EPILOGO
Sette
Anni Dopo
Kazumi Yoshida, da poco nominata
direttore della filiale di New York delle Yoshida Industries,
entrò nel suo ufficio alle otto e trenta precise con la sua solita puntualità,
sedendosi immediatamente alla scrivania e accendendo il monitor olografico del
suo computer.
Aveva
da poco iniziato a consultare alcuni grafici quando la segretaria la informò
tramite l’interfono che un certo Will Smith era venuto a farle visita e
chiedeva di verla.
«Farlo
pure entrare.» era stata la sua risposta e poco dopo nella stanza entrò un
giovane di colore più o meno della sua stessa età
vestito in modo molto elegante.
«Will.» disse alzandosi dalla sua poltrona e andando a salutarlo con
grande calore «Che gioia rivederti.»
«È bello rivedere anche te, Kazumi. È passato molto tempo.»
«Troppo, amico mio».
Si
sedettero, e per parecchi minuti entrambi si persero a rievocare i periodi
dell’università, quando ciascuno dei due impegnava tutte le energie alla
realizzazione ognuno del proprio sogno.
Molte
cose erano cambiate da allora, ed erano già tre anni che non si vedevano.
Subito
dopo essersi laureato Will si era trasferito a
Washington, dove era riuscito, a forza di spiegazioni e dimostrazioni, a
convincere le alte sfere dell’aeronautica a investire una gran quantità di
tempo e di risorse alla realizzazione di un non meglio identificato progetto Skyarrow; questo nome era venuto alla luce già da qualche
tempo assumendo velocemente un’incredibile, ma a parte la stessa Kazumi oltre
al personale effettivamente coinvolto nessuno sapeva veramente di cosa si
trattava.
«Allora?» domandò ad un certo punto la ragazza
«Come procede il lavoro? Hai risolto quel problema?»
«Eh,
magari.» rispose Will sollevando le spalle «Più cerco
una soluzione più ritorno al punto di partenza. Credevo di aver trovato un
alleato nell’alimentazione nucleare, ma si è rivelato un fiasco.»
«Capisco. Beh, comunque vada, hai tutto il mio sostegno.»
«Lieto di sentirtelo dire. E tu invece? Come te la passi?»
«Non mi lamento. Qui è più o meno
la solita routine, ma alla fine mi ci sono abituata.»
«E sue
notizie?» domandò Will facendosi improvvisamente molto più serio «Ne hai più
avute?».
A
quella domanda la ragazza abbassò lo sguardo, facendosi triste e sconfortata.
«Mi dispiace. Non dovevo chiedertelo.»
«No,
tranquillo.» rispose lei cercando di mostrarsi più tranquilla «Comunque, sono certa che in giorno ritornerà. È ciò che
sento con tutta me stessa, e non smetterò di crederci.»
«Se
vuoi proprio saperlo, anche io credo che sarà così.
Dopotutto, non è il tipo da lasciare le cose a metà».
In
quella Kazumi, forse per dimenticare l’argomento, prese il bigliettino che la
segretaria le aveva portato qualche minuto prima dicendo che era stato portato
da una persona che aveva fatto specifica richiesta di consegnarlo al direttore.
Lo aprì: tre righe scritte a mano, probabilmente di getto, e due sole frasi,
che però furono più che sufficienti a farla quasi svenire.
Nessuno
di noi sa cosa gli riserva il futuro, ma non puoi neanche far finta di niente e
continuare a vivere nel terrore. Se hai paura che il futuro sia fosco e
minaccioso puoi sempre impegnarti per cambiarlo.
Sentendo con le proprie orecchie il contenuto
di quel biglietto Will ebbe la medesima reazione, ed entrambi, dopo essersi guardati un momento, corsero fuori dall’ufficio.
«Martha!» disse Kazumi come fuori di sé rivolgendosi alla segretaria
«Chi ha portato questo biglietto?»
