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Autore: Obiter    08/04/2021    2 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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E anche stamattina ci siamo svegliati in campeggio. 

E dire che quando assumo la cocaina non mi succede, uno degli effetti collaterali è proprio l’impotenza… E ne ho assunta ieri, molta. Ieri sera ero così fatto che mi sono guardato un intero documentario sul Sole, sulla sonda Parker e sull’evento di Carrington, ossia la più grande tempesta solare mai registrata nella storia, le cui esplosioni magnetiche ebbero come principale conseguenza quella di arrestare l’allora elementare tecnologia terrestre del 1859. Il telegrafo smise di funzionare, le macchine più sofisticate si bloccarono e gli aghi delle bussole presero a roteare come delle girandole impazzite.

Dicono che un cataclisma del genere potrebbe ripresentarsi in qualsiasi momento, anche adesso, ai giorni nostri. In tal caso la rete internet, i computer, i radar, i sistemi di localizzazione telematica e in generale tutto il nostro macrosistema tecnologico verrebbe annientato nel giro di poche ore, ivi compresi i macchinari degli ospedali, i sistemi di allarme, i verbali delle prove irripetibili e in generale tutti gli archivi informatizzati di Scotland Yard. Probabilmente si aprirebbero anche le porte delle carceri, magari anche i manicomi criminali, e tutto per una altrimenti innocua tempesta solare avvenuta a 8,33 minuti-luce di distanza.

Ecco perché io uso la testa e non il computer. Se mai dovesse verificarsi un evento di Carrington, io sarei uno dei pochi che non se ne accorgerebbe nemmeno. Continuerei a lavorare come se niente fosse con il mio cervello, la mia lente, il mio naso e tutta la mia strumentazione. 

Sono arrivato a questa conclusione stamattina durante la prima colazione, mentre mia madre blaterava qualcosa a proposito delle differenze tra i mei capelli e quelli di Mycroft. Certamente mi sbarazzerò di tutte queste informazioni, intasano il mio cervello inutilmente. Forse tengo l’evento di Carrington, non si sa mai. Spinto da un insano desiderio di sfida e competizione, ho chiesto a Mycroft se sapeva cosa fosse, ma ahimè lo sapeva e mi ha onestamente asfaltato.

Mia madre nel frattempo continuava a parlare dei nostri capelli. A suo dire i miei capelli sono più belli, ma quelli di Mycroft sono “più biondi”.

“Sì, finché dureranno, sono più biondi” ho detto io, la calvizie incipiente di Mycroft era una delle poche certezze che avevo nella vita.

“Sherlock Holmes!” ha minacciato mia madre.

“Oh, no. Lascia che si senta migliore in qualcosa, ne hanno tanto bisogno a quell’età”

Mycroft ha ventiquattro anni, è stempiato come se ne avesse cinquantasette, ha sempre fame, è sempre a dieta, ed è forse la persona più cinica e disillusa dell’universo. E la più pigra. Ma quando parla, ahimè ha quasi sempre ragione. 

Ha studiato economia rigorosamente a Cambridge, si è laureato qualche mese fa con ottimi voti e ora è qui a casa, in attesa di trovare un lavoro che “faccia al caso suo”. Se devo dire la mia, non credo che esista un lavoro che possa fare al caso di Mycroft. Mio fratello infatti non è un tipo ambizioso, ma è snob e pieno di pretese. Per intenderci, la sua idea di ufficio è Buckingham Palace e la sua idea di lavoro è sorseggiare una tazza di tè con una certa famiglia Windosr. E questa sua altezzosa spocchia può aprire due opposti scenari: o lo farà arrivare molto in alto, ma tanto in alto, o lo lascerà completamente a piedi e sulle mie spalle. Nel frattempo comunque si compiace nel farmi sentire indietro e non al passo coi tempi.

“Sto frequentando una ragazza” ha poi detto con la sua tazza di tè in mano “Si chiama Charlotte. Presto ve la presenterò”

Balle. 

