Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hapworth    20/03/2021    2 recensioni
Sognava un grande palazzo, un senso di oppressione e tanti volti, troppi per ricordarli tutti. Uomini, donne, ragazzini. Lui era lì, al centro della stanza, come se fosse il centro stesso del loro mondo.
Non era una bella sensazione, perché non sapeva cosa si aspettavano da lui. Non sapeva neppure chi era e la persona con cui condivideva il ricordo la pensava allo stesso modo, ma sembrava anche schiacciato e allo stesso tempo rassegnato.
Sognava tanti volti, ma sapeva che ne stava cercando solo uno, che non trovava mai.
[Erwin/Levi] ~ Scritta per la challenge "Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento sparge il suo profumo" indetta da Torre di Carta
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Another World'
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Eccomi di nuovo con un'altra eruri, stavolta adatta anche ai lidi di EFP per fortuna. 
Non ho niente da dire, se non avvisare che qui è chiaramente esplicitato uno dei miei trope preferiti per quanto riguarda la coppia, ossia la reincarnation!au. Purtroppo, dato che non volevo tirare in ballo l'universo canonico, ho scelto una vita precedente diversa, ma sono abbastanza soddisfatta del risultato complessivo che ho raggiunto.
E niente, auguro a chi leggerà una buona lettura!

hapworth

Questa fanfiction partecipa alla challenge "Il fiore si nasconde nell'erba, ma il vento sparge il suo profumo" indetta da Torre di Carta.
Prompt: #23. Invito a ballare (Tabella semplice, Viscaria).


Sogni passati

La verità era che Erwin si era sempre sentito in qualche modo fuori posto nella propria pelle, come se non ci fosse davvero un senso a quello che stava vivendo, come se quella che stava vivendo non fosse davvero la sua vita.
Era una sensazione strana, perché l'aveva provata fin da bambino: quel senso di inadeguatezza, come se il suo sentire fosse differente da quello di tutti gli altri. Una cosa stupida, forse, che aveva imparato ad assopire e a nascondere con il tempo. Crescendo era stato normale, per lui, smettere di credere. Lo aveva fatto per tutta la vita, del resto, e probabilmente avrebbe continuato a farlo.
Ma quando, improvvisamente, una notte tutto tornò a galla, non riuscì più a scappare dai ricordi che sentiva propri, ma allo stesso tempo no.
Sognava un grande palazzo, un senso di oppressione e tanti volti, troppi per ricordarli tutti. Uomini, donne, ragazzini. Lui era lì, al centro della stanza, come se fosse il centro stesso del loro mondo.
Non era una bella sensazione, perché non sapeva cosa si aspettavano da lui. Non sapeva neppure chi era e la persona con cui condivideva il ricordo la pensava allo stesso modo, ma sembrava anche schiacciato e allo stesso tempo rassegnato.
Sognava tanti volti, ma sapeva che ne stava cercando solo uno, che non trovava mai.
«Erwin?» la voce di Levi lo riscosse dai propri cupi pensieri, facendogli nascere un sorriso spontaneo, nel constatare che il suo collega lo fissava un po' stranito, contrariamente alla sua solita faccia poco espressiva.
«Sì, scusami. Dove eravamo?»
«Dobbiamo decidere a chi tocca il controllo di Villa Smooth.» annuì; già, era in un posto tremendo da raggiungere, ma un compratore sembrava molto interessato ed Erwin aveva deciso di andare a fare un sopraluogo prima di portarci il possibile candidato. L'immobile non era ben messo a causa dell'incuria e dell'abbandono e solo un amatore, con tanti liquidi da spendere, avrebbe potuto permettersela – come sembrava essere il signor Lennox, per l'appunto.
«Andrò io, non vorrei ci cadesse in testa il giorno della visita.» confermò. Levi annuì, scarabocchiando sul calendario l'impegno. Aveva una grafia disordinata e molto spigolosa, che Erwin trovava decisamente adatta alla sua personalità.
«Il signor Lennox ha chiamato?» Levi scosse la testa. «No, ma ha mandato una mail per confermare l'appuntamento. Credo sia parecchio interessato... anche se è un rudere.» borbottò ed Erwin si lasciò scappare una risata. «Non rudere, si chiama immobile vissuto, Levi.»
L'altro agitò una mano, come per scacciare un insetto. «Come vuoi, per me rimane un ammasso di rovine.»
Avrebbe voluto dirgli che, con poca fantasia, si riusciva a immaginare come dovesse essere stato quel posto qualche secolo prima: sfarzoso, elegante, ricco. Aveva letto nel dossier che era appartenuta alla famiglia Smooth per circa tre secoli, prima che mancassero eredi ai quali trasmettere l'eredità, che era rimasta proprietà di un amico di famiglia a lungo, prima di essere immessa sul mercato quando i suoi eredi non avevano saputo che farsene, dati i costi di mantenimento, anche senza nessun restauro.
Erwin era contento di essersela accaparrata e sperava di venderla a un buon prezzo. Era davvero un pezzo di storia, meritava di essere riportato alla vita, almeno un po' al suo antico splendore. Era una cosa strana, il legame che sentiva per quel posto, ma probabilmente era perché aveva sempre amato le ville vecchio stile, quelle un po' diroccate e lasciate a loro stesse.
Levi non capiva, ma d'altra parte non era colpa sua, avevano semplicemente gusti differenti.
Sorrise un po', mestamente, osservando il collega che rispondeva al telefono e nel mentre trafficava al computer. Era fortunato ad averlo all'agenzia. Malgrado non fosse particolarmente istruito – aveva preso a stento il diploma – era un lavoratore affidabile e instancabile.
Il lavoro funzionava perché erano l'uno la completezza dell'altro: laddove Erwin era un ottimo comunicatore, sapeva parlare e presentare al meglio gli immobili a livello personale, Levi era bravissimo nel mettere su le descrizioni dei locali, trovare un buon compromesso e aveva un occhio particolare per le foto. Certo, non era proprio adattissimo a trattare col pubblico – cosa che aveva imparato a proprie spese -, ma era decisamente il suo salvatore sotto molti aspetti. Senza di lui, sarebbe sicuramente stato perso.
Nel guardarlo da quella angolazione, riusciva anche a capire perché era sceso a patti con se stesso nel momento in cui lo aveva assunto: lo trovava attraente sotto tutti i punti di vista; il fisico all'apparenza asciutto, ma che in verità era ben proporzionato, la statura più bassa della media, gli occhi color grigio metallico, il taglio corto di capelli scuri e la pelle chiara. Era bello, ai suoi occhi. E quando gli aveva fatto il colloquio, aveva capito che sarebbe anche stato perfetto per il lavoro.
Sfortunatamente, aveva scelto di assumerlo invece di chiedergli di uscire, perché aveva molto più bisogno di un collega che non di un compagno.
Levi non sembrava particolarmente interessato, ma aveva imparato solo con il tempo a decifrare le sue espressioni decisamente criptiche, quindi non avrebbe saputo dire con certezza. Ovviamente, se era stato interessato, lo aveva nascosto dannatamente bene.
Aveva un carattere burbero adorabile, ma faceva sempre del suo meglio in ogni cosa; non si distraeva col cellulare, né scappava prima del tempo via dall'ufficio. Era perfetto. Se solo avesse trovato una persona altrettanto seria e devota da accogliere nella propria vita, Erwin sarebbe stato al settimo cielo. Ma probabilmente non era destino, così si limitava a sorridere nel guardare il suo collega più giovane, augurandogli silenziosamente il meglio perché se lo meritava davvero.