«Un
giovane.» rispose la donna visibilmente sorpresa «Avrà
avuto sui venticinque anni. Non l’ho visto bene in viso. Indossava un
impermeabile e aveva un cappuccio sulla testa».
Prima
ancora di sentire la fine della descrizione Will e Kazumi si lanciarono verso
gli ascensori, e raggiunto l’atrio del palazzo
uscirono all’esterno quasi sfondando la porta, prendendo a guardarsi attorno; i
marciapiedi di New York erano affollati come al solito di gente che andava e
veniva dai luoghi più disparati, e quella marea di persone unita al traffico,
congestionato come sempre, riempiva l’aria di una miriade di voci e di suoni.
Will
guardò di nuovo il biglietto, come se non credesse a ciò che stava succedendo,
poi guardò Kazumi, che osservava smarrita tutto intorno a sé.
«Kazumi…».
Qualche istante dopo la ragazza abbassò lo sguardo, accennando un
sorriso.
«Lui è qui. Ha voluto farmi sapere che sta bene e che non mi
ha dimenticata, e per ora mi basta.
Continuerò ad aspettarlo, proprio come Nadeshiko sta aspettando
Toshio. Sono certa che, in un modo o nell’altro, alla fine tutto andrà bene».
La Via Mariana, chiamata dalla maggior parte
del popolo Via della Liberazione, collegava la città di Qerin, capitale del
regno di Fiya, con le fertili pianure dell’est, in particolare con la città di Selyras, e percorrendola tutta verso nord si poteva
arrivare fino al lontano Regno di Remynius, uno degli
ultimi baluardi della società umana a sud del fiume Danus,
oltre il quale si estendeva il territorio degli elfi.
Il
nome Via della Liberazione era dovuto al fatto che
parte del suo tracciato percorreva una regione che fino a pochi decenni prima
aveva fatto parte del vicino Impero di Caldesia ma che alla fine si era
ribellata, ottenendo da Fiya l’appoggio necessario a distaccarsi
dall’oppressione caldesiana per passare sotto
l’amministrazione ben più giusta e saggia dei sovrani di Qerin.
Essendo una strada molto larga e comoda, asfaltata con solidi blocchi di
selce e provvista di canali di scolo per le acque piovane, era sempre affollata
di viaggiatori, e dal momento che toccava alcune delle
città più grandi e prospere della regione orientale del regno era usata
spessissimo anche dalle carovane mercantili.
Incamminandosi lungo il suo percorso era molto facile imbattersi in
lunghe file di carri stracolmi di ogni ben di dio,
tutte merci destinate sia ai floridi mercati cittadini sia alle piccole
comunità agricole di campagna.
Di
tutti i regni del Continente, Fiya era sicuramente il più prospero.
Governato da una famiglia potente e dalla storia secolare, nel corso dei
secoli aveva espanto enormemente i suoi domini, diventando, dopo il regno
elfico di Normar, il Paese più vasto del Continente.
Purtroppo, anche un regno florido e pacifico come Fiya non era immune a
cose quali il brigantaggio, e anche se l’intera rete stradale era percorsa
senza sosta da pattuglie di due o tre soldati a cavallo e presentava a distanze
regolari delle stazioni di posta con tanto di presidio
militare capitava spesso che le grandi carovane cadessero vittime di assalti
furiosi che spesso, troppo spesso, finivano in un bagno di sangue.
Era
una fresca giornata di primavera sulle alture verdi e scintillanti
dell’altopiano di Gavos e lungo la Via Mariana
camminava, in direzione nord, quello che aveva tutta l’aria di essere uno straniero;
nascosto completamente in un mantello da viaggio, indossava anche un largo
cappello di tessuto dalla visiera estremamente larga
che ne copriva il viso e dietro la schiena aveva uno stupendo arco a scaglie
che sembrava fatto quasi di diamante, tanto forte e vigorosamente risplendeva
al sole.
