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Autore: Raven_Stark22_    28/03/2021    1 recensioni
[BOKUAKA]
"Senza qualcosa per cui vivere, che senso ha continuare?"
Questa era la domanda che da mesi tormentava Akaashi.
E più trascorevano le settimane, più quel pensiero si faceva vivido nella sua mente.
Una sera, stanco di un mondo portava solo a sofferenza, decise di mettere fine al suo dolore.
Su quel tetto, per caso, si trovava Bokuto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akinori Konoha, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Maggio è noto come un mese di transizione.

I venti freddi lasciano il posto alle gentili brezze primaverili, i fiori sbocciano, gli uccelli cinguettano e la vita comincia a sembrare un po' più allegra del solito.

Il paesaggio giapponese diventa quello tipico dei dépliant, con distese di alberi fioriti di un rosa tenue e un profumo delicato che si riversa sulle strade.

Erano trascorse esattamente sei settimane da quando Bokuto si era trasferito in una stanza dell'ospedale di Nishi.

I medici avevano deciso di tenerlo perennemente sotto controllo, permettendogli occasionalmente di uscire dall'edificio per andare a trovare i suoi amici.

Ma la sua libertà durava al massimo un paio d'ore.

Gli operatori sanitari avevano comunicato a Koutaro che avrebbe ripreso gli studi solo quando le sue condizioni si sarebbero ristabilizzate.

Sfortunatamente, neanche Bokuto parve credere a quella bugia.

Gli facevo visita almeno una volta al giorno: alla mattina presto, dopo scuola, terminati i corsi pomeridiani, talvolta finivo anche per cenare in ospedale.

Perlomeno, in mia presenza, Bokuto si sforzava di mostrare un debole sorriso.

-Non sei obbligato a presentarti qui così spesso.- Ridacchiava, fissando con fare nostalgico la finestra che dava sul giardino.

-Non montarti la testa, vengo per i distributori automatici.-

-Certo, certo.-

Però sembrava sempre contento quando c'ero io a fargli compagnia.

Mi capitava di incrociare una delle due sorelle o, spesso, i genitori di Bokuto.

Ci scambiavamo qualche parola di conforto e, se Koutaro era troppo stanco per interagire, chiacchieravamo tra di noi del più e del meno, senza mai menzionare la malattia.

Avevo quasi l'impressione che mi trattassero come un membro della famiglia, ormai.

Una volta l'intera squadra della Fukurodani passò a fargli visita, rischiando di essere bandita dall'ospedale per la confusione che aveva causato.

Koutaro rise come non aveva mai fatto prima.

-Bokuto-san.- Salutai, facendo irruzione nella camera -Ti ho portato...-

Mi bloccai, riconoscendo Kuroo Tesurou ai piedi del letto.

Entrambi i presenti volsero la loro attenzione su di me.

-Scusate.- Dissi, indietreggiando -Continuate pure a...-

-No, non importa. Avevamo finito. E io sono già in ritardo.- Il moro si passó una mano tra i capelli e avanzó lentamente verso la porta -Tutto tuo, Akaashi.-

Sorrisi imbarazzato e aspettai che Kuroo avesse oltrepassato l'ingresso per introdurmi nella stanza.

Fu questione di un lampo: per una frazione di secondi, incrociai casualmente gli occhi felini del ragazzo.

Erano lucidi.

Quel semplice sguardo bastò a spezzarmi in due.

Tetsurou mi fissó senza dire nulla e mi superò rapidamente.

-Ci si vede in giro, idiota.- Il capitano del Nekoma congedó Bokuto e la sua voce profonda riecheggió in tutto l'atrio.

-Contaci!- Gli urlò Koutaro di rimando.

-Kuroo è venuto a farti visita.- Constatai, sedendomi sul bordo del materasso.

La camera di Bokuto era più spaziosa di quella che possedeva a casa.

Le pareti erano di un bianco accecante e ogni apparecchio presente era così pulito e brillante da far sanguinare gli occhi.

Il paziente era seduto sul letto, le braccia magre lungo i fianchi e la pelle pallida.

Le occhiaie erano così evidenti che assomigliavano a due lividi scuri.

