II
☼ L’Ora della Luna (Parte II)
Se
c’era una cosa che
Edgar non sopportava, era il boato di una grande folla di persone: il
vociare
ininterrotto e disordinato, incontrollato e indefinito, era una
continua
stilettata alla sua timidezza, lo faceva sentire oppresso e gli
instillava la
voglia irrefrenabile di rifuggire tutti e trovarsi un angolo quieto
dove
lasciar passare la tempesta; né poteva aiutare il fatto che
spesso gli
argomenti trattati fossero molto lontani da qualsiasi suo interesse e
quindi non
riuscisse a trovare un modo per farsi coinvolgere da essi, con il
risultato di
venire ignorato i due terzi delle volte o essere additato come
l’“inquietante”,
“strano” o “incomprensibile”
figlio di John Allan, quello che non faceva altro
che scrivere per giorni e non permetteva quasi a nessuno di leggere
quanto
aveva creato, passava le notti a rimuginare su libri o storie di
delitti,
misteri e ombre, raramente si mostrava agli altri e solo il cielo
sapeva in che
genere di fatti era coinvolto.
L’esatto discrimine tra
quanto ci fosse di vero in queste chiacchiere e dove iniziasse la pura
speculazione, neppure Poe avrebbe saputo definirlo; ma quella sera le
convinzioni di tanti avrebbero potuto vacillare, perché
nonostante una metà di
lui desiderasse allontanarsi dal caos crescente, l’altra non
voleva staccarsi
dalle stanze gremite di persone.
Rispetto a un mese fa,
l’aria di Richmond era completamente cambiata a causa dei
nuovi accadimenti, ma
nelle ultime ore era nuovamente mutata: da quando era rientrato alla
villa, la
pelle di Edgar pareva sfrigolare sotto la sensazione elettrica che
qualcosa
sarebbe successo proprio lì, nella sua casa e durante la
festa che John aveva
organizzato per settimane — il felice esito di
lunghi commerci va sempre
onorato, e precipiti pure la città con tutte le sue pietre,
i festeggiamenti si
terranno! — e, nonostante lo spaventoso periodo,
non voluto rimandare di un
giorno[1]. In breve, sentiva
che la sua presenza era
necessaria, anche se si chiedeva il come e il perché.
Tormentandosi senza posa
il papillon che Virginia gli aveva fatto indossare
e cercando di
svicolare alla curiosità di chi gli domandava se ci fosse
anche la sua mente
dietro i fortunati colpi di John, o se semplicemente si fosse
finalmente deciso
ad abbandonare un mondo di oscuri racconti per vivere nella
realtà e obbedire
maggiormente a suo padre[2], più di
una volta gli sorse un dubbio
sulle proprie percezioni; inoltre la cugina, l’unica che
avrebbe potuto
aiutarlo a sopportare il marasma, era stata rapita dalla signora
Frances Allan e
non era ancora ricomparsa, così da costringerlo in una
situazione che faticava
a gestire.
Probabilmente, se si
fosse trovato in uno stato d’animo più disteso e
meno vessato da chi gli era
intorno, avrebbe notato immediatamente cosa avesse cambiato
l’atmosfera, ciò
che mancò per circa un’ora;
oppure no, perché gli eventi hanno un modo
tutto loro per manifestarsi, che nessuno può prevedere.
Certo fu che, come si
sussurrò senza realmente comprendere, in
quell’occasione in molti ebbero
l’impressione di essere osservati da un occhio invisibile e
provarono l’impulso
di lasciare la villa, per poi cambiare completamente idea.
Intanto, gli ambienti si
stavano arroventando sempre più a mano a mano che le
lancette correvano sugli
orologi e i pendoli perdevano la voce tra altre mille, alleviando
l’impeto di
tanti e ricoprendoli di un’atmosfera sospesa, quasi irreale,
dove tutto andava
stemperandosi in fantasmi di luci e impressioni di un unico istante; e
mentre
Edgar riusciva a scovare un angolo quieto e vi si rifugiava per
riprendere a
respirare, si faceva strada in lui la profonda impressione di essere
ancorato
lì per cogliere gli uni e le altre — di essere
l’unico, fra tutti, che poteva
comprendere.
«Sotto certi aspetti non
sei cambiato affatto, giovane Poe; ciò mi
rallegra.»
L’unico,
o quasi.
