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Autore: Memel    10/04/2021    21 recensioni
Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.
Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.
In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.
Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.
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Tratto dal prologo:
Fu soprattutto Bokuto ad attirare completamente la sua attenzione: imprimeva in ogni azione tutta la potenza che il suo corpo gli permetteva, e la sua passione traboccava da ogni sguardo ed esclamazione durante il gioco.
Sembrava davvero la persona più felice del mondo, intento a fare ciò che più amava e per cui era portato.
Era davvero al posto giusto, nel momento giusto.

[Characters Study / IC / OCxCanon + SideBokuAka]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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P R O L O G O

始め 

 

 tracks n°1-2-3  
chapter pic: 

Nori 1 ; 2 ; 3

 

Ci sono storie che non possono essere cambiate, o aggiustate.

Non importa il numero di cancellature e riscritture, per quanto possiamo impegnarci il finale non cambia.

In questi casi la cosa migliore da fare è abbandonarle, accettare la sconfitta e ricominciare.

Ci sarà sempre una nuova pagina bianca ad attenderci, l’inizio di un nuovo capitolo, di una nuova storia.


Era questo il pensiero che mi aveva consolata per tutta la durata del mio volo verso il Giappone.

Avevo lasciato da poche ore il Canada: la mia vita a Victoria, mio padre, rimorsi, dubbi e domande a cui non ero ancora in grado di dare una risposta ma in cui riponevo comunque l’ultima briciola di speranza rimasta. 

Mi sforzavo di essere fiduciosa e ottimista, ma allo stesso tempo cercavo di tenere a bada ogni possibile entusiasmo, per evitare l’ennesima scottatura, l’ennesimo vicolo cieco.

Sotto di me la baia di Tokyo cominciava a delinearsi, prima come un insieme di puntini luminosi, lontani ma accecanti, poi come una distesa di stelle, abbagliante e invitante, una piccola galassia fatta di vicoli e tesori in cui non vedevo l’ora di tuffarmi.

“Nori, meglio se cominci ad allacciarti le cinture, atterreremo sicuramente tra poco” mormorò mia madre, sollevando la mascherina di raso dagli occhi e chinandosi sul finestrino vicino a me per guardare quella visione incantata, l’ombra di un sorriso a illuminarle il viso immerso nella penombra del corridoio addormentato

“Sono passati tanti anni dall’ultima volta che ti ho portato con me… sarà strano ricominciare, vero?”

Annuii impercettibilmente, senza staccare gli occhi da quella vista luccicante, mentre l’aereo sorvolava l’ultimo tratto di oceano che ci separava dalla terraferma, l’ultimo lembo di oscurità prima dell’alba e di quel nuovo inizio che fremevo di vivere.

 

*

 

Nori si allungò per leggere l’ora sullo schermo a pochi centimetri da lei, sperando che fosse ancora notte fonda, ma erano esattamente le 7:14 e tra un minuto sarebbe suonata la sveglia. 

Aveva lasciato la finestra leggermente socchiusa per arieggiare la stanza chiusa da anni, ma si era addormentata per la stanchezza senza ricordarsi di richiuderla, e ora sentiva la fredda aria di aprile fare capolino tra le lenzuola.

Sgusciò fuori dal tepore delle coperte sbuffando sonoramente: non aveva la minima voglia di iniziare quella giornata, una giornata che si prospettava piuttosto lunga e impegnativa.

Sospirò, gettando uno sguardo fugace alla divisa scolastica appesa sull’anta aperta dell’armadio: i toni dell’Accademia Fukurodani le piacevano, così neutri e pacati, con un unico tocco di colore rappresentato da un fiocco azzurro a strisce. Sua nonna gliela aveva fatta provare la sera prima, borbottando sulla lunghezza delle gonne sempre più corte rispetto a quelle dei suoi tempi.