-A quanto pare.- Gettó la testa all'indietro e i suoi capelli sprofondarono nel cuscino -Mi annoio così tanto.-

-Ma come, sono appena arrivato.-

Koutaro sgranó gli occhi e agitó le braccia: -No, no, no, intendevo-

-Avevo capito.- Lo presi in giro.

"Come farei senza di te".

-Oh. Cos'hai nella borsa?-

-Questa?- spostai la tracolla su un fianco e vi frugai all'interno -Te lo dico solo se indossi qualcosa di più pesante e mi accompagni in giardino.-

-Affare fatto!- Esclamó l'altro, che non vedeva l'ora di mettereil naso fuori dalla struttura.

Bokuto sostituì in fretta il camice ospedaliero con un paio di pantaloni da ginnastica e una maglietta bianca.

Atrraversammo il corridoio senza dare troppo nell'occhio e prendemmo una delle tante porte laterali che davano sul retro.

Riempii i polmoni di aria fresca e offrii un braccio a Bokuto.

Il ragazzo declinò gentilmente: -Ho solo i muscoli indolenziti. Devo farci l'abitudine.-

-Sai che non c'è niente di male ad accettare un aiuto, vero?-

Koutaro sbuffò irritato e scese  autonomamente dalla rampa: -Senti chi parla.-

 Mi feci da parte per lasciar passare un vecchietto e poi seguii a ruota il diciottenne.   

Come la maggior parte dei giardini tradizionali giapponesi, quello di Nishi comprendeva una rete di sentieri che conduceva a più punti d'osservazione.

Era relativamente grande per essere contenuto in uno spazio ospedaliero; il verde del paesaggio spiccava sullo lo sfondo moderno della Tokyo Tower e di altre costruzioni urbane in lontananza.

Una dozzina di aceri era stata piantata attorno ad un piccolo stagno centrale, vicino al quale si erano radunati molti dei pazienti.

-Beh?- Koutaro si stemò su una panchina libera e aspettò che facessi lo stesso.

Mi accomodai al suo fianco e chiusi gli occhi, concedendomi un minuto di silenzio circondato dalla natura.

-Akaashi? Ti sei rotto, per caso?-

Sospirai, ricordandomi di avere a che fare con un tipo a dir poco frenetico.

-No, Bokuto-san. Stavo pensando.-

-Scusa, ti lascio in pace.-

Alzai gli occhi al cielo e repressi un sorriso: -No, non importa. Ti ho portato questo.-

Tirai fuori dalla borsa un bento color pesca e lo aprii, rivelando due onigiri preparati da poco.

Gli occhi di Bokuto ripresero un po' della loro vitalità: -Quando li hai fatti?-

-Questa mattina.- Dissi, offrendogli la scatola perchè ne prendesse uno.

-A cosa devo il piacere?- Domandò il ragazzo, addentando la palla di riso.

-Il tempo vola. Non manca molto all'estate, così ho pensato...- Scrollai le spalle -Non sappiamo se sarai in grado di abbandonare l'ospedale durante le vacanze, quindi ho voluto anticipare la nostra gita alle cascate di Shirato.-

La verità faceva troppo male per essere detta.

Ma entrambi sapevamo che, per Bokuto, sarebbe stato un miracolo anche solo arrivarci, all'estate.

Lui si bloccò con il boccone ancora in bocca: -Eh? Ma siamo letteralmente nel giardino del Nishi.-

Mi sistemai nervosamente il colletto della maglia: -Sì, beh, non puoi muoverti, quindi non ho trovato nessun altro luogo che potesse vagamante assomigliare alle cascate.-

-Secondo quale logica questo picnic dovrebbe ricordarmi Shirato?-

-Hey!- Protestai, tirandogli una gomitata -Ci sono gli alberi e l'acqua dello stagno. E il bento è lo stesso di quel giorno. In più- Mi abbassai per tirare fuori dalla borsa un paio di borracce termiche -Ho preparato due tisane limone e zenzero. Visto? E' ancora meglio di Shirato.-

Bokuto ridacchiò allegramente e quel suono mi riscaldò il cuore.

-Non che ci volesse tanto, eh.- Mi fece notare, sporgendosi in avanti per stringere tra le mani la borraccia -Ma devo dire che la tisana bollente a Maggio è un tocco di classe.-

-Accontentati, per una volta. Impara ad apprezzare le piccole cose.- Lo schernii, stringendo il bordo del recipiente tra i denti.