Procedeva lentamente, senza fretta, guardandosi attorno, ma a parte lui
in quel momento non vi erano altri viaggiatori, ma essendo molto presto era
probabile che molti di essi stessero ancora dormendo nelle stazioni di posta,
per non parlare del fatto che in questione sorgeva piuttosto lontano dalle
grandi città, quindi era molto più facile imbattersi in diligenze piuttosto che
in viandanti.
Proprio per questo motivo era ipotizzabile il fatto che quell’uomo così
composto nella camminata potesse essere uno straniero; solo stranieri,
mendicanti e briganti, oltre naturalmente alle carovane mercantili,
frequentavano le strada in ore tanto insolite, e
bastava guardare la foggia elegante del mantello per capire che quel tipo un
ladro non lo era sicuramente.
Ad un certo punto la sua attenzione, prima rivolta alla
strada su cui stava camminando, fu attirata da urla e rumori concitati; poche
centinaia di metri più in là una carovana proveniente dalla Repubblica di Silfyn aveva subito l’assalto di una delle più temibili
bande di briganti che avevano il loro covo lungo il tracciato della Via
Mariana, le famigerate Lucertole Nere.
Tutti
gli occupanti, soprattutto donne e bambini, erano stati ammassati in un unico
posto e venivano tenuti sotto la minaccia delle armi
da tre briganti, tra cui il capo di quella marmaglia, un tipo alto e smilzo con
un paio di baffi incolti e capelli sporchissimi di nome Burai,
e intanto i suoi uomini caricavano su di un unico carro tutta la merce più
preziosa.
«Allora, volete darvi una mossa?» disse con quella sua voce gracchiante
vedendo che il furto stava durando più del previsto «La pattuglia potrebbe
passare da un momento all’altro!»
«Scusaci capo, ma qui c’è un sacco di roba!».
Qualche
minuto dopo venne finalmente il momento della fuga, ma
Burai, come faceva sempre dopo uno dei furti della
sua banda, volle tutelarsi da eventuali colpi di mano portandosi dietro un
ostaggio, in modo tale da evitare anche che i derubati potessero sporgere
denuncia nei suoi confronti, dando il via ad una caccia serrata da parte dei
militari.
La
scelta questa volta ricadde sulla figlia dodicenne del capo della comitiva; il
padre cercò di difenderla, ma fu steso con un pauroso colpo alla nuca
inflittogli col pomo di una spada, la madre invece fu tenuta indietro
puntandole contro le armi.
«Fermi!» gridò improvvisamente qualcuno.
Tutti
volsero lo sguardo verso una sola direzione e incrociarono il misterioso
forestiero col mantello nero il quale, piazzatosi al centro della strada,
sembrava quasi voler bloccare ai banditi la via di fuga.
«Lasciate andare subito quella ragazzina.» disse con voce calma e risoluta
«Chi
accidenti ti credi di essere?» domandò Burai dalla
cima del suo cavallo dove aveva caricato anche il suo
ostaggio dopo averla legata mani e piedi «Fatti da parte se non vuoi farti
male.»
«Vi ho detto di liberare quella ragazzina. Non lo ripeterò
un’altra volta».
Di
fronte ad una fermezza tanto sfacciata i briganti risero sguaiatamente, e a
quel punto Burai perse la pazienza.
«Ne ho abbastanza di te. Avresti dovuto pensare agli affare tuoi. Fatelo fuori e andiamocene».
Uno
dei suoi uomini gli si avvicinò mulinando la spada, ma nonostante ciò lo
straniero continuò a rimanere immobile; poi, nell’istante in cui stava per
essere colpito, rivolse un’occhiata di fuoco al suo aggressore, e questi
immediatamente fu scaraventato in aria come una foglia secca, precipitando successivamente a terra e perdendo i sensi.
I suoi
compagni restarono senza parole, ma poi Burai ne uscì
più infuriato di prima.
«Maledetto! Sei uno stregone! Ammazzatelo!».
A quel
punto i briganti si lanciarono all’attacco tutti
insieme, chi a piedi chi a cavallo, ma questo non servì ad intimorire lo
straniero, che con una calma e una facilità disarmanti prese a farne scempio,
usando un misto di magia e arti marziali per metterli fuori combattimento senza
però ucciderli.
