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Autore: BabaYagaIsBack    27/03/2021    0 recensioni
Vol. 2
In un corridoio d'ospedale, con il cuore incapace di placarsi, Jay si rende conto di come sia facile incasinare tutto. Mentre si aggrappa con ferocia alla speranza comprende che a Jace è bastato partire, a Seth confessarle il suo amore e a lei lasciare un messaggio in segreteria. Nulla più. I sensi di colpa allora iniziano a lambirle le caviglie, ancorandosi nella carne dei polpacci, e d'improvviso si scopre incapace d'affrontare ciò che le si prospetta davanti.
Impaurita e confusa, Jay arranca tra i rapporti logorati dalle sciocchezze tenute segrete. Fugge senza meta da coloro che fino a quel momento aveva creduto di non poter perdere, obbligandoli infine a levarsi le maschere - da quelle più sottili a quelle più pesanti.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter Four
§ Not strong enough §
part one

 

"I feel heavy, I feel weighted
And I feel hungry, I feel wasted
Oh, I can't put my finger on my feelings
Put my ear to the ceiling, where is that coming from?
Where are you coming from?I'm just waiting for the walls of my insides to come clean
I've been praying for the day that my spirit is finally free
Some days it feels like the ocean lies inside of me
Lies inside of meAnd I feel paralyzed, been cut down to size
I hardly have the strength, to open up my eyes
'Cause I am swollen, and this has stolen my sanity
Well it's hard to see beyond this when it's fighting against me"

 

- Tonight Alive, The Ocean

 

Quando varco la soglia della cucina gli occhi di tutti mi cadono addosso al pari di macigni. Li sento colpirmi, gravare sulla pelle e, per un solo istante, avverto l'urgenza di allontanarmi il prima possibile dalla mia famiglia, quella che dovrebbe essere il "posto sicuro" in cui rifugiarmi e che, invece, mi sa tanto di gabbia. Persino loro, in questi giorni, mi fanno sentire come una sorta di fenomeno da baraccone, eppure sono certa che non abbiano la più pallida idea di cosa mi stia passando per la testa, i segreti che nascondo. Nemmeno si immaginano i casini che ho combinato, i rapporti che ho messo a rischio - però mi fissano, curiosi e preoccupati.

Mi siedo in silenzio, lenta, ricambiando i saluti di Liz e papà con un sorriso appena abbozzato e del tutto forzato per sedare il loro interesse e, nel farlo, noto che a tavola manca solo JJ. Se mio fratello non è qui può essere solo in altri due posti: camera sua, o casa Benton.
A differenza mia, infatti, lui sa alla perfezione di non dover anteporre il proprio stato d'animo ai bisogni di Thomas e Molly, a Charlie - sa come comportarsi, cosa fare, mentre io resto a crogiolarmi in questa sorta di autocommiserazione di cui, a essere onesti, farei volentieri a meno. Jace sa come mantenere l'autocontrollo, lo ha dimostrato più volte. Lui è abbastanza maturo da riuscire a gestire le proprie emozioni, quando gli viene richiesto, ed io, invece, non posso dire altrettanto.

Catherine mi passa accanto porgendomi una tazza di tè. Si sofferma alle mie spalle per qualche istante e, mossa da chissà quale istinto materno, mi deposita una carezza sui capelli: «Come stai, oggi?»
Vorrei non doverle rispondere. Anzi, mi piacerebbe che nessuno, fino a quando non avrò parlato con Charlie, mi rivolgesse questa stupidissima domanda, peccato che non mi sia concesso simile potere.

Afferro la ceramica con le dita. Scotta abbastanza da darmi fastidio, così aumento la stretta: «Okay, tranquilla.» Ma non è vero e sono lieta che mio fratello non sia qui per poterlo notare - perché a lui certamente non sfuggirebbero le occhiaie, lo sguardo spento, la tensione in ogni sorriso. Riconosce le mie menzogne quasi fossero sue.
«Sai che ci siamo, se-» la interrompo prima che possa uscirsene con qualche frasetta da film, finta, inutile.
«Non ti preoccupare, lo so.»
I nostri sguardi si incrociano giusto per qualche istante, poi torno a fissare il tavolo nella speranza di lasciar cadere la conversazione altrove, lontano da qualsiasi cosa possa affamare gli incubi che mi perseguitano la notte facendomi rivivere a oltranza quella chiamata, la notizia, il senso di soffocamento, la corsa a perdifiato e poi l'attesa, l'estenuante staticità in cui avrei voluto avere la forza per pregare qualsiasi Dio di non strapparmi Charlie dalle braccia.

