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Autore: Enchalott    22/03/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La volontà di Irkalla
 
«Lasciate» ordinò il dio della Distruzione.
I lineamenti attraenti avevano riconquistato l’incarnato chiaro, i capelli sciolti lungo la schiena a incorniciare il volto perfetto brillavano di riflessi lunari e lasciavano intravedere tra le sopracciglia sottili il simbolo completo del suo rango.
Amathira trasecolò, certa di non aver inteso. Reshkigal sorrise, sicuro di aver capito alla perfezione.
«Ti attendevamo, Irkalla» lo apostrofò Kalemi «Sei il benvenuto, la tua rinnovata presenza è una benedizione. Ti informo che questa donna ha…»
«Lo so» lo interruppe il Distruttore con un lieve inchino, per risultare meno irrispettoso «Ho sperimentato sulla pelle che il dolore genera dolore, si dilata all’infinito, diviene brama di vendetta e richiama il male. Non permetterò che accada. Non toglietele suo figlio.»
Il sovrano celeste sospirò, riflettendo sull’autenticità delle affermazioni.
«Cosa proponi dunque? Le azioni di Amathira non devono restare impunite e creare un precedente. Non voglio che l’eccessiva tolleranza venga scambiata per debolezza o peggio per noncuranza.»
«È giusto, maestà. Chiedo la verità. Che ciascuno prenda coscienza delle azioni inique che ha commesso, a partire dal sottoscritto. L’unità di misura sarà la stessa.»
Amathira avvampò, colma di vergogna. La condotta scellerata che lui si stava attribuendo era sua responsabilità primaria. Era stata lei a causare ogni nefandezza e non aveva mosso un dito per porvi rimedio. Ebbe orrore di se stessa.
«Ma tu hai già pagato un prezzo inestimabile!» intervenne Valarde, stringendogli il braccio «È stata la tua sofferta rinuncia a regalarci una chance, Irkalla. La verità che ti riguarda non ha bisogno di chiarimenti. E se costei non ti avesse maledetto…»
Il dio della Distruzione sollevò la mano, impedendole di proseguire con quelle pur valide accuse. Le sfiorò la fronte con un bacio, guardandola con affetto. Poi spostò l’attenzione su Yasha, che lo osservava con intimidita curiosità: le iridi lucenti erano identiche a quelle di Reshkigal, i riccioli platino avevano la sfumatura stellare della chioma intrecciata di suo padre. Quando aveva posato gli occhi su di lui non aveva dubitato dei suoi natali. Sorrise e in quell’atto singolare la sua somiglianza con il fratello incrementò.
«Inoltre» rincarò nel contempo Elkira «I mortali ti considerano un aguzzino, ti temono, mentre adorano la dea della Luna come una madre. È ridicolo! Se permettiamo che conservi il suo incarico, l’assurdità continuerà per sempre! Come puoi tollerarlo!?»
«Non intendo farlo» obiettò Irkalla serafico.
«Accolgo la richiesta» tagliò corto Kalemi «Se prediligi la verità alla damnatio memoriae, sarai accontentato. Quanto al resto…»
«La perdono» pronunciò lapidario il Distruttore.
L’affermazione deflagrò per il pantheon, pietrificando la platea. Soltanto il Custode delle Anime mantenne l’imperturbabile serenità.
«C-che…?» balbettò esterrefatta la dea della Montagna «Sei impazzito?»
Il dio del Buio sgranò gli occhi violetti, a metà tra lo scandalizzato e l’intrigato.
Il principe degli dei sorrise con indulgenza.
«Mi avevano raccontato che eri sottile, Irkalla. Hai la mia sincera stima, ti confesso che vorrei imparare da te. È l’unico modo che ti viene in mente affinché tuo fratello e tuo nipote non scontino una pena che li coinvolge da innocenti, vero?»
«Sì» ammise il Distruttore «E no» aggiunse con pari ironia «Concedo la mia assoluzione a quella donna perché non provo rancore nei suoi riguardi. Questo non significa che desideri aver a che fare con lei.»