“Oh, Mycroft, che bella notizia!” squittì mia madre “È carina?”

“Ovviamente” le rispose con un sorriso tirato. Io abbassai subito lo sguardo e mi alzai prontamente da tavola, ma fu inutile.

“E tu, Sherly?”

Per l’appunto, del tutto inutile. Alzai solo le spalle, non sapevo cosa dire.

Mia madre mi stropicciò i capelli e disse qualcosa a proposito del fatto che sono “così bello” e che avrò sicuramente la fila di ragazze fuori dalla porta.

Me ne sono andato in fretta, avrò mangiato si è no mezzo biscotto ma volevo andarmene.

“Buona lezione, Sherlock” mi ha salutato Mycroft.

Io e lui non abbiamo un brutto rapporto in realtà, l’unico problema è che la maggior parte dei miei traumi infantili è ricondotta a lui e alla sua ostinazione nel definirmi stupido, quando invece ero semplicemente piccolo.  

Avevo tre anni quando lui ne aveva dieci, e avevo dieci anni quando lui ne aveva diciassette. Il gap anagrafico è sempre stato piuttosto significativo e credo che solo verso i trent’anni riusciremo veramente ad avere un rapporto alla pari.

Comunque ho afferrato una mela, mi sono messo il cappotto, la sciarpa e sono uscito.

Ahimè, oggi è venerdì e al venerdì 1) John Watson e Mike Stamford non vanno a correre, per cui niente “ciao” da parte del mio gradito conoscente John Watson. 2) c’è uno dei momenti peggiori della settimana: l’ora doppia di ginnastica.

Odio l’ora doppia di ginnastica, ma non perché io detesti lo sport o il movimento, tutt’altro. Sono a tutti gli effetti un topo da biblioteca, ma non ne possiedo l’aspetto iconografico: non porto gli occhiali, non ho una camicia a quadri con le bretelle, non ho la gobba e non anelo disperatamente di avere un rapporto sessuale con una ragazza. Solo solo io, nel mio pregevole e difettoso anticonformismo.

Fisicamente sono ben messo, non sono “così bello” come dice mia madre ma non sono nemmeno un bruttacchione. Direi un sette, forse un sette e mezzo. E gradisco il movimento, so nuotare, so ovviamente andare in bicicletta (Mycroft non è capace) e sono anche coordinato, MA odio l’ora di ginnastica. La odio.

E questo mio conclamato odio non è da imputare all’attività fisica in sé e per sé, quanto al fatto che è l’unico corso obbligatorio che ho in comune con tutti i miei coetanei: da Sebastian Moran a Sally Donovan, da Bill Murray a, ahimè, Irene Adler. Sudo freddo ogni volta che l’istruttore ci divide un maschio e una femmina per gli esercizi, giuro.

E poi mi devo anche sorbire i discorsi che fanno i miei coetanei nello spogliatoio dei maschi, che oltre a essere degeneri, mi fanno sentire ancora più alieno del normale.

Parlano di sesso, continuamente, volgarmente, e quando non parlano di sesso, parlano di videogiochi, e quando non parlano di videogiochi, parlano di calcio.

Per me questi non sono argomenti di conversazione. Non dico che dobbiamo metterci a disquisire delle politiche estere di Carlo V o della tragica incoronazione dello Zar Nicola II, chiedo solo un minimo sindacale di originalità, non i massimi sistemi. Ma evidentemente pretendo troppo e perciò preferisco chiudermi in me stesso e pensare ai fatti miei.

L’abominevole ora di ginnastica si sarebbe tenuta nel pomeriggio, per cui mi attendeva un’intera mattina all’insegna del malumore e dell’insofferenza. Sono giusto stato interrogato in letteratura inglese insieme a Sebastian, entrambi non avevamo aperto un libro ma io ho fatto una figura brillante, lui invece ha fatto scena muta. Inutile dire che ho provato un piacere belluino, ma che si è subito ridimensionato nella certezza che lui si sarebbe vendicato e che proprio oggi c’era l’ora di ginnastica. Quale scenario migliore per una “Sebastiana vendetta”?

