì il sangue salirle alla faccia ed afferrò il bordo del tavolo con così tanta forza che le nocche sbiancarono all’istante.
 
«Ok, adesso basta.»
 
La sua voce era così fredda e statica che le sembrava fosse stato qualcun altro a parlare.
 
«Che cazzo c’è che non va? Avrai intenzione di dirmelo prima o poi?» continuò, con la fronte corrugata e lo sguardo fisso sul viso di lui, sul quale era appena passato un barlume di sorpresa, sostituito immediatamente da un’espressione innervosita e minacciosa.
In un altro momento, anni prima, Mikasa si sarebbe intimidita, ma adesso la rabbia e l’esasperazione erano troppe.
 
«Che cazzo c’è lo chiedo io» sibilò lui «Sei uscita di senno? Torna a lavoro e smettila di distrarti»
 
Le gambe di Mikasa la fecero scattare in piedi quasi senza che lei se ne accorgesse.
La sedia gracchiò spostandosi all’indietro e sul volto di Levi si dipinse per un attimo un’espressione infastidita per il rumore, che la fece arrabbiare ancora di più. Sentiva il pulsare sordo del sangue nelle orecchie, aveva voglia di prendere a pugni quella sua faccia insofferente.
 
«Sono dieci giorni che a malapena mi parli. Si può sapere che diavolo ti ho fatto?»
 
«Smettila di comportarti come una mocciosa.»
 
«Smettila tu di comportarti come un bambino. È per via del tuo attacco di panico, dico bene? È per il tuo fottuto orgoglio
 
Levi sospirò, passandosi una mano sul volto. Sembrava stanco. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato?
 
«Beh…» continuò lei «non me ne frega un cazzo del tuo orgoglio, rimettiti in sesto, per tutte le Mura!»
 
«Mikasa…» cominciò lui mentre la ragazza gli si avvicinava incombendogli sopra «Adesso basta.»
 
Per un istante, la sua sicurezza vacillò davanti al tono adamantino del capitano. Poi una nuova ondata di rabbia la scosse. Senza pensarci due volte, si voltò di scatto e si diresse verso la branda.
 
«Bene» esclamò «Me ne vado.»
 

Si accucciò davanti alla branda ed allungò il suo braccio sotto di essa, per raggiungere la sua sacca da viaggio. Non appena la sua mano sinistra si strinse attorno allo spallaccio della borsa però, le sembrò di toccare qualcosa che non aveva mai notato prima. Al tatto sembrava essere una piccola scatola di latta. Distratta per un istante dal suo intento, la tirò fuori, incuriosita.
 
A quel punto, si sentì strattonare verso il centro della stanza. Levi le aveva afferrato il polso destro e l’aveva tirata via dalla branda. Non si era neanche accorta che si fosse mosso, era stato veloce e silenzioso come sempre. Alzò lo sguardo su di lui, nervosa e stupita.
 
E l’espressione sul suo viso la lasciò ancora più interdetta. Levi per un attimo le sembrò spaventato. Poi la sua fronte si corrugò di nuovo, a nascondere i suoi pensieri.
 
«Non essere ridicola, dove pensi di andare con questa tempesta?»
 
«Dovunque, basta che sia lontano da qui.»
 
Levi le spinse via il polso, guardandola dall’alto in basso visto che lei era ancora per terra.
 
«Bene, fai come ti pare.»
 

Mikasa rimase ferma per un attimo, valutando la situazione, con la scatola ancora stretta nella mano sinistra. Ecco, era fatta. Il danno era irreparabile. Adesso avrebbe preso le sue cose e sarebbe andata via per davvero. Lo sapeva che non poteva durare. Eppure… sentì gli occhi che le pizzicavano. Non era giusto. Non aveva fatto niente di male, perché lui la respingeva così? Perché era così crudele?
 
