Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    10/04/2021    2 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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«Sei venuto a sapere della cosa?» No, non si fa altro che parlare di te da oggi pomeriggio. Quella voce calma e profonda non si sbilancia verso nessuna emozione, esprime solo una formalità robotica con la quale si rapporta con chiunque.
«Tuo padre ha avuto la cattedra e te ne andrai?» Segue una lunga pausa. Probabilmente avrebbe voluto dirlo lui stesso, sfruttando il suo tono più austero. Ci parla pure con la panettiera in quel modo?
Una smorfia che dovrebbe essere un sorriso mi contorna l’angolo della bocca mentre lo immagino impettito come un pavone nel negozio. Lo visualizzo mentre chiede “Una pagnotta di farina integrale e due panini all’olio” con un tono che rende ogni cosa un ordine o una condanna a morte. La povera ragazza dall’altra parte del bancone che tenta di nascondersi terrorizzata che gli lancia il sacchetto e che trema dandogli il resto, pregando qualche centinaio di santi che sia corretto.
Ho una visione distorta dell’effetto che potrebbe fare alle persone, forse perché lo conosco da più vicino di altri.
«Esattamente» Ancora una volta quel tono cordiale, sembra un medico a cui pesa ammettere la diagnosi più grave, colui il quale trova la forza di guardarti negli occhi solo perché in quella situazione lui deve accompagnarti fino alla fine o non ce la faresti mai da solo.
 
Con quello spirito aveva iniziato la sua carriera liceale. Lo spirito di un comandante di chissà quale epoca e che probabilmente aveva portato i suoi uomini a morire in qualche missione suicida, in una battaglia persa e obbligata da motivazioni più alte della vita stessa.
A volte sembra di vederlo, quel fantasma logoro da una vita devota per un cambiamento che non è mai avvenuto quando era in vita. Avrebbe abbattuto mura solo con il tono della voce, mosso masse e creato maree. Sì, parlo ancora di quel vecchio che coabita la sua persona.
Nel corso di questi anni ho soltanto sentito storie riguardanti i suoi momenti più deboli, quei pochi momenti della sua vita che sono stati sfruttati da Erwin per plasmare se stesso. Direi pure che ha esagerato. Non gli serviva compensare la grandezza delle sopracciglia con un ego ancora più grosso, né lasciando crescere tutto il resto in maniera proporzionata a esse.
Già, l’unico motivo per cui veniva bullizzato alle elementari e alle medie erano quei folti peli dal colore ambiguo. Poi tutto d’un tratto è diventato lo spilungone che è e nessuno l’ha più preso in giro.
A me non è mai servito arrivare a cambiare le lampadine senza scala per non essere preso in giro. Mi sono sempre difeso a calci e pugni se era necessario.
Ricordo perfettamente la prima, e ultima, volta che la scuola venne occupata, pensavo sinceramente che fosse una cosa bella, liberatoria. Sarebbe stato divertente andare a scuola sapendo che la possiedi, camminare per i corridoi senza orari, poter correre nelle aule e giocare a corte con chi aveva già la predisposizione per quel tipo di dipendenza. Poter finalmente liberarmi di qualche piccolo sfizio o lasciarlo impresso su quelle quattro mura.
Dovevamo dormire in palestra, passare lunghe giornate ad annoiarci ed escogitare modi sempre nuovi per intrattenerci, cacciare via i professori che avrebbero voluto, giustamente, fare il loro lavoro e chiunque si sarebbe opposto. C’era già chi aveva tentato di aprirci gli occhi da quel palchetto, ma la voce più forte era quella di chi votò per la libertà fasulla in cui credevamo. Tra quelle mani alzate c’era anche la mia.
Eravamo pronti a prenderci tutto, a tenercelo stretto. Non sapevamo neanche quale fosse la motivazione ufficiale di quella protesta e le argomentazioni, più articolate, contrarie all’occupazione venivano continuamente ignorate. Doveva essere una settimana di svago.
Il tutto durò due ore.
Due ore su, almeno, cinque giorni previsti da quello che aveva convocato l’assemblea straordinaria. L’ultimo predecessore di Erwin, spodestato all’unanimità a fine giornata.
E di tutto quello che avevo immaginato potesse accadere durante l’occupazione, si avverarono solo due cose: un minitorneo di poker mai terminato e le folli corse per raggiungere Petra e sottrarla al suo aguzzino. Fu anche troppo per quelle due ore.