Il moro
non riconobbe
immediatamente quella voce, concentrato com’era a rincorrere
quello che
sentiva; ma percependo distintamente una piccola scossa attraversargli
la spina
dorsale — il suo cuore sapeva già chi aveva
parlato — e volgendo lentamente il
capo alla sua sinistra, Edgar incontrò gli occhi pieni
d’intelligenza e calma di
uno degli uomini che lo aveva sempre fatto tremare
d’ammirazione; tra gli amici
e i conoscenti di John, in assoluto il suo preferito e
l’unico che sosteneva e
apprezzava le sue opere, Frances e Virginia a parte. Proprio sua cugina
aveva
compreso bene, quindi, quando aveva udito i coniugi Allan citare il
nome del
distinto, alto signore che sorrideva al suo stupore: e Auguste Dupin[3]
non aveva avuto alcuna esitazione nel partecipare alla festa, lasciando
la
sicura Parigi per addentrarsi nei misteri di Richmond.
Pensando a quanto
conosceva dell’uomo, Poe si ritrovò a non esserne
molto sorpreso, tuttavia
perse gran parte del fiato che possedeva e riuscì solamente
a sorridere a
propria volta. «Monsieur Dupin»,
mormorò infine in un soffio facendo un
piccolo inchino con la testa e il busto, subito interrotto
dall’altro, che rise
con garbo e lo prese per le spalle per spingerlo a rialzarsi.
«In piedi,
ragazzo, prima che tu mi metta in imbarazzo! Sai che non mi merito
tutto
questo…» Una rapida occhiata alla sala,
completamente ignara di loro, «… anche se
questa sera è particolare, e per più di un
motivo. Stai bene, nonostante la
folla che ci circonda?»
«Sorprendentemente e
probabilmente solo per questa volta, la moltitudine di persone qui
riunita è
una brezza primaverile.» Poe fece una pausa, non volendo
rivelare il pensiero
che gli aveva appena attraversato la mente; ma l’acuto Dupin
lo colse comunque,
così che assottigliò gli occhi e questi si
caricarono di luce penetrante,
capace di rischiarare anche le più buie segrete
dell’anima. «Non temere: non è
accaduto nulla di preoccupante durante il viaggio, e non
avverrà in futuro.
Inoltre, un unico sguardo a questa casa e a te mi ha fatto comprendere
che il
mio posto sia qui. Hanno già versato…»
I lampadari tremolarono
per un istante e la folla si agitò; o così
sembrò al giovane, che non riuscì a
comprendere le ultime parole di Dupin. Non era nelle abitudini di
quest’ultimo
dilungarsi in discorsi di cortesia e rimandare quanto più
gli importava, ma
nell’attimo in cui la realtà sembrò
tremare, Edgar desiderò portare la discussione
lontano da lì e dagli altri, quasi riguardasse solamente
lui. Mentre osservava
il volto maturo dell’altro, ebbe la certezza di non avere
sbagliato del tutto —
forse, nemmeno di un poco. «Come vi sentite? È da
parecchi istanti che
adocchiate le uscite: se vi piace, possiamo andare in giardino. Aria
fresca
farebbe bene a entrambi.»
In risposta, il francese
rise forte, poi scosse il capo. «Questo non è un
malessere fisico, ragazzo, non
preoccuparti.» Una pausa, seguita da un piccolo colpo
dell’elegante bastone da
passeggio sui marmi del pavimento. «Ma dimmi: come sta
procedendo l’opera di
cui mi hai parlato? Ci siamo lasciati su un delicato caso di triplice
omicidio
senza testimoni e, prima di leggere la sua risoluzione, vorrei esporti
la mia teoria
in merito. Poi, sarai libero di confermare, oppure stupirmi.»
Edgar s’illuminò in volto
nell’udire ciò, e la sua voce cambiò
tono mentre invitava l’altro a esporre le
proprie idee e iniziava a guidarlo lungo il corridoio che portava al
proprio studio.
Prima che ciò accadesse, tuttavia, fu Dupin a bloccarsi nel
parlare e nel
passo, lo sguardo attratto da qualcosa presente proprio nella sala.
Puntando gli occhi nella
stessa direzione dell’uomo, Poe non poté che
comprendere il perché
dell’improvvisa immobilità né fare a
meno di sorridere: leggera ed esitante
come una farfalla appena uscita dal bozzolo, Virginia stava facendo il
suo
ingresso nella grande camera, splendendo al pari di un piccolo sole e
accarezzando lievemente il dono personale di Frances — una
graziosa veste
cobalto dalla gonna in tulle e con il corpetto ricamato a minute
spirali
d’argento, che s’accompagnavano ai delicati fiori
in zaffiro che le adornavano le
morbide onde dei capelli. Questi ultimi, lasciati liberi dalla
costrizione di
qualsiasi acconciatura, finivano per arricciarsi e seguivano ogni ombra
del
corpo di quella che, già molto bella, prometteva di
diventare meravigliosa:
quella sera, la Grazia aveva deciso di toccare unicamente lei e
rivelare un
futuro di splendore. Le guance arrossate dalla trepidazione, lo sguardo
lucente
della fanciulla incontrò quello ammirato di molti e rispose
con garbo a ognuno
di essi, ma un più ampio sorriso le si dipinse sul volto non
appena incrociò gli
occhi di suo cugino e di Dupin, per poi salutare entrambi con un cenno
del capo.