Dopo ciò c’è stata la pausa pranzo. 

Mi sedetti a tavola con Moriarty e mangiai velocemente. Con la coda dell’occhio ho visto sopraggiungere Adler, affiancata come sempre da Godfrey Norton e da un altro paio di cicisbei, tra cui… Lestrade. Le stava reggendo la borsa, non ci potei credere. Urgeva assolutamente una mia controffensiva immediata. Dovevo proteggere George e salvarlo dal canto malefico di quella sirena.

Ma proprio mentre pensavo ciò, Jim diede un pugno sul tavolo. Come sempre aveva la fidata lattina di coca cola zero con la cannuccia.

“Ho caso che sicuramente non conosci” mi ha sfidato, io mi sono acceso subito di entusiasmo. Questa è musica per le mie orecchie.

“Sentiamo subito” gli ho risposto, sfrontato e sicuro di me.

“Francia, 1684” iniziò Moriarty, io misi in moto il cervello “Il cadavere brutalizzato di una bambina italiana di nome Fiabetta è stato rinvenuto dentro il ripostiglio di una chiesa francese in circostanze inspiegabili. Come ci è finito lì e chi è stato?”

Rimasi stupito, Jim aveva appena citato un macabro cold case italiano che mi aveva particolarmente stupito per la sua stupidità. A suo tempo fece molto scalpore e fu un vero rompicapo per i detective, e dopotutto nel diciassettesimo secolo emigrare dall’Italia alla Francia in poco tempo non era scontato come lo è oggi.

La bambina stessa venne accusata di stregoneria e il caso fu archiviato per ordine della chiesa. Nel verbale si citarono le “forze occulte del demonio” come causa della morte… In realtà era tutto molto più umano e molto più terrestre di quanto si potesse immaginare. 

“Banale rapimento” dissi a Jim “La bambina è stata rapita da una nave mercantile che ha fatto tappa in Francia ma lei, malgrado fosse stata violentata chissà quante volte, è riuscita a scappare e si è gettata in mare. Dopodiché si è intrufolata in una chiesa di provincia pensando probabilmente di essere al sicuro. Il prete ha sentito dei rumori loschi, ha visto un’ombra anomala proiettata sul muro dalla luce morente delle candele, delle impronte bagnate di acqua e sangue, una vocetta straniera, si è spaventato, ha pensato a chissà quale entità soprannaturale e l’ha uccisa. Per finire, in un raptus di incoscienza l’ha chiusa dentro a uno sgabuzzino e la perpetua l’ha trovata il giorno dopo”

E detto questo, mi sono messo in bocca due patate. Jim annuì, era soprappensiero.        

“E poi c’è quell’altra bambina canadese che venne trovata sempre in un ripostiglio di una chiesa ma duecento anni dopo, dentro una valigia”.

Capii subito a quale caso si riferiva, era un precedente analogo malgrado fosse accaduto in un altro continente e a distanza di ben duecentocinquant’anni. Questo fa capire come la criminalità alla fine segua un percorso circolare, non ci sono molti pochi picchi di originalità nella storia. 

“È stato il fratello maggiore” gli risposi io con uno sbadiglio “Ha inscenato il rapimento e l’ha intossicata con del cobalto”.

Moriarty fece una risata, la gente intorno a noi si voltò ma non fece una piega.

“Sì!” esclamò, con un sorriso entusiasta “Sì!” mi puntò l’indice, ma grazie al cielo si risedette “E non l’ha stuprata, ha solo vilipendiato il cadavere”

Io annuii, teso “E ha rubato la valigia dalla casa del maggiordomo”

“Col quale andava a letto” mi anticipò lui.

