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Autore: Josy_98    10/04/2021    0 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Abbacchio arrosto
 
La mattina dopo i nani la trovarono nello stesso punto in cui l’avevano lasciata la sera precedente. Gandalf la osservò di sottecchi, preoccupato, ma non le chiese niente e lei lo ringraziò con un leggero segno del capo. Tuttavia quello scambio non era passato del tutto inosservato: Thorin, infatti, non si era arreso al mistero che si portava dietro e cercava ancora di capirla, soprattutto dopo ciò che lei gli aveva raccontato il giorno prima.
La giovane, che poi tanto giovane non era, aveva osservato l’alba in silenzio, memore degli ultimi sogni. Quella notte, infatti, non aveva dormito, preferendo cominciare il viaggio dopo una notte insonne piuttosto che dopo una notte di incubi e visioni. Ciò che le veniva mostrato negli ultimi tempi la spaventava e preferiva non soffermarcisi troppo.
Fecero colazione in fretta e senza fare baccano per non svegliare lo hobbit, poi uscirono e si prepararono a partire. Lumbar emise un fischio particolare e si appoggiò allo steccato del giardino. Nel mentre i nani salirono sui pony che la sera prima avevano legato alla staccionata e Gandalf su un cavallo, poi osservarono la ragazza in silenzio. Aveva le braccia incrociate e non accennava a fare un passo.
«Cosa stai aspettando?» chiese Dwalin irritato.
Lei non rispose, limitandosi a voltare leggermente la testa verso destra, da cui proveniva un leggero rumore di zoccoli. Dopo qualche minuto un bellissimo cavallo dal manto bianco-argenteo e gli zoccoli dorati le si avvicinò, fermandosi accanto a lei e strusciando il muso sulla sua spalla. Lumbar ricambiò il saluto abbracciandogli il collo, poi salì in groppa sotto gli sguardi sbalorditi dei suoi compagni di viaggio.
«Quello è uno dei Mearas, dico bene?» disse Gandalf senza distogliere lo sguardo dall’animale.
In effetti lui non l’aveva ancora vista, nonostante i due si conoscessero da parecchio tempo.
«I cavalli leggendari? I discendenti di Nahar?» chiese Fili non credendo ai suoi occhi.
«È sua figlia.» rispose lei dando accarezzandole la criniera e lasciandoli ancora più sorpresi. «Si chiama Erenie e non le piacciono selle e morsi, quindi non li uso.»
«E riesci a cavalcare?»
«Certo. Vi avverto che lei vi capisce benissimo.» disse alzando le spalle. Dopo aver mormorato qualche parola a Erenie, per assicurarsi che fosse tutto a posto, si rivolse ai suoi compagni. «Andiamo?» e si incamminarono.
Dopo neanche qualche metro i nani cominciarono a scommettere su Bilbo: alcuni dicevano che sarebbe ricomparso, altri no. Gandalf puntò a favore e Thorin si rifiutò di scommettere. Quando chiesero a lei su quale possibilità puntasse, la ragazza si rivolse a Gandalf che cavalcava al suo fianco, in cima alla fila.
«Non gli hai detto proprio niente?» chiese.
«E rovinare la sorpresa?» ridacchiò lui.
«Quale sorpresa?» chiesero Fili e Kili contemporaneamente.
«Diciamo solo che se scommettessi voi sapreste già chi ha vinto.» rispose Lumbar con un sorrisetto.
I nani si scambiarono occhiate stranite mentre un lampo di comprensione passava negli occhi di Thorin.
Gandalf si affrettò a spiegare. «La nostra amica, qui, ha il dono della preveggenza. Questo vuol dire che sa già se Bilbo ci raggiungerà oppure no.»
«Puoi vedere il futuro?» chiese Kili, sbalordito.
«Forte!» disse Fili, con gli occhi che brillavano.
«Sicuramente può essere utile.» aggiunse Dwalin sorpreso da quella novità.
«No, non è forte.» li contraddisse lei facendoli fermare. Voltò il busto per osservarli. «Non sono io a scegliere cosa vedere, è il futuro che si mostra a me come e quando preferisce. E mai chiaramente o in maniera lineare.» i suoi occhi erano tristi, se ne accorsero tutti. «La maggior parte delle volte le visioni sono così confuse che faccio fatica a capirci qualcosa. Ma sono quasi sempre presagi di morte. Se potessi, ne farei volentieri a meno.» poi riprese a cavalcare, lasciandoli a rimuginare sulle sue parole.
Non aveva mentito. I sogni premonitori erano un vero e proprio peso sul cuore; ti facevano preoccupare per le persone che amavi senza permetterti davvero di fare qualcosa per cambiare ciò che vedevi, perchè le visioni erano troppo confuse per avere le idee chiare. Solo poche volte era riuscita davvero a fare qualcosa. Due delle quali era stato proprio per aiutare quei nani. Scosse la testa per non pensarci, doveva rimanere lucida.
In quel momento Lumbar sentì un rumore che la fece fermare di nuovo.
«Cosa c’è?» le chiese Gandalf. «Cosa senti?» i nani passavano lo sguardo da uno all’altra senza capire.
Lei chiuse gli occhi per concentrarsi, poi li riaprì e fissò lo stregone.