«Dammi quella scatola»
 
La sua voce la riscosse da quei pensieri. Alzò lo sguardo su di lui, senza capire. Si era praticamente già scordata di quella inutile scatola, ma il suo viso la mise in allarme. Lui aveva teso la mano aperta verso di lei, aspettando che gli consegnasse quanto richiesto. Perché diavolo gli importava di quella stupida scatola adesso? Non sembrava importargli che lei andasse via per sempre, ma era così interessato a quella fottuta scatola?
 
Mikasa corrugò la fronte e strinse la scatola con entrambe le mani. Per un istante pensò che lui stesse scattando in avanti per strappargliela, poi vide che si era trattenuto. Solo i muscoli della mascella si erano tesi come corde.
 
«Cosa c’è adesso a proposito di questa stupida scatola» Non vedi che sto per andare via? Non farai nulla per fermarmi? Come può importarti di qualcos’altro adesso?
 
«Ridammela» ordinò di nuovo lui.
 
Non sapeva perché, ma era chiaro che vederla con quella scatola tra le mani lo innervosiva. E adesso innervosirlo, scalfirlo, era l’unica cosa che Mikasa voleva.
 
Aprì il coperchio.
Levi scattò in avanti e provò ad afferrarla, ma lei era pronta e riuscì a divincolarsi alzandosi in piedi.
 
«Non aprirla. Non capisci»
 
Certo che non capiva. La situazione aveva preso una piega completamente sorprendente. Che diavolo stava succedendo? Mikasa si sentiva disorientata. L’unica cosa da fare era quella che lui le aveva appena ordinato di non fare.
 
Aprì la scatola e ne tirò fuori una pagina di giornale. Corrugò la fronte, senza capire.
 
«Mikasa…»
 
Questa volta la sua voce era calma, quasi triste. Questo cambio le fece scattare gli occhi in alto, verso di lui. Levi teneva le braccia avanti, con esitazione, come se si fosse trovato davanti ad un animale selvaggio pronto ad attaccare. Cosa leggeva nei suoi occhi? Era…rimpianto?
 
In un istante, la rabbia si tramutò in paura. Non capiva. Cosa stava succedendo?
 
Abbassò di nuovo lo sguardo sulla pagina di giornale e la dispiegò, facendo cadere la scatola ai suoi piedi. Al centro della pagina c’era una foto.
 
Una foto di Historia sul trono con un bambino seduto sulle ginocchia. Suo figlio. Per un istante non realizzò quello che stava vedendo, il solco tra le sue sopracciglia si fece più marcato.
 
Poi, in un attimo, realizzò.
 
Forse chi non lo aveva conosciuto bene non avrebbe notato la somiglianza in maniera così palese, ma per lei era lampante. E sapeva che era così anche per Levi.
 
Quello che era seduto sulle ginocchia di Historia era senza alcun dubbio il figlio di Eren.
 
Aveva solo poco più di due anni nella foto, ma era già la copia sputata di Eren da bambino, Mikasa non aveva dubbi.
 
Sentì le ginocchia cederle e si appoggiò con le spalle al muro, alzò lo sguardo disorientato sul capitano, che era rimasto immobile al suo posto.
 
Sentì i battiti del proprio cuore risuonarle nel petto. Le mani iniziarono a tremarle.
Il dolore si diffuse dentro di lei come un liquore bruciante che le scendeva nella gola. Era attonita.
 
Non può essere vero…
 
Credeva di aver già raggiunto tutte le profondità del dolore esistenti, riguardo ad Eren. Era impreparata a questo. Credeva che avesse almeno il diritto di soffrire più di tutti gli altri. Quel diritto esclusivo al dolore era l’unica cosa che l’aveva sostenuta.
Era LEI l’unica che poteva DAVVERO soffrire per lui.
Era lei l’unica che lo aveva amato davvero e che poteva ricordarlo e difenderne la memoria davanti a tutti. Era lei la persona che gli era stata più vicino in assoluto in tutta la sua intera vita. Era lei l’unica che aveva provato la sua tenerezza, seppure non nel modo in cui aveva sempre sperato.
 
