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Autore: Marco1989    29/03/2021    0 recensioni
Due ranger del Kenya vengono reclutati da un magnate per una missione: recuperare un uomo ed un ragazzo dispersi su un'isola dopo un naufragio. Solo che non si tratta di un'isola qualsiasi: su di essa si trovano alcune delle creature più pericolose del pianeta, tornate dopo un sonno di 65 milioni di anni. E sono molto, molto affamate.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO

 

L'oceano Atlantico muggiva con potenza devastante: onde alte fino a dieci metri si abbattevano con la forza di un terremoto sulle coste orientali dell'America Centrale e sulle isole del Mar dei Caraibi. La notte era nera come l'inchiostro, ed il cielo era talmente coperto da nubi color del ferro da impedire completamente la vista delle stelle. I mostruosi cavalloni erano sormontati da una cresta di spuma bianca, la sola nota di colore nell'oscurità. La pioggia era talmente fitta da creare una sorta di muro d'acqua, al punto che era difficile comprendere dove terminava il mare. L'aria era attraversata da un vento fortissimo. L'uragano Forza 4 si era scatenato con grande velocità, ed i marosi aggredivano le scogliere del Belize, del Guatemala e dell'Honduras con tale violenza da sembrare decise a raggiungere l'altro oceano.

Nel mezzo dello scenario apocalittico, che mostrava la Natura nel pieno della sua violenza, si poteva a stento distinguere un piccolo oggetto verde, che sembrava apparire e scomparire in mezzo alle onde: sballottata da tutte le parti, impossibilitata a mantenere una rotta, una minuscola nave lottava contro gli elementi infuriati. Era un piccolo cabinato da diporto dall'aspetto un po' antiquato, lungo undici metri e largo quattro, con il ponte e le sovrastrutture in legno e lo scafo in legno ricoperto da uno strato di vetroresina. Entrambi erano dipinti con una vernice verde brillante: più chiare le sovrastrutture, tendente al color smeraldo lo scafo ed il ponte. Il motore, normalmente in grado di raggiungere i quattordici nodi, in quel momento stava compiendo degli sforzi supremi per contrastare la furia del mare. Sulla fiancata di destra, in lettere nere, era possibile leggere il nome "Green Star".

Lo yacht procedeva lentamente, ostacolato dalle ondate che spesso lo coprivano quasi del tutto. Tentava, chiaramente, di raggiungere la costa più vicina, quella del Belize, per cercare una rada dove ripararsi dalla tempesta. La "Green Star" sembrava un semplice guscio di noce in mezzo all'uragano, e sarebbe probabilmente già stata rovesciata da tempo se al timone non ci fosse stato un uomo che di tempeste ne aveva viste tante: lo dicevano chiaramente il volto rugoso e bruciato dal sole, i capelli sale-e-pepe, gli occhi decisi. Avrebbe potuto avere quarant'ani come cinquanta. Vestito con una camicia azzurra e un paio di calzoni neri, il tutto sovrastato da un impermeabile in tela cerata, l'uomo aveva i muscoli tesi come cavi d'acciaio, e si stava spezzando le braccia nel tentativo di mantenere dritta la barra. Era però consapevole di non poter continuare a lungo: aveva lottato contro numerosi fortunali, e sapeva che si trattava soltanto di tempo. Le onde avrebbero rovesciato la barca ben prima che potesse raggiungere la costa.

La porta della timoneria si aprì, permettendo ad uno scroscio d'acqua di rovesciarsi al suo interno, ed entrarono due persone inzuppate: una era alta, più vicina ai cinquanta che ai quaranta, con la barba marroncina tagliata corta ed i capelli castani che, in precedenza, dovevano essere stati ben pettinati, ma che ormai erano talmente inzuppati d'acqua da somigliare al dorso di un porcospino. L'altro era un ragazzo sui quattordici anni, alto e magro come un chiodo, con i capelli biondi appiccicati alla testa e l'aria spaventata.

L'uomo, che indossava una tenuta da marinaio totalmente bagnata, si rivolse al timoniere: «Che ne pensi, John? Possiamo riuscire ad arrivare interi ad un porto qualunque?».

L'uomo chiamato John scosse la testa: «Non credo proprio, signor Roberts. Non riuscirò a tenere a galla la barca per molto con un mare come questo».