Amathira si accasciò in lacrime, abbracciando Yasha. Non osò sollevare il volto verso l’antico amante, non ardì sostenere il suo sguardo. Attendeva da parte sua un rovescio d’astio, un supplizio, l’eternità dell’esilio. Scoprì a sue spese che due semplici parole le avevano fatto più male e che quel dolore derivava dal senso di colpa. Si vide per ciò che era. Quella era la sua punizione, la più indicata, la più corretta e l’avrebbe accettata. Si sentì svuotata, ma l’insolita sensazione non era che il frutto del potere di Irkalla: quello che consentiva persino a lei, che aveva mancato nei suoi confronti, un inizio. L’autorità del Distruttore non possedeva alcunché di negativo nella sua terrificante manifestazione. Si era sbagliata su di lui, in tutto.
Reshkigal si inginocchiò, circondando con le braccia la sua famiglia.
«Grazie» mormorò rivolto al fratello.
«No» ribatté questi, sfiorandosi il petto privo del Medaglione «Grazie a te.»
«Non approvo appieno la tua decisione, Irkalla» opinò il principe celeste «Ma la rispetto e la convalido, poiché avevo disposto che fossi tu a comminare il castigo. In ogni caso la verità è la via migliore.»
«Esprimo la mia riconoscenza, maestà.»
«E io la mia» fece eco Kalemi «Ci siamo focalizzati su come condannare un’offesa, quando avremmo dovuto pensare a come manifestarti la nostra gratitudine. Abbiamo un debito inestimabile con te. Chiedici quello che vuoi.»
Irkalla socchiuse gli occhi d’oro fuso e sorrise imperscrutabile.
 
 
Eudiya strizzò gli occhi, feriti dall’esplosione incandescente. La successiva raffica di vento l’aveva gettata a terra come un fuscello. Non aveva mai sperimentato nulla di simile: la paura continuò a occuparla, resa più intensa dal fenomeno inaspettato e dal senso di impotenza che esso aveva generato.
Cercò il pugnale a tentoni, rammentando lo sguardo agghiacciante del daimar che aveva fatto atto di attaccarla, certa che non avesse rinunciato alla preda. Non scorse né l’uno né l’altro. Era sola sul tratto intatto degli spalti.
Il cielo era bianco e la pianura sottostante era avvolta in una nebbia lattea, diversa da quella opprimente che l’aveva avviluppata negli istanti precedenti. Una sagoma alata emerse dal vapore eburneo, come catapultata nel presente da un altro luogo. Un verso acuto stracciò l’aria, accompagnato da un frullio di piume. Eudiya sbatté le palpebre, per accertarsi di non essere vittima di un inganno.
«Mandaree?»
Lo strik si posò sulla merlatura sconnessa, scrutandola con le pupille di giaietto. Allargò le ali immense e di nuovo lanciò al cielo il suo superbo richiamo.
«Cos’è accaduto, piccolo amico? Non odo la battaglia, dimmi che qualcuno è…»
Alle tue spalle.
Il messaggero inclinò la testa, replicando a suo modo e dando la precedenza a ciò che riteneva importante. Eudiya si voltò raggelata, preparandosi a incontrare l’abisso tetro della morte.
Nella rovina c’era un uomo che impugnava una spada. Il mantello era scarlatto e ondeggiava ai refoli capricciosi del vento. Un cerchietto dorato stretto alla fronte tratteneva la chioma ramata, il viso abbronzato era incorniciato da un’ombra di barba, che evidenziava la bocca sensuale. Gli occhi verdi scintillavano come gemme.
«Stelio…»
Una lacrima le scese lungo la guancia.
Il reggente spalancò le braccia e la accolse nella stretta lungo agognata, la baciò con foga.
«Eudiya, sei un dono degli dei, un palpito del mio cuore.»
Rimasero allacciati, piangendo in silenzio dopo i mesi di distacco forzato e paura, incapaci di realizzare di far parte del mondo, se di mondo era possibile parlare.
«Come puoi essere qui? Non puoi essere tu. Non sei un inganno dell’ombra?»
«Amore mio, sono reale. Fatico a persuadermene, ma le lacrime mi aiutano ad affermarlo. Non posso risponderti sul come. Gli Aethalas e i Melayr sono hanno sfondato le linee degli Anskelisia quando c’è stato quell’attimo di sospensione. Siamo entrati in città, approfittando della ritirata dei daimar, mentre gli Haltaki e gli Iohro hanno fatto da esca.»