Historia non aveva nessun diritto di farle questo…
 
Il solo pensiero di loro due insieme le mozzò il respiro. Il pensiero di tutte le volte in cui erano stati insieme alle sue spalle, il pensiero di lei che portava in grembo suo figlio… E non le aveva detto niente, neppure una volta, neppure dopo la guerra… doveva venirlo a scoprire così, da una foto sul giornale che non aveva neanche…
 
Un’altra consapevolezza si fece spazio strisciando tra i suoi pensieri. Lui lo sapeva. Lui lo sapeva e non ti ha detto niente.
 

Alzò lo sguardo mentre una nuova ondata di odio rischiava di sopraffarla. Levi era rimasto immobile, sempre con le braccia sollevate davanti a sé, come a dimostrare di non essere una minaccia.
Mikasa strinse il giornale accartocciandolo nella mano, mentre la sollevava verso di lui.
 
«Da quanto lo sapevi»
 
«Mikasa…»
 
«Da quanto tempo, Levi?» lo interruppe lei, quasi gridandogli in faccia, ma cercando di trattenere il tremito del proprio corpo.
 
Levi sospirò ed abbassò le braccia, sconfitto.
 
«Da quando siamo andati in paese»
 
La certezza che lui si stesse comportando così male con lei a causa di quella foto le piombò addosso con tutta la forza di un gigante. Era così arrabbiata e ferita che le veniva quasi da ridere.
 
Senza neanche rendersene conto gli fu addosso e lo spinse con tutta la sua forza. Lui arretrò, ma non era abbastaza: avrebbe voluto vederlo cadere a terra.
 
«Non avevi NESSUN diritto di tenermelo nascosto» gridò, spingendogli un indice accusatorio sullo sterno. Era esterrefatta.
 
«Calmati»
 
«Non dirmi di calmarmi. Non osare dirmi di calmarmi!»
 
Levi fece un passo in avanti, ma lei si ritrasse all’istante. Sentiva un groppo in gola crescerle di istante in istante. Le sembrava di non poter nemmeno respirare.
 
«Lo so che sei ferita…» provò di nuovo lui, ma lei lo interruppe di nuovo, mentre la vista le si annebbiava. Calde lacrime presero a scenderle sulle guance. Le spinse via rabbiosamente col bordo della manica.
 
«Tu non sai niente di come mi sento, hai capito? Tu non sai NIENTE di me»
 
Sapeva di essere ingiusta, ma aveva troppe emozioni contrastanti dentro di sé e lui era l’unica persona su cui poterle sfogare, tanto più che l’aveva tenuta all’oscuro per dieci giorni, come una stupida. Pensò a Connie e Hanji a Mitras: ormai dovevano aver incontrato il bambino anche loro. Probabilmente sapevano la verità da prima di lei. Le sembrò di aver ricevuto un’altra pugnalata al cuore.
 
Lo spinse di nuovo, con tutta la sua forza, ma lui stavolta le bloccò i polsi.
 
«Come hai potuto non dirmelo?!»
 
Cercò di divincolarsi, ma la sua presa era ferrea. La sua fronte era sempre corrugata, ma la rabbia era sparita, sostituita dalla preoccupazione. Adesso si preoccupava per lei? Mikasa sogghignò tra sé. Un po’ tardi ormai…
 
«Lasciami»
 
«Hai tutto il diritto per avercela con me, ma adesso calmati»
 
«Ho detto LASCIAMI ANDARE» gridò di nuovo strattonandolo con tutta la sua forza. L’istante dopo gli tirò un calcio sul ginocchio sinistro. Lo vide stringere i denti per il dolore e per un meraviglioso istante si sentì trionfante. Lui la spinse via ed abbassò lo sguardo.
 
«Smettila di comportarti come una povera pazza» La compassione era sparita dal suo tono, che era ritornato imperatorio come ai vecchi tempi «Questo non modifica neanche di una tacca quello che c’era tra te ed Eren.»
 
Nessuno aveva mai nominato esplicitamente il suo nome in sua presenza da più di due anni. Sentire il suono di quelle due sillabe la fece rabbrividire. I tremiti che le percorrevano corpo si fecero più intensi. Si appoggiò di nuovo al muro con la schiena, incredula.
 
