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Autore: Talitha_    20/03/2021    4 recensioni
Da quando lei ed Adrien hanno scoperto le rispettive identità, Marinette ha sempre negato, con ostinazione, ogni possibilità di un futuro insieme. ⁣
Sarebbe sbagliato, pericoloso. ⁣
Tuttavia, dopo ancora quattro anni, i suoi sentimenti per lui e gli errori del passato continuano a tormentarla. ⁣
È davvero esclusa in partenza ogni possibilità di trovare un lieto fine?⁣

« Perché c’è di peggio che non conoscere mai l’amore: trovarlo in un tempo della propria vita che lo rende impossibile. »⁣
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I. Monstres

 

 

Parigi, 4 aprile 2021

 

1.

 

Marinette non aveva mai dimenticato le parole che aveva pronunciato quella sera. Le aveva scolpite nella mente, tutte quante, e ogni tanto tornavano a tormentarla come i fantasmi delle fiabe che si divertono ad infestare case abbandonate. 

C’erano giorni in cui faceva finta di non accorgersene, e ignorava i sussurri minacciosi che le inviavano. Altri, invece, in cui la sua forza di volontà non era così tenace, e finiva per arrendersi a quell’eco fredda e crudele.  

In quei giorni, cercava di tenersi il più impegnata possibile, e di non parlare con nessuno. Anche perché, come le faceva notare la sua amica Alya, diventava davvero insopportabile. 

“Certe volte, cara mia, faccio fatica a riconoscerti” le diceva sempre. “Lanci certi sguardi assassini e ti comporti come se non ti importasse più di nessuno. Arrivo persino a dubitare che quella che mi sta davanti sia la stessa dolce e imbranata Marinette che conosco da una vita”. 

Ovviamente, Alya si azzardava a dirle cose del genere soltanto nei momenti in cui Marinette tornava ad essere normale, e quella luce di freddezza non le illuminava, inquietante, gli occhi e il volto. Marinette le rispondeva sempre con un sorriso imbarazzato, e poi sviava l’argomento, perché non le faceva mai piacere parlarne. 

Si vergognava. Oh, se si vergognava. 

Quando quei mostri le infestavano la mente, e ritornava col pensiero alla sera gelida di tanti anni prima, un profondo senso di vergogna le saliva nel petto. Erano state quelle sue parole, dette con l’apposito scopo di ferire, la causa non solo della propria sofferenza, ma anche della persona che, nonostante tutto, continuava ad amare. 

E non importava che fossero passati quattro anni da quando aveva costretto quella speranza d’amore ad affievolirsi per sempre. Quello che provava nel cuore era un sentimento talmente profondo che non sarebbe mai riuscita ad estirpare. 

“Ecco fatto!”, la voce soddisfatta di Alya interruppe il corso malinconico dei suoi pensieri. Marinette osservò l’amica battere le mani eccitata, e accogliere con lo sguardo tutta la grande stanza intorno a loro. Si trattava di un modesto soggiorno, con un angolo cucina addossato alla parete destra, e una grande finestra in fondo che dava su un piccolo balconcino. A sinistra, due porte davano accesso alle loro camere da letto, mentre il bagno e un ripostiglio erano posti subito dopo l’ingresso. Era un appartamento luminoso ed accogliente che si affacciava su Rue Antibes, e in cui entrambe avevano sognato di abitare da quando, due anni prima, avevano scoperto che una coppia di amici dei loro genitori si sarebbe trasferita da lì in un’altra città. “Un giorno, io e te vivremo insieme in questo delizioso appartamento”, aveva detto eccitata Alya. 

Marinette l’aveva guardata scettica. “Non se tu e Nino vi sposate prima”, era stata la sua risposta, pronunciata con tono canzonatorio. Alya l’aveva guardata con fare rassicurante. “Oh, non preoccuparti di questo. Io e Nino non abbiamo intenzione di sposarci così presto”. 

Da allora, anche quando l’appartamento era stato preso in affitto da una vecchia signora, ogni volta che lei e Alya passavano per Rue Antibes - più spesso di quanto non fosse necessario - la sua amica cominciava a fantasticare su tutte le cose meravigliose che avrebbero potuto fare una volta coinquiline. Era stato proprio durante uno di quegli sproloqui, pochi mesi prima, che erano venute a sapere che la povera vecchina era venuta a mancare, e Alya, con un inquietante sorriso, aveva preso in mano le redini della situazione. E detto fatto, adesso si erano trasferite. 

In realtà, all’inizio Marinette era stata poco convinta circa la proposta di Alya. Insomma, aveva già una casa, e, da studentessa universitaria quale era, non aveva certo voglia di caricarsi delle spese di un appartamento. 

Tuttavia, continuava molto spesso a lavorare come baby-sitter (non più di Manon, grazie al cielo), e quando aiutava in pasticceria i genitori le davano spesso e volentieri un piccolo compenso. 

