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Autore: Exentia_dream2    05/04/2021    1 recensioni
Esiste un castello che non sa raccontare favole, arena di un torneo in cui si può perdere tutto... persino la vita.
Harry Potter e Draco Malfoy sono stati sorteggiati dal Calice di Fuoco, legati indissolubilmente da qualcosa che non conoscono. Chi vincerà il Torneo Tremaghi? E cosa porterà Draco a tornare a Hogwarts per completare gli studi? Ma, soprattutto... chi risponde alle domande che lui scrive su un diario con l'inchiostro invisibile?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Davvero mostruoso che la gente vada in giro dicendo alle nostre spalle cose che sono assolutamente vere.
Oscar Wilde.
 
 
 
 
 
II
Voci
 
       Girava voce, nei corridoi di Hogwarts e soprattutto nei dormitori femminili di Grifondoro, che i maschi di Durmstrang avessero fisici scultorei, volti tanto belli da portare alla pazzia chiunque li guardasse, un fascino d’altri tempi e maledetti, perché accecati dalla voglia di mantenere intatto questo loro aspetto da belli e dannati.
“Credo che potrei sbavare ore sulla divisa di uno di loro” stava dicendo Ginny. “Ovviamente, mentre la divisa è sul pavimento.”
Hermione arrossì violentemente quando l’amica le rivolse un sorrisino allusivo, tacendo i motivi per i quali la divisa di uno degli alunni di Durmstrang dovesse trovarsi sul pavimento e non a coprire le loro membra.
“E le donne?” si azzardò a chiedere lei.
“Le donne sono… esattamente come i maschi, solo che non hanno il p…”
Questa volta, Hermione decise che non fosse proprio il caso di ascoltare il seguito della frase, perciò sollevò le mani  con la speranza che l’amica capisse, mentre lei si nascondeva dietro la cascata di capelli.
Calì Patil, seduta su una delle poltrone, tirò un sospirò sognante e le altre due le rivolsero un’occhiata interrogativa.
“Cosa c’è?” le chiese allora Ginny.
“Non lo sapete? Dopo la prima prova del Torneo si terrà un ballo, il Ballo del Ceppo, al quale possono partecipare soltanto gli alunni del quarto anno, a meno che una di noi non venga invitata da uno dei campioni o, comunque, da qualcuno più grande.”
Era ovvio che Hermione lo sapesse: lei sapeva sempre tutto. Più ovvio ancora fu la reazione di Ginny che si spalmò sul divano e, di conseguenza su Hermione, a mo’ di tappeto, disperandosi perché era assolutamente convinta che nessuno potesse invitare una bambinetta che aveva messo in pericolo tutti aprendo la Camera dei Segreti.
O, forse, disperandosi sapendo che Harry Potter non avrebbe potuto invitarla perché non avrebbe partecipato al Torneo e, quindi, quella regola, a detta della piccola Weasley, impediva la realizzazione della storia d’amore tra lei e il Bambino Sopravvissuto.
Che poi, il fatto che il Bambino Sopravvissuto, sbavasse letteralmente ai piedi di Cho Chang, era un piccolissimo dettaglio.
 Insomma, era risaputo anche dai maghi che il sogno di ogni ragazza fosse quello di partecipare a un ballo e trovare il ranocchio da baciare, o magari accontentarsi del lupo che l’avrebbe mangiata o, ancora di più, trovare il vero principe azzurro.
“Che diamine!” disse Ginny. “Davvero, non è giusto avere così tante limitazioni… e poi parlano di fraternizzare con gli altri studenti. Ma ci pensi? Senza offesa, eh, ma di cosa potresti parlare tu con un ragazzo se non di libri?” le chiese, rivolgendole uno sguardo in bilico tra la mortificazione e l’invidia.
“Magari troverai qualcuno che t’inviti” rispose Hermione, senza lasciarsi scalfire minimamente dalle parole dell’amica.
All’esterno.
A fior di pelle.
Dentro era tutt’altra storia.
Hermione, comunque, la perdonò immediatamente, perché era consapevole della frustrazione che l’amica provava ogni qualvolta Harry non si accorgeva della sua presenza, quindi sempre.
Ginevra Molly Weasley si era innamorata perdutamente di Harry Potter il primo settembre di qualche anno prima e, adesso che la guardava, si rese conto che non c’era quasi più ombra della bambinetta impacciata che era stata, che raccontava i suoi segreti a un diario stregato.
Anzi, a dirla tutta, Ginny sembrava essere cresciuta molto proprio dopo quell’avvenimento da cui il suo personale principe azzurro l’aveva salvata e, che il principe in questione si sentiva soltanto un ragazzino perseguitato era cosa di poco conto.
“Comunque” stava dicendo ancora. “se qualcuno dovesse invitarmi, vorrei che fosse più bello di Harry… così magari crepa d’invidia e si accorge di me.”
Nonostante fosse la strega più brillante della sua età, nonostante si tenesse alla larga da esseri umani di sesso opposto – eccezione fatta per Harry e Ron e, a volte, Neville −, nonostante i suoi principi azzurri fossero quelli delle favole che le raccontava la mamma prima di dormire, Hermione si trovò a fantasticare sul Ballo del Ceppo e, in cuor suo, sperò vivamente che qualcuno si accorgesse anche di lei.
La questione del Ballo, comunque, aveva rinfrancato anche l’animo dei gemelli che, dopo il fallimento della loro impresa studiata nei minimi dettagli per mettere il proprio nome all’interno del Calice, adesso distribuivano sorrisi a destra e a manca, fingendo interesse vago e buttando lì inviti che prontamente venivano rifiutati, perché nessuna fanciulla sana di mente avrebbe accettato il proprio invito ricevendo in dono una Crostatina Canterina o una Pasticca Vomitosa.
E, da quando aveva cominciato a girare la voce del Ballo del Ceppo, tutta quella messinscena e quei finti sospiri svenevoli era continuati per un mese intero, tra una lezione e l’altra, nei weekend.
Persino nella biblioteca, luogo in cui i gemelli non si erano mai addentrati e, comunque, anche in quel caso non erano stati capaci di trovare una dama o, perlomeno, non l’aveva trovata George.
Per questo, quando Ginny gli aveva chiesto di invitare lei e di darle così la possibilità di diventare una principessa in cerca dell’amore eterno, lui dapprima aveva storto un po’ il naso e, subito dopo, aveva accettato l’invito.
 
