Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: macabromantic    01/04/2021    4 recensioni
[ SPOILER ALERT: Stardust Crusaders / Stone Ocean / Diamond is Unbreakable || TW: ptsd / depression / flashbacks ]
[ Jotaro Kujo x Kakyoin Noriaki ]
...
Kakyoin aveva camminato fino alla stazione di Shibuya immerso nei propri pensieri. Arrivato al grande incrocio nel quale si snodavano numerose strade del quartiere alzò lo sguardo verso il semaforo.
Fu in quel momento che lo vide.
Alto, immensamente alto, sarebbe stato impossibile non riconoscerlo anche in mezzo a tutta quella gente. Sebbene fosse di un bianco smagliante, illuminato dai colori al neon che si mescolavano in piazza fra i toni del turchese e bluette, Kakyoin avrebbe riconosciuto quel cappello dovunque. Un cappotto lungo fino a terra, una pesante catena che scivolava dal lato sinistro del petto. Una sigaretta accesa tra i denti, la mano sinistra vicino alle labbra, quella destra infilata in tasca, una grossa busta di carta che pendeva dal polso.
Jotaro Kujo si trovava dall’altro lato della strada, con la fronte corrugata e gli occhi fermi sulle strisce pedonali. Quando il semaforo scattò dal rosso al verde, Jotaro sollevò lo sguardo e in quell’istante incontrò gli occhi di Kakyoin.
Il cuore gli si fermò nel petto, la sigaretta gli cadde dalle mani.
...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jolyne Kujo, Joseph Joestar, Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 01

Ciò che è morto dovrebbe restare morto


 
 
Gli istanti che passarono da quando i loro occhi si erano incontrati sembrarono interminabili. Il semaforo era tornato rosso, le macchine avevano ripreso a sfrecciare sulle strisce pedonali. Jotaro fu il primo ad abbassare lo sguardo, con la mano destra sistemò la visiera del berretto da cui non si separava mai. Kakyoin si rese conto di quanta forza aveva messo nella stretta attorno alla propria tracolla solo quando arrivò di nuovo il momento di attraversare. A quel punto non avrebbe avuto senso fare finta di non vedersi, così Kakyoin prese un respiro profondo nella lana calda della propria sciarpa, chiuse gli occhi per un secondo. Armato del suo più dolce sorriso raggiunse Jotaro, il quale a sua volta aveva piegato un infinitesimale angolo di labbra.
«Ma pensa te, chi non muore si rivede.» La voce di Jotaro era scura, graffiata, priva di alterazioni nel suono e nell’intonazione così da conferirgli un’aurea di mistero. Ma Kakyoin lo aveva conosciuto meglio degli altri durante quel viaggio e sapeva che le sue sopracciglia distese erano segno inconfutabile di gioia.
«Ehi...» La voce di Kakyoin era bagnata da un leggero tremore. «È passato davvero un sacco di tempo.»
Con gli occhi socchiusi e il cuore inceppato fra le coste, porse la sua mano destra verso Jotaro. Questi la guardò per un momento, poi la strinse nella propria, grande e calda eccetto che per le ultime falangi. Quella di Kakyoin era fredda nelle nocche e nel palmo, la pelle morbida, le dita più magre di come le ricordasse.
«Già.» Ci furono dei momenti di silenzio, persino il chiacchiericcio della gente per strada sembrava essersi fermato. «Immagino stessi andando alla stazione.»
Kakyoin annuì.
«Sì, stavo tornando a casa, ho appena finito con un incontro di lavoro.»
«Ah, capisco. Di cosa ti occupi?»
«Dipinti. Arte, in generale. Ma per lo più dei miei dipinti. Mi hanno contattato per una mostra.»
«Ma pensa te...» Le sopracciglia di Jotaro si curvarono verso l’alto in una linea leggera, la mano destra strinse la presa attorno alla busta di carta che fino a un attimo prima gli pendeva dal polso. «Sembra una cosa importante.»