Inutile dire che stavo spennando quell’allocco di Auruo, un po’ perché non sa come si pone un bluff fatto come si deve, un po’ perché si era seduto proprio dando le spalle all’unico specchio e mi lasciava una buona visuale sulle sue carte. L’ho visto scartare un tris di sei sperando di fare una scala, inutile dire che la mia coppia di sette sia stata molto felice di essere la mano migliore per quel turno.
Il mazzo l’aveva portato Farlan, Isabel dava le carte e io mi tenevo qualche asso da parte, per evitare che le cose si mettessero troppo male per le nostre finanze. Avevamo puntato soldi, sì, per sentirci un po’ più maturi e per stuzzicare l’appetito di qualche pollo che non conosceva nemmeno le regole del gioco.
Il pollo, che all’epoca era completamente riccio e non aveva ancora tentato di copiare il mio doppio taglio, era sbiancato nel perdere altri cinque euro. Piccoli bottini che ci faceva piacere avere nella nostra parte del tavolo e più aumentava la somma, più il rischio. Più il piatto era pieno, più altri si avvicinavano tentando di attingere.
La mia attenzione, durante la sesta mano, fu catturata molto rapidamente da una scena che stava prendendo atto nel corridoio che divide gli spogliatoi dalla palestra.
Tre ragazzi di quinto si erano raggruppati attorno a una ragazzina di primo, sembrava fosse anche più piccola, come se fossero andati a recuperarla alle medie. Sembrava di guardare tre lupi che separavo un agnello dal gregge per azzannarlo con più tranquillità. Mollai le carte, lanciando in aria sia il mazzo che lasso nascosto nella manica per coprire il nostro sporco trucco.
Uno dei pochi insegnamenti filosofici di Kenny cominciò a governare i miei movimenti. “Non lasciare che l’acqua limpida si inquini”. Un brivido freddo mi scosse la schiena.
Non capivo perché mi dovesse importare di quella ragazza, non capivo nemmeno cosa stesse accadendo realmente da quell’angolazione, ma quella prospettiva cambiò nell’arco di un secondo.
La mia mano finì sulla testa del più basso e grassoccio, il mio corpo lo aveva completamente scavalcato, lasciando che i miei piedi volassero contro la schiena dello spilungone che lo precedeva. Caddi insieme a loro, trascinando a terra per il colletto il primo, ma fui l’unico a rialzarsi. Solo a quel punto vidi come il nostro rappresentante degli studenti stesse “prendendo in mano la situazione”, stringendo il seno della mora in una mano.
Nonostante non sapessi quali scuse o minacce avessero usato per portarla a quel punto, ma quando tolse la mano dal suo petto nudo restai folgorato.
Che fosse troppo tardi per mantenere saldo il volere di un vecchio col cappello? Lui che deve ogni volta sistemarselo per sottolineare la profondità delle parole che seguono. In quei rari casi, però, mi dimentico di quanto fosse ridicolo e apprezzo un po’ di più averlo come mentore.
I miei occhi si sbilanciarono nuovamente su quella forma rotondeggiante e morbida, insieme al mio corpo che aveva perso lo slancio del primo attacco, ma il pugno arrivò comunque, preciso, ma non abbastanza letale. Le sue nocche colpirono a loro volta, ributtandomi a terra.
Rimasi stordito un secondo, non era la prima volta che venivo colpito, ma essere in quella palestra, poco oltre lo sguardo degli unici amici che avevo in quel luogo, portò un senso di imbarazzo in quella piccola sconfitta. Volevo rendermi utile a mantenere pulito una realtà che doveva rimanere tale, non lasciarla violare dalla follia del mondo esterno a cui Kenny mi aveva abituato.
Il tempo di tornare in me, smettendo di fissare la linea del campo da pallavolo, e qualcun altro si era messo tra di noi, facendo cadere quel sacco di merda a terra.
“Stai bene?”
Dio se ricordo ancora le prime parole che mi rivolse.
Lo stesso tono che avrebbe il chirurgo nel chiederti se i punti di sutura ti danno fastidio, quando in realtà è preoccupato per come ti abbia aperto e richiuso il cuore. Ed è riuscito ad andare così in fondo, con due stramaledette parole.
Lo so perfettamente che si riferiva al livido che lentamente mi colorava la faccia, ma cazzo sembrava un’ispezione psichiatrica a lungo raggio. Prima di alzare gli occhi e incontrare i suoi, avrei sicuramente risposto nei modi più stizziti. Invece quelle iridi tinte di quello strano azzurro mi scrutavano nell’anima.
Mi ricordo di averlo guardato, dal basso verso l’alto, ovviamente. Anche se quella volta ero seduto a terra, non ho mai smesso di guardarlo da quella prospettiva.