«Oh dei! Eisen e i guerrieri delle tribù…?»
«Non lo so. Ci siamo separati, sono rimasti fuori. Il mio obiettivo era raggiungerti, ma in quella caligine era impossibile. Mandaree ha cercato di farmi capire che ti trovavi in pericolo: mi sono fidato del suo istinto e mi sono lasciato guidare, finché non c’è stata quella scossa e ti ho data per persa! Ma il messaggero alato ha continuato a volteggiare in cerchio sulle macerie della torre, così mi sono arrampicato, sperando che la terra cessasse di tremare e il cielo di precipitare.»
«Quella deflagrazione devastante e questo silenzio spaventoso… ho il terrore di scoprirne la portata. Oh Stelio, se tutto avesse smesso di essere?»
«Lo affronteremo. Qualunque cosa sia, vi andremo incontro tenendoci per mano.»
 
Ilyon si precipitò nel padiglione eretto come ricovero per i feriti. Si guardò intorno con ansia, scostandosi i capelli bruni dal viso imbrattato di polvere, cercando il fratello tra coloro che occupavano i giacigli.
Zheule, inginocchiato al capezzale del secondogenito, lo riconobbe e lo richiamò.
«Niyla?»
«È fuori pericolo. Il colpo che gli ha inferto il sulluhat non era grave.»
«No» mormorò Ilyon «Le lame nere di quei maledetti non concedono rifugio. Ho visto i miei uomini cedere a un’agonia peggiore della morte e non erano stati colti in punti vitali, mentre Niyla...» rabbrividì al ricordo del fratello che scivolava a terra in un lago di sangue «È accaduto un miracolo, padre. Se non fossi stato presente, io…»
Il portavoce dei Thaisa aggrottò la fronte senza comprendere. Era rimasto indietro come ordinato, limitandosi ad assistere il figlio in quelle ore spasmodiche.
«I nostri alabardieri hanno sbarrato la via agli Anskelisia lungo la piana, poi è giunta la notizia che Erinna stava subendo un attacco da est» spiegò Ilyon «Gli Iohro si sono spostati laggiù con il capitano Dare Yoon e noi abbiamo dovuto rinforzare da soli la prima linea di difesa. Ayonira ci ha lasciato un contingente esiguo di yafandi, gli altri Melayr hanno seguito Stelio all’interno della città. Eisen ha preso il comando dell’ala di Niyla, ma ciò è servito a rimandare di un infinitesimo il momento in cui i daimar ci hanno sopraffatti. Ricordo alla perfezione.»
«Dei misericordiosi! Che ne è dei Thaisa?»
«Abbiamo caricato i nemici, padre, non c’era alternativa. I Thaisa non si sono tirati indietro, ci siamo preparati all’impatto, a lasciare questo mondo lottando, ma… tutto è diventato bianco, il suolo su cui posavamo i piedi si è ribellato, il vento è calato come una falce messoria e non sono stato in grado di discernere nulla. L’ultima cosa che ho visto, lo giuro sul nome sacro di Amathira, è stato il dissolversi dei corpi dei nostri avversari.»
L’aspetto sconvolto del giovane non lasciava adito al sospetto che si trattasse di una pia illusione. Inoltre non era facile impressionare Ilyon.
«La nostra gente è qua fuori. Attende che la foschia si diradi.»
Il bailye annuì con energia, rimettendosi in piedi.
«Troviamo il reggente» disse «E tua sorella.»
 
Quando il cielo era andato in frantumi e si era tinto di un candore fiammeggiante, aveva serrato le palpebre, stringendo tra le dita intorpidite la sabbia fine della sua terra. Quella amata, per cui aveva dato ogni scintilla di vita. Aveva percepito la lama gelida del daimar affondargli nel petto, aveva pensato di non aver fatto abbastanza, di non essere stato valoroso, che se avesse avuto altro tempo e altro fiato…
Non gli sembrava di essere morto, ma non poteva dirsene sicuro poiché nessuno era mai tornato indietro per raccontare l’aldilà. Però era strano che il punto in cui la spada nera lo aveva attraversato gli dolesse tanto: a quanto ne sapeva, gli spiriti non provavano le medesime sensazioni di un corpo di carne. Ma poteva trattarsi di un’altra sciocca credenza.