~•~
 
       Erano voci, quelle riguardanti il Ballo del Ceppo, perché nessun professore aveva accennato loro di questa particolare tradizione.
Erano voci, quelle secondo cui a quel Ballo, le persone potessero trovare l’amore della vita o che avesse legato indissolubilmente chiunque si scambiasse anche solo una parola sotto al vischio.
Erano voci, quelle secondo cui partecipare al Ballo, avesse significato mostrarsi in tutta la propria bellezza.
Erano voci, ma Ginny Weasley si era assicurata la partecipazione a priori. E se ne andava a sbandierarlo in giro fieramente, tenendo, ovviamente, nascosta l’identità del suo cavaliere.
Così come faceva lui, eh.
E, gongolante com’era, quel pomeriggio aveva sottoposto Hermione a una dura sessione di sartoria immaginaria, descrivendo nei minimi particolari l’abito che avrebbe voluto indossare.
“Forse blu o verde. Il verde mi dona, lo so. O rosso, rosso fuoco. Così, magari Harry brucia d’invidia!”
Hermione non aveva per niente voglia di ascoltare i metodi con cui l’amica avrebbe voluto vedere il ragazzo di cui era innamorata contorcersi dalla gelosia, anche perché, a dir la verità, credeva fermamente che lui non l’avrebbe degnata di uno sguardo, tanto era preso da Cho.
Ma questo evitò di dirglielo – mai mettersi contro un Weasley, soprattutto se femmina.
“Sì,” le disse, invece. “il verde ti starebbe bene.”
Erano voci, sicuramente, anche quelle che prevedevano l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons per la settimana.
Le voci, però, che fossero fondate o meno, avevano il potere di far impazzire tutti.
Quella mattina in particolare, Hermione aveva notato uno smercio di trucco babbano e non, di pozioni per rendere i capelli più belli, il sorriso più luminoso, filtri d’amore che andavano a ruba. 
Ogni singolo pezzo alla modica cifra di un polmone. A volte, due.
E poi non pagano i propri elfi, pensò, osservando un gruppo di giovani Serpeverde che acquistavano i suddetti prodotti di bellezza per mano di alcune alunne di Corvonero.
Le ragazze di Corvonero erano sempre state ottime pozioniste e ne traevano vantaggio proprio in situazioni simili, come era successo in passato e come accadeva sempre in realtà, anche se Hermione non ne era a conoscenza, perché era troppo impegnata a sostenere la sua battaglia contro lo sfruttamento degli elfi domestici, a lasciare loro cappelli e calzini sparsi per la Torre, per far in modo che li trovassero e si ritenessero liberi, con l’unico risultato, però, di offenderli e rendersi conto che i loro dormitori non sarebbero stati puliti a lungo.
Eppure, ci aveva messo tanto cuore a cucire per loro, a lottare per i loro diritti e la loro libertà ed era rimasta amaramente delusa dal loro comportamento, perché non riusciva a credere al fatto che gli elfi preferissero una vita di soprusi piuttosto che la libertà. Per accontentare chi, poi?
In quel dispiacere, comunque, e di fronte a quel commercio illegale, Hermione trovò la risposta a una domanda che da un po’ di tempo le girava per la testa, ovvero: come aveva fatto Fred Weasley a convincere Angelina Johnson a essere la sua dama. 
Si voltò a guardare Ginny e quando questa affermò di aver capito, Hermione annuì.
Non prevedeva certo che l’amica si alzasse e si avvicinasse al tavolo dei Corvonero per acquistare il filtro d’amore che aveva intenzione di rifilare a Harry, in un modo o nell’altro, perché tanto ci sarebbe andata al Ballo e, allora, avrebbe avuto centinaia e centinaia di occasioni per far sì che Harry s’innamorasse di lei.
Finse di non vedere.
Anche perché, fu lei stessa a nascondersi in un angolo, aspettando l’arrivo di qualcuno che le aveva promesso uno scambio, una fialetta di Tricopozione Lisciacapelli barattata con un compito di Aritmanzia.
Proprio lei, che aborriva quello spaccio, proprio lei che si era imposta di non sognare a occhi aperti.
Proprio lei, che, alla fine, non aveva ricevuto nemmeno l’invito per quel fantomatico Ballo del Ceppo.
Perciò, quando quel qualcuno le arrivò alle spalle, Hermione parve quasi ripensarci… ma, alla fine, allungò la mano in cui teneva la pergamena ben arrotolata e salutò con un gesto del capo l’alunna che le allungava la fiala di pozione.
E, se proprio non avesse usata per il Ballo, l’avrebbe fatto in qualche altra occasione, sperando che, prima o poi, la zazzera rossa dietro cui stava perdendo i sogni si accorgesse di lei e la invitasse a bere qualcosa insieme, da soli, in quello che sarebbe stato sicuramente un insulto a un’uscita romantica.
Ma le sarebbe bastato. Le sarebbe bastato davvero.
 