Kakyoin abbassò lo sguardo nel tentativo di nascondere il rossore che dalla punta del naso si dilaniava fino alle gote, il sorriso si allargò sulle sue labbra che sporgevano oltre le grinze della sciarpa. Jotaro si perse nel dettaglio della sua mano destra intenta a sistemare una ciocca di rossissimi capelli dietro l’orecchio da cui, al lobo, pendeva uno dei suoi orecchini di ciliegia.
«Sì, in realtà sì. Mi ha chiamato il direttore artistico del MOMAT.»
«Del MOMAT, sul serio?» Nella voce di Jotaro c’era una nota di stupore, percepibile dal modo in cui la domanda si era curvata verso l’alto sul finire.
Kakyoin annuì, fece oscillare il peso del corpo da una gamba all’altra.
«Sì, sto cercando di organizzare una mostra per l’estate, forse prenderanno un dipinto per esporlo stabilmente.»
«Complimenti, è un gran traguardo.»
«Ti ringrazio.»
Un momento di silenzio si impadronì della strada, le luci al neon dei maxischermi si mescolavano alle ampie decorazioni dei negozi. Kakyoin sentì il cuore pulsare nel petto con una forza quasi dolorosa, il correre del sangue tra vene e arterie gli provocò una fitta vuota lì dove un tempo c’erano le sue viscere, sotto la cassa toracica. Trattenendo un gemito fra le mascelle, Kakyoin sospirò. Quando i suoi occhi si sollevarono su quelli di Jotaro lo trovò con lo sguardo torvo di sempre, nulla sembrava cambiato da quando lo aveva conosciuto dieci anni fa.
«Senti, Kakyoin, se non hai fretta mi piacerebbe parlare ancora con te. Magari davanti a qualcosa da bere. Sai, per festeggiare la tua mostra.»
«Ah...» Nonostante la fitta al ventre e il tremore alle mani, gli occhi di Kakyoin si illuminarono. Guardò l’orologio che si ergeva sopra l’ingresso della stazione, segnava le otto e quarantacinque. Aveva ancora un’ora e mezza prima che partisse l’ultimo treno. «Con piacere, Jotaro.»
 
***************************
 
Raggiunsero un sushi bar ad angolo a qualche centinaia di metri dal punto in cui si erano incontrati. Si trattava di uno di quei locali in cui il sushi viene servito tramite degli eleganti nastri trasportatori, con silenziosa musica d’atmosfera e una luce calda a illuminare l’ambiente. Kakyoin e Jotaro si accomodarono agli alti sgabelli del banco.
«Io prendo un negroni. Poco ghiaccio, molto gin.» Disse Jotaro al ragazzo dietro il banco, poi si voltò verso Kakyoin. «Cosa ti offro?»
Kakyoin guardò rapidamente la mensola dei liquori mentre si sfilava la sciarpa dal collo.
«Credo che prenderò un Manhattan.»
Allora Jotaro fece un cenno al barista, poi incrociò entrambe le braccia sul banco, la schiena curva. Mentre il barista si dedicava alla preparazione dei cocktail, Kakyoin guardava Jotaro tenendo il tacchetto della scarpa destra appeso al poggiapiedi dello sgabello, la punta dell’altro piede posata per terra. Dentro di sé avvertiva delle forte contraddizioni relative al momento: da un lato avrebbe voluto sommergerlo di domande, farsi raccontare tutto quello che era successo nella sua vita negli ultimi dieci anni, avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo, baciarlo. Dall’altro, invece, si domandava come mai avesse accettato il suo invito a bere insieme. Gli ci erano voluti anni per riuscire a parlare di lui, del signor Joestar, di Jean Pierre, Avdol e Iggy senza rischiare un attacco di panico, c’erano ancora cose di cui non riusciva a parlare. Solo di recente stava riuscendo a rimettere in piedi le basi per la propria vita e proprio adesso il destino, il caso, il fato, qualcosa nell’universo gli aveva portato davanti il fantasma di Jotaro Kujo. Bianco, bellissimo, glaciale.
«...ehi, tutto a posto?» La fronte di Jotaro era corrugata in mezzo agli occhi, Kakyoin ebbe un leggero sobbalzo nelle spalle sentendo la sua voce.