Bokuto mi fulminò con lo sguardo, divertito, e iniziò a bere la bevanda: -Woah! Scotta!-

-Devi soffiarci sopra.-

Il ragazzo mi scompiglió amorevolmente i capelli: -Grazie per quello che hai fatto, Akaashi.-

Risposi con un cenno e sorseggiai la tisana.

Per un po' restammo in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri.

Fu Bokuto ad interrompere la quiete: -È lunedì, oggi.-

-Sì, Bokuto-san.-

-Sai cosa significa?-

Aggrottai le sopracciglia: -Che non potrò fermarmi a dormire qui?-

-Oltre a quello.-

La mia espressione gli lasciò intendere che non avevo la benché minima idea di che cosa stesse parlando.

Koutaro si affrettò a dare una spiegazione: -Che mancano sei giorni a domenica.-

-Dovrei meravigliarmi?-

-Dai, Akaashi! Sarà l'ultimo giorno del Sanja Matsuri.-

Il festival a cui si stava riferendo Bokuto era uno dei principali eventi shintoisti di Tokyo.

Si trattava di un rito religioso in onore degli spiriti di tre uomini: l'ultimo giorno di festeggiamenti, a essere portati in processione, erano i tre mikoshi conservati nel santuario di Asakusa.

-Beh, quest'anno me lo perderò. Forse potrei fare un salto venerdì, con Kenma.-

-E se assistessimo assieme alla sfilata?-

Inclinai la testa come era solito fare Bokuto: -Intendi domenica?-

Il ragazzo annuì con convinzione.

-Ma non puoi neanche lasciare l'ospedale. Come pensi di-

-Chiederò un permesso.- Mi interruppe lui -I dottori me ne hanno già concessi altri.-

-Non mi sembra una buona idea, Bokuto-san.-

-Lo hanno fatto in passato. Mi permetteranno di uscire qualche ora.-

-Ma le tue condizioni sono- Mi bloccai prima di pronunciare quella parola.

Koutaro non se ne accorse o, perlomeno, finse di non aver dato peso alla cosa: -Secondo me, invece, accetteranno. Si tratta del Sanja Matsuri, dopotutto.-

-Dovresti parlarne con i tuoi.-

Bokuto liquidó in fretta il suggerimento: -Finalmente potremo passare una serata solo noi due, senza fili di macchinari e medici che entrano continuamente nella stanza.-

Sospirai e, rassegnato puntai gli occhi verso lo stagno.

I medici non avrebbero mai permesso a Bokuto di lasciare l'ospedale.

Lo sapevo fin troppo bene.

Perché, per quanto mi costasse ammetterlo, la famiglia del ragazzo mi aveva parlato della sua salute fisica.

La Leucemia era imprevedibile, sì.

Ma Bokuto aveva riscontrato delle crisi sempre più frequenti.

Perdeva sangue dalle gengive, aveva una pressione irregolare e si reggeva a malapena in piedi.

Si poteva benissimo fare una stima del tempo che gli era rimasto.

E non era molto.

Ogni giorno mi svegliavo sudato e, come prima cosa, controllavo le notifiche del cellulare.

Dopodiché, per sicurezza, chiamavo Koutaro e mi facevo ripetere almeno una decina di volte che il ragazzo stava bene.

La sera, invece, aspettavo che fosse l'altro ad addormentarsi per primo.

Dovevo avere perennemente la situazione sotto controllo, o non ne sarei uscito vivo.

-Coraggio, torniamo dentro. Hai bisogno di stenderti sul letto e riposare.- Dissi, spolverandomi dalle briciole del pranzo e infilando il bento vuoto nella borsa.

-Ti terrò aggiornato!- Bokuto aveva riacquistato talmente tanta allegria che decise di non protestare.

Gli sorrisi, sperando che non si notasse il velo di tristezza che mi oscurava il volto.

-Ci conto.-

×××××


(Ti vedo!!!)

(Dove sei?)

(Dietro al tipo con il kimono blu)

(Bokuto-san, è un festival tradizionale, sono quasi tutti in kimono.)

(Sì ma è blu)

(Puoi trovare un altro riferimento?)