~•~
 
 
       Non erano più voci, quelle che riguardano l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons.
Difatti, i rappresentanti di entrambe le scuole giunsero a Hogwarts qualche giorno dopo l’affissione del cartello che annunciava il loro arrivo.
Gli studenti di Beauxbatons arrivarono trainati da una bellissima carrozza trainata da cavalli alati e si esibirono in un elegante inchino accompagnato dal volo di farfalle bianche, di svolazzi di eleganti tuniche azzurre e sospiri trasognati e persino Hermione rimase affascinata dalla bellezza delle ragazze, dall’eleganza dei ragazzi che s’inchinavano al cospetto dei professori, dalla loro Preside, mezza gigante, che si muoveva leggera ed elegante, come fosse stata una di quelle farfalle che aveva visto volare poco prima; quelli di Durmstrang, invece, arrivarono con una nave che uscì direttamente dalle acque del Lago Nero, esibendosi, poi, in acrobazie accompagnate da giochi di fuoco a cui Silente dedicò un applauso contento.
Loro, così composti nelle divise rosso sangue che indossavano, così duri nei lineamenti, nei gesti: sembravano soldati, con il colbacco sulla testa e nemmeno l’ombra di un sorriso sulla bocca.
Fu Ron a catturare la sua attenzione, facendo il nome di Victor Krum affiancato dal Preside, Igor Karkaroff, e un altro ragazzo biondo che camminava fiero e altero, come se il mondo intero fosse suo e che la imbarazzò non poco, emanando superiorità da ogni parte del corpo e guardando dritto davanti a sé; lui che, tra tutti i volti rigidi e i lineamenti duri, aveva davvero  il viso di un principe delle favole, proprio come lei l’aveva sempre immaginato.
Suo malgrado, si ritrovò a immaginarlo al galoppo di un cavallo bianco, con l’armatura scintillante, pronto a baciare la propria principessa per spezzare l’incantesimo e risvegliarla dal suo sonno eterno.
Erano voci, quelle secondo cui gli studenti di Durmstrang fossero tutti belli e dannati, ma, per una volta, Hermione pensò che non tutte le voci che circolavano nei corridoi di Hogwarts fossero infondate.
Accompagnò con gli occhi gli studenti di Beauxbatons che si sedettero al tavolo delle case a cui appartenevano, colmi di tipiche pietanze francesi, mentre quelli di Durmstrang occuparono il tavolo dei Serpeverde.
Fu quasi con apprensione che si rese conto che il ragazzo biondo che aveva visto poco prima stesse fissando Harry con insistenza e uno sguardo che non riuscì a definire, perciò lo guardò a lungo prima di voltarsi verso l’amico e accorgersi che non si fosse accorto per niente di essere al centro dell’attenzione di qualcuno, fino a quando, non si portò una mano alla fronte ed emise un respiro soffocato.
“Cosa c’è, Harry?” gli chiese.
“La cicatrice.”
L’altro, invece, di rimando, si piegò leggermente in avanti, come se avesse appena ricevuto un pugno allo stomaco, Hermione, però, questo non lo vide, anzi.
Quando rialzò lo sguardo, il ragazzo che fino a poco prima stava fissando Harry, adesso era impegnato in una conversazione pacata con Blaise Zabini e lei scosse la testa per mandare via il pensiero e la paura.
I tavoli si riempirono di cibo e tutti gli alunni presero a mangiare, chi sospirando ancora e rivolgendo alle studentesse di Beauxbatons paroline dolci, chi, invece, continuando a guardare Victor Krum come fosse Dio sceso in Terra.
Nel compenso, nonostante l’improvviso bruciore della cicatrice di Harry e strozzamenti vari dovuti al fatto che le francesi sorridevano a tutti, la cena proseguì tranquillamente.
Anche i professori sembravano essere rilassati, a parte l’ombra lieve dell’espressione funerea che la McGranitt aveva avuto dal primo giorno di scuola che, in ogni caso, sorrideva gentilmente alla Preside e agli altri insegnanti, parlottava fitto fitto con qualcun altro e poi, di tanto in tanto, abbracciava la Sala Grande con lo sguardo.
 