Da parte propria, staccando
lo sguardo dalla fanciulla e ritornando al suo interlocutore, anche
Dupin
sorrise; quindi, posò una mano sulla spalla di Edgar e fece
un lieve sospiro.
«A volte mi dimentico di quanto siate cresciuti voi
ragazzi… era da molto che
non vedevo Virginia, e la mia mente non riesce a credere che sia
già una
giovane donna.»
Alle orecchie di Poe,
quelle parole suonarono tanto malinconiche che la figura della cugina e
il
desiderio di raggiungerla si affievolirono e lo fecero protendere verso
il
gentiluomo, che in risposta lo prese sottobraccio e nel silenzio gli
chiese il
suo tempo. «Credo che per noi sia davvero giunto il momento
di darsi per vinti
e ritirarsi. E non abbiamo qualcosa, e anche più, di cui
discutere insieme?»
Con un ultimo sguardo a
Virginia e alla sua aura brillante, i due si lasciarono alle spalle le
gloriose
stanze e la loro ridda di colori[1], per poi
dirigersi verso la
camera che John, non senza esitazioni e solamente dopo lunghe
discussioni con
la moglie, aveva destinato a Edgar e alle sue
“stravaganze”, come l’uomo le
definiva, in cambio di un seppur minimo aiuto del giovane nella
gestione dei
commerci. Un piccolo ambiente, piuttosto angusto e oscuro in
verità, dove
poteva entrare solamente chi il moro desiderava, in cambio di qualche
frammento
della sua mente acuta: comunque una vittoria, conoscendo il carattere
orgoglioso di John — una delle poche qualità, e di
certo la più forte, che
condivideva con il figlio —, come Dupin riconfermò
quando Poe gli aprì davanti
una piccola porta dalla foggia semplice e lo introdusse in un regno
composto da
libri dalla copertina scura, fogli e volumi intonsi accuratamente
sistemati su
una larga scrivania, odore d’inchiostro e fiori freschi.
«A differenza delle volte
precedenti, riconosco l’opera di due persone»,
esordì il parigino non appena
ebbe messo piede nello studio e notato l’ordine maniacale e
il tocco floreale,
nonché piccoli dettagli che sarebbero sfuggiti ai
più a una prima occhiata, «tua
e di Frances Allan, immagino?»
Edgar sorrise dolcemente
e, al di sotto della cortina di capelli che gli copriva la fronte,
anche gli
occhi lavanda lo fecero. «Di Virginia, principalmente: deruba
il giardino dei
suoi tesori e me li porta, chiedendo in cambio una storia. La pulizia
che vedete
è opera sua.»
«Qualcuno benedica quella
ragazza e l’adorazione che avete l’uno per
l’altra, perché vi porterà grandi
ricchezze.» Ma non c’era solamente affetto nel tono
dell’uomo; oltre le tende
blu che schermavano l’unica finestra del luogo, lo sguardo
sembrava vagliare il
tessuto dell’oscurità e penetrarvi dentro, per
scoprire quanto si celava nel
suo grembo e avvertire chi, in quel momento, non era ancora giunto a
vederlo. La
musica che aveva iniziato a sgorgare dalla sala dei festeggiamenti
giungeva a
loro nella forma di un’eco indefinita, nonostante la
vicinanza tra gli
ambienti. «Giovane Poe… ti prego di perdonarmi, ma
vorrei che, prima di parlare
dei tuoi progressi letterari, tu mi raccontassi quello che è
successo in
quest’ultimo mese. Tutto ciò che sai, nel maggior
dettaglio possibile, riportando
anche ciò che verrebbe ritenuto insignificante dalla gran
parte delle menti.»
Edgar rimase in silenzio
per qualche attimo, quindi fece segno all’altro di sedersi
alla propria
scrivania. «Non è una storia che si può
raccontare in poco», mormorò, «spero
abbiate abbastanza pazienza per ascoltare quello che posso dirvi in
merito.»
Dupin declinò l’invito
del ragazzo e preferì accomodarsi sulla piccola poltrona che
si trovava presso
la porta, sollecitando l’altro a occupare la scrivania e a
rivelare i demoni
che si agitavano dietro al suo sguardo. Non riversare questi su
immacolata
carta e, invece, esporli a viva voce non era così facile,
tuttavia gli occhi
del parigino attendevano: di sentire quanto lui sapesse della vicenda,
forse di
confermare o risolvere quanto la sua mente già aveva
compreso.
