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Autore: artemide88    28/03/2021    3 recensioni
Isabella Black frequenta la più importante scuola della Virginia e non solo ha ottimi voti, ma sta per diplomarsi con un anno di anticipo. Vuole andarsene, da quella scuola e quella città, il prima possibile perché odia i bulli che la perseguitano. Potrebbe però avere vita più facile se rivelasse un piccolo dettaglio sulla sua vita...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buona lettura

CAPITOLO 17

Come promesso io e Edward ci comportammo in modo impeccabile nei giorni che seguirono, restando a una distanza ritenuta accettabile dai più. Per mio padre, ovviamente, non era abbastanza, ma se la faceva andare bene.
Il professor Molina sembrava essere l’unico a cui la tregua raggiunta stava stretta. Ogni volta che mi vedeva mano nella mano con Edward, faceva una faccia così arcigna da farmi sospettare che abusasse di limoni acerbi.
Papà bussò alla porta della mia stanza. Era quasi l’una di notte.
“Non vai a letto?” 
Scossi la testa. Tra i compiti e il ballo erano sempre più le ore di sonno perse.
“Devo finire biologia.” Molina ci stava massacrando, anche per un corso avanzato dell’ultimo anno. “Si sta vendicando per caso?”
“Probabile.” Papà si sedette sul letto. Mi voltai verso di lui in attesa di spiegazioni. “Non è un fan di Cullen.”
“Ma Edward...”
“Oh, no. Carlisle. Eravamo a scuola insieme, tutti e tre. Ci sono stati...” Papà sembrava voler trovare le parole giuste. “Dei contrasti. Xavier fu uno dei primi borsisti della White Swan. La famiglia Cullen era fortemente contraria alle borse di studio.”
“E vedere che il circolo elitario si allargava non gli avrà fatto piacere.” Papà annuì. “Quindi adesso si deve vendicare su di noi? Immagino che sia stato davvero deluso quando ha saputo che non siamo stati nemmeno sospesi o che il dottore ha fatto una generosa donazione.” Il silenzio di Charlie fu eloquente. Se avesse saputo che nemmeno le nostre famiglie ci avevano punito, a Molina sarebbero scoppiate le coronarie. “Richiama il cane da guardia, papà. Non ho bisogno di difensori della mia verginità.” Mi morsi la lingua troppo tardi, vedendo che papà era sbiancato. 
“Sei ancora...sì, insomma...”
“Non vorrai davvero affrontare questa discussione all’una di notte, vero? Non quando ho così tanti compiti che potrei non dormire affatto.”
Papà batté sul materasso vicino a sé, invitandomi a sedere vicino a lui. Avevo una montagna di compiti da finire ed ero stanca, ma avevo anche bisogno di una pausa e di stare un po’ con papà, come ai vecchi tempi. Mi accoccolai contro di lui e mi lasciai avvolgere dal suo abbraccio.
“Potrei farti una giustificazione. O potresti restare a casa a dormire, domani.”
“Ah, che bello essere la figlia privilegiata del preside.” Alzai gli occhi al cielo mentre i baffi di papà tremavano per la risata trattenuta. Chiusi solo gli occhi per un attimo per sentire il suo corpo vibrare contro il mio.
Spalancai gli occhi e guardai l’orologio, imprecando. Cercai di scansare le lenzuola, ma l’unica cosa che ottenni fu di finire con il culo per terra, dove, dolorante, mi rassegnai al fatto che avevo perso una giornata di scuola. Era quasi mezzogiorno.
Papà mi aveva fregato, mi ero addormentata contro di lui e non mi aveva svegliata, anzi mi aveva messo sotto le coperte. E stamattina avrebbe coperto la mia assenza. 
Bene. Fantastico. 
Ero una piccola privilegiata. 
Ancora imbronciata scesi in cucina, dove trovai mamma intenta a preparare il pranzo per noi due.
“Ben svegliata, tesoro.” 
Sedetti scomposta sul davanzale del bovindo. Era uno dei miei posti preferiti in quella grande cucina. Potevo anche stare ore a guardare fuori, verso la strada, lì seduta tra i cuscini. In primavera aprivo le finestre così che il dolce profumo dei fiori del giardino di mamma arrivassero a solleticarmi il naso.
