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Autore: Enchalott    29/03/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Poi
 
Manawydan, circondato dalle onde dell’oceano ammansito, abbassò la spada di corallo nero. Allacciò la Chiave Oceanica al polso ornato di conchiglie iridescenti  e i flutti dilaganti del Pelopi presero a ritirarsi, indietreggiando verso la loro posizione naturale. Levò lo sguardo adamantino al cielo bianco.
Quando l’essenza fulgida del dio della Distruzione lo aveva investito, conferendogli l’energia necessaria a scongiurare l’inondazione che avrebbe inghiottito Iomhar, il dio del Mare ne aveva percepito la difformità. Non era stato come nelle occasioni precedenti. L’onda d’urto aveva risparmiato il cosmo, pur dissolvendo il male.
Un infinitesimo prima della caduta.
«Ogni volta che ti coglie la fissazione di annientare un mondo» brontolò rivolto a Irkalla come se fosse l’ «Io devo rifare tutto daccapo. Tu annulli l’esistente e lo riavvii, ma non ti preoccupi del mio regno d’acqua e lo tratti a mo’ di aspetto secondario e trascurabile. Un misero danno collaterale. Lo coinvolgi come se fosse reo e poi lasci a me la fatica di riportarlo all’equilibrio. Non sai in quante occasioni avrei voluto torcerti il collo e costringerti a ingoiare l’insopportabile alterigia che ti porti dietro, Distruttore! Ma oggi ti sono grato e concedo di aver appreso una lezione inestimabile. Ho pensato che per te fosse impossibile cambiare modo di agire e soprattutto di pensare, ma mi sono ingannato. Contrariamente agli Immortali, che si ritengono infallibili, ammetto l’errore di averti sottovalutato e disapprovato senza appello. C’era un amore smisurato nella tua luce, Irkalla, tanto straordinario che mi vedrò costretto a chiederti di spiegarmelo, a pregarti di narrarmi come hai fatto a candeggiare deamhan senza mandare in rovina neppure un minuscolo frammento di universo. Se riterrai opportuno soddisfare la mia irriverente curiosità, se risponderai che il merito va alla donna che quel giorno hai salvato dal mare con un gioco da prestigiatore dilettante, se rivelerai che il legame che condividi con lei ti ha reso tanto misericordioso e potente… ebbene io, Manawydan, signore degli abissi, abbasserò il capo davanti all’assoluto che risiede in te. Perdonerò gli sgarbi passati, appoggerò ogni tua futura risoluzione, mi reputerò tuo amico e, se me lo permetterai, difenderò la tua sposa da ogni pericolo. Per il momento hai la mia ammirazione schietta. Sei degno della mia lode, Distruttore.»
La volta celeste riacquisì la tinta azzurra, che si riflesse nelle iridi caleidoscopiche del dio del Mare. I raggi del sole lambirono la sua pelle bronzea e fecero scintillare gli ornamenti. Manawydan si schermò con la mano e sorrise avanzando tra i flutti. Infine sparì tra le increspature cobalto del suo dominio.
 
 
Irkalla osservò imperturbabile le espressioni sbigottite dei suoi pari. Attese la loro prevedibile reazione, che non tardò a manifestarsi.
«È inconcepibile!» sbottò Elkira, pur non coinvolto «Contro qualsivoglia precetto.»
«Siamo noi a stabilire le regole» confutò il Distruttore «O sbaglio?»
«Sii ragionevole, Irkalla» intervenne Valarde conciliante «Nessuno ha mai ardito sovvertire l’ordine naturale del creato. Un’istanza del genere non può essere soddisfatta. Lo affermo con dispiacere, poiché percepisco il tuo stato d’animo, ma…»
«Non sei stata tu a considerare che, se un evento non è mai accaduto, non significa che non possa verificarsi?» la congelò lui.
La dea della Montagna sgranò gli occhi, zittita dalle sue stesse parole.
Irkalla scosse la testa, tristemente ironico.
«Ah, i dettami, i dogmi… Ogni circostanza negli ultimi mille anni è scivolata verso il baratro, passandomi attraverso e risucchiandomi al suo fondale oscuro. In questo declino perverso, le leggi che state sventolando come uno stendardo non hanno avuto peso, altrimenti nulla sarebbe degenerato sino al punto di non ritorno. Nessun Immortale si sarebbe incarnato, nessun deamhan avrebbe sfidato il pantheon, nessun destino sarebbe stato prescritto in disaccordo con il libero arbitrio. Tutto ciò cui avete assistito inermi è avvenuto in barba a ogni regola e, per merito della stessa paradossale ragione, ora esistiamo. Perché io ho infranto ogni norma e non mi è importato di eluderla. Adesso possiedo l’indiscutibile prerogativa di scrollarmi di dosso le pastoie in cui cercate di imbrigliarmi. Esse non incidono sul mio volere. Non le riconosco. La verità è che tutti voi siete in debito con me!»