«Arriva qualcuno.» disse voltandosi verso il punto da cui erano venuti. «E si avvicina in fretta.»
Quella frase paralizzò gli altri, che non sapevano come comportarsi: nessuno di loro si aspettava un attacco in un posto come la Contea, e la tranquillità di quella ragazza non li aveva allarmati, così aspettarono.
Dopo qualche minuto sentirono qualcuno gridare. «Aspettate!»
I nani si voltarono indietro e videro il signor Baggins correre verso di loro con uno zaino sulle spalle e il contratto in mano.
«L’ho firmato.» disse dopo averli raggiunti e dando il contratto a Balin, che controllò fosse tutto in regola.
«Sembra che sia tutto a posto. Benvenuto Mastro Baggins nella compagnia di Thorin Scudodiquercia.» disse mentre restituiva il contratto al mezzuomo.
I nani ridacchiarono e Thorin intervenne voltandosi avanti. «Dategli un pony.»
«No no no no, non sarà necessario.» protestò lo hobbit mentre Lumbar, Gandalf e Thorin riprendevano a cavalcare, seguiti dagli altri. «Posso tenere il passo a piedi. Sì, insomma, ho fatto un bel po’ di vacanze a piedi, sapete? Sono arrivato fino a Chianarana una volta!»
Due nani lo presero per le braccia e lo fecero accomodare su un pony, così lo hobbit si ritrovò a cavalcare insieme a tutti gli altri.
Dopo qualche metro i nani cominciarono a lanciarsi sacchetti di monete: coloro che avevano perso la scommessa stavano pagando i vincitori. La maggior parte aveva puntato sul no. Con quella scommessa cominciò il  loro viaggio.


 
****


I nani raccontarono storie o cantarono canzoni tutto il giorno mentre cavalcavano, eccetto naturalmente quando si fermavano per i pasti. Non ce n'erano tanti quanti Bilbo avrebbe voluto, tuttavia egli cominciò a pensare che in fondo le avventure non erano poi troppo brutte. Non sapeva ancora cosa sarebbe successo in quel viaggio, sfortunatamente.
All'inizio erano passati attraverso le terre abitate dagli hobbit, una vasta e rispettabile contrada abitata da gente per bene, con strade buone, una o due locande e di quando in quando un nano o un fattore in giro per affari. Poi arrivarono a terre dove la gente parlava in modo strano, e cantava canzoni che Bilbo non aveva mai sentito prima. Lumbar, invece, ne aveva sentite di più strane durante i suoi viaggi. Adesso si erano profondamente inoltrati nelle Terre Selvagge, dove non c'erano più né persone né locande e le strade andavano costantemente peggiorando. Non molto lontano, davanti a loro, si ergevano sempre più alte tetre colline, scurite dagli alberi. Su alcune di esse si levavano vecchi castelli dall'aspetto sinistro, come se fossero stati costruiti da gente malvagia.
Mentre cavalcarono lo hobbit parlò molto con Gandalf, ascoltava quello che lui definiva “chiasso nanesco” e si guardava intorno. Lumbar era sempre in testa al gruppo, silenziosa, e ogni tanto spariva per far correre libera Erenie. Thorin la osservava, anche lui silenzioso, ma non le diceva mai nulla nonostante non gli piacesse che si allontanasse. Più di una volta i nani più giovani cercarono di coinvolgerla nelle loro chiacchierate, ma lei sembrava sempre distante e ogni tanto potevano scorgere Gandalf lanciarle sguardi preoccupati da sotto la tesa del suo cappello a punta. Si chiedevano cos’avesse la loro compagna, perchè non parlasse, e cosa poteva significare il racconto che le avevano sentito pronunciare la sera prima, ma nessuno di loro riusciva a darsi una risposta. Sembrava tesa, con loro, e si rilassava soltanto con lo stregone. Avevano notato tutti quella caratteristica e non sapevano come comportarsi a riguardo. Non riuscivano a capirla. Nè a farla sentire a suo agio con loro.
Fu proprio sulle colline che avevano avvistato durante il giorno che si accamparono per la notte. Cenarono in silenzio, dopo aver acceso un fuoco. Si trovavano su una collina, in un punto riparato dalle rocce, abbastanza in alto da avere davanti a loro una visuale quasi a strapiombo sulla terra che li circondava;  dietro di loro, invece, gli alberi e il fianco roccioso della collina li proteggevano. I pony erano stati liberati dalle selle, così come il cavallo di Gandalf. Erenie era libera di andare e tornare a suo piacimento, ovviamente, ma aveva deciso di restare e si stese vicino alla sua compagna, un po’ separate dagli altri.
La ragazza teneva ancora il volto coperto. Era appoggiata con la schiena a un albero vicino allo strapiombo, una gamba sospesa nel vuoto e l’altra piegata ad angolo sulla terraferma; sembrava tranquilla. Aveva una buona visuale su tutti i compagni davanti a lei, ma con il volto osservava la notte alla sua destra, e quella Terra di Mezzo che proteggeva da migliaia di anni, e si chiedeva se, un giorno, quel dolore e quella sofferenza che tornavano imperterriti a disturbare la pace di quei luoghi sarebbero mai spariti. Gandalf, poco lontano da lei, fumava appoggiato a una roccia, anche lui in silenzio. I nani, invece, erano un po’ sparpagliati; alcuni dormivano, altri erano vicino al fuoco, chi in silenzio chi a chiacchierare a bassa voce per non disturbare gli altri. Thorin era semi sdraiato su una roccia, con la schiena appoggiata al fianco della collina, che osservava il cielo, anche lui immerso in chissà quali pensieri.
