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Autore: Valentyna90    17/03/2021    1 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Novembre 1966. Grimmauld Place.

 

Thomas Murray era un bambino di dieci anni, il quale si era da poco trasferito nella città di Londra, dopo aver abbandonato il suo piccolo paesino d'origine, immerso nella vasta brughiera, dove aveva vissuto fino a quel momento assieme ai genitori.

Il padre, il signor Murray, aveva ottenuto un nuovo impiego presso una piccola società della capitale, gestita da un vecchio amico di famiglia. Si trattava di un grosso salto di qualità rispetto alla più modesta vita di campagna alla quale i signori Murray stavano poco a poco rassegnandosi, e per questo il padre di Thomas accettò di buon grado quella nuova opportunità. E così decisero di trasferirsi nella grande città, orgogliosi di quella nuova avventura.

Thomas, o Tommy come lo chiamavano tutti quelli che lo conoscevano, era entusiasta di quel cambiamento così importante e si ritovava spesso a fantasticare sulla nuova vita che gli si stava aprendo davanti. Nell'ingenuità tipica della sua età, sognava ad occhi aperti la casa in cui avrebbe vissuto (la quale spesso assumeva le sembianze di una lussuosa reggia, simile ad un castello), la cameretta in cui avrebbe dormito e trascorso il tempo a fare i compiti, dove avrebbe invitato gli amici a giocare o a partecipare ai pigiama-party.

Il giorno prima del trasloco era talmente emozionato che non chiuse occhio per tutta la notte. Non stava più nella pelle. Perciò, il giorno dopo, in seguito ad un lungo ed estenuante viaggio dentro alla piccola auto di proprietà del padre, resa ancora più stretta e scomoda dalla presenza delle numerose valigie stipate tra il minuscolo bagagliaio e i sedili posteriori, quando i Murray giunsero finalmente a destinazione e parcheggiato davanti a quella che sarebbe stata la loro nuova casa, Tommy ebbe quasi un mancamento nel vedere ciò che gli si stagliava davanti agli occhi.

La delusione del bambino fu immensa quando si rese conto di aver messo piede in quello che gli parve essere il più malconcio dei quartieri di Londra.

Gli spiazzi d'erba che costellavano di tanto in tanto la strada, erano incolti e lasciati a loro stessi; diversi sacchi dell'immondizia giacevano abbandonati sui bordi del marciapiede che costeggiava la via e l'aria era impregnata del classico odore acre e pungente di rifiuti marci. I palazzi presentavano tutti, senza eccezione, facciate sudicie e trasandate.

Ciò che fece cadere Tommy ancor più nello sconforto fu la vista della sua nuova dimora: non si trattava di certo una lussuosa ed elegante reggia, come se l'era immaginata nelle ultime settimane (che, mano a mano, aveva acquisito caratteristiche sempre più sontuose). Anzi, era troppo persino chiamarla una casa decente. Davanti a Tommy si ergeva un triste palazzo grigio, dall'aspetto piuttosto logoro. La nuova casa dei Murray era un semplice appartamento, piccolo e angusto, che si trovava proprio all'interno dell'edificio.

Il piccolo Thomas pensò speranzoso che doveva trattarsi di un errore e che il padre avesse probabilmente sbagliato indirizzo. Ma la frase "Oh, eccoci arrivati!" pronunciata a gran voce, sicura ed entusiasta, dal signor Murray spazzò via ogni vana illusione del bambino.

Quella lurida piazza, che rispondeva al nome di Grimmauld Place, era inequivocabilmente la sua nuova casa.