Fu così che Poe si
sedette e iniziò a parlare, allontanandosi lentamente dalla
realtà per tornare
indietro di ore e giorni, al mattino in cui le urla avevano iniziato a
risuonare per le vie di Richmond e si erano aggrappate ai muri, avevano
macchiato statue, finestre e porte, e tracciato una ragnatela per le
strade
segnandole come una mappa nera e nota solamente a chi o cosa, scacciato
il sole
e tornata la luna, scivolava tra gli uomini e li ghermiva, mostrando
come il
male avesse atteso qualche tempo prima d’iniziare a
richiedere con sadica
regolarità il suo pasto di sangue.
L’incubo era iniziato
davvero il pomeriggio in cui Virginia, ignorando la stanchezza del
lungo
viaggio che l’aveva portata da Baltimora fino a lì
solamente la sera prima, si
era recata nella piccola e ormai abbandonata casa di Edgar A. Perry
— il
Rifugio, come amavano chiamarlo lei e Poe — per ripulirla
dopo il tumulto dei
funerali; un modo per chiedere perdono all’anziano per non
essere riuscita a
partecipare alle esequie, e un benché piccolo aiuto a suo
cugino, che aveva
subito il colpo di quella morte più di quanto immaginato e,
utilizzando il mazzo
di chiavi che Perry in persona gli aveva affidato anni prima, da giorni
aveva
preso l’abitudine di visitare le silenziose stanze e
rimanervi fino al
tramonto.
I due cugini si erano
incontrati proprio nel momento in cui, impolverata da capo a piedi,
stanca ma
soddisfatta, la ragazzina lasciava la casa finalmente pulita e andava
quasi a
sbattere contro il moro; alle spalle di questi, la falce lunare scalava
lentamente il cielo e lasciava spuntare solamente le punte da dietro la
schiena
di Edgar, quasi fossero ali.
Il volto del giovane, da
raggiante come ogni qual volta che guardava Virginia, si era
leggermente
adombrato nel notare lo stato di quest’ultima, e solamente
una mano più forte
d’entrambi aveva frenato a poche parole l’ennesima
discussione sulla sempre precaria
salute della fanciulla e l’esigenza di limitare il
più possibile gli sforzi
fisici, nonché sulla piccola bugia con cui lei lo aveva
spinto a passarle le
chiavi, nascondendo le vere intenzioni dietro la scusa di una breve
visita alla
dimora; con un lieve sospiro e lasciando dietro di sé un
intenso sentore di
terra umida e fiori selvatici, Edgar era poi avanzato fino alla porta e
aveva
guardato all’interno della struttura. «Ecco, ora
risplende!», aveva esclamato facendo
un sorriso e riconoscendo gli sforzi della cugina — pur
disapprovando la sua
sconsideratezza —, e Virginia lo aveva affiancato.
Così vicini e nonostante la
differenza d’altezza, avrebbero potuto sembrare due colonne
di un tempio
dimenticato, rimaste a sorvegliare le tracce di una vita sfuggita.
Perry era
stato trovato morto in quelle stanze, quindi la sua anima, o una parte
di essa,
occupava tutto lo spazio tra loro.
«E anche tu lavorerai
meglio, ora…», aveva mormorato la mora, prima
d’infilare una mano nella tasca
della leggera mantella e porgere a Edgar un volume dalle pagine
completamente intessute
di parole. «Questo l’ho trovato abbandonato in un
angolo, tanto nascosto che
quasi non lo notavo. È impossibile che tu te lo sia
dimenticato: è la tua
scrittura.» Una pausa e un’ombra nello sguardo,
come se la ragazzina avesse
visto qualcosa che al più grande, invece, era sfuggito;
oppure, che aveva
deliberatamente deciso d’ignorare.
«Perché hai lasciato incompiuta una storia
così bella? È una delle migliori che abbia mai
letto.»
Il ragazzo non aveva
replicato ma, preso il libro, era entrato in casa e lo aveva rimesso
nel posto
che per esso aveva scelto. «È lì che
deve stare, Virginia», aveva detto quando
era uscito, senza guardare la fanciulla, «non appartiene
più a me, ora. E
neanche a te.»
Lei non aveva ribattuto,
colpita dal tono dell’altro e dall’implicita
richiesta di non procedere oltre; dopo
un tempo che era scorso lentamente, gli aveva solamente stretto un
braccio, e
in risposta lui le aveva circondato le spalle e allontanata gentilmente
dalla porta.
La luna si era ormai
alzata nel cielo, chiuso in un blu profondo, non si sarebbe potuto
rimandare
oltre il momento di ritornare a Villa Allan; ed era stato allora, sul
verdeggiante sentiero che fino a qualche ora prima si era presentato
ricolmo solo
di fiori di ogni sorta ed erba rigogliosa, che Edgar aveva rinvenuto le
prime
tracce di sangue. Dentro tenebre calate con velocità
innaturale ma non tali da
cancellare completamente la realtà, la pallida regina
notturna aveva fatto
rilucere le gocce fresche, l’orrore appena versato, come
gioielli andati ad
agghindare la vegetazione; e quelle non si erano rivelate schegge di
vetro o
scie d’acqua lasciate da qualche animale fuoriuscito dai
fossati intorno, come
il giovane si era accorto notando prima la viscosità del
liquido che
punteggiava l’erba, poi l’orlo spruzzato di
vermiglio della gonna di Virginia.