A un certo punto lo hobbit si alzò dal punto in cui si era disteso in mezzo ai nani, probabilmente non riusciva a dormire; Lumbar lo vide, con la coda dell’occhio, avvicinarsi al suo pony e dargli una mela ma non disse niente. Mentre il pony mangiava un verso stridulo catturò l’attenzione dei pochi ancora svegli, che si voltarono verso la ragazza. Lei non si era mossa, il verso arrivava dalla zona che osservava.
«Che cos’era?» chiese lo hobbit voltandosi verso Fili e Kili, che si trovavano vicino al fuoco ed erano due di quelli che non dormivano.
«Orchi.» disse Kili facendolo avvicinare con quel suo passo saltellante, mentre un altro verso li raggiungeva.
«Orchi?» chiese nuovamente lo hobbit, preoccupato.
La ragazza volse lo sguardo nella loro direzione, in silenzio, e potè vedere Thorin raddrizzarsi a sedere sulla roccia sulla quale si stava, probabilmente, addormentando. Si sentiva come lui in quel momento.
«Sgozzatori.» continuò Fili. «Ce ne sono a dozzine là fuori. Le Terre Selvagge ne brulicano.»
«Colpiscono nelle ore piccole quando tutti dormono.» riprese il fratello. «Lesti e silenziosi, niente grida. Solo tanto sangue.» finì bisbigliando per spaventare il loro interlocutore.
Quando lo hobbit si voltò verso le Terre Selvagge loro si guardarono e si misero a ridere.
«Lo trovate divertente?» chiese Thorin mentre Lumbar sbuffava, concorde con lui.
Il nano si era alzato e ora stava camminando davanti ai suoi nipoti, gelandoli con lo sguardo. «Un’incursione notturna degli orchi è uno scherzo?»
«Non intendevamo dire niente.» disse Kili abbassando lo sguardo, mortificato.
Bilbo non capiva, era evidente.
«No, infatti.» disse Thorin passando accanto allo hobbit per avvicinarsi al punto in cui stava la ragazza e passando davanti allo stregone che, come lei, aveva ascoltato in silenzio. «Non sapete nulla del mondo.»
«Non farci caso, ragazzo.» disse Balin al più giovane dei Durin avvicinandosi al fuoco e appoggiandosi alla parete della collina. «Thorin ha più ragione degli altri di odiare gli orchi.» osservò il nano appoggiare un piede su delle rocce e osservare le Terre Selvagge. «Dopo che il drago ebbe conquistato la Montagna Solitaria, il re Thror tentò di riprendersi l’antico regno dei nani di Moria.» ascoltando la voce del vecchio nano Lumbar venne risucchiata nei suoi ricordi di quel giorno. «Ma il nostro nemico era arrivato prima. Moria era stata presa da legioni di orchi capeggiati dal più vile di tutta la loro razza: Azog il Profanatore. L’orco gigante di Gundabad aveva giurato di sterminare la stirpe di Durin. Cominciò decapitando il re. Thrain, il padre di Thorin, divenne pazzo per il dolore. Scomparve. Se fatto prigioniero o ucciso, noi non lo sapevamo. Eravamo senza una guida. Sconfitta e morte erano su di noi. E fu allora che io lo vidi: un giovane principe dei nani che affrontava l’Orco Pallido. Fronteggiava da solo questo terribile nemico. Con l’armatura squarciata, brandendo solamente un ramo di quercia come scudo, gli amputò un braccio con la lama della sua spada. Azog il Profanatore imparò quel giorno che la stirpe di Durin non sarebbe stata facile da troncare. Le nostre truppe si rianimarono e respinsero gli orchi. Il nostro nemico era stato sconfitto. Ma non ci furono feste, nè canti, quella sera, perchè i nostri morti superavano di gran lunga il nostro cordoglio. Noi pochi eravamo sopravvissuti. E allora pensai fra me e me: “Là c’è uno che potrei seguire. Là c’è uno che potrei chiamare re.”» era così che loro ricordavano la battaglia di Azanulbizar.
Lumbar scambiò uno sguardo con Gandalf, consapevoli entrambi della realtà dei fatti, ma nessuno dei due disse niente. Nel frattempo, Thorin si era voltato e ora fissava fiero e triste il mezzuomo, i suoi nipoti e tutti gli altri nani, che si erano svegliati e alzati mentre Balin raccontava.
«E l’Orco Pallido?» chiese lo hobbit. «Che fine ha fatto, poi?»
«Tornò strisciando nel buco da cui era fuoriuscito.» rispose Thorin mentre tornava verso la parete della collina, con gli occhi che riflettevano tutto l’odio che provava per quell’essere. «Quel lerciume morì per le ferite tempo fa.»
Gandalf sospirò piano e Lumbar scosse leggermente la testa osservando il nano tornare al suo posto.
«Almeno non hai perso tutto.» sussurrò.
Tutti si voltarono verso di lei facendola irrigidire. Non pensava l’avessero sentita.