«Uhm?»
«Stai piangendo...?»
«Ah–» “Cazzo, di nuovo.” Kakyoin si sfiorò il viso, era bagnato sempre nel lato sinistro. Alzò gli occhi al cielo, di nuovo prese il suo fazzoletto ricamato e lo usò per tamponare le lacrime. «Non è niente, è per via delle cicatrici. Le palpebre non mi funzionano più tanto bene. Dev’essere lo sbalzo di temperatura tra il freddo di fuori e il caldo di dentro.»
Jotaro lo guardò compiere quel gesto che sembrava ormai naturale, quotidiano, e annuì a quella spiegazione data con un rapido susseguirsi di parole.
«Capisco.» Prima che il silenzio potesse tingersi di imbarazzo arrivarono i loro drink. Jotaro si raddrizzò nelle spalle, sollevò il proprio bicchiere e fece tintinnare il vetro contro il calice a coppa di Kakyoin. «Ai successi.»
«Ai successi,» ripeté Kakyoin sollevando appena il calice, poi bevve un sorso. Il calore dell’alcol si diffuse rapidamente in gola, quando raggiunse il ventre gli diede la sensazione di un incendio che si dilaniava fra le pareti sintetiche degli organi. Con una piccola smorfia posò il bicchiere sul banco, lo fece ruotare su sé stesso in piccoli movimenti tenendo lo stelo di cristallo fra tre dita. «Quindi, Jotaro... adesso vivi a Tokyo?»
Jotaro annuì, di nuovo si era voltato verso il bancone, la schiena curva su di esso.
«Anche se non sono molto presente in città.»
«Ah, viaggi spesso?»
«Sì, per lavoro.»
Il cuore nel petto di Kakyoin si accartocciò su sé stesso. Sapeva benissimo che cosa faceva Jotaro per vivere.
La prima volta che aveva sentito di nuovo il suo nome era stato cinque anni fa. Nel suo piccolo appartamento fuori città, Kakyoin stava preparando del tè caldo, aveva messo del pane a tostare per la colazione, la televisione accesa come ogni mattina gli teneva compagnia. Fuji, il gatto bianco e nero che aveva salvato dalla strada, sonnecchiava sul tavolo, accanto a un rametto di fiori di ciliegio sistemato in un sottile vaso di cristallo. Aveva appena versato quattro ampie foglie di tè verde nella sua teiera di porcellana bianca, decorata nel bordo da una sottile linea color amarena. Ascoltava distrattamente la voce del telegiornalista, ma quando si voltò verso il televisore ogni cellula del suo corpo si fermò. Gli occhi sgranati, il respiro congelato sulle labbra. Le mani avevano avuto un fremito. Il tempo si era come fermato, anzi si era riavvolto. Una fotografia del mezzobusto di Jotaro troneggiava fra le altre notizie. Kakyoin non aveva recepito bene cosa stesse dicendo il telegiornale, aveva sentito di sfuggita parlare di oceani e spedizioni, qualcosa che aveva a che fare con la fondazione Speedwagon e il dottor Kujo. Il rumore della teiera che si infrangeva per terra, il calore rovente del tè che gli era schizzato sui piedi e sulle caviglie lo riportò alla realtà. Il suo corpo era scosso da tremori incontrollabili, faceva caldo, no faceva freddo, sudava, tremava, d’improvviso non c’era più ossigeno. Stava morendo, di nuovo. Era da solo, di nuovo. Non ci sarebbe stato nessuno a salvarlo, ad ascoltarlo, a capirlo nemmeno questa volta. Le gambe cedettero, pur di non cadere per terra si aggrappò al bordo del lavello della cucina. Il buco nel ventre gli sembrava di nuovo vacuo, il dolore così reale e inspiegabile come quella notte di cinque anni fa. Incapace a trattenere il dolore, Kakyoin quella mattina gridò di un grido interminabile.