“E se ti mettessi dei leggins?” le aveva detto, tirandole giù il più possibile l’orlo

“Mamma non essere antiquata tutte le ragazzine girano così, Nori si abituerà e se farà freddo può sempre mettersi i miei vecchi scaldamuscoli” aveva risposto sua madre, ridacchiando e dandole due pizzicotti sulle cosce

Lei le aveva lasciate perdere ed era tornata su a sistemare la cartella, decisa ad andare a letto presto, così da poter affrontare quel primo giorno di scuola con qualche ora di sonno in più del solito.

E quel giorno era arrivato. Certo, non era il suo primo giorno di liceo, ma era pur sempre la sua prima volta in una scuola giapponese.

Si preparò in fretta senza nemmeno specchiarsi e scese le scale per fare colazione.

“Obasaan non c’era bisogno che ti alzassi presto per prepararmi il riso, sai che non sono abituata a mangiare salato di prima mattina” disse Nori guardando preoccupata la pila di piatti che ingombravano la sala da pranzo

Era passata solo una settimana dall’arrivo di lei e sua madre presso la casa di sua nonna. Eppure la sua vecchia vita le sembrava quasi l’eco di un sogno che andava via via svanendo ogni giorno di più.

Cosa che per alcuni versi non le dispiaceva molto.

“Devi assaggiare il natto, te ne ho messo un po’ anche nel bento… ho provato una ricetta nuova!” le disse, il viso nascosto nei fumi delle pentole sul fuoco

Nori sospirò, agguantando i dorayaki ancora impacchettati nascosti nella credenza: sapeva che sua madre ne andava ghiotta e in casa non erano mai mancati. Ovviamente ebbe la sfortuna di beccare quello con il ripieno di fagioli rossi, un gusto che lei ancora faticava ad apprezzare, e digerire. 

Quella giornata stava proprio iniziando bene, pensò ironica, trattenendo l’ennesimo sbadiglio.

 

*

 

Non ero in ritardo, non ancora almeno, pensai, guardando i tanti ragazzi e ragazze che mi precedevano. L’Accademia Fukurodani da fuori sembrava davvero grande e maestosa, piena di campi, palestre e altri edifici che si sviluppavano attorno al corpo principale dell’istituto. 

Mi diressi per prima cosa verso l’aula insegnanti per consegnare gli ultimi documenti che mi avrebbero reso a tutti gli effetti una studentessa del secondo anno. La professoressa che si era offerta di accompagnami verso la sala principale parve leggere dell'emozione mascherata da nervosismo nel mio silenzio e nel mio sguardo basso, ma in realtà non vedevo l’ora che quella mattinata passasse il più presto possibile.

Mi lasciò sulla soglia di un immenso auditorium, dove tutti gli studenti dell’Accademia attendevano il discorso di inizio anno che avrebbe sancito l’inizio del primo semestre. Mi persi nei miei pensieri, destandomi solo quando sentii gli applausi scroscianti che sancivano la fine della cerimonia. Tirai un sospiro di sollievo, ma per poco, visto che era finalmente arrivato il momento che più di tutti temevo. 

Sempre scortata dalla stessa professoressa di prima mi diressi verso quella che sarebbe stata la mia futura l’aula, la 2-6 lessi, poco prima che la porta si aprisse di fronte a me e una ventina di sguardi curiosi si voltassero nella mia direzione.  

“Sono Shikako Nori e vengo dal Canada, dalla città di Victoria, e per i prossimi due anni studierò in questa Accademia, piacere di conoscervi” ripetei come una macchinetta, le guance che cominciavano a surriscaldarsi

Presi posto e da quel momento mi lasciai scivolare addosso la giornata cercando di non pensare alle attenzioni e alle voci che serpeggiavano attorno a me finché non sentii suonare la campanella.

Non feci nemmeno in tempo a tirare fuori il bento che il mio banco venne preso d’assalto da una decina di ragazze che mi tempestarono di domande:

“Adoro il tuo colore di capelli, sono castani naturali?”

“Wow vieni dall’America, che sogno! Come mai sei venuta in Giappone?”

“I tuoi genitori sono entrambi stranieri?”

“Parli benissimo giapponese, ci darai una mano in inglese vero?”