Involontariamente mi ritrovo quindi a stringere con più forza la tazza, tanto che i polpastrelli bruciano e le nocche si sbiancano - chi si romperà per prima, le mie ossa o la ceramica?
Sto per scoprirlo, sento una delle due cedere, ma prima che succeda un rumore mi distrae da ogni pensiero. Mi ritrovo così a sussultare sulla sedia e per poco mi rovescio addosso il tè, rischiando di scottandomi. Torno con brutalità alla realtà, un luogo dove mio fratello appare inaspettatamente. Ha il viso paonazzo, la fronte imperlata di sudore e i vestiti da running stretti addosso, ma dalla sua espressione non trapela nulla: è stanco come sono io, arrabbiato, preoccupato o... non riesco a capirlo, a dire il vero non mi soffermo a sufficienza per farlo - vorrebbe dire dare anche a lui la possibilità di capire me.

Jace bacia mamma sulla guancia, rubandole dal piatto che ha davanti un biscotto: «Buongiorno, famiglia!» saluta poi, allegro. C'è però qualcosa di strano nel tono con cui pronuncia queste parole, una screziatura che mi fa irrigidire. Nella sua voce mi sembra di udire una nota eccessivamente acuta, cristallina, un'emozione così forzata da risultare tagliente come vetro - e ho la certezza che mi potrà ferire se non sto attenta, anche se è fragile e può andare facilmente in mille pezzi se colpito nel punto giusto. Così, mossa dal mio latitante istinto di autoconservazione, cerco di non attirare la sua attenzione, in modo da evitare di farci male a vicenda. Il rischio dopotutto è reale, conosco entrambi a sufficienza da sapere che siamo in grado di uccidere -, peccato che JJ sembri ricercare il brivido di questo pericolo, anelare a un contatto, bramare l'adrenalina prima del fendente.
Mi si siede accanto come se nulla fosse e per qualche istante i suoi occhi mi si soffermano addosso indagando l'espressione, poi, dal nulla, una sua mano mi si deposita sul ginocchio. Lo sento stringere la rotula fino a farmi credere che i nostri corpi si possano fondere e, come un lampo, comprendo che ha capito qualcosa, oppure vuole che sia io a farlo.

«Allora, novità su Charlie?» La lingua di Liz pare schioccare a ridosso dei timpani, mi fa sussultare come un petardo che scoppia alle spalle - e Jace lo nota, aumenta la pressione quasi stia cercando di tenermi ferma. Sta forse temendo una fuga?
Beh, fa bene. Se dovessi essere del tutto onesta in questo momento vorrei alzarmi e andare via, chiudermi in bagno e respirare l'aria a pieni polmoni, in modo da soffocare le possibili lacrime; però non ne ho la possibilità, lui non me la dà, così punto i gomiti sul tavolo e resto in attesa del filo del coccio di vetro sulla pelle. Quanto brucerà sentire la risposta di nostro fratello? Quanto sarà lungo il taglio sulla mia coscia?

«Meglio di ieri e peggio di domani, direi, ma sta comunque migliorando.»
Il cuore mi si stringe, lo stomaco si chiude. Avverto la punta del pericolo fare avanti e indietro, cadenzare l'attesa, scegliere il punto in cui affondare.
«Quindi ora potete andare da lui?» mia sorella continua imperterrita, ignara di quanto una conversazione così innocente, al momento, sia per me difficile d'ascoltare.
Jace allenta la presa, ma non mi molla del tutto: «No, non ancora. Per adesso solo Molly e Thomas hanno il permesso di entrare nella sua stanza. I medici dicono che si affaticherebbe troppo, altrimenti. Vogliono che resti tranquillo e... beh, Seth ed io abbiamo concordato di rispettare questa volontà.»

Mordo il labbro. Con gli incisivi tiro la carne, la torturo.
Non sapevo avessero ripreso a parlarsi.
Non immaginavo mi avessero nuovamente esclusa.

Tra me e mio fratello ci sono stati pochi scambi, qualche suo fallimentare tentativo di farmi sfogare e ora questo, nulla più, mentre l'unico contatto avuto con Morgenstern è stato un suo messaggio: "So che stanotte non dormirai, ma provaci, te lo chiedo per favore". Nessuno dei due ha cercato d'imporre la propria presenza per adesso, forse ancora troppo agitati, ma nonostante io non sia certa di volerli accanto a me, ci sono istanti in cui non vorrei far altro che aggrapparmi a loro e piangere, gridare, farmi male.