Kalemi incrociò le braccia sul petto, ammirando la caparbietà del suo tutore, che dimostrava l’intenzione di non recedere a costo di rinunciare al proprio ruolo.
Sospirò combattuto: il Distruttore aveva cancellato gli errori presenti e passati, aveva disgregato deamhan. Retribuirlo con un divieto o con un ammonimento sarebbe stato ingiusto. La riconoscenza e l’affetto che provava nei suoi confronti andavano oltre quella circostanza. Grazie al suo esempio di obiettività e resilienza, Kalemi aveva trovato la volontà di affrontare il padre e di assumere la guida del pantheon. Era altrettanto vero che quanto Irkalla aveva domandato risultava inattuabile.
Amathira si strinse al braccio del compagno. Non era stata interpellata, ma con onestà pensava che negare a Irkalla quell’unico, comprensibile desiderio sarebbe stato un atto iniquo. Peggiore di quello che aveva dato origine alla maledizione a causa di una sciocca vanità. Si stupì nel sentirsi partecipe e allo stesso tempo realizzò il motivo per cui lui, nonostante tutto, l’avesse perdonata.
«Resh. Accontentalo, ti prego.»
Lo sguardo del Distruttore la trapassò sprezzante: la dea del Cielo abbassò il capo, avvampando.
Il divino Custode osservò il fratello, ricoperto degli indumenti dilaniati di quando era Anthos di Iomhar. Non aveva bisogno di intercessione. Sollevò la mano e la stoffa sbrindellata fu sostituita da una tunica candida, fermata in vita da un cinto aureo. Irkalla inarcò un sopracciglio ma non abbandonò l’aria agguerrita.
«Che significa?»
«Che non sei più un mortale.»
«Questo non cambia nulla!»
«Cambia tutto, invece. Non trovi?»
Il Distruttore scrutò negli occhi argentati e sereni del fratello, che non erano cambiati di una virgola.
«Già» mormorò, lasciandosi abbracciare «Cambia tutto, hai ragione.»
«Un’anima» ripeté Reshkigal, stringendogli le mani sulle spalle «Sì. La concedo.»
Le labbra di Irkalla si piegarono in un sorriso che nessuno dalla genesi aveva mai scorto sul suo viso severo. Entrambi si volsero al principe celeste.
Kalemi liberò il fiato e sciolse le braccia conserte, approssimandosi.
«… e del tempo» ultimò con rassegnazione «Così sia.»
Il dio della Distruzione si inchinò al giovane sovrano, che lo bloccò prima che l’atto divenisse un inginocchiarsi.
«No. Mi basta la tua parola. Rimarrai in piedi davanti a me e in cambio non mancherai al tuo compito.»
«Ne sarò degno.»
Reshkigal porse le mani ai compagni, che le strinsero a incrocio. Un’energia immane danzò, avvolgendoli e nascondendoli allo sguardo stupefatto degli astanti.
«Non posso crederci» balbettò Valarde, asciugandosi una lacrima.
«Neppure io» fece eco Elkira imbambolato «Anzi, sì! Ci credo eccome! È un nuovo inizio. In fondo, fa parte dei suoi doveri.»
«Sì» assentì la dea della Montagna «È parte di lui.»
 
«Richiamo l’anima» ordinò Reshkigal, serrando la stretta che condivideva con gli altri Immortali «Che essa giunga a me adesso.»
«Accordo il tempo» sancì Kalemi, mentre il mantello candido si gonfiava sulle spalle e gli occhi verde bosco divenivano luce «Che esso si spieghi nel mondo.»
«Raduno le ceneri» completò Irkalla, il segno a due colori che fiammeggiava sulla fronte «Che esse ritornino carne.»
Le aure divine si fusero in un’onda onnipotente, che s’innalzò dal cerchio formato dalle creature più elevate del pantheon: si espanse, raggiunse lo scopo, piegò a suo piacimento il creato, conferendogli la forma prescelta a dispetto di ogni prescrizione.
Una cometa incandescente schizzò attraverso la volta celeste, lasciando una lunga scia di luce.