Sospirai, mi ero preparata psicologicamente a questo tipo di assalto ma avrei voluto comunque scappare a gambe levate o gettarmi dalla finestra vicina. 

Sì, risposi, sono naturali; sono venuta in Giappone perché i miei genitori hanno divorziato e a mia madre è stata offerta una cattedra a Tokyo; no, solo mio padre è canadese, la famiglia di mia mamma è originaria della capitale; e sì, vi aiuterò con piacere, recitai tutto d’un fiato.

Sembrava che le mie risposte le avessero soddisfatte ma sentivo che la loro curiosità non si era del tutto placata, così, approfittando di quel fugace momento di pausa, mi alzai con una scusa e afferrando il mio bento box mi diressi fuori dall'aula a tutta velocità, decisa a prendere una boccata d’aria.

 

*

 

Nori si tolse gli auricolari, rendendosi conto che la pausa pranzo stava per finire.

Le prime due settimane di scuola erano davvero volate, si ritrovò ad ammettere: i compagni si erano abituati alla novità della sua presenza e cominciavano finalmente a lasciarla in pace, anche se alcune ragazze continuavano a invitarla dopo scuola, a studiare assieme o a qualche nuovo strano caffè in centro, vedendola ancora come la ragazza straniera, o meglio, mezza-straniera, da sfoggiare come un trofeo.

Lei inizialmente aveva accettato, non poteva certo comportarsi sempre da asociale, come la definiva sua madre, ma dopo una settimana si era già stufata di tutte quelle attenzioni, e si era ritrovata a bramare i suoi momenti di pace fatti di libri e musica.

Ciononostante sapeva benissimo che non era il caso di isolarsi così, e in fondo avrebbe davvero voluto farsi qualche amica nella nuova scuola, ma come? 

Le compagne della sua classe erano sempre state molto disponibili con lei ma le erano sembrate anche piuttosto superficiali quando erano uscite assieme, in fondo loro si conoscevano già da un anno e avevano ormai formato i loro gruppetti, mentre lei era pur sempre l’ultima arrivata.

Aveva anche valutato l’idea di iscriversi ad un club scolastico, ma senza successo: alla lezione di prova del club di Kyudo aveva quasi finito per spezzare la corda dell’arco; il club di audiovisivi era composto solo da ragazzi, che quando l’avevano vista arrivare avevano fatto una faccia ben poco amichevole, probabilmente intimoriti dalla possibile presenza di una ragazza nel loro gruppo consolidato; il club di teatro e quello di cerimonia del te erano stati dismessi per i pochi iscritti e la mancanza di professori di riferimento a disposizione; mentre tutti i club sportivi accettavano iscrizioni solo dopo alcune sessioni di prova che terminavano con delle selezioni ad eliminazione, essendo l’Accademia piuttosto riconosciuta a livello regionale e nazionale in ogni competizione sportiva. E l’ultima cosa che le serviva in quel momento era proprio altro stress. 

Era rimasto solo il club di fotografia, dove sperava di poter sfruttare la sua mirrorless, l’ultimo sudato regalo di compleanno, ma aveva amaramente scoperto che il club si dedicava solo alla fotografia analogica e la cosa l’aveva scoraggiata non poco. 

Niente, sembrava che non fosse destino per lei trovare il suo posto in quella scuola.

Sbuffò e si sedette indispettita al suo banco, in attesa dell’inizio della lezione, quando la sua attenzione venne catturata da un volantino appoggiato sotto il suo astuccio.

Cercasi manager per la squadra maschile di pallavolo. Ti aspettiamo presso la palestra 3, non mancare!

Si guardò attorno per capire chi glielo avesse lasciato ma in quel momento vide il professore varcare la porta dell’aula.

 

*

 

Un’altra giornata era finalmente finita.

Fuori c’era ancora un po’ di sole, notai, forse avrei potuto allungarmi verso quel negozio di elettronica vicino alla fermata della metro e comprare delle batterie nuove per la fotocamera. 