Inoltre, si trovava in un periodo della propria vita in cui i mostri del suo passato non sembravano darle un attimo di tregua, e vivere rinchiusa in quella stanza al terzo piano stava diventando sempre di più una tortura. Marinette sentiva bisogno di aria di novità, di qualcosa che la distraesse dai suoi pensieri cupi e malinconici, che le permettesse di avere la mente occupata e di dedicarsi ad altro. 

Negli ultimi tempi, Papillon aveva diradato i suoi attacchi, per cui non solo gli impegni della sua vita da super-eroina erano stati drasticamente alleggeriti, ma non aveva neanche più la scusa per vedere Chat Noir. 

Perché, anche se aveva definitivamente smesso di pensare a lui come ad un possibile partner anche nella vita amorosa - o meglio, così sperava - la sola presenza di Adrien accanto a lei la rinvigoriva, e tutte le sofferenze scemavano via come fumo al vento. Quando gli occhi verdi di Chat Noir incrociavano quelli di Marinette, per un breve, brevissimo istante, al mondo esistevano solo loro due, niente dolore o solitudine. 

Il peggio veniva dopo, quando erano costretti a separarsi un’altra volta, e l’unica cosa che servisse a consolare Marinette era ritornare con la mente a quei fugaci momenti: per quanto pochi ed effimeri, rappresentavano la sua unica distrazione da una vita di monotonia e solitudine. 

E adesso che lei e Adrien non si vedevano da quasi due mesi, le sembrava di star sprofondando sempre più giù, in un mare di oscurità. 

Per questo aveva deciso di cogliere l’opportunità che le aveva offerto Alya. Probabilmente non avrebbero vissuto in quell’appartamento neanche un anno, ma, per il momento, preferiva non pensarci. 

“È-è davvero bellissimo”, convenne Marinette, un sorriso timido dipinto sulle labbra. “Bellissimo?!”, le chiese contrariata Alya. “Fantasmagorico, vorresti dire! Oh” aggiunse, andandosi a sedere accanto a Marinette sul piccolo divano rivolto verso la finestra. Da fuori si scorgeva il panorama di una vibrante Parigi, e il cielo era talmente azzurro da somigliare al colore degli occhi di Marinette. “Ci pensi a tutte le cose che potremmo fare?! Sono proprio sicura che ci divertiremo taaantissimo. Prima di tutto, dobbiamo organizzare una festa con tutti i nostri amici. Che ne pensi?”.

Marinette si volse verso Alya, incrociando le gambe sul divano. “Una festa? Qui?”, chiese, non molto convinta. Non era in vena di festeggiare. Non in quel momento.
“Certo, e dove sennò!”, ribatté con ovvietà Alya. “Tesoro, tutto bene?” continuò con dolcezza, vedendo l’espressione crucciata di Marinette. Le si avvicinò e le mise una mano dietro la schiena, cominciandola ad accarezzare con fare materno. “Marinette?”, la chiamò, e la osservò sorridere con circostanza. “Non è niente Alya, davvero. Sono solo un po' stanca.”

“Allora niente festa, forse è meglio così. Non avevo comunque intenzione di fare qualcosa di esagerato, sai. Solo qualcuno dei nostri amici. Ma non ti preoccupare, ci sarà tempo per recuperare” la rassicurò. 

Marinette obiettò: “No, non scartare l’idea della festa per me. Sono sicura che sarà divertente. Purché non vengano troppe persone.”

“Ne sei sicura?”, le chiese Alya con circospezione. Sapeva che Marinette non se la stava passando proprio benissimo, eppure ogni volta che cercava di cavarle qualcosa di bocca lei rifuggiva le sue domande. 

Marinette annuì con un leggero sorriso rassicurante in volto. “Sicurissima, non preoccuparti.”

Alya le prese una mano. “Bene allora”, disse contenta, “inizieremo subito con i preparativi. Anzi, tu va’ a riposarti, qui ci penso io.”

“Oh, no. Io…”

“Niente ma, signorina. Ora fila a letto”, le disse con tono scherzoso, puntando con il dito verso la porta della camera di Marinette.
“Grazie, Alya”, le rispose, abbracciandola forte. “Grazie” ripeté in un sussurro, il volto appoggiato sulla spalla dell’amica. Teneva gli occhi chiusi, cercando di ignorare l’immagine di un certo ragazzo che continuava a tormentarla. 

Eppure, quando si mise a letto e riuscì ad addormentarsi, lui venne a cercarla ostinato persino nei sogni. 

 

 

 

Parigi, 5 aprile 2021

 

2.

 

Marinette si pentì di aver acconsentito ad Alya di organizzare quella festa nel momento esatto in cui, aprendo la porta ad uno degli invitati, si ritrovò davanti il volto perfetto e bellissimo di Adrien. 