La mano tesa verso di me, nessun accenno a qualche strana emozione effimera quale la compassione o la preoccupazione che contornava la faccia scioccata di Petra. Solita stupida crocerossina, scappata dalle grinfie di un bastardo solo perché mi sono messo in mezzo.
Mike era dietro di lui, ma non mi guardava allo stesso modo, quasi mi disprezzava, allo stesso modo di quanto io disprezzassi il ritrovarmi su quel pavimento lercio, con il sangue che mi stava uscendo dal labbro. Un pugno l’avevo preso anche io quella volta.
Ma il vero colpo è arrivato dopo. Quando ti offre un aiuto Erwin Smith, quando Mike ha finito il lavoro che tu hai iniziato, quando nonostante non siano dalla tua parte, ma contro l’occupazione, sono pronti ad aiutarti a tirarti su da terra, solo perché hai aiutato qualcuno a tua volta.
 
«Ci sei ancora Levi?»
Mi sono distratto anche troppo.
«Sì, scusami, piccoli problemi di connessione» Sì, tra le sinapsi. Come scusa poteva anche essere plausibile, è già capitato che quei due staccassero per sbaglio il modem dalla corrente, che cazzo di giochi erotici escogitino non ne ho idea.
«Come ti stavo dicendo, giovedì prossimo pensavo di dare un piccolo rinfresco, se il tampone risulta negativo»
Mancano cinque giorni? Mi stai veramente dicendo che tra cinque giorni tu scomparirai completamente dalle nostre vite? Senza nemmeno averci lasciato il modo di incontrarti per i corridoi un’ultima volta, è così che vuoi? Giusto il tempo di far finire il periodo in cui la tua sezione è in quarantena e poi basta?
È tutta colpa di quel cazzone di Mike. Sua e del suo stupido naso sempre fuori dalla dannata mascherina perché deve sentire gli odori del mondo. Avevano appena ricominciato le lezioni in presenza e quel coglione il giorno dopo era positivo. Quel lunedì solo le quinte e le prime erano a scuola, martedì sarebbe stato il nostro turno, insieme a quelli del terzo, poi finalmente giovedì avrei avuto l’occasione di rivederlo al di fuori delle chat. E invece no.
«A quando la partenza?» la domanda nasconde tutta la mia paura di essere abbandonato, perché forse in lui rivedo quasi una figura paterna e non accetto essere lasciato di nuovo. Soprattutto perché l’altra opzione sarebbe Kenny.
«Sabato mattina, per arrivare all’ora di cena…» e mentre lui elenca la serie di motivazioni che li porteranno a fare un enorme trasloco il prossimo fine settimana, portando il “minimo indispensabile” dal loro piccolo appartamento, penso all’unica cosa di cui dovremmo realmente discutere.
Dopo aver elencato tutti i passaggi torna a parlare di quella piccola “festa”. Mi segnerò la parola “piccola” anche per giudicare il rinfresco che andrà a fare, perché sono sicuro che potrà mai essere minimamente descrivibile tramite quell’aggettivo. “Cenone di Natale” potrebbe essere migliore.
Ah, ho accennato qualcosa riguardo a quella reggia che lui ha la modestia di chiamare casa? Non fraintendetemi, non è una villa con piscina e camerieri, ma un capolavoro di architettura organizzata su due piani e quattro appartamenti dello stesso palazzo. Fossi un ladro non saprei dove iniziare, tra manoscritti antichi e quadri, il tutto sotto una chiara luce tra il beige e il terra di Siena bruciato.
 
La prima volta che fui invitato a casa sua restai completamente esterrefatto da quanto facesse sembrare piccola qualsiasi abitazione in cui ero stato fino a quel momento. Prendete quattro appartamenti disposti su due piani e uniteli. Un dodicesimo di quella palazzina era loro.
Può sembrare una cosa piccola detta così, ma avevano letteralmente aperto fino allo scheletro quell’edificio e ne avevano creato qualcosa di totalmente nuovo.
Quella volta eravamo in camera sua, che si può considerare da sola metà del buco che io chiamo casa, per una riunione con altri del nostro gruppo. Come se fosse una piccola setta con un’enorme e vistosa base segreta.
Piccola guida per raggiungere casa Smith: al terzo piano c’è la porta che apre al salone più grosso che esista, il soffitto, per dare un’idea, è il pavimento del quinto piano. Ma sì, forse sono io che esagero, come aveva provato a criticarmi Isabel.