“Precisamente” terminai io, quella povera creatura deve averli beccati. Jim mi fece un sorriso da psicopatico e mi indicò con un dito.

“Io e te dobbiamo entrare in società”

“Non credo sia il caso” mi alzai subito in piedi “Devo andare a lezione adesso. Buona giornata, Jim”

“Arrivederci, mi amor” fece l’atto di brindare con la lattina nella mia direzione.

È completamente, completamente suonato.

Pericolosamente suonato, ma io non resisto. È l’unico con cui posso parlare di queste cose, non riesco proprio a trattenermi. Starei giorni a parlare di queste cose, sono il mio pane quotidiano, il sale della mia vita. 

E mi piacciono a tal punto che mi diedero la forza di recarmi in palestra con più energia e positività. Jim non seguiva il corso, si era procurato un certificato medico — ovviamente falsificato — che lo dichiarava inidoneo all’attività fisica per questo e per l’altro motivo. Ho pensato tante volte di fare la stessa cosa, ma evidentemente il mio candore fanciullesco me lo impedisce. Un conto è falsificare la firma di mio padre (cosa che Mycroft fa da quando ho sei anni), un altro è quella di un medico.

 

E così, mentre quel branco di babbuini berciava sulle tette di una certa Julia e sull’ultimo goal di Lionel Messi, io mi sono cambiato in fretta, di fianco a un certo Calvin Price, un ragazzo sovrappeso che è spesso vittima di bullismo. Il fatto che si metta di fianco a me è lusinghiero, vuol dire che si fida, e dopotutto io non ho mai infierito sulla sua patologia e me ne guardo bene dal farlo. Mi dispiace solo per lui. Proprio mentre ero intento a sollevarmi i pantaloni, una voce nuova ma al contempo conosciuta mi sorprende alle spalle.

“Scusatemi, avete per caso un elastico per capelli?”

Ho riconosciuto immediatamente quella voce, anche se non è certo famigliare e non l’ho certo sentita spesso. Ma sono quelle voci che aleggiano nella mente perché si spera sempre di sentirle, magari per puro caso come in quel momento.

“Un elastico per capelli?” ho ripetuto, voltandomi verso John Watson. Lui mi ha sorriso.

“Non è per me, naturalmente”

“Sì, la precisazione non era affatto necessaria” ho detto con la rapidità di un bottone che esplode dall’asola. Mi sono sentito arrossire “Comunque no, io non ce l’ho”

“Nemmeno io” ha aggiunto Calvin Price.

“Va bene. Grazie comunque” ci ha salutato John Watson e se ne è andato.

“Ciao” l’ho salutato, a disagio. Avevo la netta sensazione di essere stato sgarbato e mi sentivo male al solo pensiero. Non volevo essere sgarbato con John Watson, lui era una persona così a modo.

 

 

In palestra John non sembrava risentito con me.

Aveva l’aria serena e io capii immediatamente che aveva cercato un elastico per Kate, con la quale si era messo a chiacchierare. Beh, stava tentando di chiacchierare. Era una scena esilarante, John stava facendo del suo meglio per non guardarle il prosperoso davanzale ma i suoi occhi non collaboravano ed erano come calamitati verso il basso. Vederlo mi faceva ridere e per un attimo mi dimenticai che ero appena sbarcato in quel luogo pieno di insidie e di nemici. 

“Ehi, Sherlock!” esclamò una voce beffarda e crudele alle mie spalle “Chi mi sono trombato ieri?”

Ed ecco a voi Sebastian. Il sorriso mi morì subito nelle labbra, feci finta di non sentirlo e cercai di allontanarmi, ma fu invano.

“Ehi, ti ho fatto una domanda, nut-job!” ha insistito, afferrandomi forte un braccio. Vidi John voltarsi verso di noi “Chi mi sono fatto ieri? E Bill? Chi si è scopato, Bill?”