In quel preciso istante, il suo cervello smise di funzionare, e il cuore prese a batterle selvaggiamente nel petto, tanto che Marinette era pronta a giurare che tutta Parigi potesse udirlo. 

“A-Adrien…” farfugliò maldestramente, e le parve di tornare a quando, nei primi tempi dopo essersi innamorata di lui, si comportava in quel modo ogni volta che se lo ritrovava davanti. 

“Ciao, Marinette”, la salutò Adrien, e la sua voce - il suo nome pronunciato da quella voce - le risvegliò in un istante tutte le farfalle sopite nel suo stomaco. Beh, non c’è che dire: le erano mancate. Tanto che Marinette pensava fossero morte per sempre, perché nessuno oltre a lui era in grado di farle vivere o svolazzare tanto freneticamente. 

Marinette annaspò alla ricerca di qualcosa da dire, perché non aveva minimamente immaginato che Alya avrebbe invitato Adrien - anche se era pur vero che non le aveva chiesto di non farlo. 

Comunque, il fatto era che non se lo aspettava, e adesso lui era lì, di fronte a lei, e le parve più bello che mai, anche se erano evidenti le occhiaie che gli segnavano il volto, e anche un leggero pallore che, alla vista di Marinette, aveva subito iniziato a dileguarsi. 

Marinette si aggrappò con le mani sudate alla maniglia in ottone della porta di casa. Non riusciva a dire o fare niente. Ogni tentativo di reagire fu totalmente inutile: il suo cervello non rispondeva. Non potè far altro che continuare a guardarlo, intensamente, con le labbra leggermente schiuse e gli occhi azzurri spalancati. 

Anche Adrien la osservava, col fiato mozzato, perché era talmente tanto che non la vedeva che la sola presenza di lei nelle vicinanze lo aveva mandato letteralmente in tilt. 

La osservava con attenzione, negli occhi mille pagliuzze verdi di meraviglia e le labbra scosse da un debole fremito. Incantato, indugiò con lo sguardo sui lineamenti del volto di Marinette e le dolci curve del suo corpo, e la trovò semplicemente adorabile. Indossava una maglietta rosa un poco aderente e dalle maniche a sbuffo. Continuò ad abbassare lo sguardo, fino a scorgere una normalissima gonna di jeans, e continuò ancora fino a quando non…

Oh. 

Fino a quando non vide le sue ginocchia nude

Adrien boccheggiò. Normalmente, la vista delle ginocchia di una qualsiasi altra ragazza lo avrebbe lasciato decisamente impassibile, ma se si trattava di Marinette… 

Era tutta un’altra storia. Semplicemente, Marinette non era una qualsiasi altra ragazza

Lei era… insomma, la sua anima gemella. Lo sentiva, Adrien, in ogni fibra del suo essere. Non era un caso che il solo scorgere del profilo delle sue ginocchia avesse riacceso in lui una piccola fiammella da molto estinta, e che subito si era sentito rinascere. Gli parve di non averla mai vista così bella e attraente prima, ed immediatamente avvertì il desiderio di stringerla tra le braccia, e di baciarla e assaggiarla tutta, e di farle tutta una serie di innumerevoli cose che soltanto nei sogni si era permesso di immaginare e… 

“C-ciao, Adrien. Io…” la voce dolce di Marinette lo risvegliò dalle sue poco innocenti fantasie “… non sapevo saresti venuto. Ehm…”

Adrien si bloccò. Marinette non sapeva che lui sarebbe venuto. Quindi non era stata lei a chiedere ad Alya di invitarlo?

Povero illuso, certo che no. Marinette continuava a non voler avere niente a che fare con lui. Non lo voleva nella sua vita. Lo aveva più volte messo bene in chiaro. 

Adrien deglutì. Era stata una pessima idea accettare quell’invito. Non sarebbe dovuto andare. Oh, che idiota. 

Fece un leggero passo indietro, quando vide Marinette trattenere il respiro, con lo sguardo abbassato sul piccolo mazzo di primule gialle che teneva in mano. 

Dannazione, i fiori. 

D’improvviso quella dei fiori gli parve un’idea terribile, tanto più dopo aver capito che non era stata lei ad invitarlo. Certo, fino all’ultimo aveva rimuginato sulla tipologia di fiori da regalarle, perché non voleva che una scelta sbagliata potesse rovinare tutto. 

Sin da subito aveva scartato le rose. Le uniche due tra cui poteva scegliere erano le bianche - amore puro - e le rosa - amicizia. Nel primo caso, se lei avesse voluto invitarlo solo in qualità di amico, ci avrebbe fatto una figuraccia, e anche nel secondo caso, se lei lo avesse invitato con l’intenzione di…

Non lo sapeva neanche lui. Dar loro una seconda opportunità?

Povero illuso, si ripetè nella mente. 

“S-sono per me?”, chiese a fior di labbra Marinette. Nel suo tono, Adrien lesse timore e speranza, come se neanche lei sapesse cosa voleva davvero. 