Quel ragionamento contribuì a consolidare l’idea di essere vivo. Se non fosse stato impossibile, se quel bianco incandescente in cui era precipitato non fosse stato tanto innaturale e il vento così rovente sull’epidermide e i suoi ricordi tanto vividi e il suo ultimo pensiero così nitido…
Dare Yoon balzò a sedere con un gemito, inalando avidamente l’aria e portandosi la mano al cuore: sgranò gli occhi quando realizzò che sul suo petto non c’era alcun taglio, solo una bruciatura a malapena visibile, che gli attraversava obliqua il sole.
«Per tutte le oasi!» ansimò, dirigendo lo sguardo verso l’alto.
La volta celeste stava riacquistando colore, la nebbia fredda che stagnava tutt’intorno si sfilacciava in volute spiraliformi e quello che si intravedeva era il paesaggio inconfondibile di Elestorya. Si alzò con uno sforzo, senza capacitarsi. Recuperò la spada e la rinfoderò, come se la collaudata consuetudine potesse fornire le risposte.
«Capitano!»
In quel silenzio greve il richiamo lo fece trasalire. Si voltò per incontrare le espressioni stranite di un gruppo di Iohro: stringevano i balato come ancore di salvezza e apparivano spaesati quanto lui. Dietro di loro la linea irregolare del precipizio era sgombra. Nessuna presenza maligna, solo la roccia e l’argilla rossa del deserto.
«Cosa diamine…?»
«Quella luce, comandante» balbettò l’uomo, incapace di concepire l’evento «Ha attraversato il campo di battaglia come un’onda d’urto. I daimar… ah, li ho visti ardere come tizzoni, estinguersi in cenere e il vento ha disperso ciò che ne restava. Ci siamo riparati e quando siamo usciti eravamo soli.»
Gli uomini che lo accompagnavano annuirono. Erano malconci, ma nessuno esibiva ferite gravi: lividi, escoriazioni, sangue rappreso sui volti e sulle membra, abiti laceri e sconcerto. Gli Iohro non erano abituati ad aver a che fare con fenomeni inspiegabili. Come lui erano concreti e non prestavano fede alle favole.
Dare Yoon aggrottò la fronte, recuperando alcuni flash di memoria. La luminosità che aveva cancellato il circostante, a ben vedere lo aveva riempito: nell’oggettivo senso del termine, era scesa dentro di lui. Non rammentava altro, se non una sensazione di pace e di ristoro.
«Ispezionate la zona» ordinò, scrutando l’orizzonte ondulato delle dune.
I guerrieri scattarono sull’attenti e obbedirono, ma quello che aveva descritto l’evento si trattenne.
«Voi state bene, comandante?» domandò con un certo imbarazzo.
«Sì. Grazie per l’interessamento.»
Lo Iohro assentì e raggiunse i compagni. Dare Yoon liberò il fiato, estenuato. Serrò i pugni fino a sentire dolore.
Per niente. Non sto bene per niente.
 
Percorrere tutta quella strada e attraversare la sofferenza per perdere lei.
Ottemperare alla missione, compiere il dovere di uomo e di soldato per giungere tardi. Amare in modo così intenso e profondo da generare un’altra vita e non impedire che colei che gli aveva procurato quell’inestimabile dono perisse.
Giurare sulla spada e sulla fiamma, giurare amore eterno e fedeltà e ottenere che né la lama né i Superiori intervenissero per donna che era per lui ogni cosa. Stringere sua figlia al petto e non conoscere parola utile a spiegarle che non c’era tempo, speranza, alternativa e che il mondo sarebbe stato inghiottito dall’oscurità. Che sarebbe morta nella stessa ora in cui era venuta al mondo.
Non trovare la forza per maledire Ishkur, per dannare Irkalla o Anthos o qualunque mostro dormisse nell’animo spietato degli dei, non oltraggiare il loro nome per non morire con il cuore sporco, perché lo aveva promesso a lei e, se l’eternità dell’oltre non era una menzogna, ritrovarla nello stesso luogo in cui sarebbe andato.