 

Nei giorni che seguirono, Tommy ebbe modo di esplorare un po' i dintorni del palazzo in cui abitava. I genitori erano tutti impegnati a controllare l'andirivieni dei facchini incaricati alla scarico dei mobili e delle scatole che i Murray si erano portati dalla vecchia dimora. I due coniugi si erano affidati a un'azienda di trasporti la quale, a detta dei loro ex vicini, aveva fama di essere molto affidabile, specializzata in traslochi. Nonostante i Murray non possedessero molte cose (o almeno così credevano finché non avevano incominciato a incartarle e a inscatolarle), fu necessario noleggiare ben due camion trasportatori per caricare l'intera mobilia e le varie cianfrusaglie che risultavano essere indispensabili per la loro nuova vita a Londra. Per quanto riguardava l'abbigliamento, l'intero assortimento vestiario dei Murray era stato rinchiuso all'interno di un set di valigie di pelle pregiata, che la madre di Tommy custodiva gelosamente in vista di "un grande viaggio", per poi essere state infilate a forza dentro la minuscola automobile del padre. I vestiti giunsero, quindi, a destinazione assieme ai rispettivi proprietari. Una vera fortuna, considerando il fatto che uno dei due camion appartenenti alla affidabilissima azienda di trasporti risultava inspiegabilmente disperso e il contenuto in esso caricato non arrivò a Grimmauld Place insieme ai Murray, ma viaggiava verso i lontani confini con la Scozia.

Il signor Murray, infuriato come un cinghiale, si era subito avventato sul telefono, digitando rumorosamente il numero dell'azienda, ed esigette con parole non proprie consone alla buona educazione, di parlare direttamente con il direttore.

"Esigo una spiegazione!" aveva intimato con il tono più minaccioso che possedeva. Dall'altro capo del telefeno, si udiva la voce del direttore, la quale si era ridotta ad un timido squittio, intenta a spiegare come il conducente del camion in questione fosse nuovo e ancora inesperto, e che non conosceva bene le strade. Questo non fece che far infuriare ancora di più il padre di Tommy che scatenò la sua ira in una serie d'insulti di cui il bambino ignorava l'esistenza. Il piccolo Thomas era convinto che se, per caso, suo padre lo avesse sentito ripetere alcuni di quegli improperi, lo avrebbe punito per oltre un mese e che sua madre, indignata, gli avrebbe strofinato una saponetta sulla lingua per pulirgli la bocca. Per sicurezza, si segnò alcune di quelle parolacce di nascosto, da condividere con i suoi futuri compagni di scuola; lo avrebbero sicuramente creduto un tipo tosto.

Ad ogni modo, Tommy non si sentiva granché a suo agio dentro quell'angusto appartamento, arredato a metà, ancora pieno di scatoloni e pervaso dagli insulti volgari del padre, oltre che da uno sgradevole odore di pipì di gatto. Perciò, sgattaiolava volentieri tutte le volte che poteva e se ne usciva di casa in perlustrazione.

Persino la puzza di spazzatura che impregnava l'aria all'esterno era meglio che starsene a casa in mezzo alle urla del padre e ai singhiozzi rassegnati della madre, che guardava sconsolata le scatole che addobbavano le stanze dell'appartamento.

Un pomeriggio, Tommy, decise di gironzolare per la zona, senza darsi una meta precisa. Si guardava attorno con un'espressione a metà tra l'incuriosito e il disgustato. I palazzi di Grimmauld Place erano tutti pressoché identici, mostrando le medesime caratteristiche: le facciate degli edifici erano sudicie come le finestre, incrostate di sporco dai vetri opachi e rotti, rimessi a posto alla meno peggio, coperti da assi di legno sbilenche.

Dopo aver camminato per un po' senza scopo, Tommy si afflosciò annoiato su una delle panchine che costeggiavano la strada, anch'essa dall'aspetto misero.

Tirò fuori da una delle tasche dei suoi pantaloni una merendina che era riuscito a sgraffignare dalla cucina, senza farsi vedere dalla madre prima di uscire; la scartò rumorosamente e la addentò vorace. Sentì il sapore zuccherino espandersi rapido dentro la sua bocca.

"Ehi tu!" una voce squillante e sconosciuta lo chiamò.

Tommy si voltò e notò che un gruppetto di tre ragazzini e una bambina se ne stava in piedi, a pochi passi da lui, ad osservarlo: da un primo sguardo si intuiva che i tre dovevano avere più o meno la stessa età di Tommy. La bambina, invece, sembrava più piccola di loro.