“Sì, io… voglio dire, no. Insomma, per te e per Alya”, farfugliò imbarazzato, portandosi la mano libera dietro la nuca. 

Il cuore di Marinette saltò un battito. Era adorabile, anche da impacciato. Soprattutto se impacciato. 

Lui si schiarì la gola, 

“Questa volta mi sono informato, davvero, non come quando ti ho regalato rose gialle pensando simboleggiassero amicizia quando in realtà erano gelosia e…” arrossì, e si sentì ancora più stupido. 

Si passò una mano nei capelli biondi e tornò a guardarla. Intensamente. “Le primule” cominciò, in un tono che a Marinette parve fin troppo… sensuale. Subito sentì le ginocchia farsi instabili, e si aggrappò con più forza alla maniglia della porta. 

Con le gote completamente rosse, Adrien continuò “sono fiori che sbocciano anche nel freddo dell’inverno. Rappresentano la rinascita dopo il superamento di ogni avversità, l’augurio di tornare forti dopo un momento difficile. Marinette, io… ho pensato che…”, si bloccò. La vista di lei che lo ascoltava con le guance imporporate era così dolce, così come il leggero luccichio che proprio in quel momento illuminò i suoi occhi azzurri, e come…

No, basta così. 

Adrien strizzò gli occhi. 

Quello era davvero il momento di andarsene, prima che la situazione degenerasse del tutto. Non voleva rendersi ancora più ridicolo ai suoi occhi. Già lei non aveva una buona opinione di lui, non voleva peggiorare le cose. 

Fece per girare i tacchi, quando una raggiante Alya - la cara Alya - fece capolino alle spalle di Marinette ed esclamò battendo le mani: “Adrien! Finalmente, eccoti qui! Dai, vieni dentro”, e lo prese per un braccio trascinandolo oltre la porta. Lo fece con talmente tanto vigore che Adrien non riuscire ad impedire alla sua spalla sinistra di sfiorare il corpo delicato di Marinette. E a quella semplice, leggerissima carezza, un desiderio incontrollabile di continuare a toccarla prese il sopravvento, e Adrien non credeva sarebbe riuscito a trattenersi se non fosse stato per Alya. La cara Alya. Lo tirò per il braccio fino al salotto, dove alcuni dei loro amici si già erano radunati. 

“Adrien!”, lo raggiunse Rose. Gli schioccò un bacio amichevole sulla guancia, poi esclamò con un gran sorriso: “Che piacere vederti, ci stavamo giusto chiedendo quando saresti arrivato”. 

Adrien la salutò distrattamente, perché avvertiva ancora la presenza di Marinette alle sue spalle, e non riusciva a fare altro che pensare a lei. Al fatto che non lo volesse lì, a casa sua. 

Sospirò pesantemente, mentre il suo corpo - che risentiva della vicinanza di lei - era ancora preda di brividi. 

Quella sì che sarebbe stata una lunga serata. 

 

***

 

Adrien era appoggiato da un buon quarto d’ora sul bancone della cucina, intento ad osservare la figura di Marinette che, fuori dalla finestra, teneva i gomiti poggiati sulla balaustra di un piccolo balcone. Era sgusciata via non appena ne aveva avuto l’occasione, quando pensava che nessuno la stesse guardando. 

Ma si sbagliava, pensò Adrien. Come poteva pensare che, dopo tutto quel tempo lontano da lei, lui la perdesse di vista anche solo per un secondo?

Così era rimasto a guardarla da quel punto della stanza, senza preoccuparsi di nessun altro dei presenti. 

Scorgeva la sua figura soltanto a metà, perché il resto era coperto dalle tende di lino bianco della porta-finestra. Ma gli andava bene così. Dopo mesi passati a rievocare i lineamenti del suo volto e le curve del suo corpo, gli bastava scorgere la figura di Marinette intenta ad osservare le stelle nel cielo. O almeno, si costringeva a pensare che gli bastasse.

“Va’ a parlarle”. 

Udì una voce alle sue spalle. Adrien si voltò e riconobbe Alya, in viso un’espressione di pura preoccupazione. 

“Cosa?”, chiese, perché credeva di non aver capito bene. 

“Va’ a parlarle, ti dico” ripetè Alya, poggiandogli una mano sul braccio. “Ti prego, Adrien. So che le cose tra te e Marinette sono molto complicate, ma… è tantissimo tempo che non la vedo sorridere veramente, e sono molto preoccupata. Finge sempre che tutto vada nel migliore dei modi, ma io so che non è così”. Rivolse uno sguardo distratto alla figura abbattuta di Marinette appoggiata alla balaustra del balcone, e continuò: “Non so esattamente cosa sia successo tra voi due, perché lei non me ne ha mai parlato, e rispetto la sua decisione. Ma credo anche che questa storia stia andando avanti da troppo tempo. N-non la riconosco più, Adrien. È sempre triste, malinconica, con la testa da un’altra parte. C’è qualcosa che la tormenta, e credo che tu sia la sola persona che ne conosca davvero il motivo. Ti prego, vai e parlale” gli chiese, stringendo leggermente le dita intorno al suo braccio.