Un attacco di panico così forte non gli veniva da mesi, forse persino da un anno pieno. Quando si riprese dal senso di morte che lo attanagliava nel ventre era ormai sera, la testa gli faceva male per tutte le lacrime versate, alla televisione passavano un film europeo in bianco e nero senza sottotitoli. Il tè aveva lasciato un alone scuro sul pavimento, i cocci della teiera non si erano mossi come Kakyoin era rimasto per terra con la schiena contro la cucina. Sentiva gli occhi gonfi, la pelle tirata sulle guance dove le lacrime avevano continuato a sgorgare per ore. Fuji si era accovacciato vicino a lui molto tempo addietro, adesso si appoggiava con il mento sulla sua coscia. Per i tre giorni a seguire, Kakyoin non abbandonò mai il proprio appartamento.
«Da quando ho iniziato a lavorare come biologo marino non sono stato molto tempo sulla terraferma.»
Le sopracciglia di Kakyoin si inarcarono, le labbra si schiusero leggermente.
«Wow, biologia marina?» Sorrise mentre beveva un altro sorso del suo Manhattan. «Non l’avrei mai detto. Ti facevo più un tipo da stelle che da oceano.»
Jotaro si prese un momento prima di rispondere a quell’affermazione. Mandò giù un lungo sorso del proprio negroni, con la lingua si pulì le labbra inasprite dall’alcol.
«Certi amori possono nascere solo se altri muoiono,» mormorò senza guardare verso di lui. Quelle parole suonarono al pari di uno schiaffo sul viso di Kakyoin, il quale abbassò lo sguardo e annuì un paio di volte.
«Sì, in effetti anch’io ho riscontrato questa cosa.» In un sospiro bevve anche lui un altro sorso del proprio drink, la dolcezza della ciliegia non bastava a bilanciare l’atteggiamento di Jotaro.
«Dimmi, tu vivi qui in città?»
«No, la città non fa per me. È troppo grande, c’è rumore. Vivo a Nikko da quasi sei anni.»
«Sembra un ottimo posto per un artista.»
Kakyoin sorrise di un sorriso triste. Guardava la ciliegia immersa per metà nel suo liquore bruno, annuì. «D’inverno la neve ricopre le montagne, d’estate l’aria è fresca. È un posto molto bello, non so se ci sei mai stato.»
Jotaro scosse il capo, mandò giù l’ultimo lungo sorso di negroni.
«No, è molto raro che vada in città che non sono toccate dal mare.»
La conversazione venne interrotta dalla suoneria di un cellulare. Jotaro sfilò dalla tasca del proprio cappotto un telefonino a conchiglia, prima di rispondere sollevò l’antenna, poi con un indice fece un cenno d’attesa a Kakyoin. Questi scelse di girarsi di spalle, cosa che fece anche Jotaro – che strano senso di pudore. Appesantita dall’alcol, rinvigorita nel suo dolce colore, Kakyoin prese la ciliegia per il gambo e la infilò in bocca. Reggendosi il mento con il palmo destro fece scivolare la ciliegia sulla lingua, essa roteava, lasciava tra le labbra schiuse e le papille gustative il sapore forte del Vermut.
Cercando di non ascoltare i borbottii di Jotaro, Kakyoin ripensava a quelle sere lontane passate ad attraversare continenti. A tutte le volte in cui gli era capitato di addormentarsi sui sedili posteriori dell’auto, a come la sua testa era puntualmente caduta sulla spalla di Jotaro. A come, al suo risveglio, trovava sempre il braccio di lui a stringergli le spalle. Certo, erano passati tanti, troppi anni, ma quei ricordi continuavano ad essere vivi nelle sue memorie. Numerosi erano quelli che lo avevano segnato negli incubi di ogni notte, altri però avevano ancora il potere di far battere il suo cuore, come tutte le volte in cui il corpo nudo di Jotaro si era mescolato al suo quando giorno e notte non esistevano.
«...ma pensa te.» Il sospiro di Jotaro, che si era voltato di nuovo al banco reggendosi la fronte con l’altra mano, portò Kakyoin a guardarlo di sbieco. «Dille qualcosa tu, sei più brava di me a inventare scuse. No, non posso parlarle adesso. No, ho detto che non–» Un altro sospiro, gli occhi fino ad allora chiusi si riaprirono alla ricerca di un punto alto da guardare. «Jolyne?»