~•~
 
       Il ragazzo biondo che aveva guardato Harry per tutta la durata della cena, aveva la schiena poggiata a una colonna, entrambe le mani nascoste sotto il mantello e un ghigno a tagliargli la faccia a metà.
Hermione lo guardò da lontano e le sembrò strano il fatto che lui fosse lì e non insieme agli altri studenti di Durmstrang.
Sembrava fosse in attesa di qualcuno in particolare e lei sperò vivamente che tutto questo non avesse niente a che fare con nessuno di loro tre, ma, ovviamente, sapeva bene che quando si trattava di loro tre insieme c’era sempre qualche guaio dietro l’angolo. O, per l’appunto, appoggiato a una colonna.
Difatti, non appena si avvicinarono a lui, il ragazzo li fermò allungando un braccio a fare da ostruzione alla rampa di scale che li avrebbe portati alla Torre di Grifondoro. 
“Tutta Hogwarts non fa altro che vantare la tua presenza, vero, Harry Potter?” chiese. “Io mi chiamo Malfoy. Draco Malfoy” disse, tendendo la mano verso Harry.
Harry non la guardò neppure e, probabilmente, l’avrebbe allontanata, ma Ron ruppe il silenzio dissimulando una risatina, fino a quando Malfoy non inclinò leggermente il viso per guardarlo e riprese: “Trovi buffo il mio nome, vero? Non c'è bisogno che chieda a te come ti chiami. Mio padre mi ha detto che tutti i Weasley hanno capelli rossi, lentiggini e più figli di quelli che si possono permettere.”
Il viso di Ron assunse lo stesso colore dei capelli e Hermione lo vide stringere i pugno fino a far sbiancare le nocche.
Così, in quello che sembrava un duello silenzioso di sguardi carichi di rabbia e disprezzo, lei fece un passo avanti, a tendere la mano al suo interlocutore, contro ogni logica, a dispetto del veleno che lui sembrava sputare fuori dalla bocca come fosse un serpente, e si presentò: “Io sono Hermione Granger.”
Fu lui a ritrarre la mano, questa volta, a farle piovere addosso quegli specchi d’acqua ghiacciata che teneva negli incavi oculari.
“Ma come osi?” stava dicendo Ron, il viso, se possibile, ancora più rosso di qualche minuto prima, perciò l’intervento di Zabini che allontanava Malfoy le sembrò quanto più vicino ci fosse a una benedizione.
“Conoscevate già Malfoy?” chiese Hermione a voce bassa, mentre l’altro era poco distante da loro.
“Mai sentito nominare” rispose Harry.
“Ho sentito parlare della sua famiglia’ disse Ron con l’aria di chi non aveva affatto voglia di estrapolare discorsi e fare nomi che per anni non avevano fatto dormire nessuno dei tre. “Sono stati tra i primi a tornare dalla nostra parte dopo che Tu-Sai-Chi è scomparso. Hanno detto che sono stati stregati. Papà non ci crede. Dice che al padre di Malfoy non serviva una scusa per passare dalla Parte Oscura.”
E, allora, Draco tornò indietro, il viso vicinissimo a quello di Ron, quasi volesse  respirargli addosso la minaccia di rimangiarsi quello che aveva appena detto, di ingoiarlo e non ripeterlo mai più.
Così, tornò indietro anche Zabini, a strattonarlo e a tirarlo via: “Andiamo via, Draco.”