(Alza la testa)

Feci come richiesto, incontrando due occhi dorati che mi scrutavano affettuosamente. 

Cacciai il cellulare in tasca e sospirai.

-Non posso crederci.- Dissi semplicemente.

Koutaro allargó le braccia, entusiasta: -Vero?-

Quando Bokuto mi aveva scritto che i medici avevano accolto la sua richiesta, avevo faticato a dargli retta.

Era rimasto chiuso nella sua stanza per una settimana, troppo debole anche solo per interagire con chi veniva a fargli visita.

-Mangia poco- Ci raccontava l'infermiera, controllando con la coda dell'occhio che il ragazzo non stesse solo fingendo di dormire -A breve vi consegneremo le analisi del sangue.-

E, quando aveva passato i fogli alla madre di Bokuto, avevo visto gli occhi della donna riempirsi di lacrime.

Scoprire che gli avevano permesso di uscire era stato totalmente inaspettato.

-Evidentemente amano il Sanja Matsuri.- Bokuto sfoderò un sorriso a trentadue denti, ma barcollò in avanti appena venne urtato da un passante.

-Bokuto-san, non ti reggi neanche in piedi.- Protestai, afferrando il ragazzo per un braccio -E' meglio se ti riporto in ospedale.-

-Dai, Akaashee! Sono mesi che non esco da quell'inferno.- Si impuntò il ragazzo, volendosi liberare dalla stretta. 

Ma era troppo debole anche solo per provarci.

Ci trovavamo alla coda della sfilata, in mezzo ad un via vai di persone che tentavano di raggiungere il corteo, poco più avanti.

I negozi erano più affollati che mai e i bambini giocavano ad acchiapparella tra le vie più improbabili del centro.

I turisti, invece, fotografavano gli abitanti di Tokyo che indossavano i migliori abiti tradizionali, conservati in armadio proprio per questa occasione.

Si viveva un'atmosfera opposta a quella deprimente dell'ospedale.

-Non voglio che tu ti senta male in mezzo a tutte queste persone.- Dissi, spingendolo leggermente all'indietro per cercareuna via d'uscita dalla folla.

-Ma Akaashi...-

-La tua è stata una mossa irresponsabile. Dobbiamo tornare al Nishi.-

-Akaashi!-

-Non voglio sentire scuse.- Lo trascinai fuori dal corteo e individuai una strada secondaria meno frequentata. -Possiamo prendere que-

-Keiji. Perfavore.-

Mi bloccai all'istante e la mia testa scattò verso il ragazzo.

Non avevo mai visto Bokuto così sicuro di sè.

-Ma Bokuto-san...-

-Non mi rimane molto tempo e lo sai anche tu. Permettimi di passare un'ultima serata fuori.-

Mi morsi un labbro.

Quelle parole erano riuscite a ferirmi più di quanto Koutaro avesse potuto immaginare.

-Ti prego.- Aggiunse.

Indugiai, ma alla fine chinai il capo: -Alle dieci dovrai essere già a letto.-

-Affare fatto, mamma.-

Ruotai gli occhi e sbuffai, infastidito: -Guarda che mi sto già pentendo.-

Koutaro mi lasciò un leggero bacio sulla guancia e si strinse attorno al mio braccio: -Allora? Dove andiamo? Cosa possiamo fare? Sono così felice!-

-E dire che fino ad un attimo fa assomigliavi più ad un malato terminale.-

-Non ironizzare sulla mia condizione.-

Scoppiai in una piccola risata e strinsi la mano di Koutaro: -Dovremmo seguire il corteo, ora.-

-E se ci allontanassimo?-

-Credevo fossi venuto qui per il Sanja Matsuri.-

-Sono venuto qui per te, Akaashi.-

Le mie guance si tinsero di rosso: -A-Allora dove ti piacerebbe andare?-

Koutaro ci pensò su qualche secondo: -In effetti, un'idea ce l'avrei.-

×××××


Allontanai il milkshake dalla bocca e non nascosi un'espressione disgustata: -Ma come fa a piacerti?-

-Il gusto al pancake è fantastico.-

-Sembra di bere latte e plastica.-

-Com'è che improvvisamente è tornato l'Akaashi pessimista?-

-Io ci provo anche, Bokuto-san, ma ha un sapore terribile.-

Koutaro strinse la cannuccia tra i denti e piegò le labbra in un sorriso: -Alla fine sono riuscito a fartelo assaggiare, almeno.-

-"Debolezza numero quindici: mai rifiutare per più di dieci volte una sua richiesta, o Bokuto-san rischia un crollo emotivo".-

-Questa l'hai appena inventata.-

-In ogni caso, si tratta di un'esperienza che non intendo ripetere.-

-Sai essere proprio crudele.-

Rimasi impassibile e sorseggiai quel miscuglio disgustoso.