Jolyne?
Non ricordava di avere mai sentito questo nome prima di allora, pensò dovesse trattarsi di qualche collega, anche se il tono di Jotaro sembrava un po’ troppo confidenziale. Però, insomma, se Jotaro lavorava per la fondazione Speedwagon poteva anche trattarsi di qualche parente di cui Kakyoin non era a conoscenza, magari qualche nipote dal lato della famiglia Joestar.
«Papà torna presto, te lo prometto.» Una martellata in pieno petto fermò il cuore di Kakyoin, per un soffio non si strozzò con il nocciolo della ciliegia di cui aveva masticato la polpa. «Se ho incontrato Babbo Natale per strada? Certo, ma pensa, mi ha persino lasciato un regalo per te.»
Portando la mano destra chiusa in pugno vicino alle labbra fece scivolare il nocciolo tra le dita e lo lasciò cadere nel proprio bicchiere ormai vuoto, gli occhi scivolarono a guardare la busta colorata che Jotaro aveva con sé. Un senso di freddo lo avvolse sulla nuca, la musica che faceva da sottofondo al locale era sparita così come era sparita la voce di Jotaro, persino lo sgabello sotto le proprie gambe non c’era più. Sentiva il cuore pompare sangue con forza, eppure aveva la sensazione che il battito fosse rallentato. Il bruciore del Manhattan nello stomaco stava scivolando come gocce di acida pioggia tra le pareti dell’intestino, la testa era al contempo pesante e leggera, presa da un moto circolare che annullava l’aria.
«Scusami, dovevo rispondere per forza.»
Kakyoin si sentì catapultare nel bar come da un’altra dimensione. Quando si fu voltato verso Jotaro lo vide posare il cellulare in tasca, con il cenno di una mano chiedeva al barista di riempirgli di nuovo il bicchiere.
«No, non... non ti preoccupare.» La voce di Kakyoin era ridotta a un sussurro. Ciò nonostante si sforzava di sorridere con la gentilezza che lo distingueva.
«...Kakyoin, sicuro che vada tutto bene?»
«Cosa?» domandò lui senza capire a cosa si riferisse.
«Stai piangendo.»
Le spalle di Kakyoin si fecero rigide, distolse lo sguardo dal viso di Jotaro. Questa volta aveva ragione lui. Lacrime copiose avevano preso a rigargli il volto, sentiva la punta del naso pizzicare, la voce morire in gola dove avrebbe dovuto esserci lo spazio per respirare.
«Ma no, no,» si affrettò a dire mentre si asciugava il volto, le lacrime continuavano a scendere, la voce questa volta non era dritta ma piena di ampie vibrazioni. «Ti dico che è colpa delle cicatrici, ahah, oggi proprio non ne vogliono sapere...»
Jotaro lo guardava con le sopracciglia aggrottate, nessuna voglia di rimproverarlo ma un invisibile velo di malinconia gli offuscava lo sguardo. Sospirò.
«Kakyoin...»
«Quindi–» facendo rotare un paio di volte le corde vocali, impegnandosi a sorridere, Kakyoin si girò di nuovo verso Jotaro. Fece a sua volta cenno al barista di riempirgli il bicchiere, sul suo viso lo sguardo che si svuotava delle lacrime e un sorriso che tremava negli angoli. «Quindi hai una figlia! Pazzesco come cambino le cose. Hai detto che si chiama Jolyne?»
«Jolyne,» ripeté Jotaro annuendo, i bicchieri di entrambi erano di nuovo pieni.
«È proprio un bel nome,» annuì fra sé Kakyoin che intanto immaginava Jotaro stringere fra le braccia una bambina piccolissima, con i suoi stessi occhi, i suoi stessi capelli. Ma proprio non riusciva a immaginarlo al fianco di una donna, non dopo tutto ciò che c’era stato in Egitto. D’un fiato mandò giù metà del nuovo Manhattan, il bruciore sedimentò nella trachea e l’alcol viaggiò direttamente alla testa.