“Dai Seb, secondo me non sa nemmeno cosa vuol dire scopare” questo era Murray. Molti risero, io diedi un forte strattone e mi liberai dalla sua presa, mi trasformai in una statua di ghiaccio. 

Fortunatamente arrivò l’adulto della situazione e loro furono costretti a smetterla, ma avvertivo ancora le loro risatine alle spalle. Erano come pugnali.

Ecco perché odiavo l’ora di ginnastica. Mi tiravano anche contro la palla, fu terribile, la mia maschera di cera si stava per sgretolare e Adler mi aveva fissato tutto il tempo, in attesa che ciò succedesse. Anche lei è crudele, ero circondato da persone crudeli, lo pensavo spessissimo.

Sebastian per la cronaca è un ragazzo popolare e aitante, che gioca nella squadra di football della scuola. Ha il quoziente intellettivo di una banana e ragiona con le mutande, ma proprio per questo è considerato da tutti un modello da imitare, la più alta forma di realizzazione personale a cui un adolescente può aspirare. Ovviamente mi odia. Ama prendersela con me perché non dimostro alcun tipo di ammirazione verso i suoi soldi, le sue avventure sessuali e i suoi successi sportivi, e devo ammettere che inizio ad accusare questo suo accanimento nei miei confronti. Non nego di avere versato delle lacrime a causa sua e dei suoi amici. Il loro bullismo purtroppo è puramente psicologico, e dico purtroppo perché se mi prendessero a cazzotti saprei bene come difendermi, visto che proprio l’anno scorso sono diventato cintura nera di judo, ma invece no. Loro mi attaccano solo verbalmente e nei punti in cui sono più fragile e indifeso. Sono meschini, crudeli, poco meno che degli scarafaggi.

E la cosa più assurda è che riescono a farmi pesare il fatto di non essere come loro. Io li considero deprecabili, li disprezzo dal profondo del mio cuore, eppure ci sono dei momenti in cui vorrei avere la loro benedizione ed essere considerato uno di loro. Vorrei uscire alla sera e ubriacarmi in quei locali di musiche e luci psichedeliche, vorrei fornicare in giro come un coniglio, vorrei prendere due nel test a crocette perché mi sono “sballato” la sera prima, vorrei fare parte della squadra di football ed essere fidanzato con una bellissima cheerleader. 

Il fatto che io arrivi a desiderare queste cose insulse significa che la loro opera di sabotaggio nei miei confronti sta funzionando. Sto iniziando a detestarmi, a deprimermi per come sono e per come ragiono. È difficile avere una propria sana autostima se la gente fa di tutto per ricordarti che sei uno “strambo”, “un finocchio” (non che questo sia un insulto, malgrado l’evidente tono dispregiativo) e uno “sfigato”. È molto difficile, ma non è impossibile. Io so di valere, so di avere delle qualità che gli altri non hanno, sarei ipocrita se mentissi. Possiedo un QI molto più alto della media, e non lo dico per vantarmi, è semplicemente un dato oggettivo. Capisco le cose molto in fretta, so come sfruttare bene i cinque sensi e uso il cervello in una misura molto vicina al 100%. Questo mi consente di notare e ricordare dei dettagli anche dopo un lunghissimo intervallo di tempo, perché sono in grado di immagazzinarli in una memoria perfettamente organizzata. Immaginate di entrare dentro l’archivio di un enorme edificio: troverete i dati disposti in ordine alfabetico, in ordine cronologico e, se il repertorio è particolarmente scrupoloso, anche in ordine di argomento. Ecco, io quando penso faccio proprio questo: entro letteralmente nella mia memoria, cerco tra i faldoni dei miei ricordi e trovo l’informazione di cui necessito, che posso aver immagazzinato anche anni e anni prima. Amo chiamare questa mia struttura cerebrale il mio “Mind Palace”, perché ci entro e cerco le informazioni proprio come se fossi in un luogo vero e proprio.