Confuso, per qualche
attimo Poe aveva cercato un significato che il buio avrebbe reso
irrintracciabile; e da quel momento, non era passato molto tempo prima
della
comparsa di un corteo di torce elettriche all’orizzonte,
verso le quali i cugini
avevano corso fino a quando non si erano trovati di fronte i volti di
John e
Frances, stravolti dalla preoccupazione e dalle notizie circolanti
dentro e
fuori Richmond. Quella volta a scomparire erano stati in tre
— gli unici corpi
non ancora rinvenuti —, e loro due erano stati considerati
dei miracolati per
il fatto di non essersi aggiunti alla conta; ma nei giorni seguenti,
ogni abitante
della città e delle terre a essa vicine avrebbe imparato a
temere i più
infantili racconti di mostri e fantasmi, a veder le proprie certezze
vacillare e
a perdere la fiducia non solo di assistere a un’altra alba,
ma verso il genere
umano: non si era sicuri nemmeno all’interno della famiglia,
perché vi erano
troppo misteri e punti oscuri, mancanze e segreti. Ed ecco il sorgere
di
discussioni, accuse e lotte intestine, e il pungolo interiore che
chiedeva: quando
verrà il mio turno?
«Perdonami l’interruzione:
non una voce, però, si è ancora levata contro di
te, nemmeno da parte di John…
nonostante la tua fama.»
Edgar esitò un istante,
perdendo il filo del discorso, per poi subito riallacciarsi a quanto
Dupin
aveva appena detto; un aspetto che andava considerando da qualche
tempo, in
verità, ma senza significative risposte.
«Esattamente. Questa vicenda sembra
una storia del mistero — una di quelle che potrei scrivere io
—, eppure nessuno
mi ha ancora attaccato per questo.»
Il parigino non aggiunse
altro, annuendo. «Ma tu sai qualcosa in più
rispetto a noi… o non passeresti il
tuo tempo al cimitero rurale più vicino, a dissotterrare i
corpi di coloro che
tutti hanno dimenticato; ma solamente di quelli che hanno subito una
fine violenta»,
sussurrò poi, mettendosi più comodo sulla
poltrona.
Il moro attese un attimo
prima di rispondere, poi fece un debole sorriso. «Vedo che
siete sia ben
informato sulle domande che pongo ai morti, sia sulle risposte che loro
mi
danno.»
Il francese rispose
sorridendo a sua volta, per poi lasciar proseguire Edgar.
«Ieri, mentre la polizia
stava portando via il corpo dell’ennesima vittima, io e John
Allan — papà
— eravamo presenti: il cadavere apparteneva a un suo vecchio
collaboratore e lui
ha ritenuto giusto essere… lì.
Per una volta, non me la sono sentita di
stargli lontano.»
«John è sempre stato
coraggioso sotto questo punto di vista, ma il tuo gesto è
stato comunque
opportuno; inoltre, ti ha permesso di comprendere verità
importanti.»
Poe si appoggiò con i
gomiti alla scrivania e unì le mani, posandovi sopra il
mento come se fosse
sovrappensiero. Al di là di sé stesso e di Dupin,
solamente il buio. «La gabbia
toracica di quell’uomo si è presentata spalancata
e le costole quasi
disarticolate dalla violenza del colpo mortale.
A differenza delle altre
vittime — di quelle che sono riuscito a vedere, almeno
—, il resto del corpo
non è stato fatto a brandelli: nessuna ferita su arti e
volto, né alla schiena
o al ventre. Così descritta sembra l’opera di una
fiera d’enormi dimensioni,
non di un uomo… ma il torace non ha mostrato alcun taglio o
segno di qualsiasi
arma d’offesa: si dovrebbe allora ipotizzare e parlare di
un’entità capace di
aprire, senza l’aiuto di uno strumento o di artigli, il petto
di un maschio
adulto, alto e robusto più della media. Abbastanza
improbabile ritenere questa
ipotesi verosimile senza sconfinare nei reami della pura fantasia, per
non
parlare del fatto che…» Una pausa, un forte
respiro. Per la prima volta, Dupin
vide Edgar impallidire di un poco. «… Del fatto
che gli hanno tolto una parte
del cuore. La metà rimasta è in stato di grave
danno, quasi che l’organo sia
stato strappato con violenza e in fretta, senza curarsi di asportarlo
completamente. Forse l’assalitore è stato
interrotto prima di finire la sua
opera… ma a chi ci dobbiamo riferire?»