«Vacci piano, tigre,» mormorò Jotaro sollevando un sopracciglio, il negroni vicino alle labbra.
«Quanti anni ha?»
«Cinque anni. E mezzo, altrimenti si incazza.»
Kakyoin sorrise a occhi bassi, una mezza risata uscì dalle sue labbra. Sentiva gli occhi pronti a riempirsi ancora di lacrime, s’impose autocontrollo scuotendo lentamente il capo. Una ciocca di capelli gli ricadde davanti al viso.
«Cinque anni e mezzo, è grandissima.» Questo voleva dire che quando aveva sentito il suo nome al telegiornale lui era già padre, aveva una relazione con una donna da almeno uno, due anni. Lui, invece, non riusciva a preparare il tè senza versarselo addosso. Sbattendo lentamente le palpebre prese di nuovo tra le dita il gambo della ciliegia, la fece roteare nel liquore osservando il movimento del liquido. «Devi volerle molto bene... sarà sicuramente orgogliosa di averti come padre.»
La voce di Kakyoin si faceva pian piano più impastata, la lingua rallentava lo scioglimento delle consonanti liquide e delle vocali. Jotaro bevve, i propri occhi distanti da quelli dell’altro per uno strano senso di vergogna.
«Mi vede troppo poco spesso, sua madre non è molto contenta di questa cosa.» Kakyoin annuì lentamente, il volto pizzicava come sotto il passaggio di infinite zampette di formiche. Jotaro bevve un altro sorso del negroni, poi prese un respiro profondo. «Kakyoin, senti...»
«Ma quindi hai una compagna?»
Jotaro serrò le mascelle, i tendini contratti sporsero per un istante lì dove si congiungono le arcate.
«Moglie.»
Le sopracciglia di Kakyoin si inarcarono fino all’attaccatura dei capelli, annuì con le palpebre socchiuse, appesantite dai due drink. Solo ora si accorse dell’anello sottile che avvolgeva l’anulare sinistro di Jotaro. Non immaginava che le sue viscere artificiali potessero permettergli di assorbire l’alcol così velocemente, a saperlo prima ne avrebbe sfruttato la capacità molto tempo addietro.
«Ti sei sposato...» disse fra sé Kakyoin senza controllare una risatina, con lo sguardo perso in un punto indefinito del bancone, la ciliegia incastrata tra i denti. Con la lingua addormentata dall’alcol era difficile farla girare com’era suo solito. La tenne stretta nella guancia sinistra, il gambo che sporgeva fuori dalle labbra. «Pazzesco... cioè, io certi giorni non riesco ad alzarmi dal letto, tu invece hai un lavoro vero, ti sei sposato, hai una bambina... che bravo.»
Non c’era scherno, né cattiveria nelle parole di Kakyoin. Sorrideva, la sua mente distratta disegnava le immagini di un Jotaro che non conosceva.
«Kakyoin,» lo chiamò questi sporgendosi un po’ verso di lui. Kakyoin alzò lo sguardo, gli occhi caddero in quelli di Jotaro. Sebbene fossero invecchiati, intristiti rispetto a come li ricordava, conservavano nelle iridi la profondità del cielo quando si riflette nell’oceano. «Senti... ho bisogno di sapere che cosa è successo quella notte.»
Kakyoin restò a guardarlo in silenzio mentre mangiava la seconda ciliegia alcolica della serata. Con un gran sospiro si mise dritto, fece scivolare il nocciolino in ciò che restava del cocktail. Poi recuperò la sua tracolla, la sciarpa. Jotaro lo guardava senza capire.
«Grazie per i drink, Jotaro, ma adesso devo proprio andare,» disse mentre si alzava dal suo sgabello, barcollante. Ora che era in piedi sembrava che l’alcol avesse un effetto anche maggiore sul suo corpo, per niente abituato a quelle sostanze.