«Devi riuscirci, maledizione! Oltre alle nostre vite c'è in gioco anche quella di mio figlio» urlò Roberts, stringendo a se il ragazzo.

«Morte e dannazione! Io le avevo detto che il cielo prometteva male, e che secondo me sarebbe scoppiato un uragano, ma lei mi ha ascoltato? Come ha detto? "La barca è mia e decido io cosa fare, ed oggi ho deciso di fare una partita di pesca in alto mare con il mio ragazzo!". Non dia la colpa a me, quindi!».

La sfuriata del marinaio ebbe l'effetto di calmare Roberts: «Credi che ci sia qualche speranza di salvare la barca a questo punto?».

John scosse la testa: «Siamo troppo lontani dalla costa, e raggiungerla è un'impresa impossibile. Non sono neanche del tutto sicuro di dove siamo, visto che dieci ore di tempesta ci hanno sballottato in tutte le direzioni: davanti a noi dovrebbe esserci il Belize, quindi i porti più vicini dovrebbero essere Belize City e Dangriga, ma sono comunque a più di cinquanta miglia, oltretutto al di là di una barriera corallina. Non riusciremo mai ad arrivarci in queste condizioni: ammesso di non rovesciarci, ci spezzeremmo in due sui coralli».

«Non ci sono porti più vicini?».

«Solo delle isolette, ma non saprei neanche come trovarle in questo caos. Maledizione!Non so veramente come uscire da questo disastro! Ho superato molte tempeste negli anni, ma ero sempre al timone di navi più grosse. Questo guscio di noce è un bel battello da diporto, ma con un mare simile non c'è molto da fare».

«Trova una soluzione, accidenti! - tornò ad urlare Roberts, cercando di sovrastare il boato dell'uragano - Sei o no il migliore comandante di yacht di Biloxi? Ti ho assunto con uno stipendio astronomico, e ora è il momento di guadagnartelo: trova il modo di sarlarci la pelle!».

John non rispose: era troppo impegnato a fissare il mare in tempesta al di là della prua della barca, distinguendolo a mala pena a causa degli scrosci di pioggia: poteva essere solo una nuvola bassa, non era facile distinguere qualcosa nel caos, ma…

«Sembra che la soluzione abbia trovato noi - disse alla fine - Isola dritta di prora!».

Mister Roberts ed il figlio si precipitarono a fianco del capitano e guardarono verso l'orizzonte nero pece: qualcosa di confuso sembrava, effettivamente, sorgere dal mare a non più di tre miglia dalla barca.

«Sei sicuro che sia un'isola? A me non sembra…» chiese il ragazzo.

«A me si» fu il solo commento di John.

Roberts estrasse da un gavone una cartina plastificata e la controllò, poi disse: «Se davvero siamo a più di cinquanta miglia dalla costa, qui non ci sono isole. Deve essere una nuvola».

«Improbabile, a meno che sulle nubi cresca la foresta pluviale».

Il signor Roberts afferrò un binocolo e guardò meglio: effettivamente, con quella forma a tronco di cono, con una collina più bassa accanto al rilievo principale e con quelle scogliere di lava nera che piombavano quasi in verticale verso l'oceano, sembrava uno dei vulcani spenti che emergono dalle acque del Golfo del Messico. I fianchi dell'isola erano coperti da una folta vegetazione.

«Hai ragione, è un'isola» disse Roberts, passando gli occhi sulla mappa in cerca di un puntino rivelatore; infine trovò qualcosa: «Eccola qui: Isla de Rocas Negras, la più esterna e lontana dalla costa del Belize. Deve certamente essere disabitata. Come facciamo ad attraccare?».

«Attraccare mi sembra impossibile, ma forse possiamo trovare una spiaggia dove far arenare la nave. Meglio questo che affondare in alto mare!».

John non attese neanche la replica di Roberts: stringendo rabbiosamente il timone, puntò verso l'isola. Bastarono pochi minuti per capire che, a quella velocità, non sarebbe mai riuscito ad arrivarci, quindi spinse fino in fondo la leva che regolava i giri del motore. La barca iniziò a vibrare con estrema violenza, sottoposta ad uno sforzo terribile, ma in qualche modo la prua riuscì a fendere le ondate.