Ero quasi arrivata nell’atrio, pronta ad andarmene, quando vidi un ragazzo alto e dai capelli leggermente arruffati venirmi incontro.

“Shikako-san, sono Akaashi Keiji, siamo nella stessa classe. Scusami in questi giorni ti ho cercata ma non ti ho mai trovata durante le pause così mi sono permesso di lasciarti un volantino sul tuo banco...”

Lo fissai sorpresa e incuriosita, cercando di inquadrare il suo volto: no, stranamente non me lo ricordavo, eppure mi ero sforzata di memorizzare i nomi e i volti di tutta la classe dopo i primi giorni. 

“...Stiamo cercando una nuova manager per il nostro club di pallavolo visto che le due ragazze che attualmente se ne occupano sono al terzo anno e vorrebbero preparare e seguire chi prenderà il loro posto. Potrebbe interessarti la cosa?” 

Sentii il suo sguardo risoluto e imperscrutabile su di me, e capii che un semplice no non sarebbe stata certo la più cortese delle risposte. Non potevo neanche dirgli che ero già iscritta ad un altro club o che avevo altro da fare.

“Grazie Akaashi-san, ci penserò su e ti farò sapere” risposi, pronta a sgattaiolare via

“Oggi pomeriggio ci alleniamo, se ti va puoi passare a dare un’occhiata e conoscere la squadra” disse lui, sostenendo il mio sguardo senza arretrare di un millimetro 

Mi aveva astutamente messa alle strette, non mi restava che acconsentire purtroppo, e pensare nel frattempo ad una scusa cortese e plausibile per rifiutare quell’offerta.

 

*

 

Le ultime luci del tramonto illuminavano fiocamente le palestre e i campi, mentre gli impianti elettrici si accendevano e le voci e le urla delle diverse squadre riecheggiavano nell’aria.

Nori si guardò attorno spaesata: aveva lasciato il volantino datole da Akaashi sotto il banco e non si ricordava minimamente quale fosse la palestra del team maschile di pallavolo indicata nell'annuncio.

Stava quasi per ripensarci e tornare in aula, quando intravide un pallone Mikasa rotolare fuori da una porta semi aperta.

Lo prese ed entrò nell’edificio, rendendosi conto che era vuoto. Probabilmente era solo in anticipo, pensò, e vedendo che le reti erano già state montate approfittò del momento, mettendosi a palleggiare per ingannare l’attesa, ripetendo un gesto per lei un tempo automatico.

Era passato più di un anno dall’ultima volta che aveva giocato la sua ultima partita di pallavolo.

Ricordava ancora benissimo quel giorno: la tensione che le aveva tolto il sonno, rendendola rigida e poco reattiva, il tremore ad ogni scatto e salto, la vista che si annebbiava e la testa che le girava mentre cercava di rimanere concentrata, mordendosi le labbra fino a sentirle sanguinare. Poi le ginocchia era cedute e l’ultima cosa che ricordava erano i volti preoccupati delle sue compagne, e poi quello di sua madre, che si girava a guardarla in ansia tenendole la mano mentre la macchina di suo padre scivolava tra la pioggia e le strade di Vancouver. Quella partita era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, sia tra i suoi genitori, che dopo anni avevano finalmente avviato le pratiche di divorzio, sia per lei, che dopo tanti allenamenti e privazioni era stata finalmente liberata dalle pressioni e ambizioni di suo padre e aveva preso le distanze da un mondo che per tanto tempo era stato tutto il suo universo.

Se lo ero ripetuto tante volte che non era stata colpa sua, eppure non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, verso le sue ex-compagne, e verso la pallavolo, uno sport che sin da subito l’aveva incuriosita e attirata, ma che aveva quasi finito per odiare, non vedendolo e vivendolo mai come una passione, ma come un obbligo, un dovere.

Fin da piccola aveva praticato e provato tanti sport: i suoi genitori la vedevano pigra, sempre chiusa in camera a leggere e guardare film, e pur di trascinarla fuori l’avevano iscritta a diversi corsi, nuoto, danza classica, baseball, tennis, ma sembrava che nulla la prendesse davvero.