Agli angoli più interni, le due camere da letto, entrambe chiuse tra quattro mura, a differenza di tutte le altre stanze, bagni esclusi, e si alzano fino al piano superiore. Non so come sia quella dei suoi, ma lui ha diviso perfettamente zona studio e quella notte, il letto infatti si raggiunge tramite delle scale in legno, anche se ci aveva vietato di salire.
Solo Hanji era riuscita a superare Mike, che faceva il cane da guardia, prima di essere inevitabilmente fermata da Erwin e dondolava i piedi dal settimo gradino, guardandoci divertita. Non capivo cosa potesse tenere così gelosamente il biondo e guardavo a quelle scale come all’ennesima sfida per tutto il pomeriggio.
Conoscevo veramente poche persone, quindi restai isolato nei miei pensieri a fissare la tazza di tè, rispondendo di malavoglia a ogni domanda che mi girava.
Odio interagire con le persone, soprattutto se la prima impressione che ti vogliono dare è quella di avere un conto in banca migliore del tuo. Sembrava così, guardando tutto ciò con la malizia del nuovo arrivato.
Quando l’attenzione venne finalmente portata altrove, feci la mia mossa, scattando al piano superiore. Rispondendo al richiamo della mia curiosità e del totale disprezzo per le imposizioni.
Cosa tenevi nascosto Erwin? Pietre preziose? Libri antichi? O forse un cadavere? Avrebbe reso tutto meno noioso in quella casa piena di librerie e scaffali.
Sotto il mio sguardo deluso si aprii quella che in realtà era una stanza normalissima. Un letto a una piazza e mezzo, un armadio e due comò, uno piccolo e uno grande. La grande finestra dava sul parco con i percorsi per fare jogging e la luce entrava nonostante le tende grigie.
Certo, il letto si poteva rifare meglio e c’era un po’ di polvere, ma lo avrei perdonato se il suo unico peccato era che non passava l’aspirapolvere da un giorno. C’era sicuramente altro, dovevo cercare, ma la sua voce mi bloccò prima che potessi ispezionare il suo armadio.
“Levi?” il tono era soltanto mortificato, né accusatorio né arrabbiato. L’avevo forse deluso per aver scoperto che la sua biancheria era in ordine cromatico? O che tenesse una scorta di camicie bianche che dovrebbe essere permessa solo ai camerieri di ristoranti a cinque stelle?
Si avvicinò quasi sorridendo e io non potevo più reggerlo. Come dovevo fare a capire che gli passasse per la testa?
“So che ti avrei trovato qui, prima o poi”
No, non capivo. Chiusi lo sportello dell’armadio, aspettando che fosse lui a continuare quella conversazione
“Siamo entrambi mossi da curiosità che va oltre piccole leggi, perciò tu sei qui” Mi superò, aprendo il secondo cassetto del comodino e tirando fuori un quaderno. Eccolo lì, il bottino che stavo cercando, la risposta a tutte le mie domande. Tieni un diario segreto Erwin? Seriamente?
Mi avvicinai per guardare meglio la copertina in pelle.
“La capacità di ascoltare è l’unica vera arma di chi vuole consigliare efficacemente le persone che ha vicino e saperne il più possibile aiuta a essere più efficace nel farlo, per questo mi segno ciò che vale la pena ricordare”
Il diario dei segreti altrui. Più ci pensavo e più mi accorgevo di quanto fosse vero: ognuno si confidava con lui e lui mai con nessuno. Ci guidava nelle nostre scelte, ma nessuno in realtà conosceva le sue. Eppure, di un comandante di cui non sai le debolezze ti fidi ciecamente credendo che non ci siano.
“Ci siamo tutti?” gli domandai, sapendo già quale fosse la risposta. Anche io mi ero lasciato sfuggire piccoli dettagli della mia vita privata e lui sicuramente si era appuntato qualcosa anche di me.
“La tua pagina è la 35, le mie sono le prime due” lo disse mentre apriva il quaderno, prendendo i primi due fogli e strappandoli dal resto. Me li consegnò, lasciandomi di sasso.
Si fidava a tal punto, nonostante non fossi che l’ultimo arrivato nella sua vita?
 
Le tengo ancora nascoste dentro le parti cave della scrivania, lontano da occhi indiscreti.
Il volto femminile che è disegnato sulla prima pagina è tutt’ora una delle immagini più belle che io abbia mai visto.
Sta ancora finendo di scusarsi per il poco preavviso, nonostante sapessi da un po’ che suo padre aveva fatto la richiesta per quella cattedra, e mi infilo durante una breve pausa.
«Erwin, ti devo restituire il disegno di tua madre»
   
 
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