I marosi si infrangevano contro le nere scogliere dell'isola mentre il "Green Star" procedeva lentamente, sballottato da tutte le parti. Ci volle quasi mezzora, ma alla fine John riuscì a portare il battello sotto la parete di roccia, cercando di ignorare la sempre più insistente vibrazione che si trasmetteva dal motore sotto sforzo fino alla timoneria. In quel punto, però, lo sbarco era impossibile: le scogliere erano alte quasi trenta metri e a picco sul mare. Il capitano decise di costeggiare l'isola, anche se questo voleva dire offrire il fianco alle onde, finché non avesse trovato un tratto di spiaggia bassa dove far arenare la "Green Star".

Intanto, però, la sua mente era rivolta all'isola: non l'aveva mai vista, era appena un segno sulla carta, ma sembrava un luogo selvaggio. Era impossibile sapere cosa avrebbero potuto trovare.

«Ci sono armi a bordo?» chiese a Roberts.

«No, non credo - rispose l'uomo - Credo che ciò che su questa nave somiglia di più ad un'arma è un fucile ad arpioni per la pesca subacquea… anzi, no: c'è la mia Smith & Wesson calibro 38. L'avevo portata a bordo con tutta la scatola per pulirla e ho dimenticato di lasciarla a terra. perché questa domanda?

Per tutta risposta John chiese: «Dov'è?».

«Ma a cosa le serve?».

«Senta, su molte di queste isole ci sono belve feroci. Isla de Rocas Negras è piuttosto lontana dalla costa, quindi è possibile che i grossi animali non ci siano arrivati, ma ora che poss riuscire a sfuggire a questa tempesta non intendo rischiare di terminare la mia carriera tra i succhi gastrici di un giaguaro o di un puma. Dove si trova la pistola?».

Mister Roberts deglutì, lanciò un'occhiata allo spaventatissimo figlio, poi disse: «Non sarebbe meglio evitare lo sbarco?».

«Il motore è al limite. Se non facciamo arenare la barca qui andremo presto a fondo. Non c'è tempo per discutere: dove si trova quella maledetta pistola?».

Roberts rimase silenzioso per qualche istante, poi disse: «Nel cassetto di sinistra dello scrittoio, nella mia cabina, dentro ad una scatola di legno. Ci sono anche le cartucce».

«Bene - ribatté John, e si fece da parte per lasciare il posto a Roberts - Mi ha detto di saper tenere il timone, quindi mi ascolti bene: guidi questo catorcio intorno all'isola, mantenendosi a distanza dalla costa per evitare gli scogli, e mandi il ragazzo a chiamarmi se individua un tratto dove sia possibile arenarsi senza spaccare la chiglia in due» ed uscì dalla timoneria.

Fuori lo spettacolo era incredibile: il ponte era invaso dall'acqua, e numerose tavole dei parapetti si erano già spezzate. Lo scafo e la carena scricchiolavano in maniera preoccupante, ed il rumore del motore si era trasformato in un ululato.

"E' solo questione di tempo - pensò John - poi il Green Star si spezzerà in due".

Il capitano scese sottocoperta ed entrò nella cabina del signor Roberts, una stanza relativamente piccola che conteneva un letto singolo, un piccolo armadio di metallo, uno scrittoio ed una sedia, il tutto solidamente imbullonato al pavimento. John, cercando di mantenere l'equilibrio sul pavimento inclinato, aprì il cassetto sinistro dello scrittoio ed estrasse una scatola rettangolare di legno. La aprì, trovando un corto revolver con il calcio in legno; inseriti i appositi spazi ricavati nella gommapiuma, c'erano quindici proiettili. Il capitano infilò l'arma nella cintura, si svuotò i proiettili in una tasca dell'impermeabile che poi chiuse con la cerniera, infine gettò via la scatola ed uscì.

Prima di tornare in coperta si precipitò nella propria cabina, che era più piccola di quella di Roberts, e strappò via il materasso dalla cuccetta. Sotto c'era un fagotto avvolto in un panno bianco, dal quale estrasse un cinturone nero munito di fondina ed una piccola scatola di cartone. Mentre risaliva la scala si allacciò alla vita il cinturone ed infilò la scatola nella stessa tasca dove aveva rovesciato i proiettili, poi uscì sul ponte. La tempesta, se possibile, era aumentata ulteriormente di intensità, e la nave continuava a scricchiolare in modo sempre più terrificante. John aveva la sensazione che il ponte fosse crepato, ma non poteva controllare a causa dei torrenti d'acqua che lo attraversavano. Non aveva il tempo di accertarsene e, per giunta, non voleva saperlo.