Chi gli aveva rivolto la parola era un ragazzino biondiccio, un po' più alto degli altri, magro e dall'aspetto dinoccolato. Aveva lentiggini sparse per tutto il naso e degli occhi azzurri acquosi che in quel momento se ne stavano sospettosamente fissi sul piccolo Thomas. A giudicare dalla sua aria leggermente più spavalda degli altri suoi compari, doveva trattarsi del capetto della banda. Dietro di lui, lo spalleggiavano altri due ragazzini, uno rotondo dal viso dolce e paffuto, per niente minaccioso, con capelli scuri e occhi castani; l'altro era estremamente esile e mingherlino, dalla chioma vermiglia. Portava degli occhiali dalle lenti spesse e i suoi denti davanti sporgevano un poco. Infine, a chiudere la fila c'era la bambina, dall'aria un po' spaesata. Portava lunghe trecce bionde, un po' spettinate, che le ricadevano lungo il petto e aveva gli stessi occhietti azzurri e acquosi del primo bambino. Evidentemente dovevano essere fratello e sorella.

Il ragazzino che gli aveva rivolto la parola sembrava essere il più sveglio del gruppo, ma in generale non davano l'impressione di essere dei bulli.

Tommy rimase comunque sulla difensiva e li osservò in silenzio, un po' guardingo mentre continuava a masticare il boccone dato alla sua merendina.

"Sei nuovo? Non ti ho mai visto." il biondino parlò di nuovo.

Tommy annuì, inghiottendo il boccone.

"Sì, ho appena traslocato" il ragazzino sembrava amichevole, poteva abbassare la guardia.

"Ah sì? E dove abiti?" chiese il biondino, curioso.

"Al numero 6, il palazzo grigio" rispose, puntando l'indice verso l'edificio ancora visibile.

Il viso del ragazzino paffuto si illuminò in un sorriso.

"Forte! Io abito al 7. Sei il mio nuovo vicino!" sembrava molto entusiasta di quella notizia.

"In effetti, abitiamo tutti qui vicino" spiegò il capetto biondo "Io sono Jim e abito al 16. Lei è mia sorella Lindsay" disse indicando la bambina con le trecce, la quale sorrise timidamente.

"E lui è Jack, del 15. Abita nella casa accanto alla mia".

Il ragazzino dai capelli rossi fece un segno con la mano, ma mantenne la sua espressione seria. Aveva l'aria un po' stramba.

"E io sono Luke" concluse il bambino rotondo.

"Piacere! Io mi chiamo Thomas, ma tutti mi chiamano Tommy" si presentò con voce allegra. Quelli potevano diventare i suoi futuri amici. Nonostante fossero un po' strani, sembravano tipi a posto. Tommy ne fu contento.

"Ehi, ti va di unirti a noi?" propose il biondino

"A fare cosa?" chiese curioso Tommy.

"Siamo in missione" rispose con tono solenne Jack, il ragazzino coi capelli rossi e gli occhiali.

"Missione?"

"Sì" confermò Luke, con voce trillante "quella panchina è il nostro quartier generale. Ci troviamo qui per decidere il piano e poi...si va a caccia di streghe!"

"Streghe?" Tommy rimase perplesso.

"Sì. E di fantasmi" aggiunse Jim.

Tommy li scrutò pensieroso. Lo stavano prendendo in giro? O credevano davvero che esistessero streghe e fantasmi?

"Volete farmi credere che qui ci sono i fantasmi?" chiese sarcastico.

"Oh sì, ne è pieno!" rispose Jim serio, un pochino offeso dall'incredulità del nuovo arrivato.

"E di streghe anche!" puntualizzò Lindsay. "Noi li abbiamo visti!"

"Non ci credo!" Tommy era sbigottito. "E dove sarebbero questi fantasmi...e streghe?" nel suo tono apparve una punta di sfida.

"Vieni! Ti facciamo vedere."