«Ma
tu…» disse terrorizzato Burai vedendo i suoi uomini
cadere uno ad uno «Tu chi diavolo sei?».
A
quella domanda, e per rispondere all’attacco di un brigante, lo straniero
affondò una mano nel mantello prendendone fuori una
spada assolutamente magnifica; la lama era lunga e stretta e rifletteva il
sole, l’impugnatura invece era di avorio bianchissimo, con il pomo a forma di
testa d’aquila.
Già
solo quell’arma fu sufficiente a mandare in brodo il sangue di Burai, ma quando un soffio di vento fece volare via il
cappello dello straniero mettendone a nudo il volto il
suo divenne puro terrore: doveva avere tra i venticinque e i ventotto anni,
viso pulito ma temprato a dovere, occhi neri scintillanti e capelli corvini
corti a spazzola ma con una lunghissima coda che partendo da dietro la nuca
arrivava alla base della schiena.
«No…
non può essere!» disse vedendolo mettere fuori combattimento l’ultimo dei suoi prima che potesse scappare «Tu sei Regis!».
Terrorizzato dal vedersi puntare addosso quegli
occhi che, si diceva, potessero spaventare persino i draghi mollò il suo
ostaggio e cercò di darsi alla fuga ma il ragazzo, con una calma sovrumana,
sfoderò il proprio arco, tendendo la corda e materializzando dal nulla una
freccia di luce che, scoccata, centrò in pieno il bandito, disarcionandolo e
lasciandolo a terra svenuto.
Mentre
i mercanti cercavano ancora di capacitarsi di quanto
era accaduto Regis riprese tutto il suo contegno, e raccolto da terra il suo
cappello fece per andarsene.
«Aspettate!» disse il capo della comitiva correndogli incontro e porgendogli,
inginocchiatosi davanti a lui, un piccolo forziere pieno di monete d’oro «Vi
prego, accettate questo come segno di ringraziamento».
Il
giovane lo guardò un momento, poi, senza spiccicare parola, gli girò intorno e
riprese la propria camminata da dove era stata interrotta mentre, finalmente,
un manipolo di soldati giungeva sul posto per arrestare i briganti.
«Mamma, chi è quello?» domandò la ragazzina
appena salvata
«Quello è Regis.»
«Regis?»
«È l’eroe di questo regno, ma è conosciuto in tutto il
Continente. È comparso dal nulla sette anni fa, e da allora vaga in lungo e in
largo senza fermarsi mai.
Ogni
tanto appare dal nulla, proprio come accaduto oggi, per aiutare le persone in
difficoltà, ed esaurito il proprio compito scompare
come è venuto, senza mai pretendere nulla per i propri sforzi.
Per
questo, la gente di Fiya lo ha soprannominato l’Angelo
Bianco».
Incredula e meravigliata, la ragazzina continuò a seguire il misterioso
giovane mentre si allontanava, e per un istante le parve di vedere due grandi
ali bianche materializzarsi dietro la sua schiena.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
E così, siamo giunti
alla fine di questa seconda storia.
Come ho detto e
ripetuto più volte Millennium
War – Threeten Days ha
avuto come scopo primo la creazione di un episodio ponte che chiarisse gli
eventi intercorsi tra la prima e la seconda storia, ma non nego che tale scelta
è dettata anche dal desiderio di fare un piccolo regato ai fan di Erik (chi ha
orecchie per intendere intenda^_^).
A partire da domani ricomincerò a narrare gli
eventi di Millennium War – Rebirth
e questa volta giuro solennemente che andrò avanti imperterrito fino ad
arrivare alla fine.
Ringrazio i miei
recensori appassionati, Akita,
Selly, Cleo e Rahizel, inoltre
ringrazio Kalhed
e Targul
per averla inserita tra i preferiti e Saphira e Verelia per averla seguita.
A presto, e
grazie!^_^
Carlos Olivera