«Non pronunciare il suo nome»
Questa volta la sua voce uscì come un mormorio. Non era neanche sicura di aver parlato davvero.
 
«Perché non dovrei, uh? Perché sono stato io ad ucciderlo?»
 
Le mani di Mikasa scattarono da sole sulle sue orecchie. Non dirlo, non parlare così.
 
«Sì, esatto, Mikasa. Eren è morto e né io né tu possiamo farci niente.»
 
Mikasa scosse la testa convulsamente, mentre le lacrime ricominciavano a scorrerle sulle guance, fino alle labbra e al mento.
 
Cosa sono stata mai io per Eren? Perché ha preferito Historia a me?
 
«Stai zitto. Non avevi nessun diritto di non dirmelo»
 
«Hai ragione e mi scuso per questo. Avrei dovuto dirtelo prima, non così.» Levi alzò le sopracciglia «Ma vista la tua reazione forse non avevo tutti i torti»
 
«È per questo che mi tratti di merda da dieci giorni, non è così? Per non dover avere a che fare con le reazioni di una povera ragazzina pazza, dico bene?»
 
Levi abbassò lo sguardo, la mano sinistra sempre stretta sulla coscia che Mikasa aveva colpito.
 
«Non è così…» mormorò
 
«Sei un codardo» lo interruppe lei «Mi fai schifo»
 
E d’improvviso, con un unico gesto fluido, agguantò il giaccone, aprì la porta e si precipitò fuori nella neve.  
 
 



Folate di vento la avvolsero. I fiocchi di neve le vorticarono impetuosi sulla faccia mentre si precipitava giù per le scale e correva davanti a sé. Il buio era quasi completo, fatta eccezione per le luci della casa alle sue spalle e per un pallido chiarore tra le nuvole, dove doveva nascondersi la luna.

Il freddo le entrava dentro ad ogni respiro, infiammandole la gola. Le lacrime le impedivano di vedere dove metteva i piedi ed in breve incespicò e cadde in ginocchio. Le fronde degli alberi del bosco si scuotevano con foga. L’ululato del vento nascose i suoi singhiozzi, che via via si ruppero in un pianto disperato.

Si strinse nella giacca, dondolandosi avanti e indietro.
Era troppo.
Gli avevano tolto anche il diritto di soffrire. Eren e Historia glielo avevano tolto. Dopo avergli mentito – per quanto tempo? – dopo averla tradita, abbandonata. Armin lo sapeva? Qualcun altro era al corrente? Era lei la sola a non averlo mai saputo?

Si sentiva completamente sola.

 
Aveva sempre pensato che il suo compito, il suo scopo, l’unico motivo per cui avesse senso che fosse rimasta viva fosse quello di ricordarli. Di ricordare Armin, di ricordare Eren. Di essere la testimone vivente della loro amicizia, del modo in cui erano cresciuti. Della persona che Eren era, non del mostro che era diventato.

Credeva di essere l’unica custode di tutto questo. L’unica che lo avesse davvero conosciuto e amato ad essere rimasta in vita. Adesso scopriva che non era così. Che Historia aveva molto più diritto di lei di soffrire. Ripensò alla loro discussione a proposito del Memoriale, del fatto che la regina avesse omesso il nome di lui. A quanto lei l’avesse accusata, sentendosi in diritto di farlo, giudicandola.

Adesso si rendeva conto di quanto le doveva essere sembrata ridicola e patetica. E di quanto Historia stesse soffrendo nel prendere quella decisione, in un modo che Mikasa non avrebbe mai capito.
E poi c’era il bambino. Una copia vivente del padre. A che serviva che Mikasa si ricordasse di lui ormai? Non c’era possibilità che qualcuno si scordasse delle cose buone che Eren era stato.

A cosa serviva che fosse sopravvissuta?
Che senso aveva tutto questo?
 

Lui non ti ha mai voluto. Questo non cambia nulla, è solo una conferma di quello che sai benissimo. L’hai sempre saputo.
 