Adrien osservò le primule gialle alle spalle di Alya. Rose le aveva sistemate con cura in un bel vaso sul tavolo della cucina, e ogni volta che lo sguardo di Adrien vi cadeva sopra non poteva fare a meno di pensare quanto fosse stato un gesto stupido quello di regalargliele. 

“È per questo che mi hai invitato?”, le chiese tristemente, dopo qualche secondo di silenzio. “Per parlare con lei?”. 

“Intendi se è per questo che ho organizzato la festa? Sì, perché altrimenti sarebbero passati mesi prima che vi rivedeste. Mi dispiace se ti ho ferito, ma ero disperata. Sono disperata”, ammise. 

Adrien scosse la testa con amarezza. “È Marinette a non voler parlare con me. È lei che ha deciso che tra noi non poteva esserci niente. Non credo sia una buona idea andare a parlarle, adesso”. 

Alya lo guardò confusa. “Stai dicendo che è stata lei a rifiutare te?”

Adrien volse gli occhi a terra, leggermente offeso. Come se lui avesse mai avuto la forza di lasciarla. Adrien era un’egoista, non avrebbe mai rinunciato a Marinette, neanche se questo significava non essere più Chat Noir. Plagg lo avrebbe odiato, per questo, ma Adrien aveva sofferto fin troppo, e adesso voleva soltanto essere felice. Era forse un peccato, sognare la felicità?

Alya si accorse di aver formulato male la sua domanda, e di averlo ferito. “Adrien, non volevo. Io…”

Lui la interruppe: “È inutile parlarne adesso, Alya. Non capiresti”. Nel suo sguardo e nel tono della sua voce, Alya scorse un dolore profondo, che mai aveva visto prima. 

Se non negli occhi di Marinette. “Va bene, va bene”, gli concesse “anche se pensi che lei non voglia parlarti, almeno va’ fuori a salutarla. Tieni” gli prese le mani “dalle la tua giacca. Quell’incosciente è uscita senza neanche una felpa indosso”. 

Adrien la guardò incerto. “Credi che si arrabbierà?”.

Alya strizzò gli occhi, e si portò una mano alla fronte. Ma perché mai le cose tra quei due dovevano sempre essere così complicate? 

“No, scemo”, gli disse con una punta di affetto. “E sono pronta a scommettere che il motivo per cui sta così male è che non ti vede da settimane. Ora ti prego, vai da lei e dalle la tua giacca. Anche se non le dici niente, va bene lo stesso. Capito?”.

Adrien annuì. Fuori era freddo, e Marinette non aveva niente che potesse coprirla. Doveva andare da lei. 

Giusto?

“V-va bene. Grazie, Alya”. 

Lei gli rispose con un sorriso triste. E prima che lui se ne andasse, gli diede un forte abbraccio. Adrien ne rimase piuttosto spiazzato, ma non si scostò. Si sorprese nel constatare che gli abbracci di Alya somigliavano molto a quelli di una mamma affettuosa, e rimase fermo ad annusare il profumo dolce dei suoi capelli fino a quando lei non si scostò e gli diede un ultimo bacio sulla guancia. “Adesso vai” gli disse, dandogli un pugno affettuoso sulla spalla.  

 

 

***

 

Fuori faceva freddo. 

Non come quella sera. Ma era comunque freddo. 

Marinette, però, non se ne curava. Era in piedi appoggiata sulla ringhiera del piccolo balconcino che affacciava sulla Senna, lo sguardo fisso su un punto in lontananza, e i pensieri persi da tutt’altra parte. 

Adrien. 

Era quella l’unica accozzaglia di lettere che il suo cervello riusciva a mettere insieme. L’unica che continuava a ritornarle alla mente, sebbene si sforzasse di pensare ad altro. 

Era uscita fuori proprio per questo. Perché non ce la faceva a stare nella stessa stanza con lui, perché si sentiva soffocata dagli sguardi di tutti - dal suo sguardo - che si chiedevano cosa cavolo le fosse successo. Dal profumo di quelle primule che… che…

Quanto tempo non riceveva fiori di Adrien? Tanto, troppo. 

Tuttavia, era stato un errore permettere ad Alya di organizzare quella festa. Permetterle di invitare Adrien, a quella festa. 

Rivederlo aveva risvegliato in lei talmente tanti ricordi, pensieri. E sì, persino le farfalle, perché nonostante tutto i suoi sentimenti erano ancora lì, nel suo cuore, intatti e bellissimi, e quando lei li accarezzava come fossero corde delicate di un’arpa e ne udiva la melodia meravigliosa...