L’altro non replicò nell’immediato,
ma si portò una mano al mento e se lo massaggiò.
«Il cuore è stato estratto per
metà… anche su di esso nessun segno di arma,
denti o artigli?»
«Non sono riuscito a
vederlo bene, a dir la verità, e ho potuto solamente notare
le orribili
condizioni in cui si è presentato.»
Dupin assentì. «Solo il
petto dell’uomo ha mostrato tracce di violenza, che tu
sostieni non essere
riconducibili a un animale o a un essere umano… le testate
non hanno fatto un
benché minimo accenno a questo. E che cosa dicono in merito
i tuoi amici del
camposanto?»
«Che non ci sono eventi,
traumatici e incidentali, che si mostrino così letali e puliti
al
medesimo tempo. L’uomo che ho dissotterrato oggi è
stato vittima di uno dei
peggiori terremoti della storia di Richmond ed è morto a
causa di un crollo che
gli ha sfondato parte del torace: ma quanto ho visto sul collaboratore
di papà
non è compatibile né con un trauma da
schiacciamento né con una caduta
dall’alto: le ossa, benché alcune disarticolate o
mutate di posizione, sono apparse
troppo intatte per aver subito un urto.
E poi, c’è la questione dei
cadaveri: i resti vengono sempre rinvenuti in posizioni precise, ovvero
le vie
periferiche a est della città, le campagne che si aprono in
quella direzione, e
alcuni sentieri campestri a nord di Richmond. Sono tre punti che non
variano
mai, quasi l’assassino — o gli assassini
—non possa spostarsi da lì e
uccida chi percorre queste aree, che il colpevole riconosce come
famigliari e
dove si sente al sicuro… eppure, sappiamo che alcune delle
vittime abitavano a
chilometri di distanza da questi luoghi.
L’assalitore, allora, attraversa
l’intera città per rapire individui che abitano in
punti opposti a quelli dove
opera e ripercorre la strada a ritroso con le vittime, o agisce tramite
collaboratori che gli portino il tributo quotidiano?
Almeno tre volte a
settimana e nonostante la situazione in cui ci troviamo, di sera, John
si reca nella
zona ovest della città, presso amici, clienti e altri: le
sue parole potranno
testimoniare quanto le vie della Richmond più agiata non
siano prive di persone
neppure nel cuore della notte.
Anche queste aree, così
lontane dai luoghi dei macabri ritrovamenti, contano numerose
sparizioni: ma è
difficile rapire una persona o una famiglia sotto a occhi estranei,
rendere
questi ultimi testimoni, per quanto possano essere esigui, e
accusatori; perciò,
credo che chiunque sia dietro tali crimini, attiri le sue vittime con
qualche
espediente o si confonda tra chi queste conoscono per rimanere da solo
con esse…
e non escludo l’idea che abbia degli aiuti.
Alcune voci riportano
rumori di corpi trascinati e implorazioni, anche se nessuno scorge mai
nulla;
quasi che i delitti avvengano in un’area coperta e chiusa,
come l’interno di
un’abitazione o di una struttura edilizia.»
«In questo caso, il luogo
sarebbe circoscritto e più persone potrebbero riconoscerlo,
quindi testimoniare
e dare una direzione alle indagini.»
«Inizialmente così è
stato: quando i rinvenimenti sono divenuti quotidiani, i sospetti sono
caduti
sugli abitanti delle zone limitrofe; le loro dimore sono state
setacciate a
fondo e sorvegliate per notti intere, ma i cadaveri hanno continuato ad
apparire proprio in quelle medesime aree.
Allora, le accuse hanno
riguardato le forze armate e i vigilanti, ma nemmeno l’uomo
più stupido al
mondo continuerebbe a uccidere o lasciare le tracce dei propri crimini
in una
zona che è sotto l’attenzione pubblica; e quindi,
anche l’ipotesi di
colpevolezza della polizia è caduta.
I punti oscuri sono
molti, come potete vedere… e non ho una risposta minimamente
razionale per
spiegarli.»
Dupin rimase in silenzio
un istante. Quanto il ragazzo aveva appena raccontato e ciò
a cui rimandava
travalicava i confini della razionalità e per questo
faticava a essere spiegato
lucidamente, ma dentro ogni avvenimento si celava sempre una
spiegazione: si
doveva solo scavare abbastanza a fondo per trovarla — in
questo caso, proprio
nel mezzo delle tenebre. «Sembra che tale entità
non possa fare a meno di agire
in questo modo e lasciare dietro di sé dei segni, che sappia
bene di essere imprendibile;
oppure, che non se ne curi, forse perché protetto da altre
figure. Ma permettimi
la domanda…»
«Quella che volete.»