Nonostante cercasse di mettere insieme dei pensieri razionali, il dolore era troppo forte. Era come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto.
 
Quanto tempo sarebbe servito per lasciarsi morire di freddo lì fuori, nella tempesta?
Sarebbe bastata quella notte?
Istintivamente, affondò le mani nella neve, mentre percepiva il gelo risalirle nelle gambe ormai inzuppate.
 
 

 
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasta lì seduta per terra, con la mente piena di pensieri e immagini ed allo stesso tempo completamente vuota, come anestetizzata. L’unica cosa che le sembrava reale era il dolore sordo che ineluttabile che le riempiva il petto, impedendole di respirare e di smettere di singhiozzare.
Lentamente, il silenzio e l’immobilità presero il posto dei singhiozzi.
 



Percepì la sua presenza senza aver sentito nessun rumore che lo preannunciasse. Sapeva che Levi era alle sue spalle, in piedi, in silenzio. Non fece nessun gesto per invitarlo a farsi avanti né per scacciarlo. Rimase ferma con la testa china sul petto e le lacrime che le irritavano la pelle. Sentiva il suo corpo tremare, ma non aveva freddo. Non provava niente.
 
«Mikasa, fa troppo freddo. Torna dentro»
 
Il capitano dovette alzare la voce per sovrastare il ruggito del vento.

La ragazza non si mosse.

Si sentì improvvisamente ridicola. Quanto doveva apparire patetica ai suoi occhi? Tutta questa scena solo per qualcuno che non l’aveva mai voluta e che era morto da più di due anni. Questo pensiero le fece tornare un po’ di rabbia. Chi diavolo era lui per poterla giudicare? E perché mai adesso le importava così tanto cosa lui pensasse di lei?
 
«Per favore. Vieni dentro.»
 
La sua voce era meno ferma del solito. Qualcosa traspariva dietro al suo solito stoicismo.
 
Mikasa si alzò lentamente, continuando a dargli le spalle. Lo sentì avvicinarsi.
 


«Levi…hai mai pensato di…sai, farla finita?»
 
Le sue mani le strinsero le braccia, di scatto, per voltarla. Non se lo aspettava, non credeva neanche fosse così vicino. Il movimento fulmineo le fece quasi perdere l’equilibrio, ma lui la sostenne, bloccandola. La guardò con la fronte corrugata e le labbra strette.
 
«Che cosa hai detto?»
 
Mikasa abbassò lo sguardo, incapace di sostenere la rabbia che leggeva sul suo viso, senza riuscire a capirla.
 
«Quale diavolo è la ragione per cui sono sopravvissuta? Sono inutile»
 
Sentì il dolore prima di accorgersi di quello che era appena successo. Si portò istintivamente la mano sulla guancia sinistra, dove lo schiaffo di lui l’aveva colpita con forza. Alzò di nuovo lo sguardo, incredula.
 
Levi era furente.
 
«Non ti azzardare mai più a parlare così davanti a me. Sono stato chiaro?»
 
Mikasa era così sorpresa dalla sua reazione che non riuscì a rispondere nulla. Socchiuse le labbra e spalancò gli occhi, mentre sentiva la guancia pulsare dolorosamente.
 
«Decine, centinaia di persone sono morte perché tu potessi essere qui ora. Credi che volessero morire? Credi che non preferirebbero essere qui al tuo posto adesso a piangersi addosso anziché sotto metri di putrida terra?»
 
La spinse indietro. Mikasa non lo aveva mai visto così arrabbiato. Era esterrefatta.
 
«Tu gli devi la tua vita. Hanno dato tutto per me e te. La tua vita non appartiene più a te soltanto. Non mi importa quanto tu sia triste o disperata. Dimostra un po’ di fottuto rispetto, per tutte le Mura! Tu vivi anche per loro, glielo devi capito? Quindi non venirmi a parlare di suicidio e altre cazzate simili. Non lo meritano…»
 
Aveva le guance arrossate e adesso stringeva i pugni strattonandola per il bavero della giacca.
 