Allora si ricordava che tra di loro non ci sarebbe mai stato niente, e tutto tornava buio, silenzioso, freddo. 

Un fruscio. Il cuore di Marinette le balzò in petto quando avvertì, dietro di sé, il fruscio della porta-finestra che si apriva. 

Inconsapevolmente, sperò che fosse lui. Che fosse lui a raggiungerla col suo sorriso e il suo calore e le sue battute. In quel momento, sapeva che solo una delle sue stupide battute sarebbe stata in grado di strapparle un sorriso. 

“Ti disturbo?”, le chiese lui - Adrien - mentre lo sentiva avanzare cautamente. 

Marinette non si girò. Rimase ancora un po' a fissare quel punto indefinito all’orizzonte, e in un battito di ciglia fu in grado di avvertire il calore di Adrien accanto a lei. 

Strinse con fare convulso le dita intorno al ferro della balaustra, leggermente destabilizzata. Non era pronta ad averlo così vicino, e ignorò il più possibile quell’istinto che le chiedeva disperato di accogliere Adrien a sé, contro il proprio corpo. 

Volse leggermente la testa verso di lui, e lo salutò con un triste sorriso. “Ciao”. 

Anche lui sorrise, certo non debolmente come lei. 

Oh, no. 

Il sorriso con cui le rispose Adrien era uno di quelli capaci di riscaldare mente e anima di coloro che ne fanno esperienza. E infatti, come per magia, subito il peso sul cuore di Marinette si fece un pochino più leggero. Un luccichio di vita le illuminò gli occhi, e Adrien si permise di ricambiare il saluto. 

Forse, pensò, quella sera non avrebbero litigato. 

“Ciao”, sussurrò, con lo sguardo fisso verso di lei. 

A quel singolo, unico mormorio, Marinette sentì le gambe vacillare. 

Stupida. Ti ha solo salutata, e tu già tremi come una foglia? Cosa succederebbe se… se…?

Marinette non si permise di andare oltre, e neanche ne ebbe il tempo, perché - a riprova di quanto temeva - rabbrividì ancora di più quando le loro spalle furono tanto vicine da sfiorarsi e da emettere un leggero strofinio.

Era come se la sola presenza di Adrien fosse capace di inviarle tutta una serie di scariche elettriche lungo il corpo, e Marinette si odiò per questo. Quelle scariche elettriche, per quanto piene di energia, erano sbagliate. Perché, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per liberarsene, reagiva ancora così quando se lo ritrovava accanto?

Vedendola scuotersi dal freddo, Adrien ricordò improvvisamente il motivo per cui era andato da lei. O meglio, la scusa che aveva prontamente afferrato per poterle parlare. 

“Ehm” cominciò, e subito Marinette si voltò a guardarlo. “Ho pensato che potesse fare freddo qui fuori, e-e in effetti avevo ragione”, emise un risolino nervoso, e Marinette lo guardò incantata con i grandi occhi azzurri spalancati e le labbra rosse leggermente schiuse. 

Oh, quelle labbra. Sembravano pronte ad accogliere un suo bacio. Sarebbero state perfette, Adrien lo sapeva, perché una volta si erano baciati, ed era stato bellissimo, e Adrien sapeva anche che quel bacio - almeno quello - non era stato il frutto della sua immaginazione. 

“Ti ho portato la giacca, l-la mia giacca in realtà. Ho chiesto ad Alya se poteva darmene una tua, ma lei mi ha detto che era impegnata e di prendermela da solo, e siccome non sapevo dove tenessi le giacche ho pensato che la mia potesse andare bene lo stesso, perché sarei disposto a morire di freddo pur di far stare al caldo te, non che fuori faccia così freddo, insomma e...” 

Scemo, ma che diamine stai blaterando? Ti rendi conto che Marinette - Marinette - è proprio qui di fronte a te, dopo quattro mesi interi passati a sognarla e a desiderarla e adesso che hai la possibilità di parlarle, ti rendi ridicolo in questo modo?

Marinette lo guardava incantata, intenerita. Il viso di Adrien era arrossato sul naso e sulle guance, e le sue dita erano scosse da un tremolio leggero mentre si muovevano freneticamente in tutta una serie di gesti impacciati e adorabili. 

“E...?”, lo esortò allora con un sussurro, tanto flebile che Adrien dubitò di averlo sentito veramente. 

Tuttavia, quando il suo sguardo incrociò gli occhi ammaliati di Marinette, attenti vispi e affascinati, si rese conto che davvero lei stava aspettando che lui continuasse. 

Quindi, tutto d’un fiato, esclamò: “Tieni la mia giacca”, e velocemente la dispiegò tra le mani e gliela poggiò sulle spalle. 

Così facendo si avvicinò a lei. 

Si avvicinò un po’ troppo a lei, perché Marinette avvertì distintamente il suo respiro sul collo. 