«… Perché non hai voluto
ultimare quella storia?» Perché hai
avuto paura?
L’estraneità e imprevedibilità
del quesito — sia di quello espresso a viva voce che di
quanto mormorato
direttamente all’anima — non riuscirono a
giustificare del tutto il profondo
silenzio che calò sopra e tra i due come una coperta e
spinse il ragazzo a
serrare lo sguardo dietro ciò che voleva apparire come
calma, ma non lo era. «Aveva
una trama che non reggeva», fu la risposta che diede,
«avvincente, ma piena di
contraddizioni.»
Ricorda
quanto ha detto
Virginia: sei intelligente, ma chi ti sta attorno non è
stupido. E Auguste
Dupin è anche più geniale di te.
«Eppure
è stato
apprezzato dalla critica più severa che conosca.»
«Virginia ha letto la
parte migliore, ma presto si sarebbe resa conto che non ne sarebbe
valsa la
pena continuare.»
«La tua mente non ha
trovato una soluzione efficace, quindi?»
«No, affatto.»
L’occhiata che il
francese gli lanciò non lasciava trapelare alcun giudizio ma
solamente
bruciante curiosità, che l’uomo fu abile
nell’incanalare altrove e spezzare,
così, la tensione. «Va bene, va bene
così. Caro ragazzo, credo che tu stia già
facendo molto e abbia più informazioni dell’intera
città in merito agli ultimi avvenimenti,
e ti ringrazio per averli condivisi con me.
Spero non sia un problema
avermi come compagno nei prossimi giorni, oltretutto dubito che tuo
padre avrà
da ridire se ti vedrà con me mentre ci dirigiamo verso
Richmond e casualmente
decidiamo di passare attraverso sentieri campestri, dico
bene?»
Edgar sorrise
apertamente, il volto finalmente ravvivato da una luce che proveniva
dal suo
interno. «La vostra compagnia è sempre un onore
per me», replicò con gioia
sincera, prima di alzarsi ed essere imitato da Dupin, «e
forse è vero: è
necessario che siate qui, per portare alla luce ciò che noi
non vediamo.»
«Spero che tu non dipinga
la situazione più lineare di quanto sia
veramente», sussurrò il francese mentre
gli si avvicinava e gli appoggiava una mano sul capo, accarezzandolo
con la
benevolenza di un mentore, «ma non dubitare affatto del mio
aiuto, dovunque ci
possa portare.»
Quando Poe
rientrò nella
sala dei festeggiamenti, la gran parte degli invitati aveva ormai
lasciato la
villa, sfidando la paura in gruppo, mentre i restanti si erano spostati
verso
il salone d’entrata per le ultime chiacchiere con gli ospiti:
i muri parevano
riposare e respirare insieme a lui, nella quiete.
Virginia era l’unica a
essere rimasta nella stanza, tranquillamente seduta su uno dei divani
posti
presso le pareti e con gli occhi socchiusi per il sonno, ma in caparbia
attesa.
Non appena udì e riconobbe i passi, sollevò le
palpebre e incrociò lo sguardo con
quello del cugino; si sorrisero a vicenda, quindi il giovane si
fermò davanti a
lei. «Spero tu non ti sia annoiata.»
«No, affatto», fu la
dolce risposta, «ho parlato con tutti e mi sono divertita.
Spero che tu sia
stato altrettanto bene con monsieur
Dupin.»
Edgar allargò il sorriso
e si chinò verso di lei, tendendo una mano. «E di
questo ne parleremo un’altra
volta… signorina, mi posso prenotare per l’ultimo
giro di valzer?»
Virginia rise di cuore e
i fiori nei capelli brillarono quanto i suoi occhi, facendola apparire,
se
possibile, ancora più bella. «Nessuno dei due lo
sa ballare, finiremmo per
pestarci i piedi a vicenda!»
«Almeno una giravolta,
ora che non c’è nessuno e possiamo fare tutte le
brutte figure che vogliamo.»
Lei chinò il viso e
socchiuse gli occhi senza smettere di sorridere, quasi avesse bisogno
di
ponderare la richiesta; quindi lo sollevò con decisione e
accettò la mano del
cugino. «Perché no, allora?»,
esclamò mentre si alzava e Poe la conduceva al
centro della sala; qui lei provò a mettersi in posizione, ma
prima che potesse
farlo e dopo averla osservata per qualche attimo, il cugino
l’afferrò per la
vita e la sollevò, facendola volteggiare. Il suono della
risata sfrenata
dell’altra e le richieste strozzate di metterla a terra, che
la stava facendo
imbarazzare e per questo l’avrebbe pagata molto cara,
rischiararono l’umore del
giovane, che alla fine si fermò e obbedì alla
mora, stringendola in un saldo abbraccio.