«Cosa?» chiese il nano.
«Almeno tu non hai perso tutto.» ripetè stringendo più forte il cordino che portava al collo.
Non si era accorta di averlo preso in una mano mentre Balin raccontava, nè di aver appoggiato l’altra sul costato ormai sfigurato dalle ferite inflittele dall’Orco. Erano passati anni, ma a volte il ricordo le faceva ancora sentire dolore in quei punti. Il nano notò i suoi movimenti e un bagliore si fece spazio nelle sue iridi. Aveva un sospetto che lei confermò.
«Chi pensi fosse quello che mi ha quasi uccisa?» sorprese tutti tranne Gandalf. «Quando mi risvegliai, dopo l’incantesimo, erano passati mesi dalla battaglia di Azanulbizar e io andai comunque a cercarlo. Volevo affrontarlo di nuovo.» gli disse sinceramente. «Non avevo più niente da perdere, perchè la mia vita non aveva più nessun valore. Tu, invece, nonostante le perdite, avevi comunque delle persone che ti amavano, un popolo di cui prenderti cura, la possibilità di avere un futuro nuovamente felice, una vita. Io non avevo più niente.»
«Eri rimasta da sola? Non era sopravvissuto nessuno del tuo popolo?» chiese nuovamente lo hobbit.
«Io non ho un popolo.» rispose lei non togliendo gli occhi da quelli di Thorin. «Non l’ho mai avuto. Tutto ciò che avevo era lui, e l’Orco Pallido me l’ha portato via.» cadde il silenzio.
Negli occhi della ragazza erano visibili diverse emozioni: dolore, amore, rimpianto, rabbia, tormento. Troppo forti per essere causate da un lutto, pensò Thorin. Doveva esserci qualcos’altro sotto. Poi capì: quel lui di cui parlava, l’uomo che aveva amato così tanto e che probabilmente continuava ad amare, doveva essere ancora vivo; Azog non l’aveva ucciso e, a causa dell’incantesimo, non si ricordava più di lei. Cos’aveva detto la sera prima di partire? “Lui non mi ricordò mai più.” Ma questo lasciava pensare che lei l’avesse rivisto e, in quel momento, il nano si rese conto che quella donna doveva soffrire le pene dell’inferno per ciò che aveva fatto. Aveva compiuto una scelta tragica per salvare almeno lui e dargli una possibilità di vivere con la sua gente e quando si era resa conto di essere sopravvissuta era, molto probabilmente, andata a cercarlo per sapere come stesse; doveva aver visto che si stava ricostruendo una vita, che stava ritrovando una parvenza di equilibrio, quindi aveva deciso di non sconvolgerlo e di lasciare le cose come stavano. Quanto coraggio deve avere avuto per prendere una decisione del genere, e quanta forza. Rinunciare alla propria felicità per il bene di coloro che ami. Riusciva a capire come mai fosse tornata a cercare l’Orco Pallido, effettivamente non aveva più niente tranne dolorosi ricordi di un passato che non sarebbe mai più tornato.
Un moto di rispetto verso quella donna, che non aveva mai distolto lo sguardo dal suo, lo colpì; e fu ben visibile nei suoi occhi perchè non lo mascherò. Fu grazie a quel lampo che la ragazza si accorse che il nano aveva compreso qualcosa e temette di aver detto troppo. Poi, però, Thorin le fece un semplice cenno con la testa e lei si rilassò, mentre tutti tornarono a dormire. Quella notte, per Lumbar, fu esattamente come quelle precedenti: un connubio di incubi e visioni che la fecero svegliare di soprassalto prima dell’alba. Fortunatamente non aveva svegliato nessuno dei suoi compagni, così si mise comoda e cominciò ad accarezzare il manto di Erenie per passare il tempo, in attesa di riprendere il viaggio.

 
****


Tutto sembrava deprimente, poiché quel giorno il tempo era brutto. Per lo più era stato bello come lo può essere a maggio, anche nelle favole più liete, ma adesso era freddo e umido. Nelle Terre Selvagge erano stati costretti ad accamparsi dove potevano, ma almeno erano sempre stati all'asciutto. I cappucci sgocciolavano negli occhi dei loro proprietari, i mantelli erano pieni d'acqua; i destrieri erano stanchi e inciampavano sui sassi, tranne Erenie, e i nani erano troppo di cattivo umore per parlare. Bilbo, addirittura, era fradicio dalla testa ai piedi perchè non aveva nemmeno il mantello.
«Ehi, signor Gandalf!» esclamò Dori all’improvviso rivolto alla testa del gruppo. «Non potete fare qualcosa per questo diluvio?»
«Sta piovendo, mastro nano.» rispose lui infastidito guardando il cielo. «E continuerà a piovere finchè la pioggia non avrà finito. Se desideri cambiare il clima del mondo dovrai trovarti un altro stregone.» Lumbar, accanto a lui, ridacchiò. Lo stregone si voltò a guardarla. «A meno che tu, mia cara, non ne sia in grado.» disse furbescamente con una scintilla di incertezza nello sguardo.
Non avevano mai parlato di particolarità del genere, ma entrambi sapevano che fosse una ragazza con poteri fuori dal comune, date le sue origini. L’ultima frase, ovviamente, attirò l’attenzione di tutta la compagnia che si guardava incuriosita.