Poi l’ultimo tentativo, il mondo della pallavolo, lo stesso mondo di suo padre, un tempo un promettente centrale liceale che però non era riuscito a sfondare come professionista e si era dovuto accontentare della carica di vice-allenatore di una piccola squadra locale. 

Si era avvicinata a quello sport tentennando perché le aspettative erano tante e alte, ma per fortuna aveva scoperto di possedere un po’ della stoffa necessaria, tanto da riuscire a diventare titolare nel giro di un anno. All’inizio le era sembrato tutto un gioco, il suo appuntamento dopo la scuola dove potersi sfogare e conoscere nuove compagne, ma più il tempo passava più la palla le sembrava pesante, gli allenamenti ripetitivi e intensi, i rapporti con le altre giocatrici sempre più tesi e superficiali. 

Era come se la scintilla si fosse persa e fosse rimasta solo lei e quella rete, sempre più simile ad una prigione. 

Suo padre non accettava scuse, nessun no, nessun oggi sono stanca, voglio stare a casa a riposarmi e leggere

No, non ci dovevano essere ostacoli tra lei e la palla, doveva riuscire dove lui non era riuscito, doveva osare e superare i suoi limiti. Cosa che aveva fatto, e che si era concluso con lei che perdeva i sensi dopo un’ora scarsa di sonno e ventiquattro ore di digiuno, durante la semifinale interregionale.

Da quel momento aveva chiuso, con la pallavolo e con suo padre. 

L’anno seguente era stato il più pesante, si era ritrovata a iniziare il liceo senza più amiche, perse dopo anni di silenzi e scuse, cosa che l’aveva portata a chiudersi sempre di più in se stessa. 

Per questo la proposta di trasferirsi in Giappone dalla nonna materna le era sembrata la cosa migliore che potesse capitarle, un segno del destino che tracciava per lei una strada diversa. Sua madre aveva chiamato in lungo e in largo per ottenere una cattedra in arte o storia in un istituto qualsiasi purché a Tokyo. Erano partite giusto in tempo per l’inizio dell’anno scolastico, entrambe decise a cambiare aria, a ricominciare, a darsi una seconda possibilità. Un nuovo inizio.

Nori strinse la palla tra le mani e con uno colpo secco e veloce la alzò con tutta la forza che aveva in corpo, per poi scattare e colpirla con foga, facendola rimbalzare con un sonoro tonfo sulla parete di legno oltre la rete. 

A pochi metri da lei, Bokuto Kotaro, studente del terzo anno e capitano della squadra maschile di pallavolo, correva maledicendo sé stesso per quello stupido imprevisto che lo stava facendo arrivare in ritardo agli allenamenti. 

“Akaaaaashiii, non mi avevi detto che diventare capitano voleva dire riempire tutte quelle pile di documenti” sbraitò, pensando a come era stato costretto dal coach a parlare con l’insegnante di riferimento del club per sistemare alcune questioni 

Quando il suo kohai si era offerto di accettare il ruolo di vice-capitano, Bokuto aveva semplicemente pensato che in quel modo avrebbe potuto aiutarlo con tutte quelle responsabilità che gli erano piombate addosso insieme alla meritata fama e popolarità nell’Accademia. Ma si sbagliava, purtroppo doveva continuare a occuparsene solo e soltanto lui.

Sbuffò, guardando in lontananza se le luci della palestra 3 fossero accese, ma in quel momento un tonfo secco proveniente dalla palestra 4 lo fece voltare per un secondo.

Una ragazza aveva appena battuto, stava recuperando la palla ed era pronta a saltare ancora, anche se in uniforme e con i capelli malamente raccolti sopra la testa da una penna. Penna che si sfilò proprio mentre la palla lanciata ricadeva, liberando una lunga chioma che le ricoprì la schiena, distraendola, mentre la palla atterrava con un balzo di fronte a lei. Invece di arrabbiarsi o sbuffare la vide sorridere malinconicamente, mentre si portava una ciocca dietro l’orecchio e si chinava per prendere la palla.