Arrivare a Villa Smooth era sempre una sfida: era arroccata su una scogliera, con una vista mozzafiato e sembrava sempre sul punto di precipitare – e in effetti, molti dei suoi muri erano finiti in mare con il passare degli anni. La strada per arrivarci era tutta curve senza alcun appiglio e, se Erwin non fosse stato sicuro alla guida, avrebbe rinunciato quasi a metà prima di raggiungerla la prima volta.
Era imponente, strutturata su quattro piani e con uno stile Barocco, in puro stile Settecento. Aveva un'ampia entrata, che confluiva da due scalinate gemelle che si sviluppavano da ambo i lati, convergendo nell'entrata esterna, su cui si potevano ancora intravedere le statue ormai erose e cadenti poggiate sui corrimano che circondavano il perimetro. L'alto portone era stato cambiato negli anni Cinquanta e reggeva ancora bene, anche se doveva essere costato una fortuna – come tutta la villa, del resto.
Erwin avanzò all'interno, sentendo la sensazione che lo coglieva sempre, quando avanzava all'interno di quel capolavoro in rovina. Nostalgia, ma anche senso di perdita, così simile ai suoi sogni che, a volte, credeva di essere addormentato e di vedere le ombre delle persone che lo circondavano sempre coi loro mille visi.
Sospirò, scacciando la sensazione e avanzando per controllare che fosse tutto a posto: il giorno dopo il signor Lennox avrebbe fatto un giro nella proprietà, compresi quelli che una volta erano stati ampi giardini esterni e di cui rimaneva ben poco se non le ampie cancellate e la strada sterrata.
Stava uscendo dall'immobile, quando il cellulare scelse proprio quel momento per squillare.
«Pronto?»
«Pronto? Erwin sei ancora alla villa?» la voce di Levi appariva un po' distorta, come se stesse usando il vivavoce. «Sì, è successo qualcosa?»
«Lennox ha già inoltrato i documenti per l'acquisizione.»
«Senza venire a vederla?» chiese sorpreso; era strano, anche perché era davvero una villa che avrebbe potuto solo essere acquistata da un appassionato o un filantropo. Lennox era della categoria, essendo noto nell'ambiente degli immobili d'epoca, ma Erwin si era aspettato perlomeno che andasse a fare un sopraluogo per verificare lo stato del lotto come avevano concordato.
«Dice che non vuole farsi sfuggire l'occasione.»
Era decisamente una risposta emblematica, ma Lennox era chiaramente un personaggio sopra le righe, non avrebbe dovuto pensarci troppo, né tantomeno sorprendersi.
«Va bene. Chiudo qui e vengo a sistemare le ultime cose in ufficio, così possiamo tornarcene a casa.»
Levi tacque, anche se ne sentiva il respiro attraverso il microfono. «D'accordo. Ti aspetto in ufficio allora.» non sembrava particolarmente entusiasta, ma Erwin suppose fosse perché se l'era dovuta sbrogliare da solo per quel pomeriggio, cosa che non amava particolarmente, ma che faceva comunque parte del lavoro - sfortunatamente per Levi.