«Sapete farlo, lady Lumbar?» chiese Dori, speranzoso.
«Non sono una lady.» gli disse lei inorridendo. «Vi pregherei di non chiamarmi in quel modo. Il mio nome sarà sufficiente.»
Tralasciò apposta la domanda, ma dopo un po’ Dori tornò all’attacco.
«Quindi puoi fare qualcosa per questa pioggia, Lumbar?»
«Non lo so.» disse lei alzando le spalle. «Non ci ho mai provato, e non ho intenzione di scoprirlo. Mi piace la pioggia.»
I nani si lamentarono e iniziarono a protestare; Gandalf cercava di farli smettere e Thorin osservava la ragazza in silenzio. A lui non importava della pioggia, ma il modo in cui lei aveva detto che non voleva scoprire se fosse in grado di manipolarla gli aveva fatto venire i brividi. Si chiese quale fosse il reale motivo per cui non ci provasse. Non dovette scervellarsi molto poichè la ragazza, infastidita dalle insistenze dei nani, aveva ripreso a parlare facendo chiarezza nella sua mente. Per quanto riguardava quella questione, almeno.
«La pioggia fa parte del ciclo vitale della natura. Senza la pioggia le piante non crescerebbero, i fiumi e i laghi si seccherebbero e nessuno riuscirebbe più a vivere. Niente raccolti, niente acqua per bere e così via. La pioggia porta la vita, e solo perchè a voi infastidisce la sensazione di bagnato che vi causa non vuol dire che abbia smesso di essere importante. Io non farò mai niente per interrompere il ciclo della vita. Mai.»
Il tono fermo e convinto con cui pronunciò quelle parole fece capire agli altri che non avrebbe cambiato idea a riguardo neanche sotto tortura. Per lei la vita era sacra, e anche in battaglia evitava di uccidere, se poteva. Era una decisione che aveva preso nel momento stesso in cui era nata, quando le avevano detto perchè fosse nata. Nessuno l’avrebbe mai costretta a fare il contrario. Sapeva che a volte non c’era scelta ma, se poteva, cercava di salvarle le vite, non di distruggerle.
«Ce ne sono?» chiese Bilbo dopo un po’.
«Di cosa?» rispose Gandalf.
«Altri stregoni come te e Lumbar.»
«Io non sono come loro.» disse la ragazza. «Darmi dello stregone è un insulto alla loro razza.»
Qualcuno stava per chiedere spiegazioni ma Gandalf glielo impedì, con suo sommo sollievo. «Noi siamo cinque. Il più grande del nostro ordine è Saruman il Bianco. E poi ci sono i due stregoni Blu. Ho completamente dimenticato i loro nomi.»
«Alatar e Pallando.» disse Lumbar, lo sguardo puntato sugli alberi che stavano passando.
«Li hai conosciuti?» chiese Gandalf sorpreso.
«Io conosco tutti.» gli ricordò lei piatta. «Li ho aiutati, all’inizio, poi sono stata chiamata altrove e quando sono spariti li ho cercati, senza successo. Saruman non ha mai approvato, ovviamente.»
«Perché?» chiese Bilbo.
«Vedi, mio caro hobbit, Lumbar ha dei poteri che perfino Saruman il Bianco non possiede; e questo, assieme ad altri motivi che adesso non sto qui a spiegare, l’ha reso, come posso dire…»
«Infastidito dalla mia presenza.» finì lei. «O anche solo dal sentirmi nominare.»
Lo hobbit annuì. «E chi è il quinto?»
Lumbar sorrise mentre Gandalf rispondeva. «Quello sarebbe Radagast il Bruno.»
«È un grande stregone o è più come te?» disse lo hobbit facendo ridacchiare la ragazza.
«Credo che sia un grandissimo stregone, a modo suo.» rispose Gandalf cercando, malamente, di nascondere l’offesa. «È un’anima gentile che preferisce la compagnia degli animali agli altri. Tiene un occhio attento sulle vaste foreste, lontano a Est. Ed è una cosa molto buona, perchè sempre il male cercherà di prendere piede in questo mondo.»
La voce di Gandalf si faceva lontana, mentre Lumbar veniva risucchiata in una visione.


Vedeva Radagast correre tra gli alberi di Bosco Fronzuto, preoccupato, superando animali morti e piante malate.
«Oh no. Sebastian.» disse lo stregone sollevando dall’erba un riccio che si lamentava, in fin di vita. «Giorni celesti.»
Il Bruno corse attraverso gli alberi fino ad arrivare alla sua casetta, che si mimetizzava con l’ambiente circostante, ed entrò appoggiando il riccio su un tavolo e cercando di curarlo. Provò diversi modi, ma nessuno sembrava funzionare e Radagast era sempre più agitato.
«Non capisco perchè non funziona! Non è che si tratta di stregoneria?» disse balzando in piedi. Poi sgranò gli occhi. «Stregoneria! Oh, invece sì. Un’oscura e potente magia.» riprese voltandosi lentamente verso la finestra, su cui vide e sentì l’ombra di qualcosa di grosso zampettare verso il tetto.