“Hai dormito male?” Mamma voleva fare conversazione.
“Ho dormito troppo.”
“Meglio dormire nel tuo letto piuttosto che sul banco di scuola e finire dal preside.” Le scoccai uno sguardo scocciato. Basta battute sul preside. “Ti stai impegnando tanto per la scuola, per il college, per il ballo...è giusto prendersi una pausa ogni tanto.”
Non risposi, ma mi alzai per andare a prendere il sandwich che mi porgeva e tornare in camera.
“Ti sei alzata con il piede sbagliato?” Mamma mi fermò sulla soglia della cucina. “Potresti anche fare uno sforzo e mangiare con me.”
“Scusa.” Mi sedetti al tavolo, mamma era solo una vittima innocente del mio malumore. “È solo che...” spiluccai il pane, senza davvero aver fame. “Non capisco papà.”
“Se è per quello, lui non capisce te.” Mamma mi sorrise dolcemente, invitandomi a continuare.
“Mi ha fatto perdere un giorno di scuola.”
“Avevi bisogno di riposare, Isabella. Ti puoi permettere di non andare a scuola almeno un giorno.”
“Sta diventando eccessivo. Un iperprotettivo eccessivo, ecco cos’è.” Smisi di fingere che mi interessasse mangiare.
Mamma mi spinse di nuovo il piatto sotto il naso. “Tuo padre si è trovato impreparato. Mettiti nei suoi panni. Da un giorno all’altro si è ritrovato con una figlia cresciuta e indipendente che fa di testa sua, che non ha più bisogno del suo papà. Il suo istinto di genitore ne è rimasto ferito.”
“Per ogni passo avanti ne fa cento indietro.”
“Oh, Isabella!” Mamma si spazientì. “Non ho mai sentito nessuno che fosse arrabbiato per aver dormito tutta mattina invece che andare a scuola. Jacob faceva carte false per saltare un giorno e tu ne stai facendo una tragedia.”
Stava succedendo proprio quello che avevo voluto evitare cambiando il mio cognome. Non volevo avere privilegi o saltare scuola come se niente fosse per essere poi additata il giorno dopo come una volgare figlia di papà.
Quando tornai in camera mi sembrò di non aver dormito affatto, ma era il mio cervello quello stanco, non il corpo. 
Mandai un messaggio a Edward per sapere della sua mattinata. Mi diede appuntamento davanti a casa mia per le sei del pomeriggio, dopo gli allenamenti di football. Mi scrisse che mi avrebbe aggiornato su biologia e portato fuori per un vero appuntamento, per una volta non aveva una partita di venerdì sera e il giorno dopo era sabato e non saremmo andati a scuola. 
Passai il pomeriggio in fermento. Riordinai una camera già linda, finii di studiare biologia e cercai di concentrarmi anche su storia, ma più di avvicinavano le sei e più la mia mente vagava. Per una volta, stavo considerando di aprire davvero l’armadio e cercarvi qualcosa di carino all’interno, non solo mettere dentro una mano e togliere la prima cosa che mi capitava tra le dita.
Scelsi con cura una camicetta blu e un paio di jeans stretti. Novembre stava allungando i suoi artigli gelati sulla fine di ottobre e quindi presi anche un maglioncino e il giubbino di pelle.
Mi guardai allo specchio e per una volta non vidi solo una sopravvissuta, ma una ragazza, carina, con le guance rosee e le labbra carnose, gli occhi lucidi per l’emozione di rivedere il suo ragazzo.
Patetica. Ero patetica, una lontananza di ventiquattrore non poteva ridurmi così il cervello in pappa. Storsi il naso e mi diedi una mossa per andare da aspettare Edward in strada. Mamma e papà non erano molto contenti che uscissi, ma non dissero nulla.
Aspettai seduta sul cofano della mia auto e il libro di letteratura tra le mani, un po’ per scena un po’ per non farmi sopraffare dall’ansia. 
Presto avrei rivisto il dottor Cullen e magari avrei anche sbirciato la camera di Edward.