«Ci sono riusciti?» domandò incerta Valarde, ammirando l’arco che si spegneva.
«Nessun dubbio» restituì Elkira, volgendosi al sovrano degli dei, che suo malgrado ansimava per lo sforzo compiuto.
«Non lo farò mai più» brontolò questi, sistemandosi la treccia corvina sulla spalla.
«È accaduto?» si premurò Amathira, cingendo le vesti nere dell’amato.
«No» replicò Reshkigal, rifiatando per sfiorarle le labbra con un bacio «Accadrà.»
 
 
Dessri attraversò il cortile della fortezza, diretta alle scuderie. La luce rosata dell’alba impregnò le mura di pietra squadrata e si espanse su Jarlath in un vibrare di vita cui non era assuefatta.
Erano trascorse tre settimane da quello che sarebbe potuto essere l’ultimo giorno del creato: le nuvole non erano tornate a opprimere Iomhar e la coltre che aveva avviluppato il Nord non era che un ricordo. Il freddo pungente si era ridimensionato e la natura forniva chiari sintomi di un futuro alternarsi delle stagioni. Certo l’inverno non era trascorso e le cime del Sirideain erano spruzzate di neve. L’aria cristallina trapassava con pungente insistenza la lana del suo scialle. Però era un rigore naturale, protettivo, diverso da quello che aveva bruciato nel tempo la speranza di quella terra.
Le difese della capitale e la città bassa avevano subito danni ingenti, ma gli abitanti di Jarlath si erano rimboccati le maniche e avevano incominciato la ricostruzione. La reggia aveva riportato qualche deterioramento, nulla di serio. Solo Leu-Mòr si ergeva mutilata dal cuore del palazzo.
Le macerie avevano occupato la Torre, precipitando al suo interno e ostruendone l’accesso. La porta eburnea che conduceva alle stanze del principe era bloccata e le pareti pericolanti sovrastavano l’unico ingresso, rendendolo instabile. Impensabile varcare quella soglia tanto temuta.
O tanto cara.
La regina Adara si era appoggiata al battente serrato, incapace di rassegnarsi. Aveva sussurrato tra le lacrime, rimanendo abbrancata al legno chiaro in attesa che qualche prodigio lo schiudesse. Invano.
Màrsali l’aveva dissuasa e confortata con la gentilezza profonda ed empatica che sapeva emanare, prendendola per mano e allontanandola da quel luogo di memorie capaci di arrecare soltanto ulteriore dolore.
Dessri sospirò prostrata, sollevando lo sguardo sul portale ad arco, aperto da quando il creato era stato graziato. Gli uomini della Guardia reale, inguainati nell’uniforme a tre colori, sorvegliavano Iomhar con rinnovata energia. Nei loro sguardi orgogliosi c’era preoccupazione, che si esplicava nelle occhiate fugaci lanciate all’ala ovest del palazzo. Se avesse percorso un’altra strada, avrebbe scorto la medesima angoscia in ogni cittadino: l’ansia per la loro diletta regina.
Adara aveva compiuto ciò che era in suo potere, affinché non mancassero né i beni di prima necessità né la speranza in un avvenire radioso. Aveva parlato con gli iomharesi, scendendo tra loro, stringendo le mani delle donne e rasserenando gli animi degli uomini. Infondendo calore e sicurezza, promettendo che nessuna ombra si sarebbe proiettata sui due Regni per distruggerli. Non si era risparmiata, aveva accolto le persone a lei affidate, trattandole da pari: per lo stesso motivo ogni cittadino si era accorto dell’inconsolabile pena che la occupava e ne condivideva il peso. Nessun abitante del Nord aveva ardito mettere in discussione che quanto aveva unito la principessa elestoryana all’algido sovrano della loro terra non era stato altro che amore. E Anthos li aveva salvati a prezzo della vita.
Dessri raggiunse l’alloggiamento di Illtyd: lo stallone bianco nitrì minaccioso, scrollando la criniera e girando su se stesso per tenerla lontana. Si ritrasse, intimorita dallo sguardo ostile, finché un richiamo familiare non lo acquietò. Prese coraggio e si avvicinò alla staccionata.
«Principessa, vi stavo cercando.»
Adara si alzò dalla paglia e accarezzò il muso del purosangue appartenuto a suo marito. Portava sulle spalle il mantello blu che Anthos le aveva donato, dal quale non si separava mai. Sulla fronte spiccava il simbolo bianco del lutto.