In quel momento vide Mimizuki Haruhi, vice-capitano e setter della squadra femminile, entrare e si rese conto che si era fermato a guardarle invece di precipitarsi verso gli allenamenti, così si diresse con uno scatto fulmineo verso l’edificio antistante.

Nori si voltò giusto in tempo per incontrare lo sguardo perplesso di Haruhi, che la osservava dall’alto dei suoi 178 cm.

“Mi spiace, ma abbiamo chiuso le selezioni per le nuove reclute la scorsa settimana. Se vuoi posso provare a parlare con il capitano e vedere se si può fare qualcosa…” 

“Cosa? Non è il club di pallavolo maschile questo?” disse Nori alzandosi con uno scatto

“No, questa è la palestra 4, l’edificio che cerchi è quello accanto” le rispose Haruhi, guardandola ancora più perplessa

Nori fece un veloce inchino per scusarsi per l’inconveniente e si precipitò fuori come un lampo, dandosi della stupida per la sua solita imbranataggine.

Quando arrivò si rese conto che gli allenamenti erano già iniziati e la squadra si era divisa in due gruppi per disputare un’amichevole, decise perciò di rimanere sulla porta per non disturbare l’azione.

Dall’altro lato del campo le parve di intravedere il ragazzo che l’aveva fermata prima, Akaashi, intento a parlare con un altro giocatore, dall’acconciatura piuttosto buffa, che sembrava intento a raccontargli qualcosa di divertente visto il sorriso contagioso che aveva in viso.

Il momento di pausa cessò e i ragazzi tornarono con la mente alla partita: Akaashi giocava come alzatore e dopo pochi minuti dal fischio del coach la palla passò a lui, che con un passaggio fluido la alzò al ragazzo al suo fianco, che la schiacciò con un colpo secco e preciso e ad una velocità impressionante, dandole l’impressione che la palla si fondesse al suolo vista la foga della schiacciata. 

Nori sbarrò gli occhi, trattenendo il respiro: quando aveva saputo che la Fukurodani disponeva di una buona squadra di pallavolo maschile si era immaginata una squadra di discreto livello, armata delle migliori intenzioni, ma non avrebbe mai pensato che il livello potesse essere davvero alto e degno di nota. Si ricredette dopo pochi minuti di azione, osservando con voracità tutte le schiacciate e i salti che quel ragazzo dai buffi capelli argentati stava facendo, uno dopo l’altro, senza accusare alcuna stanchezza ma esultando come un bambino felice dopo ogni punto fatto, prendendosi i complimenti e le pacche dei suoi compagni di squadra.

“Bokuto oggi è proprio in ottima forma, non credi?” disse una voce femminile alle sue spalle, facendola sussultare “Forse ti deve aver visto, tira sempre benissimo quando nota delle ragazze carine tra il pubblico” aggiunse, ridacchiando allusiva, ma vedendo la faccia perplessa di Nori decise di presentarsi

“Sono Yukie, una delle manager della squadra. Akaashi ci aveva avvertiti che saresti sicuramente venuta, Shikako-san! Di tutte le persone a cui abbiamo lasciato il volantino non siamo riuscite a convincerne nessuna… il ruolo di manager è davvero sottovalutato in questa scuola purtroppo! Così abbiamo deciso di passare alle maniere forti, è impossibile dire di no ad Akaashi in fondo, vero?” 

Allora le cose stavano così, ora Nori capiva bene la velata insistenza che il suo compagno di classe aveva mascherato dietro il tono formale e gentile. 

In effetti accettare un ruolo di contorno e tedioso come quello di manager di una squadra sportiva non era l’obiettivo della maggior parte degli studenti, ma aveva pensato che, vista la popolarità che gli atleti attiravano, almeno qualche ragazza ci sarebbe cascata e l’avrebbe tolta dall’impiccio. Ma a quanto pare si sbagliava. 