Prima di tornare da Roberts il capitano barcollò fino ad una delle pareti della timoneria, imbullonato alla quale c'era una rastrelliera d'acciaio contenente quattro fucili per la pesca subacquea ed una sorta di faretra con diversi arpioni, che per fortuna non erano ancora andati dispersi. Le armi erano bloccate con un lucchetto, ma non c'era tempo di cercare la chiave: John lo fece saltare con un calcio, poi afferrò un fucile e tre arpioni.

Aveva già la mano sulla maniglia della porta quando si avvertì un urto terribile: mentre il rumore di legno scheggiato riempiva l'aria, la barca ondeggiò paurosamente, poi rimase immobile, scossa soltanto dalle onde.

Dall'interno della timoneria sentì Roberts urlare al figlio: «Va a chiamare John, presto!».

«Sono già qui - disse il capitano piombando dentro - Che diavolo è successo?».

«Siamo finiti su uno scoglio! Non riesco più a muovere la barca!».

«Lasci fare a me!» gridò John, mettendosi al timone e portando la leva che regolava i giri dell'elica su "INDIETRO MEZZA". Tra il rumoreggiare delle onde si udì lo sforzo disperato del motore, che non si rivelò però sufficiente per smuovere la "Green Star" dalla trappola dove era finita. Il capitano, pur sapendo che il propulsore era con ogni probabilità già al limite, portò la leva ancora su "INDIETRO TUTTA". Con ogni probabilità, ne era consapevole, l'urto aveva sfondato lo scafo, ma sperava di poter portare la barca ad arenarsi prima che affondasse: tra gli scrosci di pioggia si intravedeva, a neanche mezzo miglio, una striscia bianca che poteva essere soltanto una costa sabbiosa.

Per un istante la barca indietreggiò, quasi riuscendo a disincagliarsi, poi si udì uno scoppio sottocoperta, ed il motore si ammutolì.

Roberts ed il capitano si guardarono in faccia, ed ognuno lesse il terrore negli occhi dell'altro: non era necessario parlare per capire che il motore aveva esalato l'ultimo respiro.

Passarono pochi secondi, poi si udì un urto violento sul fianco destro, seguito a stretto giro da uno ancora più terribile su quello sinistro, che sfasciò parzialmente la parete della timoneria: un'onda più potente delle altre aveva strappato la barca dallo scoglio, mandandolo a sbattere contro la rupe.

Il rumore di legno spezzato invase l'aria, facendo gelare il sangue a John: affacciandosi ad un oblò mentre tutto vorticava intorno a loro, vide l'intero quarto di poppa del "Green Star", troncata di netto, sbriciolarsi contro la pietra. Il legname e la vetroresina avevano ceduto, condannando i tre occupanti della barca ad una morte pressoché certa.

La prua del battello venne ripetutamente scagliata contro la scogliera, completamente in baia delle onde, rischiava di sbriciolarsi da un momento all'altro, e loro non potevano fare assolutamente nulla.

All'improvviso si sentirono sollevare: Roberts ed il ragazzo caddero a terra, ma John riuscì a tenersi in piedi reggendosi al timone. Guardò fuori dal vetro scheggiato: la prua della "Green Star" era in equilibrio su un'onda mostruosa, e stava per essere sbattuta sulla costa.

«Reggetevi! - urlò John agli altri due - Sarà uno scontro durissimo!» e si gettò a terra, cercando di aggrapparsi alla base del timone come meglio poteva.

L'onda, alta più di dieci metri, sbatté la prua del battello sulla battigia della spiaggia sabbiosa. L'urto fu terribile: lo scafo si sbriciolò, ed i tre uomini furono sbalzati fuori. John fece un volo di cinque metri e, una volta caduto sulla sabbia, rotolò per altri tre, per poi sbattere la testa contro quello che sembrava un albero. Per un istante rimase cosciente, poi perse i sensi.

  
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