Ma soprattutto avrei rivisto Edward e baciato le sue labbra.
Come evocato, il mio ragazzo arrivò con solo dieci minuti di ritardo e un sorriso stupendo. Mi fece spaventare, arrivando alle spalle, concentrata com’ero sul mio libro.
Lanciai un urletto, scivolando sul cofano. 
“Ehi.” Mi avvolse tra le sue braccia, impedendomi di fatto di cadere sull’asfalto.
“Ehi.” Gli risposi prima di baciarlo. “Mi sei mancato.”
“Anche tu. Pronta ad andare?” Annuii perché non potevo continuare a baciarlo in strada. Guidò rilassato, una mano sulla mia gamba. Parlammo della sua mattinata e di Molina, ci divertimmo a lamentarci di lui. 
Quando giungemmo al grande cancello in ferro battuto della villa, Edward mi strinse il ginocchio, un sorriso nervoso. Ricambiai il sorriso, stavo per entrare nel suo mondo un altro po’ e non sapevo come era l’Edward casalingo.
Un grande viale lastricato conduceva alla villa. Ogni metro percorso era una scoperta verso la grande casa, riparata da occhi indiscreti dai pini e altri alberi sempreverdi. Ogni metro aumentava l’attesa e la sorpresa. La villa era bellissima, con quei tetti spioventi, dalle tegole scure, caratteristici della Virginia, in netto contrasto con il bianco dell’intonaco e delle pietre che sottolineavano il profilo imponete del camino che spuntava da un lato del tetto. Il porticato era sostenuto da colonnine di granito grigio e dal lato sinistro si dipanava un groviglio intricato di rampicante della Virginia che sembrava retrocedere di fronte a una rigogliosa pianta di rose. Tra giungo e luglio si doveva assistere a una meravigliosa fioritura.
Il viale si concludeva con una rotonda disegnata da una siepe in bosso che contornava una fontana. Edward l’oltrepassò per parcheggiare nello spiazzo poco distante.
“Pronta a entrare nella tana del lupo?” Gli tirai un buffetto sulla spalla. 
Venne ad aprirmi la portiera e, mano nella mano, ci incamminammo verso il portone rosso scuro.
“Che ne dici, vediamo un film e poi usciamo per una pizza?”
“Direi che è un’ottima idea.” Non avevamo fatto un solo passo in casa che già ci stavamo baciando perché eravamo davvero due adolescenti con gli ormoni in subbuglio. Non dedicai nemmeno un minuto a guardarmi attorno, sicura che l’opulenza della villa mi avrebbe fatto sentire a disagio. Mi lasciai condurre, tra un bacio e l’altro, verso le scale che salivano al piano superiore. 
Quasi inciampai quando un neonato gattonò verso di noi.
Edward sbuffò e si guardò attorno, in cerca di qualcuno che venisse a recuperare il pupo.
“Ah, Edward. Sei tornato.” Una donna, dal passo elegante e dallo sguardo dolce si avvicinò a noi e ci sorrise prima di prendere tra le braccia il bambino.
Mi guardava intensamente, mettendomi a disagio, soprattutto perché il suo sorriso era ancora dolcissimo. E velenoso, mi trovai a pensare. Il tono freddo di Edward non fece che aumentare i miei brividi di disagio.
“Isabella, lei è Esme.” La donna mi tese la mano e io gliela strinsi. “La...la compagna di mio padre.” Ah, già, il padre era un argomento tabù per Edward e il fatto che lui avesse una compagnia a poco più di un anno dal divorzio...ritrassi la mano dalla stretta di Esme e intrecciai le dita a quelle di Edward. La sua presa ferrea diceva quanto gli costasse usare quell’appellativo e quella presentazione.
“E quel lestofante in pannolino...” Il tono e lo sguardo di Edward si addolcirono. “È mio fratello Seth.” Mi si strozzò qualcosa in gola. Non mi aspettavo davvero che Edward avesse un fratellino di...a quanti mesi/anni gattonano i bambini?
Edward non disse altro e mi condusse al primo piano, fino in fondo al corridoio. 