Dionissa…
Rei non comprese se fossero le lacrime ad acciecarlo o il fulgore che proveniva dall’esterno, se le armi venefiche dei demoni gli stessero appannando i sensi attraverso il sangue che avevano contaminato.
Pianse riverso sul corpo di sua moglie, attendendo che i daimar giungessero a reclamare la sua vita. L’avrebbe spesa per salvaguardare Shionade: sarebbe stata l’estrema impresa.
I minuti scivolarono in avanti, la radiazione luminosa rischiarò ogni angolo della torre, ma non pretese la sua esistenza. Nessun demone, alfiere di atroce rivalsa, comparve sulla soglia per ingaggiare l’ultimo duello.
Il neo generale attese, smarrendo la nozione del tempo, precipitando in una sorta di limbo, riuscì a mantenersi cosciente grazie al contatto con il corpo fragile della sua bambina, che si muoveva piano nell’abbraccio.
La neonata gorgogliò e gli afferrò l’indice portandoselo alla bocca. Rei si riscosse, sollevandosi dalla prostrazione fisica, ma il gesto naturale della piccola, che doveva essere affamata, gli assestò un altro spasimo di sofferenza.
«Che farò, Shionade?» sussurrò, scrutandola negli occhi che avevano lo stesso grigio dei suoi «Non sono neppure in grado di nutrirti.»
La mano della bimba era calda come l’involto che la avviluppava, persino il corpo abbandonato di Dionissa appariva tiepido in quell’abbraccio disperato.
«La spada che servo è vana in quest’ora funesta, ogni ansito che esalerei per te non ti strapperebbe al destino crudele che ci è stato comminato. Perdonami, tuo padre è un uomo inutile, capace soltanto di piangere per l’amore che non è riuscito a salvare.»
Si passò la mano sugli occhi con l’intento di scacciare il velo che gli offuscava lo sguardo, per riempirsi con l’immagine innocente di sua figlia.
Qualcosa gli sfiorò la guancia. Rei sobbalzò. Non poteva essere Shionade e nessun daimar lo avrebbe toccato con tanta dolcezza.
«L’amore è salvo.»
Fissò esterrefatto il volto esangue della principessa. Le sue iridi verde oliva erano accese di gioia e  di vita. La veggente sorrise al suo sbalordimento e gli asciugò con le dita le tracce bagnate che gli segnavano il volto.
«Non ti ho mai visto piangere.»
Rei avvampò e finalmente riuscì a restituire la carezza, tremando per la paura di incontrare un eikatoptri.
«Non ti ho mai vista morire tra le mie braccia. Dionissa, com’è possibile? Non mi sono sbagliato, tu eri…»
L’aiutò a sollevarsi e nel contatto concreto con la sua fisicità le incertezze sbiadirono. La accolse al petto e la baciò con slancio per avere un’ulteriore conferma. Poi perché si convinse di non averla perduta. Infine perché ne era perdutamente innamorato. Allontanò le labbra dalle sue solo per ripeterglielo.
«Gli dei hanno ascoltato le mie suppliche?»
Dionissa lasciò che il Kalah la riempisse, che le forze che l’avevano abbandonata riacquistassero vigore: compresa tra lui e Shionade si sentì più viva che mai.
«No. Uno soltanto. Uno degli Immortali ha dato prova di un amore immenso e in virtù di esso ci ha salvati. Il sommo Irkalla ha annientato l’oscurità.»
«Ma… il mondo ancora esiste, non è estinto!»
«Sì. Puoi accettarlo?»
La veggente appoggiò la fronte quella del marito e gli inoltrò le dita tra i capelli bruni, ascoltando il suo respiro e il pulsare veloce del suo cuore di guerriero.
«Guarda» bisbigliò «Guarda tu stesso, amore mio.»
Le immagini provenienti dalla sacerdotessa si riversarono nella mente di Rei: la luce del Distruttore era bianca e rovente, il suo incedere inarrestabile, un flusso onnipossente e limpido, un’aura pura e incontaminata.