Per un po' restammo assorti nei nostri pensieri e fissammo il sole che tramontava dietro i grattacieli.

La terrazza di Noburu era completamente deserta, forse perchè i turisti erano più attratti dalla parata del Sanja Matsuri.

Solo noi due.

Proprio come al nostro primo incontro.

-Credevo di odiare questo posto.- Interruppi il silenzio, appoggiandomi con i gomiti sulla ringhiera -Insomma, non tutti tornerebbero volentieri nel luogo del proprio tentato suicidio.-

-Cosa ti ha fatto ricredere?-

-Tu.- Risposi semplicemente -E' qui che ti ho conosciuto. Credo sia stato il giorno...  peggiore e migliore di tutta la mia vita, sempre che sia possibile.-

-Perchè non dovrebbe?- 

-Essere entrambe le cose?- Inarcai un sopracciglio -Non è...- "Normale". 

Mi interruppi.

-Sai che c'è? Hai ragione.- Sulle mie labbra si fece largo un sorrisetto divertito -A chi importa?-

Bokuto mi osservò senza battere ciglio. Dopodichè, puntò gli occhi sulla strada sottostante: -Ci sei riuscito, alla fine.-

-A fare cosa?-

-A vedere il gigio.- La voce del ragazzo era ferma ma delicata allo stesso tempo -Non facevi altro che ripetere quanto la tua vita fosse grigia e vuota.-

-Non ti seguo.-

-Tu non vedevi il grigio. Eri solo convinto di farlo.- Mi corresse Bokuto -Per te era tutto bianco o nero. Non esistevano vie di mezzo.-

Per qualche strano motivo, non mi servirono ulteriori spiegazioni.

Avevo compreso quello che Bokuto stava cercando di dirmi.

Trovare soddisfazione nelle piccole cose.

Divertirsi senza pensare ai doveri.

Pagare le conseguenze di azioni avventate.

Persino cercare il lato negativo in situazioni che non ne avevano uno.

Piangere e poi stare bene.

Ridere per poi sentirsi peggio.

Quello era il "grigio".

-Akaashi.- Gli occhi di Bokuto imprigionarono i miei -Devi continuare a vivere.-

-Che cosa?- Sbottai, colto di sorpresa.

-Devi andare avanti. Ma non voglio che tu lo faccia perché te lo sto chiedendo io.-

All'inizio non capii dove avesse intenzione di sviare il discorso.

"Perchè non dovrei?"

Insomma, mi sembrava evidente che non fossi tornato su quel tetto per buttarmi dal ventiduesimo piano.

Forse per Bokuto non era altrettanto scontato?

-È questa la tua paura?- Domandai -Che quando... non ci sarai più, io non riuscirò a continuare da solo?-

Koutaro non lo negó: -Ho paura che un giorno possa tornarti in mente la folle idea di salire su questo palazzo. E allora non ci sarò io ad impedirti di saltare.-

-Pensavo... pensavo avessi capito che non sono più la stessa persona di quella sera.-

-Devi promettermelo, Akaashi.- Bokuto mi afferrò entrambe le mani e le strinse tra le sue -Noi ci facciamo promesse a vicenda, no?-

Lo fissai a lungo senza battere ciglio.

-Ti ricordi quella notte, sul tuo balcone, quando ho detto che sei la persona più coraggiosa che abbia mai avuto il privilegio di conoscere?-

Koutaro annuì.

-È perché ho pensato che bisogna essere coraggiosi per vivere. E tu mi hai fatto capire quanto sia stato fortunato ad aver avuto la possibilità di vivere una seconda volta.-

-È una promessa, quindi?-

Sorrisi e chinai il capo: -È una promessa.-

Bokuto mi strinse in un abbraccio e sospiró sull'incavo della mia spalla, quasi si fosse tolto un peso.