Si girò verso le altre finestre e l’ingresso per accorgersi che delle lunghe zampe nere cercavano di entrare, così bloccò la porta con una sedia prima di rivolgere la sua attenzione al riccio, che si era immobilizzato e rilassato come se fosse morto. Preso dalla disperazione tolse la pietra dal suo bastone, la puntò sulla piccola bocca del riccio mentre lo teneva in mano e cominciò a pronunciare un incantesimo mentre i ragni giganti, perchè questo erano le bestie che cercavano di entrare, sfondavano il legno del tetto.
L’incantesimo funzionò: la pietra assorbì il male, una strana sostanza nera, dal riccio e il piccolo si risvegliò. I ragni se ne andarono e lui li seguì per capire da dove fossero spuntati. Più si avvicinava alla Vecchia Fortezza, più gli alberi erano ricoperti di raccapriccianti ragnatele.



La visione si interruppe.
Erenie, percependo l’inquietudine e la paura crescere dentro di lei, si era imbizzarrita per risvegliarla e la ragazza si era aggrappata di riflesso al suo collo, senza accorgersene. La Mearas aveva fatto un gran baccano, nitrendo, e aveva attirato l’attenzione di tutti gli altri che si erano fermati e ora la osservavano. Solo in quel momento si accorse di avere il fiatone e di stare tremando.
«Cosa succede?» chiese Thorin raggiungendola.
Gandalf, già al suo fianco, la osservava minuziosamente mentre lei cercava di riprendere il controllo di sè.
«Cosa ti è preso?» domandò, ancora, il nano vedendo lo stato in cui versava.
«Mio caro Thorin...» disse Gandalf attirando l’attenzione di tutti. «... penso di poter affermare che Lumbar abbia appena avuto una visione, e posso supporre che non fosse niente di piacevole.» la ragazza annuì mentre il suo respiro tornava regolare. «Ti chiedo di lasciarle del tempo per riordinare i pensieri in tutta tranquillità.» aggiunse prima che l’altro dicesse qualcosa.
La ragazza spronò Erenie con qualche parola elfica e si allontanò al galoppo, bisognosa di un momento sola con se stessa e la sua amica, e nessuno la seguì.
Senza che se ne accorgessero aveva smesso di piovere.

 
****


Chissà dove, dietro alle nuvole grigie, il sole doveva essere tramontato, perché il buio cominciò a calare facendo capire a Lumbar che forse era il caso di ricongiungersi alla Compagnia. Li trovò che smontavano dai pony vicino a una fattoria in rovina e si accorse subito che qualcosa non andava: la fattoria era stata bruciata. Anche Gandalf doveva averlo notato, perchè lo sentì dire che forse era il caso di proseguire. Lumbar si fermò al riparo degli alberi quando sentì lo stregone proporre a Thorin di raggiungere la Valle Nascosta. Sapeva cos’avrebbe detto il nano e non era sicura che sarebbe riuscita a sopportarlo se lo avesse avuto di fronte a lei. Li osservò parlare da lontano, nascosta da tutti.
«Te l’ho già detto.» disse, infatti, Thorin passando accanto allo stregone. «Non voglio avvicinarmi a quel posto.»
L’altro si voltò verso di lui. «Perchè no? Gli elfi ci aiuteranno. Potremmo avere cibo, riposo, consigli.»
«Non mi servono i loro consigli.» rispose Thorin, fin troppo testardo, fermandosi vicino ai resti di quello che, una volta, doveva essere un camino.
«Abbiamo una mappa che non riusciamo a leggere. Elrond potrebbe aiutarci.» protestò Gandalf.
«Aiutarci?» chiese il nano. «Un drago attacca Erebor. Quale aiuto arrivò dagli elfi? Gli orchi saccheggiano Moria, profanano i nostri luoghi sacri. Gli elfi rimasero a guardare senza fare niente!» Lumbar riusciva a sentire la sua rabbia da quella distanza. Oh, se solo avesse saputo. «E tu mi chiedi di cercare le stesse persone che hanno tradito mio nonno, che hanno tradito mio padre.»
«Tu non sei nessuno di loro due.» disse lo stregone, infastidito dalla sua testardaggine. «Non ti ho dato la mappa e la chiave perchè tu ti ancorassi al passato.»
«Non sapevo che appartenessero a te.»
«Tuo padre ha affidato la chiave a Lumbar perchè si fidava di lei e credeva in ciò che è e nel suo pensiero. Lumbar andrebbe dagli elfi.»
«Non sapevo che fosse lei quella che deve riconquistare Erebor.» disse il nano con astio. «L’hai portata tu in questa Compagnia, e se non fosse stato per la chiave ora non sarebbe qui. Non avrei mai accettato la sua presenza.»
«Se ora hai la chiave è solo per merito suo. Tuo padre le disse che avrebbe dovuto consegnartela solo se avesse pensato che tu fossi pronto, non prima. Voleva essere sicuro che riuscissi ad accettarne il peso e le conseguenze. Se lei si fosse rifiutata di darti la chiave, nessuno avrebbe potuto obbligarla, per quanto tu possa pensare il contrario. Lumbar ha avuto fiducia in te perché ti credeva abbastanza forte da poter rischiare per riprenderti la tua casa. Forse si sbagliava. Tuo padre sapeva delle cose, di lei, che nemmeno immagini. Tu non hai idea, Thorin Scudodiquercia, di ciò che ha fatto quella ragazza per te e per il tuo popolo.» e con un ultimo sguardo adirato si voltò e si incamminò verso il suo cavallo, sotto gli occhi di un Thorin confuso dalla sua ultima frase e dell’intera Compagnia.