A Seth comunque avrei voluto rispondere, lo giuro, ma più tempo passavano a fissare lo schermo del cellulare, più la mente si svuotava - c'è una crepa tra noi, esattamente come mi sembra ci sia con Jace, ma non so se sia per colpa di ciò che è successo tra lui, Charlie e mio fratello, o per ciò che ho fatto io, per questo dolo che mi logora da dentro e che temo di confessare.

«Oh, quindi avete fatto pace?»
Ancora una volta non sa tenere la bocca chiusa, dice a gran voce ciò che JJ ed io abbiamo cercato di contenere, così Catherine si mette in mezzo: «Perchè, avevate litigato?» e mio fratello di tutta risposta tira un sorriso per evitare di far sembrare la questione complicata.
Ora lui si bagna le labbra nello stesso mio modo, passa la lingua svelta sulla carne secca e la tira appena con i denti: «Al momento abbiamo cose più importanti a cui pensare» taglia corto, forse a disagio, ma come sempre la nostra famiglia non riesce a tenere il naso fuori dalle questioni altrui.
«È per via della sua frequentazione con Jane? No, perchè ormai tua sore-»
Picchio un pugno sul tavolo facendo sussultare tutti e, non lo nego, mi ritrovo a rimpiangere sin da subito questo gesto, la mancanza di autocontrollo o raziocinio con cui ho brutalmente messo a tacere mamma - già, perché ora i loro occhi sono sgranati, puntano nella mia direzione quasi stessero guardando una pazza.
«Non credo siano affari vostri» bofonchio, sentendo l'imbarazzo e l'agitazione arrossarmi le gote.
E se fino a questo momento Catherine era riuscita a non comportarsi come suo solito, dandomi tregua, ecco che torna a essere la consueta sè.

«Davvero? Signorina, Jace fa ancora parte di questa famiglia, sai? E se succede qualcosa del gen-» ogni sua parola sembra pizzicarmi con sempre più fastidio. La pelle mi si irrita, la smorfia mi si contorce e sono certa, esattamente come lo sono di essere sul punto di un tracollo, che la cosa non finirà bene. Più lei insiste con questa paternale, più stringo i denti e la presa sulla tazza. Stavolta cederà davvero e i cocci che mi ritroverò in mano non saranno dolorosi come ciò che mi uscirà di bocca.
Ciò che temo, è che con la sua insistenza possa toccare tasti dolenti, che tra una frase e l'altra riesca a farci dire qualcosa di compromettente: il fatto che sia rimasta più volte a dormire da Seth, che lui abbia tradito la fiducia di JJ e l'amicizia con Benton, oppure che nel cercare di fare a pugni con mio fratello abbia procurato a me un occhio nero - e allora sì che le cose si farebbero complicate.

D'improvviso sento la voce di papà in sottofondo, fa capolino nel discorso cercando pacatamente di mettere fine allo sproloquio della moglie, alla sua sequenza di concetti a tratti sconclusionati - forse lui lo ha notato, forse si è accorto che sto ancora camminando sul bordo del precipizio da cui credevo di essermi allontanata la notte dell'incidente a Charlie. E se fosse davvero così dovrei realmente rivalutare anche la mia capacità di ovviare i discorsi e le situazioni.
Mamma dal canto suo dimostra di non averlo fatto, di essere cieca di fronte a qualsiasi cosa io stia passando. Continua imperterrita a muovere la lingua e rigurgitare parole arrivando persino ad accusare il marito di essere troppo buono con me, di non affrontare i problemi di casa come è giusto che sia, insieme. Come può non interessarsi alla vita del maggiore dei suoi figli? Come può non capire JJ e le sue paure? Come può permettermi di far dormire un ragazzo nel mio letto senza prima aver chiesto il permesso? Come può non accorgersi che sto diventando sempre meno rispettosa nei confronti di questa famiglia?

Fatico a capire come dalle vicissitudini di mio fratello sia riuscita ad arrivare a me, la mia insolenza, inadeguatezza e tutto il resto. Non comprendo come d'improvviso il fatto che io sia fidanzata sia un problema - così, colta da chissà quale altro moto di sconsideratezza, mi alzo in piedi nel bel mezzo della discussione.
Non riesco a sopportare nulla in questo periodo, figurarsi le scenate di mamma.