«Aspetta, cosa?» Jotaro balzò in piedi anche lui, Kakyoin tentennava lentamente fino all’uscita del locale. Allora Jotaro lasciò un pugno di yen sul bancone, prese al volo la propria busta di carta colorata e lo raggiunse prima che potesse sparire nella folla. «Kakyoin, fermati–»
Ma Kakyoin continuava a camminare come se Jotaro non esistesse.
«Kakyoin!» Provò a fermarlo posando una mano sulla sua spalla. Lui la scrollò malamente, di scatto si voltò verso Jotaro.
«Senti, non voglio parlarne!» Sbottò d’un tratto stringendo la mano sinistra in un pugno lungo il fianco, la mano destra aperta vicino al proprio viso. «Voglio tornare a casa e basta.»
Negli occhi crucciati di Jotaro c’era sempre più confusione, un vuoto che doveva in qualche modo essere colmato. Sebbene Kakyoin avesse ripreso a camminare verso la stazione, Jotaro lo inseguiva a passo svelto. Lo sorpassò, gli si piazzò davanti.
«Kakyoin, io ho bisogno di sapere che cosa è successo.»
Kakyoin fu costretto a fermarsi. Lo guardò dal basso verso l’alto, una risatina esasperata si fece largo tra le sue labbra asciutte.
«Che cosa vuoi che ti dica, Jotaro? Ha veramente senso parlarne adesso?»
«Come sarebbe a dire, scusami?»
L’inseguimento alle calcagna di Kakyoin era ricominciato perché questi aveva preso, di nuovo, a camminare a passo svelto verso la sua meta. Parlava guardando dritto davanti a sé:
«Sono passati dieci anni, dieci anni in cui tu ti sei giustamente rifatto la tua vita. E io sto provando a rifarmi la mia. Che te ne frega di sapere adesso che cosa è successo?» nonostante la voce incespicasse, il tono di Kakyoin era duro come le sue iridi socchiuse.
Jotaro affilò a sua volta lo sguardo, strinse la presa sulla busta.
«Kakyoin, ma che stai dicendo?»
I toni della conversazione si alzarono in fretta, in men che non si dica avevano iniziato un crescendo di urla in mezzo alla strada, senza rendersene conto avevano raggiunto la stazione.
«Hai una moglie e una figlia, che te ne importa di sapere cosa mi è successo?!»
«Kakyoin, ho passato dieci anni piangendo giorno e notte pensando che fossi morto!»
Era la prima volta che Kakyoin sentiva Jotaro alzare la voce in quel modo. Lui, che era sempre stato così freddo, così calmo, che per sfogare la sua rabbia si era sempre servito di Star Platinum che gridava al posto suo.
«Nessuno ti ha chiesto di piangere per me!»
«Ma che dici. Kakyoin, io ti amavo.»
Un colpo al cuore, una fitta allo stomaco.
«Certo, mi amavi così tanto che ti sei sposato
«Eri morto.»
«Purtroppo non lo sono!» sbottò infine Kakyoin sovrastando la voce di Jotaro, le pareti della gola graffiate da quel grido che puzzava di alcol. Jotaro lo guardava fisso negli occhi, i propri sgranati, le sopracciglia contratte al centro, il respiro pesante sulle labbra. Non si erano accorti della gente che attorno a loro rallentava per guardarli con stupore come non si erano accorti di essersi avvicinati così tanto l’uno all’altro mentre si urlavano addosso. Sebbene non si stessero sfiorando, i loro respiri si mescolavano sulle labbra schiuse, i loro cuori battevano in un unico movimento.
«Kakyoin, non puoi neanche immaginare cosa significhi per me saperti ancora vivo,» la voce di Jotaro era un bisbiglio caldo sulla bocca di Kakyoin. Questi aveva gli occhi socchiusi, le lacrime raggruppate sull’orlo delle ciglia, il respiro che già si spezzava. Le mani di Jotaro, grandi, calde come le ricordava da quelle notti desertiche, lo stavano sfiorando di nuovo. Un respiro frammentato uscì dalle labbra di Kakyoin, la testa girava. Innumerevoli erano state le notti in cui, vittima dell’insonnia, aveva avuto come sola compagnia la sensazione di quelle mani addosso come fossero fantasmi, l’ennesima mutilazione al cuore.