«Perdonate se vi ho messo in apprensione.»
«Non ditemi che avete dormito qui!» la rimproverò Dessri «La notte è gelida, dovreste avere riguardo per voi stessa! E poi non è il luogo adatto!»
La regina di Iomhar uscì a malincuore dal recinto e si sedette sul fieno.
«Avete ragione, ma ieri ho fatto volare Daingean e mi sono sentita così…»
Dessri si accomodò e le prese la mano premurosa. Lo strik dalle piume blu era un altro ricordo del reggente, a quanto ne sapeva.
«Sola?» suggerì con dolcezza «Sapete che non è così.»
Adara restituì il contatto. Il cervello non aveva problemi ad ammetterlo, ma il cuore era di tutt’altro avviso.
«Se la stanza che abbiamo preparato non è di vostro gusto…» accennò la guaritrice.
«No, è bellissima… e voi, Màrsali, Kesthar, tutti siete persone meravigliose. Persino Iristan mi segue ovunque e i soldati della Guardia non mi perdono di vista! Vi sono riconoscente e mi dispiace arrecarvi disturbo. C’è così tanto da fare, la giornata trascorre veloce e i pensieri non si soffermano sull’assenza. Ma quando scende la sera, quando tutto rallenta e la quiete scende ad avvolgerci, la mia anima torna ad annegare nel dolore e non esiste luogo in cui trovi rifugio. Il mio letto è vuoto, freddo e non posso prendere sonno. L’uomo che amo non è con me e questa realtà mi è insopportabile, sento il bisogno di rinfocolare i ricordi che mi legano a lui e Illtyd… oh, Illtyd capisce e soffre quanto me, è caldo e protettivo, mi rammenta il suo abbraccio. Per qualche ora cedo al torpore, spero di sognare Anthos, di vederlo tra le illusioni del mondo onirico. Ma ciò non avviene e la disperazione mi accoglie allo schiarire di ogni nuovo giorno.»
Dessri ascoltò con profondo turbamento lo sfogo emotivo, osservò il suo viso sfiorito, le tracce livide intorno agli occhi e le lacrime trattenute che li facevano scintillare. Rivide se stessa, immersa in un’identica afflizione, a torturarsi ristoro, finché...
«Lo so. L’ho sperimentato sulla pelle, quando ho perso mio… l’uomo di cui ero innamorata. Ma la sofferenza non deve annientare ciò che siete o cancellare ciò che vostro marito amava di voi.»
«Anche voi? Sono rammaricata per avervi rammentato una pena.»
«Non sentitevi in colpa. Sarei lieta se la mia esperienza vi giovasse. Credetemi, maestà, tormentarvi non vi condurrà all’accettazione, sarà un ostacolo. L’ho imparato a mie spese, mi sono presa cura del prossimo come se fosse un narcotico, senza affrontare la realtà e questo mi ha quasi condotta alla fine. Poi ho incontrato un soldato, un elestoryano, che mi ha scrollata dalla mia intorpidita stasi e mi ha fornito le armi per difendermi da deamhan e per ricominciare a vivere.»
La principessa osservò il sorriso della donna. Nei suoi occhi c’era una riguadagnata armonia interiore.
«Aska Rei? È stato lui a risollevarvi?»
«Dare Yoon. L’uomo che mi ha aiutata porta questo nome.»
Adara sgranò gli occhi. Ripensò al coraggioso ufficiale che l’aveva scortata al Nord: una persona schietta, leale, insostituibile, un amico vero. Le mancava molto.
«Dare Yoon parla poco e non è diplomatico» convenne «Ma sa farsi ascoltare.»
Dessri arrossì, chinando lo sguardo.
«Ne siete innamorata?» domandò la regina.
«Oh, no… gli sono riconoscente e mi auguro che sia vivo. Ho la presunzione di immaginare le parole che vi rivolgerebbe, vedendovi così abbattuta.»
«Quali?»
«Se pensate che il vostro letto sia vuoto, riempitelo!»
La principessa avvampò.
«Non fraintendetemi, altezza. Nessuno potrà rimpiazzare vostro marito. Ma lasciate che il tempo rimargini le ferite e non precludetevi la possibilità di essere felice.»
«Felice… Anthos mi ha fatto giurare che lo sarei stata.»
«Non vorrete deluderlo?»
«No. Gli dei talora ascoltano le promesse e le custodiscono.»