Non lontano, sopra ai
giardini e oltre i campi più vicini, un sottile mormorio si
diffondeva per
tutta la volta celeste: un suono simile allo scorrere di un piccolo
torrente,
ma lamentoso e triste. Richmond piangeva una notte ancora, nemmeno la
festa più
regale e magnifica avrebbe potuto sanare di un poco il suo dolore; e
avvertendolo,
Poe approfondì la stretta e quasi chiuse Virginia nel
proprio corpo, come in un
rifugio.
Anche lei percepì quelle
lacrime e affondò il volto nel petto del cugino, respirando
forte. Quando
Frances giunse in sala per spegnere le luci, li trovò ancora
in quella
posizione, tra il silenzio della villa addormentata e il buio che
lentamente
impallidiva, divenendo il nuovo giorno.
♦
Il sole bagnava
la stanza
di feroce lucore, divorando tutto ciò che incontrava; e
nonostante ciò, la gran
parte della struttura era immersa nella pace seguita ai festeggiamenti,
ignara
della forza dell’astro.
Fu un’ora sospesa tra immobilità
e attesa quella che vide il destarsi di Dupin, che per un momento non
riconobbe
la stanza che lo circondava… ma che comprese immediatamente
il motivo del suo
risveglio.
Forse fu la sua grande e
onnipresente lucidità, la fermezza di polso, a non farlo
precipitare nella
paura, o forse le ultime tracce di sonno; perché, quando si
voltò alla sua
destra, non era spaventato — non per sé,
almeno.
La figura accanto al
letto, dai contorni netti ma con tratti fumosi e impossibili da
comprendere, rimaneva
immobile e immersa nelle uniche tenebre che resistevano alla luce;
oppure, era lei
stessa che le emanava.
Appena si accorse di
avere l’attenzione dell’uomo, questa si mosse; un
istante dopo si era sporta in
avanti, verso il volto di Dupin.
I raggi solari non
illuminarono la sua pelle ma vi sparirono al di sotto, ingoiati da
un’entità che
non temeva il loro contatto, e il francese si ritrovò a
fissare una sorta di
volto privo di qualsiasi caratteristica, simile a una statua appena
sbozzata nelle
forme; si sforzò di non sbattere gli occhi,
perché sapeva che appena lo avrebbe
fatto la figura se ne sarebbe andata.
Infine, fu lei a sparire dopo
qualche istante, quando ebbe osservato per bene l’altro:
svanì nell’aria e lasciò
che innocue ombre ne occupassero il posto, ma non sollevò il
dubbio che fosse il
parto di un sogno; no, Dupin ne era certo, lei era
vera e dilaniava la
logica, faceva a brandelli la razionalità.
Non per questo, però, si
ritrovò a tremare e a versare un gelido sudore:
perché la stanza non era la
sua, lui era stato ospite di quelle pareti solamente una notte e
perché il legittimo
proprietario gli aveva ceduto il proprio letto… e quella
se n’era accorta,
e se n’era andata senza alzare gli artigli.
Perché qualunque cosa l’Ombra,
il frutto della notte dell’anima e di ogni dolore, stesse
cercando, non la desiderava da Auguste Dupin,
ma da Edgar Allan Poe.
NOTE
[1]
Così come accade ne “La mascherata della Morte
Rossa”, che narra di una festa
principesca tenuta in uno splendido palazzo dalle stanze dai colori
diversi,
mentre al di fuori di quelle mura infuria un’epidemia di
peste e l’orrore non
si ferma.
[2]
I rapporti tra John ed Edgar non furono mai idilliaci: entrambi erano
molto
orgogliosi e talmente sicuri nelle proprie decisioni da non accettare
mezze
misure, e ben presto nacquero conflitti su vari fronti. John era un
ricco
commerciante che non vide mai di buon occhio la decisione di Poe
d’intraprendere
una carriera letteraria né le sue continue richieste di
denaro e favori,
arrivando a rimproverargli di non aver mai provato affetto per lui e
sua moglie
Frances (che invece Poe amava molto), e di non essergli grato per tutto
quello
che aveva fatto per lui; da parte sua Edgar, sempre più
offeso e amareggiato
dal comportamento del padre adottivo, non fece del proprio meglio per
colmare
il divario tra loro, arrivando anche a scrivere lettere dove si
indicava John
come un uomo dedito all’alcool.
[3] Auguste
Dupin è il geniale investigatore (non professionista)
parigino che risolve il
caso presentato ne “I delitti della Rue Morgue”,
per poi comparire anche nei
racconti “Il mistero di Marie Roget” e
“La lettera rubata”.
ANGOLO
DI MANTO
Salve a tutti!
Finalmente, finalmente
sono riuscita a completare la seconda parte del primo capitolo!
Un abbraccio,
Manto