Nel frattempo la squadra si era fermata e aveva cominciato a lanciarle alcune occhiate incuriosite, cosa che l’aveva messa in agitazione, soprattutto quando vide il ragazzo che Yukie aveva indicato come Bokuto, e che prima aveva eseguito quelle battute perfette e potenti, parlottare con Akaashi e guardare nella sua direzione.

Un’altra ragazza spuntò alle loro spalle e notando l’espressione imbarazzata di Nori si voltò verso la squadra, intimando loro di tornare a giocare e di lasciare in pace la loro potenziale nuova manager, lanciando poi un’occhiataccia in direzione di Kotaro.

“Non fare caso a quello zuccone di Bokuto, sembra un bambinone ma in campo sa il fatto suo, altrimenti non sarebbe il nostro capitano!” disse poi, mettendole una mano sulla spalla quasi per tranquillizzarla “Io sono Kaori e come Yukie sono una manager della squadra. Piacere di conoscerti Shikako-san!”

Nori si lasciò guidare verso le panchine, dove il coach era impegnato a scrutare i giocatori, e anche la sua attenzione venne nuovamente catturata dalla palla e dall’azione della partita: l’alzatore e il centrale erano i due giocatori che più risaltavano e brillavano durante il gioco, ma il livello generale della squadra era davvero buono, la sintonia e la fiducia che aleggiava tra loro era senza dubbio palpabile. 

Eppure c’era qualcosa che stonava ai suoi occhi, e che allo stesso tempo la affascinava mentre li osservava giocare: sembravano così affiatati, così felici di essere lì, in campo, nonostante la stanchezza e la pressione. Si respirava lo stesso livello di tensione e concentrazione di una partita ufficiale nonostante fosse una semplice amichevole tra compagni di squadra, ma a differenza delle competizioni che aveva vissuto sulla sua pelle, in quel campo l’atmosfera era completamente diversa: meno pesante, priva della paura di essere costantemente giudicata che l’aveva spesso attanagliata, e del terrore di deludere tutti, dalle sue compagne a suo padre. 

Fu soprattutto Bokuto ad attirare completamente la sua attenzione: imprimeva in ogni azione tutta la potenza che il suo corpo gli permetteva, e la sua passione traboccava da ogni sguardo ed esclamazione durante il gioco. 

Sembrava davvero la persona più felice del mondo, intento a fare ciò che più amava e per cui era portato. 

Era davvero al posto giusto, nel momento giusto. 

Una sensazione che lei non aveva mai provato giocando.

“Sembra che la pallavolo ti interessi, o sbaglio?” le chiese Kaori, vedendola rapita dai movimenti in campo

“Sì, diciamo di sì” le rispose Nori cercando di rimanere vaga, non avendo voglia di rivelare altro

Yukie si sporse verso di lei, mettendole un braccio intorno alle spalle.

“Se è così saresti una perfetta candidata come nostra futura sostituta! Che ne pensi? Ti piacerebbe diventare manager di questa squadra?” 

“Non ti devi sentire obbligata, ma credimi, ci faresti un enorme favore! Se accettassi avremmo tantissimo tempo per insegnarti tutto, ed essendo in tre quest’anno il lavoro non sarà per nulla pesante, anzi, sono sicura che ci divertiremo un sacco!” aggiunse Kaori, tentandola

Nori pensò a quella prospettiva, e a come il destino le avesse giocato quello strano tiro, portandola nuovamente faccia a faccia con quel mondo da cui pensava di essersi allontanata per sempre.

Forse le stava offrendo un’opportunità, quella di poter riavvicinarsi e riscoprire quello sport, questa volta da un punto di vista diverso, con i suoi tempi, senza pressioni o aspettative troppe alte da raggiungere.

Vederli giocare, così affiati e appassionati, l’aveva davvero affascinata. Aveva riacceso in lei un interesse che credeva sepolto, e che spesso si era chiesto se fosse mai davvero esistito. L’idea che si potesse vivere la pallavolo nello stesso modo in cui sembrava viverla il ragazzo che aveva appena visto giocare, Bokuto, la mandava in confusione, scuoteva le sue certezze, portandola a chiedersi se forse anche lei avrebbe potuto riscoprire quello sport e innamorarsene davvero, senza doverlo più associare ad un brutto ricordo, ad una fase della sua vita che avrebbe preferito dimenticare.