Il Diavolo non è mai brutto come lo si dipinge, le diceva sempre sua nonna, che l’accoglieva in casa con un abbraccio e un bacio sui capelli, senza che lei desse mai un vero senso a quelle parole, che negli anni avevano assunto la forma di una scusa cattolica e cristiana per espiare le proprio colpe, la debolezza di aver ceduto alla tentazione, così come Adamo aveva ceduto di fronte alla mela che gli offriva Eva.
O, addirittura, credendo che fosse uno scongiuro a lei, che aveva portato in qualche modo il male in una famiglia rispettabile e normale, per la magia che le scorreva nel corpo.
Le capì soltanto in quel momento, le parole che le diceva sempre la nonna.
Hermione capì quella stessa sera che il Diavolo poteva vestirsi da angelo, sorridere e mostrare la sua vera essenza attraverso il flusso delle parole.
Se ne rese conto stando in piedi, un passo avanti ai suoi due migliori amici.
E capì che, il Diavolo, poteva avere una bella voce e usarla per ferire chiunque senza spargimenti di sangue.
Eppure, ne aveva lette di favole, Hermione: avrebbe dovuto sapere che il lupo si era travestito per mangiare una bambina innocente, che si era avviata nel bosco da sola, un po’ come Harry si era incamminato nel Mondo Magico con la responsabilità di essere il Bambino Sopravvissuto, colpevole di aver fatto morire i propri genitori, così come Cappuccetto rosso era colpevole della morte della nonna, divorata dal lupo.
Avrebbe dovuto saperlo, lei che aveva la Bibbia sul comodino a casa, che il Diavolo era stato l’angelo più bello del Paradiso,  mandato all’Inferno per aver peccato di superiorità nei confronti di chi sarebbe stato sempre un gradino più in alto di lui, castigato per orgoglio, per stupidità tipica dell’essere umano.
Capì che l’immaginario collettivo secondo cui il Diavolo avesse gli occhi rossi era del tutto insussistente, come gran parte delle voci che circolavano a Hogwarts.
E capì che, a volte, il ghiaccio sapeva resistere anche al fuoco.
“E’ odioso” concluse, battendo i piedi sui gradini. “Ma si crede di essere?”
“Strano che tu non lo conosca” disse Ron. “Tu sai sempre tutto.”
Hermione allargò le narici: proprio non sopportava di essere presa in giro a quel modo, perciò girò le spalle ai due amici, soprattutto al sorrisino fuori luogo di Harry, e riprese a salire le scale sbuffando per palesare la propria indignazione. 
A cui era abituata, certo, ma che comunque le faceva male, perché anche lei si era impegnata ad apparire più carina, legandosi i capelli, sorridendo più spesso, smettendo per un po’ di nascondersi dietro alle copertine pesante dei libri, per sbirciare se lui stesse guardando o meno, magari arrossendo un po’ o un po’ tanto, e Ron, invece, sembrava proprio non vederli, tutti i suoi sforzi.
E chissà se vedeva lei, tra l’altro.
Chissà se l’aveva mai vista e se mai l’avrebbe fatto, perché Ron, lei lo sapeva bene, non era altro che quello che mostrava agli altri: un mangione, uno scavezzacollo che correva senza sosta dietro a Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto, il futuro Salvatore del Mondo Magico.
E Ron era soltanto il suo segugio −  come un cagnolino fedele che richiede una passeggiata per espletare i propri bisogni.
“Parola d’ordine” chiese la Signora Grassa nel ritratto.
“Draco dormiens.”
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
 