Jim si incamminò e fece segno a Tommy e agli altri di seguirlo. Dopo poco tempo, il biondino si arrestò davanti ad un palazzo che assomigliava in tutto e per tutto a quello di Thomas (come tanti in quel quartiere).

"Arrivati!" annunciò trionfante. Jim lanciò poi un'occhiata eloquente a Tommy che era sempre più confuso.

"Noti niente?"

"E cosa dovrei notare?" ribatté Tommy, un po' accigliato. Osservò la facciata dell'edificio che gli si parava davanti allo sguardo e l'unica cosa che vide furono solo delle macchie di sporco.

"Guarda bene!" lo incalzò Jack, dietro di lui, mentre puntava l'indice verso il numero civico affisso sopra la porta del palazzo.

"Undici" lesse Tommy in tono freddo "E quindi?"

"Ora guarda gli altri!" insistette Jim.

Tommy alzò gli occhi al cielo, poi rivolse lo sguardo di nuovo sui numeri appesi oltre le porte sudicie. Nella casa a sinistra del numero undici lesse un numero "dieci" scritto in bella grafia su una targa di ceramica bianca, ingiallita dalla polvere mai scrostata nel corso degli anni. Nel palazzo alla destra dell'undici, invece, vide affisso uno scintillante numero "tredici". Spostò gli occhi su quei tre numeri per alcune volte, prima di annunciare, con voce un po' annoiata e non troppo sorpresa:

"Manca il dodici."

"Esatto!" esclamò Jim, con lo stesso tono incoraggiante di una maestra che loda uno scolaro che risponde bene ad una domanda.

"E allora? Cosa c'entra coi fantasmi? E' un semplice errore di numerazione..."

"No! Non è un errore! Il numero dodici esiste, solo che non si vede!" spiegò Jim serio.

Tommy aggrottò le sopracciglia poco convinto.

"E' sotto l'effetto di un incantesimo che lo rende invisibile!" disse Jack, come se questa fosse la spiegazione più plausibile. "E' una casa stregata e dentro ci vivono i fantasmi." sentenziò come uno scienziato a conclusione di una spiegazione scientifica.

Tommy non riuscì a trattenere una risata. Non capiva se lo stavano prendendo in giro o se erano davvero così sciocchi da credere ad una storia del genere. Lui aveva smesso di credere ai fantasmi, alle streghe e a tutte quelle fandonie quando era ancora piccolissimo. Si aspettava di più dai ragazzi della grande città.

"Non ci crederete sul serio? Mi state prendendo in giro! Non ci casco!"

"Non è vero!" saltò su Luke, profondamente offeso "Jim e Jack hanno ragione! E' una casa stregata con dentro gli spiriti."

"Ogni tanto si vede una finestra sulla parete...una finestra che adesso non c'è! Appare e scompare come le va." intervenne Lindsay, anche lei molto seria e un poco spaventata.

"Anche mio fratello l'ha vista!" riprese Luke, concitato.

"Mi sa che se l'è solo immaginato." disse Tommy divertito.

"No che non se l'è immaginato! Mio fratello non dice bugie. Ha quattordici anni e non ha paura di niente!" sbottò il bambino paffuto, come se l'età del fratello maggiore avesse il potere confutare ogni ragionevole dubbio di Tommy sulla questione.

Il nuovo arrivato scosse rassegnato la testa.

"Quindi la vostra missione sarebbe stare tutto il pomeriggio a fissare le pareti di questi palazzi aspettando che compaia una finestra fantasma?" ora era Tommy che aveva cominciato a prenderli in giro.

Gli altri fecero per ribattere, ma una voce di donna che chiamava a gran voce interruppe la loro discussione sugli eventi paranormali di Grimmauld Place.

"Jim! Lindsay!" gridò una signora bionda e tarchiata che stava correndo loro incontro

"Ma dove vi eravate cacciati? Vostra madre vi cerca, tornate a casa subito!"

"Sì, veniamo zia" rispose ubbidiente Lindsay.