«Jotaro...» lo chiamò a bassa voce, il resto della frase restò incastrato fra le corde vocali mentre la mano destra, gelida, cercava il calore della mano sinistra di lui sul viso.
«Il treno regionale TK7260 delle ore 22:15 diretto a Nikko è in partenza dal binario ventisette. Allontanarsi dalla linea gialla.»
A interromperli fu la voce metallica della signorina negli altoparlanti.
«In partenza?!» sobbalzò Kakyoin, la testa scattò alla ricerca dei tabelloni orari di tutti i treni in partenza. Corse lontano da Jotaro, il quale in un primo momento lo guardò allontanarsi ma ripresosi da quel distacco improvviso lo seguì senza esitare. «Cazzo, l’ho perso...» biascicò quelle parole spalmandosi una mano sul viso.
«È colpa mia, lascia che ti prenda una stanza per stanotte.»
«Che cosa? No.» Kakyoin gli rivolse uno sguardo accigliato mentre si sistemava la tracolla sulla spalla, il calore della vicinanza che si era creata poco prima non era mai accaduto. Sistemò la sciarpa attorno al collo in modo che anche le labbra e il naso fossero coperti, fuori aveva ripreso a scendere leggera la neve. «Salgo su un taxi e torno a casa.»
Il freddo pungeva la pelle ai margini della cicatrice sul ventre, non importava che fossero passati anni da quando la carne si era rimarginata, gli sbalzi climatici e in particolare le basse temperature avrebbero sempre riacceso i dolori. Kakyoin strinse i denti, un brivido lo scosse nelle spalle. Era difficile restare concentrato sul breve tragitto che lo separava dalla fermata dei taxi.
«Non credo sia una buona idea metterti su un taxi in questo stato.»
«Mica lo devo guidare, il taxi.»
«Ho capito, ma in macchina ci vogliono quasi quattro ore per raggiungere Nikko e a un certo punto avrai sicuramente bisogno di andare in bagno. Per non parlare di quanto ti costerebbe una corsa del genere.»
Mentre Jotaro parlava avevano entrambi raggiunto la fermata. La neve cadeva gentile ma fredda, Kakyoin aveva incrociato le braccia nel tentativo di tenersi più stretto il proprio calore, anche se era difficile con quell’aria così pungente. Sospirò.
«Ti lascio pagare la camera solo se mi lasci le credenziali per farti un bonifico, non voglio avere debiti con te.»
Jotaro espirò lentamente dal naso, le palpebre si socchiusero.
«Ma pensa te...»


 
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N.d.A.:

Bentornat* nelle note d'Autore ♥
oggi vi porto la first reaction (shock) di Jotaro quando vede Kakyoin. Cercando di mantenere IC un potenziale riavvicinamento post Stardust Crusaders, ho pensato che piuttosto che buttarsi fra le braccia di Kakyoin Jotaro avrebbe mantenuto comunque il suo tono freddo come per dire "magari sono pazzo io se mi butto ai suoi piedi piangendo perché è ancora vivo, se è ancora vivo vuol dire che lo era anche prima." E quindi niente, eccoci qua.
Ah, approfitto per fare un annuncio importante per i lettori di "Come una volta": QUESTA SETTIMANA NON CI SARA' L'USCITA DEL CAPITOLO. Purtroppo a causa dello stato d'animo e questioni personali della settimana scorsa non sono riuscita a scrivere quanto avrei voluto, perciò poiché si tratta di un capitolo importante per lo sviluppo delle vicende ho scelto di prendermela con comodo e ricominciare a pubblicare venerdì prossimo.
Per non lasciarci con un'amara notizia, vi lascio il link della playlist che uso quando scrivo questa storia: Cherry Blossom & Cigarettes
Detto ciò, se avete pareri o consigli sono aperta ad ascoltarvi!
Ci vediamo giovedì prossimo, baci

iysse ♥
   
 
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