Ossi di seppia
Che senso ha parlare, se quello che dico non lo capisci o magari lo capisci troppo?
Ti chiedo passami il sale e tu te lo rigiri tra le mani e indugi pensando che forse voglio attenzioni, che forse sale è una metafora per la nostra situazione, che forse è un’accusa contro di te per aver cucinato sciapo. E invece voglio solo il cazzo di sale – perché non capisci che voglio il sale? Dammi. Il. Sale.
Così me lo butto pure alle spalle e la maledizione di incomunicabilità magari s’infrange. Pure se non ci credo – al sale che salva, non alla maledizione che ci spezza.
Ti scrivo vado a Parigi e tu rileggi quel messaggio e pensi che sono istintiva e mi chiami per sapere quando sono partita e ti chiedi se sia una richiesta di aiuto. E invece sono solo a Parigi – perché mi cerchi a Berlino allora? Pensa. Al. Louvre.
Così magari ci perdiamo insieme e il Louvre è ancora uno spazio troppo piccolo rispetto al labirinto in cui siamo persi da un pezzo. Pure se non mi sembra possibile – perdersi nel Louvre con tutte quelle guide, intendo, non nell’immensità del vuoto delle nostre parole quando s’incrociano a mezz’aria.
Se dico sale, mi passi lo zucchero (o confondo io zucchero e sale?)
Se vedi la Mona Lisa, dici che piange (o sono io che ho smesso di leggere troppo dietro un sorriso enigmatico?)
A Parigi m’ingozzo di sale, tu a Berlino ti sciroppi lo zucchero filato, ma siamo nella stessa stanza – e forse è pepe e forse è Roma e forse…
Te lo sai che le seppie non ce l’hanno mica le ossa, vero?
Io però ce le ho trovate (e tu non le trovi neanche negli esseri umani).
Io però ce le ho trovate (e tu non le trovi neanche negli esseri umani).
NDA: Scritto di getto per riflettere su una situazione di grossa incomunicabilità che provo nei confronti dei miei scritti. Potete leggerci ciò che volete, perché la lettura è sempre interpretazione – ma vi prego, non ditemi che le città menzionate sono Barcellona e Mosca:) Ossi di Seppia è un tributo per il re dell'incomunicabilità: Eugenio Montale.