Lumbar lo maledì mentalmente; aveva parlato troppo.
«Va tutto bene? Gandalf dove vai?» chiese lo hobbit.
«A cercare la compagnia dell’unico, qui, che ha un minimo di buonsenso.» rispose lo stregone, procedendo a passo spedito.
«E chi è?»
«Io stesso, signor Baggins!» urlò infuriato. «Ne ho abbastanza di nani per un giorno solo.»
Lumbar seguì il suo esempio e si allontanò in groppa a Erenie mentre i nani cominciavano a preparare la cena. Non aveva voglia di subire delle domande su ciò che aveva detto lo stregone, e non aveva nessuna intenzione di vedere Thorin dopo ciò che aveva appena sentito. Cavalcò tranquilla nella direzione che avrebbero preso l’indomani, tenendosi ben lontana da Gandalf, ma non troppo da non sentire quello che faceva. Era calata la notte da molto quando sentì che lo stregone aveva deciso di tornare indietro, così lo precedette.
Quando arrivò all’accampamento si accorse che non c’era nessuno; così scese da Erenie e la mandò via, poi cominciò a osservarsi intorno per capire dove fossero finiti tutti. Aguzzò l’udito e, dopo qualche minuto, sentì delle voci tra gli alberi. Camminò nella loro direzione, ma quando vide una luce si fermò, finalmente consapevole di ciò che stava accadendo: era al margine di una radura e poteva vedere chiaramente che i nani e lo hobbit erano prigionieri di tre orrendi troll di montagna le cui intenzioni erano piuttosto chiare: volevano mangiarseli per cena, sicuramente prima dell’arrivo dell’alba.
Lumbar analizzò la situazione: in mezzo alla radura alcuni nani erano legati in dei sacchi con lo hobbit e ammassati per terra; gli altri, invece, erano legati a un tronco che i troll facevano girare sul fuoco per arrostirli. Lo hobbit si era alzato come poteva e si era messo a parlare con loro su come andavano cucinati, quindi lei si mise in ascolto mentre elaborava una strategia. Sapeva che Gandalf stava arrivando, così come l’alba, quindi l’unica cosa da fare era guadagnare tempo. E anche Bilbo sembrava averlo capito.
Quando, però, uno dei troll sollevò Bombur per i piedi per mangiarselo intero, decise di dover intervenire. Scese dall’albero su cui si era acquattata e atterrò vicino ai nani insaccati, che si voltarono a guardarla sorpresi. Non pensò nemmeno per un secondo di tirare fuori le armi e combatterli, non sarebbe servito.
«E tu chi sei?» disse un troll.
«Ma come, non lo sai?» rispose lei, prendendolo in giro. «Pensavo ti credessi intelligente.»
«Tu…»
Un altro troll, il capo, lo fermò con un braccio prima che si avvicinasse.
«Rispondi alla domanda.» disse perentorio.
Lei alzò le spalle. «Solo qualcuno che non può permettere che queste persone finiscano in pentola. Per il momento.»
«Presto ci finirai anche tu.» disse il terzo troll.
Lei fece finta di riflettere. «Mhmm, no. Non credo.»
«E perchè?» chiese il capo. «Noi siamo tre e tu una. E se non vuoi che facciamo male ai tuoi amici dovrai farti mangiare.»
Lumbar scosse la testa. «Sei più scemo di quanto credessi se pensi che lo faccia; sappiamo entrambi che li mangereste dopo aver mangiato me. E comunque non mi va di avvicinarmi a voi più del necessario. Sai, non avete un bell’odore.» disse noncurante, appoggiandosi con la schiena all’albero dietro di lei.
I troll si arrabbiarono e cercarono di prenderla, ma lei era troppo veloce e saltava da un albero all’altro con estrema facilità mentre i nani la incitavano. A un certo punto atterrò davanti a Bombur e lo rimise dritto: il troll lo aveva fatto cadere di testa ed era rimasto a faccia in giù.
«Come va?» gli chiese con un sorrisetto in volto.
Ma prima di ricevere una risposta scappò di nuovo, proprio nel momento in cui un troll stava per colpirla finendo, invece, per prendersela con l’aria. Sentiva Gandalf muoversi attorno al falò, coperto dall’ombra degli alberi, e avvertì l’alba farsi pressante.
Stufi di giocare i troll si fermarono.
«Dicci chi sei, o schiacciamo i tuoi amici.»
Allora lei si fermò a sua volta, al sicuro su un albero. «Conoscete Roitare?»
«La Cacciatrice?» chiesero i nani e i troll, sconvolti.
Lumbar sorrise, nonostante ora i nani sapessero qualcosa in più di lei che avrebbe portato a molte domande. «Vorrei dire che è bello conoscervi, ma mentirei.»
«Sarà un vero piacere mangiarti.» disse un troll.
«Chissà che sapore avrà.» si chiese un altro.
«Temo che resterà un mistero.» disse lei saltando giù dal suo albero e finendo davanti a una grande roccia che puntava a Est, alle spalle dei troll, e facendoli voltare.