 
L’immagine di Dionissa era stabile, il suo Kalah forte e pulito. La carnagione chiara aveva riacquisito il colorito rosato e gli occhi verde brillavano vitali sul volto delicato. I lunghi capelli ramati, sciolti in riccioli vaporosi, scendevano sull’abito smeraldo, fermato da una stola ricamata. Era bellissima ed emanava una gioia intensa.
Màrsali si inchinò all’apparizione, sostenendo la condivisione mentale attraverso i dehalbh. Quando l’aveva cercata, la principessa elestoryana aveva risposto subito, come fosse in fervida attesa.
«Vedervi in salute mi colma di letizia, altezza.»
«Come io apprendo con sollievo che voi e il Nord siete salvi» rispose Dionissa «Percepirlo attraverso il dono non è come assicurarsene di persona.»
La veggente di Odhran sorrise confortata.
«Il nostro principe ha mantenuto la parola. Il destino contenuto nei suoi sogni si è concretizzato, lo ha trasformato nel sacrificio estremo di sé. Non conosco i particolari che riguardano i suoi ultimi momenti e neppure cosa sia accaduto nell’attimo fatale. Non ho avuto cuore di domandarlo alla regina. Sebbene, grazie alla scelta di Anthos, il sommo Irkalla ci abbia risparmiati, la sua morte mi riempie di mestizia. Sono angosciata per vostra sorella, poiché nulla allevia il suo dolore.»
Dionissa annuì consapevole.
«Se in condizioni ordinarie è impossibile rassegnarsi a perdere l’amore della vita, l’accettazione non può sussistere nella sua situazione, che è più complessa di come appare. Adara è annodata al suo sposo da un vincolo che oltrepassa la nostra comprensione. Il suo lutto è inammissibile e non potrebbe essere altrimenti.»
«Non credo di capire, mia signora.»
«La verità è che una parte di Anthos non è morta. È scomparsa per ricongiungersi al suo luogo d’origine, per questo mia sorella non si arrende alla realtà. È sola, ma è come se non lo fosse. In cuor suo attende che lui ritorni.»
La veggente di Odhran intuì quanto era celato nelle parole rispettose della fanciulla elestoryana. Trasecolò.
«Oh, il nostro reggente… lui era…»
«Questo rimarrà tra noi, Màrsali. Ho fiducia in voi e vi ho rivelato il nocciolo della questione perché siete la più cara amica di Adara, affinché continuiate a starle vicino senza sentirvi inutile.»
«Lo garantisco.»
«Vorrei domandarvi un altro favore, se possibile» aggiunse la principessa «Quando Iomhar riacquisterà lo splendore primigenio e mia sorella si sentirà pronta, vi prego, persuadetela a tornare al Sud per una visita. I nostri genitori ed io siamo in pena, vorremmo donarle conforto, come l’intera Elestorya desidererebbe ringraziarla.»
«Metterò tutta me stessa. Il Nord è consapevole che la vostra famiglia ha subito una perdita altrettanto gravosa, non si rattristerà se la regina ne onorerà il ricordo.»
Lo sguardo di Dionissa si velò di mestizia al pensiero di Shion, ma fu solo un istante.
«È chi rimane ad aver bisogno di noi, non trovate?» asserì con dolcezza.
 
 
Tsambika terminò di leggere la pagina del libro che teneva tra le mani e lo chiuse con un impeto. Sbuffò, osservando il cielo turchese del Sud attraverso la grata che sbarrava la finestra: la cella non era molto spaziosa e il letto era terribilmente scomodo, ma il cibo era commestibile e i carcerieri addirittura umani. Stupefacente.
Sono stata in posti peggiori, le cabine ordinarie dei galeoni sono anguste, gli uomini di mare meno affabili e il rancio… bah!
Ripensò agli avvenimenti di un mese prima senza capacitarsene. Non sarebbe mai stata in grado di fornirsi una spiegazione soddisfacente e ascoltare i pettegolezzi non faceva che confonderla.
Quando la retroguardia dell’armata reale era scattata in avanti per dare battaglia, il carro era rimasto sguarnito. Ogni singolo uomo del deserto si era lanciato alla difesa della sua terra e nessuno si era preoccupato di sorvegliarla. Non aveva pensato di fuggire, era restata buona ad ascoltare l’eco dello scontro in quella caligine ovattata che aveva spento ogni chiarore. Prima o poi qualcuno sarebbe giunto a prelevarla. I sulluhat erano sopraggiunti per primi: l’avevano squadrata con gli occhi morti come fosse stata un pesce pregiato in un tramaglio.