Non è una cosa da tutti, ma non per questo io mi reputo migliore degli altri o faccio pesare le mie capacità a chi non le ha. Sebastian e i suoi amici invece fanno proprio questo. Mi fanno pesare di non essere come loro, e ogni tanto riescono a convincermi che quello difettoso sia io, quando invece non è così.

Nessuno di noi è difettoso, abbiamo tutti dei talenti, occorre solo capire quali sono e imparare a sfruttarli al meglio. Io ho questo, e sarà meglio che inizi ad apprezzarlo pienamente.

 

Quello stesso giorno rimasi nel laboratorio di chimica fino a tardi e uscii alle diciannove solo perché avevo fame, se no sarei rimasto fino alla chiusura. Attraversai il cortiletto rinsecchito che portava al cancello, immerso completamente nei miei calcoli, fino a che non intravidi in lontananza una figura compatta che correva verso di me. Aguzzai la vista e lo riconobbi, avrei riconosciuto quei grossi polpacci biondi tra mille.

“Ehi, ciao! Aspetta un attimo!”

Obbedii subito. John Watson aveva il fiatone ed era tutto sudato e in divisa sportiva. Proveniva direttamente dal campo di gioco. Io aggrottai le sopracciglia e mi allarmai istintivamente, non capivo cosa volesse e non ero abituato a essere trattato con rispetto e cortesia da quelli come lui (rectius: da quelli come Sebastian, e John non era certo uno di quelli).

“Senti ti volevo dire che mi dispiace molto per prima in palestra” mi lasciò stupefatto “Avrei voluto dire qualcosa a Moran, ma è successo tutto molto in fretta e poi è arrivato il professore e insomma, alla fine ho proprio perso l’occasione. Ma volevo che lo sapessi, ecco. Io mi dissocio da queste cose”

Il mio stomaco fece una capriola, non ero abituato a questo genere di persone e di discorsi.

“Grazie” dissi solo, non sapevo cosa dire.

“Ti danno fastidio spesso?”

“Sì” gli ho risposto sinceramente “Ma grazie per avermelo detto”

“Ci mancherebbe. Odio i soprusi per principio”

“Si vede. Esercito o Marina?” gli ho chiesto io per cambiare discorso.

John Watson mi ha guardato perplesso “Scusami?”

“Dove ti vuoi arruolare?” gli ho chiarito subito “Nell’Esercito o nella Marina?” 

“Come fai a sapere che voglio arruolarmi?” mi ha chiesto esterrefatto.

“Si vede lontano un miglio” gli ho risposto io “E comunque ti consiglio la Marina, si lavora meno e si guadagna di più”

E poi nel mio immaginario lui era un elegante Commodoro. Uno di quelli retti, coraggiosi e impavidi, che combattono strenuamente contro i pirati. 

“In realtà soffro il mal di mare”.

Dannazione!

“Quindi pensavo l’Esercito….”

Io annuii “L’Esercito britannico è uno dei migliori d’Europa” dissi per compiacerlo, in realtà non era vero, la Francia ci precedeva. Noi andavamo alla grande sul mare.

“Infatti” mi sorrise “Ora devo tornare in campo, ci vediamo domani”

“A domani” l’ho salutato e sono tornato a casa col sorriso. 






Note dell'autore
Intanto grazie per le recensioni e per le visite, mi hanno fatto molto piacere!
Vi anticipo per correttezza che se siete interessati solo a scene d'amore o di sesso tra John e Sherlock, allora è meglio che vi fermiate qui. Il loro rapporto avrà molta importanza ed evolverà, non vi dico come però...

Il fatto che Sebastian Moran e altri siano dei bulli è ovviamente di mia invenzione (anche se in effetti Sebastian in un episodio dimostra una ostilità sospetta verso Sherlock…).
Spero che la storia vi sia piaciuta, a presto,
Obi

 

 

 

   
 
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