 
«Vuoi ballare con me?»
«No! Signorino non posso, se la vedessero...»
«Non se ne accorgerà nessuno. Vedrai.»
«Va bene. Ma solo una volta, d'accordo?»
«Sì!»

Si risvegliò di soprassalto, osservandosi intorno: il sogno era cambiato senza il minimo senso o avvisaglia.
Aveva sognato una delle stanze distrutte della villa, aveva sognato di essere un bambino e di tenere le dita strette a quelle di qualcun altro, presumibilmente un ragazzo più grande. Poteva supporre fosse un domestico, visto come lo aveva appellato. Signorino... che si stesse lasciando troppo influenzare? Nel sogno non c'era stata oppressione quella volta, solo gioia, infantile contentezza. Qualcosa di inspiegabile solo a parole.
Non aveva visto altro che le loro mani strette insieme: nessun viso, nessuna pressione. Era semplicemente un momento rubato a qualcosa di molto diverso.
Non era che un sogno, ma a Erwin sembrava molto di più.

«Stai dormendo male?» la voce di Levi, ancora una volta, lo riportò alla realtà. Lo guardò scuotendo appena il capo, cercando le parole giuste per minimizzare la cosa. «Sogno un sacco, più che altro.»
«Davvero? Io non mi ricordo mai quello che sogno.» ammise il collega, candidamente. Erwin sbuffò una risata, sistemando l'ennesimo plico e pinzando i fogli assieme. «Immagino voglia dire che non hai niente che ti preoccupa.»
«Sempre molto simpatico, Erwin.» quello lo fulminò e stavolta lui si mise a ridere sul serio, lasciando perdere i fogli e tenendosi lo stomaco. Gli piaceva davvero, provocare Levi in quel modo, perché gli rispondeva sempre a tono, anche per le cose più stupide.
«Credo sia... la vita di qualcun altro.»
«Ah?»
«Massì, una roba un po' esoterica: vite passate, quelle cose lì.»
«Intendi la reincarnazione?» non ricordava quel termine, ma sentendola dire da Levi annuì, perché era proprio quello che intendeva. Con l'andare delle notti, aveva cominciato a sospettare potesse essere una cosa simile; in una vita passata aveva vissuto in quella villa immensa e forse era stato anche uno dei padroni - non che gli interessasse molto in realtà. L'unica cosa che lo tormentava un po' era quel continuo ritornare sempre nello stesso punto: il senso di oppressione, la ricerca di qualcosa – o meglio di qualcuno – che non c'era in mezzo a troppi volti.
Si era fatto un'idea abbastanza precisa di quello che poteva essere successo, ma dirlo a Levi forse lo avrebbe reso ridicolo, un sentimentale. Eppure volle condividerlo comunque.
«Credo... di aver vissuto a Villa Smooth. Ho questa sensazione strana, come se mancasse un tassello e ieri credo di averlo trovato.» Levi lo guardò, inclinando appena la testa; aveva un'espressione buffa, che lo fece sorridere, prima di proseguire.
«Devo aver perso qualcuno di importante lungo la strada, perché sono sempre... sento di essere alla ricerca di qualcuno che non riesco a trovare.»
«Devi smetterla di mangiare pesante, ecco cosa Erwin.» gli fece notare Levi, ma gli occhi grigi luccicavano di interesse e divertimento, chiaro segnale che non trovasse il discorso ridicolo, anzi.
«Mh, anche tu mister Simpatia noto.» lo rimbeccò.
Levi alzò le spalle con disinteresse. «Sei tu che non dormi, mica io.»
Erwin alzò lo sguardo verso l'alto, scuotendo nuovamente la testa prima di lasciar cadere il discorso.
Non si era minimamente accorto che Levi lo stava guardando con una strana luce negli occhi.