-Devi promettermi anche un'altra cosa.- Biascicó con la guancia premuta sulla mia spalla.

-Ovvero?-

-Tornerai alle cascate di Shirato anche per me.-

Ignorai la stretta al cuore.

Faceva troppo male guardare in faccia la realtà.

Mi scostai appena per appoggiare un lungo bacio sulle labbra del ragazzo.

-Certo, Bokuto-san.- Sussurrai -Te lo prometto.-

-E ordinerai un'altra volta il frappè al pancake di Pinku Miruku.-

Ridacchiai e mi strinsi ancora di più a lui.

-Ora stai correndo un po' troppo.-


×××××


Trascorsero altre due settimane da quella nostra ultima uscita.

La primavera si stava portando via le brezze fresche per lasciare spazio ai caldi venti estivi e alle temperature elevate.

E le condizioni di Bokuto erano solo che peggiorate.

Le cure mediche si erano intensificate al punto che che il ragazzo non aveva più lasciato la sua stanza.

Se ne stava rinchiso lì giorno e notte, incollato al letto, con la forza sufficiente solo per scambiare qualche parola con i dottori o con chi veniva a fargli visita.

La maggior parte delle volte era troppo debole anche solo per tenere gli occhi aperti e finiva per addormentarsi nel bel mezzo di una conversazione.

Eppure, quando mi alzavo dalla sedia per abbandonare la stanza in punta di piedi, continuavo a pensare a quanto fosse adorabile.

E a quanto fossi stato tremendamente fortunato ad averlo incontrato.

-Keiji.-

La madre di Bokuto mi salutò cordialmente.

Accostai la porta della camera e seguii la donna nel corridoio dell'ospedale.

Cercai di non fare caso alle occhiaie evidenti e agli occhi arrossati.

-Come stai, caro?-

-Non saprei. Sto come ogni giorno, immagino.-

La donna annuì e si passò nervosamente una mano sul retro del collo: -Ascolta, non è facile parlarne e non penso di avere nemmeno la forza per farlo.-

Tutti i miei muscoli si irriggidirono di colpo.

-Vedi...- Alzò gli occhi al cielo come se stesse cercando di non scoppiare in un altro pianto -Mi sembra giusto che tu sappia quello che mi hanno riferito i medici, e-

-La prego.- Avevo la gola secca e il mio cuore sembrava sul punto di esplodere -La prego, non dica niente.-

La madre di Koutaro chiuse la bocca e abbassò il capo.

Quel pomeriggio torrnai a casa e non toccai cibo.

Accettai di malgrado la tisana che mia madre mi aveva portato in camera, dopodichè mi raggommitolai nelle coperte.

Nonostante fossimo a metà Maggio, sentii freddo.

Mi addormentai velocemente e lo stesso accadde il giorno seguente.

Non è che avessi smesso di provare emozioni.

Avevo solo deciso di reprimerle per un po' di tempo.

-Mi dispiace, ma non puoi entrare.- L'infermiera incrociò le braccia, impedendomi di proseguire. -Il paziente non si trova in condizioni stabili e il personale si sta occupando di lui. Sono ammessi solo i familiari.-

-Lui è di famiglia, brutta str- Takara non riuscì a terminare la frase perchè la sorella Naoki le aveva pestato un piede -Ahia! Che c'è? Stavo per dire strega!-

Naoki sbuffò infastidita e implorò la donna: -Perfavore, Akaashi è il suo ragazzo. Gli permetta di vedere mio fratello.-

-Ho un protocollo da seguire. Sono desolata.-

-Sai dove te lo ficco quel tuo protocollo?- Ringhiò sottovoce Takara, facendosi strada nella camera di Bokuto.

Naoki si scusò con lo sguardo e seguì la sorella.

Presi un grande respiro e mi appoggiai con la schiena alla parete.

Quella sera misi qualcosa sotto i denti solo per compiacere mio padre.

Non mi sforzai nemmeno di indossare il pigiama e mi gettai di peso sul letto.

"Strano" Pensai "Ora che le giornate dovrebbero essersi fatte più brevi, sembrano allungarsi".

Venni distratto dal rumore di una notifica.