E, semplicemente, fu sopraffatta da una sensazione che non riuscì a controllare.  

E si scostò di scatto dal suo tocco sulle spalle e dal suo respiro sul collo. 

Così di scatto che l’aria intorno a lei emise un leggero sibilo, mentre un lampo di paura le attraversò gli occhi, perché non ricordava l’effetto disarmante del respiro di Adrien sulla sua pelle. Non che avesse avuto molte occasioni per sperimentarlo, certo. 

Lui la guardò così, con le braccia a mezz’aria, e si spaventò ancor più di lei scorgendole in volto quello sguardo da animale braccato. 

“T-tutto bene?”, le chiese incerto, improvvisamente un magone in gola che quasi gli impediva di respirare. 

L’aveva spaventata? Non era sua intenzione. Lui non voleva... non voleva...

Marinette deglutì. “S-sì, scusami” rispose, scuotendo la testa con noncuranza e tornando ad appoggiarsi sulla ringhiera. Erano ancora vicini, ma non come prima. 

“Sicura?”, chiese ancora Adrien, per nulla convinto dalla sua risposta. 

Lei annuì, e gli rivolse un sorriso rassicurante. Certo, non era uno di quei sorrisi che le illuminavano tutto il volto e che la facevano sembrare più bella e raggiante di una dea delle fiabe, ma era comunque un sorriso, e tanto bastò ad Adrien per tranquillizzarsi un pochino. 

“Mi hai solo colta di sprovvista, tutto qui” spiegò allora lei, tornando a guardare l’orizzonte per evitare il suo sguardo indagatore. Quello sguardo che le pareva in grado di leggere tutte le sue emozioni, quasi fosse la chiave per accedere ai sentimenti del suo cuore. 

“I-io... mi dispiace, Marinette. Non intendevo...non intendevo assolutamente spaventarti. Mi dispiace davvero tanto”, disse portandosi una mano al petto in un gesto di rimorso e pentimento. 

Marinette tornò a guardarlo per un singolo istante, ma le sembrò che la forza del suo sguardo fosse ancora troppa da sostenere, e allora chiuse gli occhi e gli rispose: “Non preoccuparti, Adrien. Davvero. Mi hai solo presa ehm... impreparata. Non è colpa tua.”

Lui si morse un labbro con fare nervoso, ancora tremendamente dispiaciuto e mortificato. E anche un po' ferito, perché non si aspettava che un gesto naturale come quello - compiuto con le migliori intenzioni, tra l’altro - potesse avere su di lei un effetto tanto negativo. A lui quella vicinanza, per quanto breve, era sembrata come una boccata d’aria fresca: per la prima volta dopo tanto tempo aveva aspirato il profumo dolce e fiorato dei suoi capelli, e, se solo si fosse avvicinato un po' di più, avrebbe anche potuto godere dell’odore di miele della sua pelle. 

Se, se, se. 

Preferì non rispondere, e, senza sapere bene come comportarsi, decise di appoggiarsi anche lui con i gomiti sulla ringhiera del balcone. Forse doveva andarsene. Anzi, sicuramente Marinette non lo voleva lì, accanto a lei. 

Eppure, colto da un moto di egoismo, non ce la fece a prendere le distanze e ad andarsene, perché sapeva che sarebbe passato ancora tanto tempo prima di rivederla. Ah, che ironia. Mai avrebbe pensato che gli attacchi di Papillon gli sarebbero mancati tanto, ma ormai quelli erano diventati la sola scusa per vederla, e gli stringeva il cuore vedere come questi si facessero sempre più rari. 

Ah, dannazione

Averla così vicina, così maledettamente vicina, e non poter far nulla - neanche poggiarle la giacca sulle spalle - senza che lei si ritraesse, lo stava facendo impazzire. 

Forse era davvero meglio andarsene. 

Con una mano ancora poggiata sulla ringhiera, si girò leggermente verso di lei. “Credo sia meglio che me ne vada, adesso.”

“No!”

Cosa?

Cosa aveva appena detto Marinette? No? 

Era forse il frutto della sua mente - che desiderava ardentemente che lei lo trattenesse ancora un po’ - o le sue labbra scarlatte avevano appena pronunciato quell’invito a restare? 

Era forse il frutto della sua immaginazione, o davvero Marinette aveva afferrato la sua mano con forza, nel tentativo di non lasciarlo andare via? 

Marinette lo fissò incredula. Forse perché aveva reagito istintivamente, e non si era resa conto di quello che aveva detto e fatto se non quando lui le chiese in un dolce sussurro: “Cosa?”

Sbatté le palpebre, ignorando la piacevole sensazione della mano di Adrien stretta tra le dita. La lasciò subito andare. 