Quando si accorse di quanto lei fosse senza parole, la lasciò andare malamente e si passò una mano sugli occhi, poi tra i capelli, abbassando lo sguardo.
Rimasero in silenzio, l’uno davanti all’altra, ma senza guardarsi. Levi aveva il fiato corto.
 
Mikasa sospirò, lasciando andare il fiato che aveva trattenuto. Il suo scatto di rabbia che l’aveva così sorpresa le aveva rimesso tutto in prospettiva. Si asciugò le lacrime con la manica sinistra e poi appoggiò la mano destra sulla spalla di lui, mentre tirava su col naso. Lui non si mosse.
 
«Hai ragione»
 
Stavolta fu lui a guardarla con sorpresa. Forse era la prima volta che la sentiva dirlo.
 
«Non avrei dovuto dire quelle cose.»

Senza darsi il tempo di pensare altrimenti, Mikasa sollevò di nuovo la mano e questa volta la appoggiò sulla sua guancia sinistra. Levi trattenne il fiato, forse perché la sua mano era ghiacciata, forse per qualche altro motivo.
 
«Ho esagerato. Scusa» continuò.
 
Levi sollevò la propria mano sinistra e la poggiò su quella di lei, fissandola negli occhi con quel suo sguardo intento e scrutatore che Mikasa riusciva a malapena a sostenere. Sentì qualcosa agitarsi nel suo stomaco. Erano vicinissimi, avvolti dalla gelida tempesta di neve.
 
Lui le strinse leggermente la mano, mentre gliela allontanava dal suo viso, abbassandola, ma senza lasciarla.
 
«Scusami anche tu» mormorò poi, mentre guardava le loro dita intrecciate.
 
«Sono pronta ora, torniamo dentro.»
 
Levi annuì e si voltò, lasciandole andare la mano. Mikasa sentì immediatamente la spiacevole sensazione di freddo percorrerle le dita non appena lui si allontanò.
 
Rientrarono dentro in silenzio e Mikasa sospirò, in qualche modo rincuorata dal calore sprigionato dalla stufa e dal camino. Le sembrava di essere tornata a casa dopo un lungo viaggio.
 
«Dovresti cambiarti, se non vuoi rischiare di ammalarti» disse Levi senza guardarla, mentre andava a riempire il bollitore.
 
«Levi, ti dispiace se vado in camera? Io…vorrei stare da sola per un po’» La sua voce le sembrò quasi troppo dolce.
Dopotutto che lui non si fosse comportato correttamente era la semplice verità: l’aveva tenuta all’oscuro di quella notizia senza alcun motivo valido. Ma le sue parole di poco prima avevano come sgonfiato la sua rabbia.
Aveva il diritto di essere ferita ed arrabbiata, ma c’era davvero bisogno di tutta quella scena? C’erano cose peggiori di una storia d’amore e di un bambino innocente. Non avrebbe dovuto essere felice per Eren? Non avrebbe dovuto essere felice del fatto che una piccola parte di lui potesse continuare a vivere in suo figlio?

Si morse il labbro inferiore, combattuta.
 
La voce di Levi la fece ritornare al presente: «Certo, vai pure» si strinse nelle spalle «Io resterò qui»

 
Eccovi svelato il contenuto della foto sul giornale! 

A lungo sono stata convinta che il padre del figlio di Historia fosse Eren per vari motivi, tra cui il fatto che il rapporto tra loro due mi aveva sempre intrigato un sacco... adesso, ad un solo capitolo dalla fine del manga, non ne sono più così convinta! Direi che ormai manca poco per scoprirlo ;)

Per quanto riguarda le differenze dal manga, direi che qui è comparsa la maggiore: nella mia storia non è stata Mikasa a uccidere Eren (ammesso che sia davvero morto nel capitolo 138, ma credo di sì) ma Levi... nei prossimi capitoli ne saprete di più. 

Come sempre, spero il capitolo vi sia piaciuto...fatemi sapere! :) 

Chikay

 
   
 
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