 
Lo spaccio di Pozione d’amore avviene davvero, ve lo ricordare, vero? Forse non in questa precisa occasione e, sicuramente, non a questo modo… però, mi divertiva troppo l’idea, perciò…
 
L’avviso affisso in bacheca è una cosa che si legge soltanto nei libri, poiché nel film tutto viene spiegato da Silente prima della cena; l’ingresso delle due delegazioni, invece, è presa dai film.
 
La presentazione tra Draco, Harry e Ron, come ci racconta la Rowling, avviene durante il primo anno, ma avrete capito che in questa storia, le cose sono diverse: Draco, infatti, frequenta la scuola di magia e stregoneria di Durmstrang e non Hogwarts, per cui, mi pareva giusto farli presentare in questo momento.
In questa storia, inoltre, non è stato Lucius Malfoy a dare a Ginny il diario di Tom Riddle, ma un qualsiasi altro Mangiamorte.
 
Draco e Blaise e, ovviamente, il resto dei Serpeverde, si conoscono già, perché tra famiglie Purosangue è impossibile non conoscersi. O, almeno, credo.
 
 
Un’altra licenza, l’ho presa per la storia riguardante la religione di Hermione, ma anche qui, serve ai fini di tutto il racconto.
 
Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Buon proseguimento di Pasquetta.
 
A presto.
   
 
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