“Prego Madame.” Il tono scherzoso gli uscì fin troppo forzato per risultare davvero tale. Abbandonai il giubbino e il maglioncino su una sedia della scrivania, lasciando a Edward il tempo di chiudere la porta e riordinare le emozioni. Sperando di non dovergli togliere le parole di bocca, mi sedetti sul letto in pelle scura, ma lui quasi mi ignorò. 
Si sdraiò e accese la tv enorme di fronte al letto, perso in qualche tetro pensiero.
“Edward...”
“Scusa.” Si passò la mano tra i capelli, segno che il suo nervosismo non era svanito. “Non doveva esserci nessuno a casa. Non volevo che la incontrassi.” Esme, non voleva che incontrassi Esme. “Lei...lei non mi piace, ecco. Mi rende...”
“Ombroso? Suscettibile? Nervoso? Di cattivo umore?”
Questa volta la risata cristallina era sincera. “Esattamente. Cerco di evitarla il più possibile.” Si sedette in modo da essere a un centimetro dal mio viso. “Sono felice che tu sia qui.” 
Qui era la sua stanza, una stanza enorme, con un letto enorme, una tv enorme e una scrivania, piena di libri. Nient’altro, a parte qualche locandina di film alle pareti grigie.
“Anche io.” Venimmo distratti da una canzone proveniente dalla tv. Edward cercò il telecomando, ma io fui più veloce. “Che cosa sarebbe?” 
“Ogni tanto faccio vedere a Seth L’incantesimo del lago. Si addormenta.”
Risi per i suoi metodi da fratello maggiore e mi accoccolai con la testa sulle sue gambe per vedere con cosa educasse il fratellino. Voleva cambiare, ma era tanto tempo che non vedevo un cartone, né che guardavo la tv. Era una cosa così familiare, intima. 
“Oh, mio Dio. È terribile.” Gli feci presente ridendo, guardano il principe Derek che dichiarava in modo patetico il suo amore a Odette. “Devi educare meglio il lestofante. Devi insegnargli a dire che c’è altro oltre la bellezza.”
“Effettivamente fa fare una figura meschina al genere maschile. Ma lei è diventata un cigno, dopo essere stata un brutto anatroccolo per tanti estati.”
“Vorresti dire che anche per me c’è speranza?”
“Oh, piccola Bella. Tu resterai sempre il mio Anatroccolo, così gli altri non potranno vedere la tua bellezza.” Avvampai per il suo sguardo fisso nel mio.
“Che altro?” Sussurrai ripetendo stupidamente le parole di Odette. 
“Sei la persona più incredibile che conosca. Sei un pericolo per gli altri e per te stessa con il suo scarso equilibrio, ma non hai paura di camminare a testa alta tra la gente. Sei fiera come una regina, testarda come un mulo, ma assolutamente affascinate nella tua inconsapevolezza di essere così unica.” 
Arrossii, ma non riuscii a distogliere gli occhi dalle sue labbra che si avvicinavano sensuali, promettendo un bacio focoso. 
“Adoro il colore che prendono le tue guance quando qualcosa ti mette in imbarazzo. E adoro quando ti arrabbi perché sei in imbarazzo. Lo sai almeno quanto sei forte e coraggiosa?”
“Edward...” Restai senza parole e non trovai di meglio da fare che gettarmi tra le sue braccia. La camicetta che tirava sui fianchi e qualche bottone che saltava. Ci baciammo appassionati e rimasi senza fiato quando invertimmo le posizioni e mi trovai sotto di lui. 
“Edward! Apri.” L’incanto venne spezzato dal bussare alla porta.



p.s. dell'autrice: L''incantesimo del Lago è un film d'animazione del 1995. L'ho visto per la prima volta nel 2020, appositamente per questa storia. (beh, meglio tardi che mai. anzi forse è meglio mai, dato che non è un gran cartone) però è stato divertente poterlo utilizzare in una ff, soprattutto come materiale educativo per il piccolo lestofante (*adoro*). 
Torno a studiare i Pokemon con il figlio.
Buona domenica a tutti.
Sara


   
 
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