"E anche voi" continuò la donna ansante, rivolta agli altri bambini "Dovreste essere a casa a fare i compiti, non qui in giro a bighellonare!"

Sbuffando, il gruppetto fece segno di incamminarsi verso le rispettive abitazioni.

Prima di andarsene, Jim si avvicinò a Tommy e gli sussurrò all'orecchio, in modo che la zia non sentisse:

"Vediamoci stasera, qui, quando fa buio. Così potrai vedere con i tuoi occhi." e se ne andò trotterellando dietro la signora bionda. Anche gli altri si avviarono e a Tommy non rimase altro che imitarli. Mentre camminava pensieroso lungo il marciapiede, rimuginò sulle strambe storie che quei ragazzini gli avevano appena raccontato e sull'invito di Jim. Decise di assecondarli. Dopotutto, non conosceva ancora nessuno lì in Grimmauld Place e, inoltre, quella situazione lo divertiva.

Giunse presto l'imbrunire e Tommy colse l'occasione di sgattaiolare nuovamente fuori casa, quando i genitori si afflosciarono esausti sul divano (uno dei pochi mobili giunto sano e salvo) davanti al televisore. Non fu un'impresa molto difficile per il bambino: i signori Murray avevano passato tutta la giornata a sbraitare contro l'azienda dei trasporti che aveva perso il camion con le loro cose, e ora l'unica cosa che desideravano il padre e la madre di Thomas era rilassarsi davanti al loro programma preferito. Se Tommy fosse riuscito a rientrare entro al massimo un paio d'ore, molto probabilmente i genitori non si sarebbero accorti della sua fuga serale.

Scivolò fuori dalla porta, silenzioso come un serpente, e subito venne avvolto dall'oscurità della notte, intervallata solamente dalla fioca luce luce artificiale dei lampioni lungo la strada. Un cielo scuro e nero come l'inchiostro sovrastava Grimmauld Place e Tommy rabbrividì nel constatare quanto tetri apparissero i palazzi fatiscenti senza la luce del giorno che ne delineava i contorni.

L'aria fredda, tipica dell'autunno inoltrato, sferzava tagliente il viso scoperto del bambino che si ingobbì intirizzito dentro il suo cappotto. Tommy affrettò il passo, sperando così di scaldarsi; in pochi minuti raggiunse il punto del marciapiede che si trovava tra il civico undici e il civico tredici di Grimmauld Place. Jim, Jack e Luke erano arrivati prima di lui e lo stavano aspettando battendo i denti per il freddo.

"Lindsay?" domandò Tommy, notando l'assenza della bambina dalle lunghe trecce bionde.

"Ha preferito restarsene a casa. Questo posto le mette paura di notte." rispose Jim, con voce tremante per l'aria gelida.

I quattro ragazzini puntarono i loro otto occhi sulla parete vuota davanti a loro. L'oscurità rendeva invisibili anche le chiazze di sporco incrostato. Fissarono il muro scuro di pietra per alcuni minuti, immobili e in rigoroso silenzio.

"Mmm...a me pare tutto tranquillo." constatò Tommy, impaziente. Lo preoccupava il fatto che i genitori potessero accorgersi della sua assenza. Non voleva finire in punizione per una sciocchezza come i fantasmi.

"Aspetta!" disse Jim, fiducioso.

Tommy attese un'altra manciata di secondi, con gli occhi sempre puntati sulla facciata nera, ma non accadde niente di spaventoso. Scosse la testa spazientito.

"Credo che i vostri fantasmi non siano in casa stasera. Magari sono usciti a cena!" commentò caustico. Jim gli rispose con un'occhiata imbarazzata, poi guardò gli altri come a chiedere supporto.

"Mio fratello mi ha detto che bisogna richiamare la loro attenzione, sennò non appaiono." intervenne timidamente Luke, con il suo viso paffuto e gentile.

"E come? Suonando al loro campanello invisibile?" ora Tommy sentiva salire la rabbia. Se ne stava lì al freddo a fissare una sudicia parete vuota, rischiando di essere messo in punizione per delle storielle. "Mi state solo prendendo in giro! Me ne ritorno a casa, non ho tempo per simili sciocchezze!".