(Hey hey heyy)

Bastarono quelle tre parole peer tirarmi su di morale.

(Hey.)

(Takara e Naoki mi hanno detto che sei venuto in ospedale oggi, ma l'infermiera non ti ha permesso di entrare)

(Sì.)

( :( )

(Non ho capito il tuo ultimo messaggio, Bokuto-san.)

(E' una faccina triste)

(Io non la vedo.)

(Devi inclinare il telefono)

(Ma così farei fatica a leggere il resto.)

(Sei irrecuperabile)

Ridacchiai e aspettai un po' prima di rispondere:

(Bokuto-san. Sei ancora sveglio?)

(Certo)

(Ho riflettuto su una cosa.)

(Così mi spaventi)

(Credo che Rachel abbia sempre vissuto, alla fine.)

(Poi sarei io quello strano, quando tu tiri in ballo Blade Runner alle dieci di sera...)

(L'amore è il sentimento che ti rende umano, giusto? Così Rachel non sarebbe più un robot.)

(Sì, insomma... chiunque è in grado di amare ha veramente vissuto)

(Allora credo... quella volta che sono salito sul tetto, semplicemente... cercavo un motivo per il quale valesse la pena di vivere, senza aver realizzato di averlo sempre fatto.)

(Wow. Romantico, da parte tua)

(Non ti avevo mai dato una risposta.)

(A questo proposito... ci sarebbe un'ultima cosa che dovresti fare per me)

(Certo.)

Fissai lo schermo in attesa di una risposta per secondi interminabili.

Non comparve nessuna nuova notifica.

Rimasi online per un minuto intero, rileggendo le mie ultime parole.

Dentro di me iniziò a farsi spazio un senso di angoscia.

(Bokuto-san, sei sveglio?)

Trascorsero trenta secondi.

Un minuto.

Due.

Koutaro aveva visualizzato il messaggio senza digitare una risposta, il che significava che la chat era rimasta aperta.

Normalmente, qualcun altro avrebbe spento il telefono e si sarebbe messo a dormire.

Ma io sentivo che c'era qualcosa di strano.

Bokuto doveva avere sempre l'ultima parola, e non avrebbe mai interrotto così bruscamente una conversazione.

Composi velocemente il suo numero e feci partire una chiamata.

Il telefono squillò a vuoto.

Koutaro non teneva mai il telefono in silenzioso.

Tentai invano un seconda volta e poi una terza.

Niente da fare.

Senza pensarci due volte, afferrai una felpa dall'armadio e mi precipitai in corridoio.

-Keiji? Cosa stai-

Udii la voce di mio padre un istante prima di aver sbattuto la porta d'ingresso.

Nel cielo si vedevano già le prime stelle e si respirava quasi un'aria pulita.

Iniziai a correre seguendo la strada.

Le scarpe da ginnastica scivolavano pericolosamente sull'asfalto, ma non aveva alcuna importanza.

Svoltai l'angolo e sorpassai un gruppo di adolescenti.

Tutto. Tutto ma non questo.

La testa mi girava prepotentemente.

-Ti prego, non questo...- Sussurrai, consapevole che nessuno potesse sentirmi.

Ricacciai indietro quel pensiero continuai a correre cone un forsennato.

Ti prego, fa che mi stia sbagliando. Ti prego.

Raggiunsi il Nishi in meno di dieci minuti.

Mi catapultai dentro la struttura rischiando quasi di investire una dottoressa.

Non mi fermai ad aspettare l'ascensore e risalii la rampa di scale in un lampo.

Perfavore, perfavore, perfavore.

Avrei trovato Bokuto addormentato nel suo letto, senza ombra di dubbio.

Sì, doveva essere per forza così.

Ma, quando giunsi in cima, notai con orrore che il corridoio non era affatto deserto.

No.

No, no, no.

Perfavore. Non questo.

Tre medici mi superarono di corsa per introdursi nella camera di Bokuto.

-Spostati!- Mi urlò uno di loro, urtandomi con il braccio.

Io ero troppo sconvolto anche solo per protestare.

Mi sembrò quasi di assistere alla scena di un film.

Come a rallentatore, sempre più figure bianche si fecero largo nella sala.

Non avevo la forza di camminare.

Ne ero sicuro.