Anche se come semplice spettatrice, voleva davvero provarci, voleva darsi una nuova possibilità, per poter finalmente rispondere a quelle domande e a quei dubbi che la tormentavano da tempo.

Sì voltò verso le due ragazze che la osservavano, pendendo dalle sue labbra in attesa di una risposta.

“Va bene, sarò dei vostri!” disse in un soffio, sciogliendosi in un sospiro liberatorio

Le due manager le saltarono addosso, abbracciandola grate, mentre dal campo arrivavano le urla di gioia e approvazione della squadra che aveva assistito alla scena. 

Nori lanciò uno sguardo verso di loro e notò Akaashi, un fugace sorriso riconoscente sul volto, e Bokuto, che invece rideva e lanciava i pugni in aria blaterando di come alle prossime amichevoli il Nekoma sarebbe sbiancato vedendo la loro nuova manager.

Nekoma? 

Quel nome le diceva qualcosa, ma cosa? Dove l’aveva già sentito?

Poi le tornò in mente sua madre e collegò tutto: era la scuola superiore dove aveva accettato la cattedra come professoressa di arte!

Questo non avrebbe portato a nulla di buono, pensò tra sé e sé, ma poi scacciò quei pensieri e tornò ad osservare i nuovi compagni che la circondavano, curiosa di scoprire che cosa il destino avesse in serbo per lei.

Forse era presto per dirlo, ma sentiva come un presentimento dentro di sé, che la spingeva a credere di aver imboccato la strada giusta, di aver fatto il primo passo verso qualcosa che non conosceva ma che l’affascinava proprio per quello stesso motivo.

Come quando ad un bivio inaspettato lasciamo che sia l’istinto a guidarci, finendo per scoprire un posto nuovo e bellissimo: ecco, tutto quello che voleva era questo, una novità, un cambiamento.

Nuove parole che riempissero le pagine della storia che sentiva di aver iniziato.
 
 

 

 

 

- - -
 
N O T E
 

Grazie per essere arrivati fin qui!
 Ho scritto questa fanfiction per diversi motivi, primo fra tutti perché sono appassionata all'universo narrativo di Haikyuu e a tutti i bellissimi personaggi che vi ruotano attorno.
 Secondo, avevo bisogno di tornare a scrivere dopo anni di inattività, visto che sentivo di essermi un po' arruggita; per questa ragione, in seguito anche ad un corso di sceneggiatura che ho frequentato in questi mesi, mi sono letteralmente obbligata a scrivere una long fic, la più lunga che abbia mai scritto.
 Insomma un bel proposito per il nuovo anno!
 Terzo motivo, ma non per importanza, volevo concentrarmi su un personaggio che adoro, ovvero Bokuto, che ho sempre ritenuto a modo suo complesso nella semplicità che lo caratterizza e che spesso porta a tratteggiarlo erroneamente in modo troppo stereotipato.
 Da qui il desiderio di volerlo analizzare sotto dei punti di vista diversi da quelli mostrati dal manga e dall'anime (le uniche fonti che ritengo canon e attendibili); insomma volevo dissezionarlo e metterlo in nuovi contesti e situazioni per vedere come avrebbe reagito, sempre avendo in testa l'obiettivo di non renderlo OOC, come il resto dei personaggi presenti nella mia storia.
 L'unica mia paura era quella di scrivere qualcosa di cringe e banale, o di trasformare il personaggio di Nori nell'ennesima Mary Sue.
 Spero proprio di aver scampato il pericolo e mi rimetto a voi.
 Buona Lettura

 
P . S .
 

In ogni capitolo vi segnalerò le soundtrack che mi hanno accompagnato e inspirato nella stesura di questa fic, insieme ad alcune fanart che ho disegnato in questi mesi, così da aiutarvi nell'immaginare meglio i personaggi e le atmosfere della storia.

   
 
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