Era sul punto di girare i tacchi e andarsene, quando vide Jack afferrare un sasso piuttosto grosso da terra e scagliarlo violentemente contro la parete del palazzo, esattamente in un punto a metà tra il numero undici e tredici appesi sopra le porte.

Lo scontro produsse un tonfo che echeggiò rumoroso nel silenzio notturno.

"Ma sei matto? E se colpivi una finestra, rompendo un vetro? Così rischiamo di finire nei guai!" lo rimproverò Tommy, sempre più accigliato.

Si guardarono attorno preoccupati, cercando di capire se qualcuno li avesse sentiti o si fosse accorto di loro. Per fortuna, tutto taceva tranquillo.

Poi, un movimento strano catturò l'attenzione di Tommy: nel punto esatto colpito dal sasso, la parete che fino ad un secondo prima era stata assolutamente vuota (e Tommy ne era più che certo, visto che l'aveva osservata per parecchi minuti) cominciò a muoversi in modo bizzarro. I mattoni che la costituivano iniziarono a contorcersi, prima allungandosi, poi allargandosi, come se si stessero stiracchiando. Mano a mano, cominciò a delinearsi una figura rettangolare. Dal nulla apparve una...finestra! Tommy non riusciva a credere ai suoi occhi. Si pizzicò forte la pelle del braccio per verificare che non stesse sognando. Ma era tutto reale: davanti a lui, sulla facciata del palazzo, troneggiava una nuova finestra, dai vetri scuri che riflettevano il nero pece del cielo notturno.

Jim, Jack, Luke e Tommy se ne stavano lì in piedi, incapaci di muoversi, col fiato sospeso. Continuavano ad osservare tutti lo stesso punto, senza quasi sbattere le palpebre.

All'improvviso, le ante della finestra misteriosa si aprirono, emettendo un cigolio decisamente sinistro. Tommy provò a deglutire, ma la sua bocca non era più in grado di produrre saliva. Un attimo dopo, apparve la sagoma indistinta di quello che assomigliava ad un bambino. Luke emise un gridolino.

Il bambino si affacciò, mostrando lineamenti ben marcati e uno sguardo scuro e penetrante, nonostante non sembrasse avere più di sette od otto anni. Aveva folti capelli neri che svolazzavano appena nella gelida brezza serale. Per un attimo, a Tommy parve che quella figura bizzarra, e spaventosa al tempo stesso, avesse alzato la mano, sventolandola in segno di saluto, ma non ne fu mai certo perché le sue gambe avevano ripreso nuovamente vita e avevano agito di testa propria. Ormai stava correndo a perdifiato, in mezzo a quella sudicia strada di Grimmaul Place, urlando terrorizzato. I suoi compagni d'avventura lo avevano imitato all'unisono ed ora tutti e quattro i ragazzini scappavano veloci in direzioni opposte, desiderosi soltanto di tornare nelle loro sicure dimore il prima possibile.

Le loro grida svegliarono, inevitabilmente, gli inquilini delle case vicine: molte luci si accesero, tingendo di giallo le finestre. Si sentì qualcuno urlare rabbioso:

"Chi diavolo sta facendo tutto questo baccano?"

"Dannati teppisti!"

"C'è gente che vuole dormire!"

Tuttavia, prima che qualcuno potesse affacciarsi fuori per vedere che cosa aveva causato quel trambusto e, per caso, accorgersi della stramba finestra apparsa dal nulla sulla parete vuota tra il numero undici e il numero tredici, i vetri scuri si richiusero velocemente, sfumando nell'oscurità fino a svanire del tutto.

Il bambino che vi si era affacciato, salutando allegramente quei quattro ragazzini che gli erano parsi così simpatici, rimase un po' deluso nel vedere la loro reazione terrorizzata. In fondo, erano stati loro a lanciare quel sasso contro casa sua, al numero dodici di Grimmauld Place.

   
 
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