A Tsambika era indietreggiata al fondo del carro per sottrarsi alla mira delle loro spade. Non avevano smesso di girarle intorno neppure quando la volta celeste era divenuta bianca e l’avevano rasentata con le lame nere. Quando avevano scardinato il lucchetto, si era data per persa.
Ma c’erano stati il terremoto e il vento e quel lucore abbagliante, che l’aveva costretta in ginocchio, le mani a riparare gli occhi. E qualcosa l’aveva lambita… scandagliata, per poi lasciarla andare e la sensazione non era stata negativa, bensì inspiegabile.
Quando si era guardata intorno, persa la cognizione del tempo, i nemici si erano dileguati. Le dune erano deserte, il silenzio terrificante. Avrebbe potuto darsi alla macchia o dirigersi alla capitale per capire se il mondo fosse in piedi. Invece si era limitata ad attendere con una pazienza inusuale, per dimostrare a se stessa di essere in grado di onorare la parola data a un uomo giusto.
Tsambika si alzò, posò il testo consunto e incrociò le braccia sul seno.
Era sopraggiunto un gruppo Iohro, li aveva riconosciuti dall’atteggiamento risoluto e dai balato in bella mostra. L’avevano presa in consegna e rinchiusa come ordinato dal reggente. Senza domandare, come se la conoscessero.
Strana gente, quella.
Il cuore accelerò le pulsazioni quando i pensieri virarono altrove.
Non l’ho più rivisto. Non so se lui sia vivo.
L’ombra verticale delle sbarre si proiettò sul suo viso assorto: erano i centottanta giorni più lunghi della sua esistenza, ma detestava l’inconsapevolezza, non la durata.
Il suono di stivali rimbombò per il corridoio. Qualcuno pronunciò un comando secco al secondino, che si affrettò ad aprire. Tese l’orecchio, l’animo in subbuglio.
I colori caldi di un’uniforme elestoryana, tortora e cremisi sul fisico prestante di un ufficiale, comparvero sulla soglia della sua reclusione.
«Vi trovo bene, Tsambika.»
«Capitano?»
Rei avanzò nella penombra, le iridi grigie che scintillavano ironiche.
«Eh, magari. Ora sono generale e non ho un attimo di respiro.»
«Chiamatemi Sharen, vi prego. Io ho abbandonato i gradi, per così dire.»
«A vostro diletto, ma… ah, per tutte le oasi, quando me l’hanno riferito, mi sono rifiutato di crederci! Vi siete consegnata alla giustizia e avete interpretato una scena talmente teatrale da far cadere la corona dalla testa al nostro principe! Avreste dovuto attendere che ci fossi anch’io, che diamine! Non si fa così!»
«Chi ve l’ha raccontato?» mormorò lei molto meno spavalda.
«Eisen. Ma state tranquilla, ne parlano tutti, è l’argomento più in voga con quello che il divino Irkalla abbia stabilito di salvarci la pelle.»
«Detesto i vaniloqui. Vorrei che mi si dimenticasse.»
«Mi deludete! Passate da uno sfacciato farvi notare a un dimesso desiderio d’oblio, senza considerare che potreste semplicemente farvi ricordare.»
«Chi mi rammenta è lontano miglia marine.»
«Andiamo, Sharen! Questo vittimismo non vi si addice! Chi credete abbia ordinato agli Iohro di cercarvi, alle guardie delle galere di trattarvi con riguardo e di permettervi di prendere in prestito un libro?»
«Voi?» azzardò lei piccata.
Rei scosse il capo. Attese che lei gli ponesse la fatidica domanda.
«Lui è vivo?»
«Sì.»
L’evidente sollievo sul volto della prigioniera fu sostituito subito dall’amarezza.
«Non vi aspetterete di vederlo qui, vero?» sospirò il generale.
«No. Intendere che sono in salute gli basta per essere a posto con la coscienza. Va bene così. Mi è sufficiente saperlo al mondo.»
«Corretto. La sua coscienza sta benissimo. Se ritenete che non esista altro nella vita di un uomo.»
Sharen trasalì.
«Perché siete qui? Non mi dovete niente!»
«Certo. Ho pensato all’appoggio di un amico. Se mi sono ingannato, vi lascerò in pace con tante scuse.»
«No. No, restate. Vi ringrazio.»
Rei si appoggiò allo stipite con aria indolente.
«Ditemi, che intendete fare una volta saldato il vostro debito?»
Tsambika sollevò uno sguardo invitto e gli mostrò l’anello di Iker.
   
 
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