Ancora una volta batto il palmo sul tavolo e digrignando i denti mi ritrovo quasi a ringhiarle contro: «Ogni tanto riesci a capire che NULLA di tutto ciò ti deve interessare?! Sono EMERITI CAZZI MIEI, Cat!» senza preavviso mi volto verso Liz, la guardo probabilmente con la stessa rabbia riservata a nostra madre; dopotutto è stata lei a dire la cosa sbagliata, lei a mettere zizzania. Ed ecco che nuovamente sputo: «E DANNAZIONE! Tu sai tenere la bocca chiusa? O vuoi anche far presente a tutti che lui e Jace si sono presi a pugni in questa casa? Eh?!» Mi protraggo un poco verso di lei, la minaccio: «Beh, sai che c'è? Ti tolgo l'impiccio! Così per una volta la smetti» punto l'indice in direzione di Catherine: «di essere uguale a lei!»

Sento una sedia strisciare sul pavimento, con la coda dell'occhio vedo papà alzarsi. Sta per tirarmi una sberla, ne sono certa. Stavolta ho davvero superato qualsiasi limite - e allora mi preparo, lo fronteggio. I nostri occhi si incontrano, nei miei c'è già la minaccia del pianto; e allora provo a rendergli tutto più semplice.
«Vuoi punirmi? Fallo. Ti prego. So perfettamente di essere una stronza egoista e-»
Il colpo arriva, ma certamente non me lo immaginavo così secco, violento, inclemente. Forse in un angolo recondito di me ho persino sperato che non arrivasse, che fossero solo i timori di una bambina un po' troppo cresciuta, ma a quanto pare non è così.

La prima lacrima scende fin troppo velocemente. Scivola lungo la guancia e cade a terra, permettendo al mio petto di gonfiarsi come il pallone di una mongolfiera. Chissà se ora, gettandomi nel precipizio, potrei evitare di cadere.

Jakob si rimette seduto.
«So che stai passando un momentaccio, Jane, esattamente come tuo fratello, ma questo non ti dà il diritto di non aver considerazione per la mamma ed Elizabeth.» Io deglutisco, lui continua: «Stiamo cercando di starti vicino, ma non se queste sono le tue condizioni, sappilo.»

Annuisco, ma non so bene per cosa.
Forse per confermargli che ho sentito le sue parole. Forse per dirgli che ho capito, che sono pienamente d'accordo con lui. Forse mi sto solo evitando di pensare a qualche altra cattiveria da vomitare sui piatti della loro colazione - non ne ho idea e men che meno voglio soffermarmi sulla questione per capirlo.

Il silenzio intorno a noi si sta facendo pesante, prova a schiacciarmi a terra obbligandomi a restar qui e affrontare l'umiliazione - peccato che non ne abbia voglia, che sia già abbastanza provata da tutto il resto. Così prendo un grosso respiro e, un passo alla volta, mi dirigo verso l'atrio. Arrivo all'attaccapanni con la stessa coscienza di un automa, incapace di capire veramente quali siano le mie intenzioni e, qui, prendo dal mucchio di vestiti la mia giacca.

Devo uscire.
Ho bisogno d'aria.

Da qualche punto alle mie spalle Catherine mi chiede cosa stia facendo, dove voglia andare, ma non le rispondo. In questo preciso istante non ho idea di cosa potrebbe sfuggirmi dalle labbra - e direi che uno schiaffo è più che sufficiente per ora.

Indosso la giacca sopra a quello che è stato il pigiama della notte passata e senza voltarmi infilo le scarpe che ho abbandonato vicino alla porta insieme a quelle dei miei fratelli. Non mi premuro di allacciarle, men che meno mi preoccupo di prendere altro. Ho tutto ciò che mi serve: il cellulare nella tasca della felpa, sul viso il segno vivido della mano di papà e negli occhi le lacrime che non riesco più a fermare.
Non ho bisogno di nulla più di questo, o forse...
Esito appena.

Ancora una volta, preoccupata, mamma prova a chiedermi qualcosa, forse cerca di persuadermi a restate, peccato che la sua voce a un tratto paia scomparire dalle mie orecchie.
Se nemmeno Jace prova a fermarmi, allora non ho motivo di restare.
Così chiudo le parole di Catherine dietro la porta di casa. La lascio lì insieme al resto.

   
 
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