La vide esplodere da Nord, ripulire ogni traccia deamhan che infestava l’esistente, la scorse dilatarsi e avvolgere il creato, planare sull’oceano impazzito e lambirne i marosi, la osservò calare sul deserto con la velocità di una folgore e disgregare i daimar che guidavano le forze del male contro la loro terra. La guardò investire come un uragano sfolgorante le orde degli Anskelisia e i sulluhat alla loro testa, li intese bruciare in un rantolo all’implacabile tocco divino e percepì l’odore della cenere dispersa da quella furia distruttrice e giusta. La seguì attraverso il campo di battaglia, sentendola mutare in un’essenza monda e misericordiosa.
La ammirò mentre scendeva con amore infinito tra gli uomini, la vide cauterizzare le ferite provocate dalle spade nere e svincolare le menti assediate dagli artigli dell’oscurità, una catarsi, una speranza, un nuovo incipit. Distinse con chiarezza la potenza celeste richiamare il respiro di chi aveva sacrificato la vita in nome di un identico amore, di chi ne era pieno, come i difensori di Iomhar, come gli ultimi guerrieri delle tribù nomadi, come Dare Yoon, come la sua Dionissa… e allontanarsi dall’universo in una scia splendente, energica e incommensurabilmente malinconica.
«Per tutte le dune! Questa era… è…»
«La volontà di Irkalla» confermò Dionissa.
L’ufficiale si specchiò in silenzio nelle iridi lucenti di sua moglie.
«Avevo torto» mormorò mortificato «Ho mancato fino all’ultimo nei suoi riguardi. Mi sento così… così…»
«Invocheremo il perdono. Tutti abbiamo persistito nell’errore. Tutti tranne Adara.»
Rei annuì, riguadagnando un po’ della sua innata sicurezza.
«Tsk! Se mi avessero raccontato che l’avrei rimpianto… »
Dionissa sorrise nel vederlo a disagio. Non accadeva mai e la singolarità non fece che accrescere il suo amore. Preferì non aggiungere altro.
«Qual è la prossima mossa avventata?» borbottò lui.
«Allattare tua figlia.»
Rei rise e i suoi occhi d’acciaio si colmarono di felicità.
 
 
Màrsali accarezzò il volto cereo di suo marito, avvertendo la ruvidità della barba scura e la linea callosa della cicatrice che gli sfregiava la guancia. Era tiepido e stava riguadagnando un tenue colore.
Dovette ripetersi che stava respirando: mentre ne cingeva le membra senza vita, aveva percepito i suoi polmoni gonfiarsi in un rantolo sibilante, quando il bianco abbacinante che aveva occupato il cielo li aveva avvolti, scendendo sul picco annegato dall’inondazione.
Inginocchiata accanto a lei, con gli abiti fradici di mare furente, Dessri afferrò il polso di Kesthar e il battito regolare si trasmise alle dita tremanti.
«È stabile.»
Màrsali annuì, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte, e le rivolse uno sguardo grato. Il suo si condensò nell’aria fredda, innalzandosi in volute.
La guaritrice raccolse le ciocche sfuggenti sotto il cappuccio e gettò un’occhiata ai cittadini di Jarlath: si stringevano gli uni agli altri al fondo dello sperone roccioso, per nulla tranquillizzati dal fatto che le acque del Pelopi si fossero ritirate senza affogarli. Nei loro occhi stagnava il terrore di veder risorgere deamhan dalla quiete improvvisa e sospetta calata su Iomhar.
«Moriremo congelati. Dobbiamo scendere, ma non hanno la forza di muoversi e hanno paura.»
La fanciulla di Odhran esitò, sfiorando con tenerezza il viso duro del marito. Lui mosse le labbra, ancora incosciente.
«È vinto. Il Nemico non è qui, non c’è traccia della sua entità corrotta.»
«Io vi credo. Si tratta di persuadere gli altri.»
Màrsali prese coraggio e si alzò, lasciando Kesthar alle cure della compagna. I dehalbh erano caldi e le comunicavano una sensazione di pace. Non esistevano dubbi di sorta. Si rivolse alle persone che attendevano frementi il suo responso.