 
«Aveva detto che non se ne sarebbe mai andato.»
«Lo so, figliolo. Ma vedi, ormai sei un adulto.»
«Lo hai mandato via!»
Uno schiaffo.
«Impara a crescere una buona volta!»

Il risveglio fu traumatico stavolta, ma Erwin si impose di rimanere immobile nel letto. Sentiva ancora il bruciore dello schiaffo sulla guancia, il senso di umiliazione e la rabbia. Tutto insieme, mentre il puzzle continuava a ricomporsi pezzo dopo pezzo.
Una storia triste, ecco cosa era stata la sua vita precedente – o almeno, quella che sembrava ricordare. Non sapeva se fosse per via della villa che i ricordi latenti e di cui conservava traccia, si fossero risvegliati... ma aveva davvero senso chiederselo?
Era passato. Il suo destino si era compiuto in quella vita e sospettava anche di sapere come, visto il continuo senso di perdita e non solo che continuava a sentirsi nello stomaco.
Si rannicchiò sotto le coperte, ammettendo con se stesso che, forse, non voleva davvero sapere.

«Sei messo peggio di ieri!» la voce di Levi lo accolse davanti all'ufficio, mentre sospirava un po' abbattuto, cosa che non era decisamente da lui e il collega parve accorgersene. Aprì la porta con le chiavi, prima di entrare al suo interno, seguito dal collega.
«Altro sogno?»
«Già. Una storia finita male.»
«Intendi per il te della vita precedente?» Erwin si limitò a un cenno del capo, mentre gli porgeva delle fotocopie di alcune pagine di giornale abbastanza datati. Levi fissò prima lui, poi le fotocopie, poi di nuovo lui, prima di prenderle.
«L'ultimo erede degli Smooth è morto in circostanze poco chiare.» cominciò a leggere, per poi proseguire nella lettura che poteva essere tranquillamente riassunta in poche semplici frasi: il corpo senza vita dell'unico figlio degli Smooth era stato ritrovato in mare privo di vita. Si era ipotizzata una morte accidentale, ma Erwin sapeva la verità. Oh, se la sapeva bene.
Quando Levi terminò di leggere lo guardò nuovamente, un po' turbato. «Hai sognato...»
«Ho sognato il momento in cui lo ha deciso.» era strano, ma tutto quel ripetersi dei volti intorno a sé, come se ne fosse schiacciato, la ricerca continua di qualcuno che non avrebbe mai trovato... Acquistava così tanto senso da fare quasi male.
«Credo che tutto ciò che voleva davvero, gli fosse stato tolto e lui non sia mai riuscito davvero a superarlo. Aggiungici il titolo nobiliare, le responsabilità e... il gioco è fatto.»
«Poteva cercarlo.» la voce di Levi quasi lo paralizzò: gli aveva parlato anche di quello? No, non lo aveva fatto.
«Cosa...»
«Invece di buttarsi in mare, poteva cercarlo. Certo, magari non era abbastan-» ma Erwin non lo stava più ascoltando, lo guardava invece, gli occhi fissi nei suoi. Azzurro e grigio, in quel contatto che provocò un brivido a entrambi, mentre prendeva piede la consapevolezza.
«Tu...»
«Già.» ammise Levi. Si stava tenendo un braccio con la mano del braccio opposto, massaggiandosi la spalla, chiaramente a disagio. Era stupido, ma riusciva a vederlo: sentiva che era così, lo sapeva fin dentro le ossa, nella sua anima.
Fu allora che si avvicinò, allungando la mano verso quella di Levi, in un gesto d'altri tempi, un sorriso gentile sul viso, il suo sogno – i ricordi – che si sovrapponevano in parte al presente. «Vuoi ballare con me?»
Dapprima Levi tacque mentre guardava la sua mano, ma poi... poi la prese e gli sorrise appena. «Ma solo una volta.»
Mentre Erwin gli afferrava saldamente, ma con gentilezza le dita, qualcosa parve lentamente abbandonarlo, in un tripudio di leggerezza e gioia, mentre Levi lo seguiva in un valzer ridicolmente improvvisato e che li fece ridere forse un po' troppo, nel bel mezzo dell'ufficio incasinato in cui si ritrovavano. La consapevolezza che c'era un nuovo inizio, lì, proprio davanti a loro che non aspettava altro di essere vissuto.


Fine
   
 
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