“N-no, io…”. Non sapeva cosa dire. Perché lo aveva trattenuto? Perché non aveva semplicemente accettato il fatto che lui se ne andasse via, lasciandola sola fuori, al freddo, come d’altronde aveva già fatto altre volte? Come lei lo aveva già implorato di fare altre volte?

“Non vuoi che vada?”, le chiese Adrien, nel suo tono una scintilla di speranza. Sì, voleva restare, se era quello che voleva anche lei. Sarebbe rimasto, a costo di soffrire perché non poteva avvicinarsi, se lei glielo avesse chiesto. 

E glielo aveva chiesto. L’aveva quasi supplicato di restare. 

Marinette arrossì violentemente, nella ricerca disperata di qualcosa da dire. Annaspò e disse, guardandosi i piedi: “Puoi restare ancora un po’. Se vuoi.”

“Certo che voglio, Milady”, disse di getto Adrien. 

E quelle sue parole così spontanee, così dolci e vere, insieme con l’appellativo di Milady, con cui da troppo tempo non la chiamava più, fecero sbocciare un timido sorriso sulle labbra di Marinette. Alzò di nuovo gli occhi verso di lui, e quando lo guardò felice, il suo cuore perse un battito. E quando riprese a muoversi, lo fece con una tale selvaggia velocità che le parve quasi le sarebbe uscito dal petto. 

Imbarazzata, distolse di nuovo lo sguardo e lo diresse di nuovo verso la Senna, scintillante e silenziosa sotto di loro. Nel riflesso delle sue acque brillavano alcune delle innumerevoli luci delle notti parigine, e il calmo dondolio delle onde, che prima sembrava preannunciare un roboante silenzio, adesso pareva il preludio di una nuova felicità. 

Perché si sentiva felice, adesso. Libera da quel peso che le opprimeva il petto, libera dal senso di colpa che la tormentava giorno e notte, come un felino che studia e caccia la sua preda, prima di acchiapparla e di non lasciarla andare più. 

Era sbagliato sentirsi felice? No, pensò. Era bellissimo e liberatorio. Avrebbe quasi voluto urlare e ridere la sua gioia, quando si ricordò che quella non poteva avere seguito. 

Che sarebbe finita quando Adrien avesse lasciato quel balcone, perché certo non poteva rimanere lì per sempre, anche se lo voleva tantissimo. Eccome, se lo voleva. 

Si costrinse a mettere da parte quei pensieri fastidiosi, e di concentrarsi solo sul dolce respiro di lui al suo fianco, e della giacca di pelle nera poggiata sulle spalle. Emanava un odore - l’odore di lui - che le riempì tutte le narici e i polmoni, e pareva quasi capace di infonderle nel cuore una vita nuova. Se la strinse un poco sulle spalle, come avesse paura che il leggero vento la portasse via. No, l’avrebbe tenuta sempre lì, a proteggerla dal freddo e dalla solitudine, almeno finché l’odore di Adrien vi sarebbe rimasto impresso. 

Erano passati alcuni minuti di silenzio, un silenzio dolce e sereno, quando Adrien le chiese piano: “Posso farti una domanda?”

Marinette lo guardò sorpresa, perché non si aspettava che lui avesse qualcosa da chiederle. Senza rendersene conto, si prese un labbro tra i denti, e lo sguardo di Adrien non potè fare a meno di cadere su quelle dolci curve, e subito gli tornò in mente com’era stato bello baciarle e assaporarle e stringerle tra le sue. 

“Sì” gli rispose Marinette, dopo qualche interminabile secondo. Continuava ad osservarlo con occhi attenti, e lo sguardo che lui le dedicò fu così dolce e pieno d’amore che le gambe le tremarono talmente tanto che, se non fosse stata appoggiata sulla balaustra in marmo, avrebbe sicuramente avuto bisogno di afferrare il suo braccio. 

Ma, fortunatamente, c’era la balaustra. Perché era una fortuna, giusto? 

Marinette si immaginò subito come sarebbe stato tenersi stretta al suo braccio per non cadere. Lui sicuramente l’avrebbe stretta forte, e le avrebbe circondato la vita con l’altro braccio, per sorreggerla meglio. Rabbrividì di piacere al solo pens… 

No, no, no. 

Marinette scosse la testa. Era davvero una fortuna che ci fosse la balaustra. Perché tutto il resto non sarebbe mai dovuto accadere. Non più, almeno. 

Erano questi i suoi pensieri, mentre Adrien si inumidì le labbra ormai secche, e con voce esitante le chiese: “Ti sei mai pentita di aver detto di no? A noi, alla nostra storia?”

C-cosa?

 

[continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Eccoci arrivati alla fine del primo capitolo della storia! Mi sono divertita tantissimo a scriverlo, anche se devo ammettere che la revisione è stata piuttosto travagliata ^^’

Comunque, spero davvero vi sia piaciuto, e preparatevi al prossimo, perché ne vedremo delle belle ;)

 

A presto,

Talitha_ <33

   
 
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