Eppure, mi ritrovai involontariamente a seguirle.

-ALLONTANATI, RAGAZZO.- Mi ordinò una donna, spingendomi all'indietro per poter passare.

Non è possibile.

In qualche modo, riuscii a sgusciare dentro la stanza.

Probabilmente perchè l'attenzione di tutti era rivolta al paziente.

Il rumore dei macchinari sovrastava le voci del personale, ma tutto suonava solo come un ronzio fastidioso.

Le labbra di Bokuto erano screpolate, gli occhi vitrei e la pelle secca.

Il petto si alzava e si abbassava ad un ritmo preoccupante, quasi fosse a corto di fiato.

La luce che gli era stata puntata addosso lo rendeva più simile ad un cadavere che ad una persona in carne ed ossa.

-Bokuto-san...-  Chiamai con un filo di voce, incapace di assistere ulteriormente ad una scena così struggente.

Il ragazzo parve riacquistare lucidità, anche se solo per un brevissimo istante.

Le iridi color miele scattarono in avanti, riconoscendomi.

"Sta sorridendo" pensai.

Anche se non aveva la forza di muovere un solo muscolo, bastava conoscerlo abbastanza per prevedere le sue intenzioni.

E io sapevo che quello di Koutaro era un sorriso.

-Bokuto-san!- Mormorai gettandomi in avanti, prima di sentirmi afferrare per il cappuccio.

Mi dimenai, ma il medico mi trascinò ugualmente fuori.

-No! Bokuto-san!-

L'uomo mi intimò di stare calmo, ma io non gli diedi retta: -Ci siamo fatti una promessa, ricordi? Noi... ci facciamo promesse a vicenda...-

-Mandatelo via!- Esclamó qualcuno.

-Non puoi andartene ora!- Continuai disperatamente -Devi mantenere la tua parola!-

-Adesso basta, ragazzo.- Il dottore mi spinse violentemente fuori dalla stanza -Devi lasciarci spazio.-

-No, no, la prego!- Protestai, cercando di infiltrarmi nuovamente nella camera -KOUTARO! AVEVI PROMESSO!-

L'uomo fece segno a due infermiere di raggiungerlo e una di queste chiuse la porta.

Rimasi incredulo a fissare il vetro.

Era successo tutto troppo in fretta.

Al mio fianco, riconobbi Naoki.

Si teneva la testa tra le mani e sembrava stesse urlando come una pazza.

La sua voce era così ovattata che non riuscii a distinguerne le parole.

Era impossibile vedere cosa stesse succedendo nella camera per colpa di tutti quei medici che circondavano il letto di Bokuto.

La scena era così movimentata che dovetti distogliere lo sguardo per non sentirmi male.

"Avevi promesso".

Persi la cognizione del tempo, quindi non avrei saputo dire dopo quanto i genitori di Koutaro si erano presentati in ospedale.

Ricordo solo di aver incrociato, per un breve istante, gli occhi di Takara.

Non avevo mai visto una tonalità così scura.

Una mano rugosa si appoggiò sulla mia spalla.

Non ci feci caso.

Uno dei dottori si era avvicinato per parlare con l'intera famiglia.

Non riuscii a mettere a  fuoco la situazione, ma notai che il via vai dei medici era improvvisamente cessato.

La luce al neon del corridoio tremolò.

Quindi è questo che si prova.

Caddi sulle ginocchia e strinsi i pugni così forte che per poco non feci uscire del sangue.

Avevo detto che l'amore è una caduta in un pozzo senza fondo. 

Può farti credere di essere in volo ma, alla fine, si tratta pur sempre di una caduta.

Mi sbagliavo. 

Il fondo esiste.

E la parte peggiore è quando lo raggiungi.

"Sto ammazzando tutti quelli che mi stanno attorno, Akaashi."

Ah, Bokuto.

"Mi vedono ogni giorno combattere contro questa fottuta malattia e per questo stanno morendo anche loro. Non posso uccidere anche te, lo capisci?"

Ora ho finalmente capito che cosa intendevi.

Chiusi gli occhi e mi lasciai invadere dal dolore.

Quello, era il fondo.

Affondai il viso tra le mani e soffocai un singhiozzo.

Hai ucciso anche me, alla fine.

   
 
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