«Il Nord è salvo. Il dio del Nulla e il suo esercito demoniaco hanno cessato di esistere. Una forza immensa, che nessuno è in grado di comprendere pur essendone stato testimone, ha redento il mondo. Deamhan non risolleverà la testa oggi e non sarà mai più una minaccia.»
Esclamazioni di sollievo si levarono dagli astanti. Gli iomharesi si abbracciarono, piansero di felicità, ringraziarono i Superiori e si lasciarono liberi di sperare nel domani. Non osarono di più. Qualcuno si avvicinò all’esile veggente per prostrarsi davanti ai segni sacri, altri la ringraziarono per la fiducia che aveva trasmesso in quelle ore spaventose. Gli occhi chiari degli abitanti del Nord erano colmi di aspettativa, riflettevano la tinta del cielo che diveniva di un turchese meraviglioso e sgombro da ogni cumulo funesto. Persino il gelo perenne perse vigore.
Màrsali si schermì all’eccessiva manifestazione di gratitudine: impedì ai concittadini di inginocchiarsi e strinse con umile affetto le mani tese. Non era stata lei ad annientare l’ombra, non aveva fatto nulla di speciale: avrebbe desiderato comprendere l’origine dell’energia carica d’amore che aveva distrutto l’oscurità.
Forse essa proveniva… forse il supremo Distruttore, forse è stato lui a…
Si avvide che i concittadini avevano preso a ridacchiare con furbesca complicità, parlottando imbarazzati, pur con una vena di timore reverenziale. Guardavano con insistenza alle sue spalle. Si voltò e i suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime.
«Kesthar…»
Ritto davanti a lei, appoggiato alla scure che aveva falciato ogni disumanità, il possente guardiano delle carceri sorrideva con dolcezza. Gli occhi cianite brillavano di un’emozione incontenibile.
Màrsali si precipitò tra le sue braccia, incurante degli sguardi curiosi e increduli dei presenti, che in quell’uomo, che li aveva difesi sino alla morte, intravedevano un vestigio del raccapricciante Haffgan.
Lui la baciò con passione davanti a ogni uomo e donna di Iomhar, refrattario alle parole di sconcertata meraviglia che leggeva sulle loro labbra.
«Non mi spiego perché sono vivo e posso toccarti. Non so perché quella luce mi ha graziato.»
«Per amore» bisbigliò la veggente, affondando il viso nel suo petto «Per quello altrettanto grande che ti riposa nell’anima.»
 
La fortezza era ancora in piedi: solo Leu-Mòr era crollata e appariva nel nitore dell’alba come un arto di pietra grigia, spezzato e rivolto al cielo in una muta supplica.
I cittadini di Jarlath scesero lungo il sentiero che conduceva al palazzo reale, osservando lo spettacolo in taciturno tumulto. Non avevano scorto traccia del loro reggente e, nonostante le frasi cariche di aspettativa e di promesse che aveva pronunciato prima della battaglia, seguitavano ad averne paura. Si domandavano che ne sarebbe stato di loro, del Nord, del Regno governato da un principe quale Anthos ed erano in ansia per l’adorata regina.
Attraversarono la spianata che precedeva la prima scalinata, ormai sgombra dalle nevi e dal ghiaccio.
Uno scalpiccio di zoccoli destò l’attenzione e li inchiodò nell’attesa. All’orizzonte si delineò la sagoma di un cavaliere. Kesthar sganciò l’ascia dalla schiena.
«Illtyd» esalò Màrsali, riconoscendo il purosangue del sovrano.
 
Adara sollevò lo sguardo sulle persone riunite ai piedi della reggia e le riconobbe. Smontò d’arcione e corse a precipizio, raccogliendo le ultime forze.
«Principessa?!»
La veggente accolse tra le braccia la giovane, che singhiozzava senza darsi pace. La accarezzò materna, attese che si sfogasse senza domandare nulla, percependone la sconfortante disperazione. La cinse con affetto, inginocchiata in mezzo alla strada, finché il pianto non si trasformò in un tremito afflitto. Porre quella domanda le costò.
«Il principe del Nord?»
Adara sollevò il viso inondato di lacrime.
«Ci ha salvati. Anthos ha sacrificato la sua vita per noi.»
   
 
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