«Cosa?»
In quel momento Gandalf apparve sulla cima della roccia.
«L’alba vi prenderà tutti.» disse con voce grave.
«Quello chi è?»
«Che ne so io.»
«Ci mangiamo anche lui?»
Dissero i troll ancora più confusi senza avere il tempo di aggiungere altro. Gandalf, infatti, conficcò il suo bastone nella roccia, spezzandola in due e permettendo alla luce dell’alba di arrivare nella radura. Quando i raggi solari colpirono i troll, quelli si trasformarono in pietra e i nani si misero a ridere dalla gioia di essere scampati alla morte. Persino Thorin sorrideva nella loro direzione.
Una volta liberati i nani, Thorin si avvicinò a Gandalf e Lumbar, che stavano parlando di ciò che era successo, e si rivolse allo stregone. «Dov’eri andato? Se posso chiedere.»
«A guardare avanti.» rispose lui tranquillo.
«E cosa ti ha fatto tornare?»
«Il guardare indietro.»
Il nano annuì sotto il suo sguardo.
«Brutto affare. Sono ancora tutti interi, però.» continuò lo stregone.
«Non grazie al tuo scassinatore.» disse il nano.
Gandalf si scambiò un’occhiata eloquente con Lumbar e lei sorrise da sotto il cappuccio. Prima che il Grigio potesse rispondere lo fece lei. «Ha avuto il buon senso di guadagnare tempo.» Thorin spostò lo sguardo su di lei. «Nessun’altro di voi ci aveva pensato.» gli fece notare, e lui abbassò lo sguardo riconoscendo la verità di quelle parole.
Poi lo rialzò su di lei. «E tu dove sei stata per tutto il giorno? Non ti abbiamo più vista.»
«Un po’ ovunque, poi sono tornata e ho visto il vostro spettacolino.» disse indicando entrambi, che distolsero lo sguardo a disagio per essere stati beccati. «Davvero un bel comportamento. Comunque non mi andava di unirmi a voi, per buone e ovvie ragioni, così ho seguito Gandalf tenendomi a distanza e a un certo punto sono tornata indietro. Fortuna che l’ho fatto, altrimenti a quest’ora voi sareste stufato di nani con contorno di hobbit.»
«Sei stata davvero agile, e ci hai salvati. Grazie.» poi ripensando a ciò che era successo disse: «Prima hai nominato Roitare… intendevi la famosa Cacciatrice delle leggende?»
Lei sospirò, dopotutto se lo aspettava.
«Sì.» rispose.
Almeno non le aveva chiesto spiegazioni sulle parole di Gandalf.
«Quindi tu sei quella Cacciatrice?» chiese ancora non credendoci.
«Non farne un affare di stato, Thorin. Roitare è solo uno dei nomi con cui mi chiamano, uno dei tanti che mi hanno assegnato con il passare del tempo. Non è niente di importante.» cercò di finire lì la conversazione, ma non ci riuscì.
«Sì che lo è.» insistette lui fermandola per un braccio. Aveva una presa salda, ma la ragazza notò che non stesse stringendo tanto da farle male, aveva usato la forza minima affinché si fermasse. Era stato delicato. «Perchè non ce l’hai detto?»
«Per quello che tu e tutti gli altri state pensando adesso.» gli disse indurendo il tono della voce e liberando il braccio con un movimento semplice e veloce. «Non è tutto rose e fiori come sembra. I miei nomi non sono stati scelti a caso, sono un fardello che mi porto dietro da un numero di anni che non immagini. Sono un onore, certo, ma sono soprattutto un onere. I nomi creano aspettative e se li rivelassi subito la gente imparerebbe a conoscermi nel modo sbagliato. E molti di questi nomi si trascinano dietro ricordi che preferirei dimenticare.» poi si rivolse a Gandalf. «Devono essere calati dagli Erenbrulli.»
Lo stregone non fece caso al cambio di argomento, era più che legittimo.
«Da quando i troll di montagna non si avventurano così a Sud?» chiese il nano.
Gandalf e Lumbar si guardarono qualche istante, turbati.
«Non da un’Era. Non da quando un potere più oscuro guidava queste terre.» rispose lo stregone.
Sentendo sè stesso dire quelle parole, sgranò gli occhi e li puntò verso la ragazza che scosse il capo incrociando le braccia come a proteggersi. Lui aveva capito che qualcosa di grosso era in movimento, qualcosa di oscuro. Lei riusciva a sentirlo avvicinarsi, sempre più forte, sempre più pressante. Non riusciva più a ignorare quel peso sul petto che la opprimeva da mesi, e Gandalf si era appena reso conto di cosa avrebbe potuto significare. Il nano aveva osservato i loro scambi in silenzio, serio, capendo che Lumbar sapeva qualcosa, ma non chiese niente.
«Non possono essersi mossi alla luce del giorno.» proseguì lo stregone.
«Dev’esserci una grotta nelle vicinanze.» disse Thorin cominciando a guardarsi in giro.
Ben presto tutti gli altri lo imitarono e Lumbar tirò un sospiro di sollievo. Per il momento niente più domande.
Non ci misero molto a trovare il nascondiglio; bastò seguire l’odore di morte che li condusse a una caverna al cui interno c’era il “classico bottino troll”.
«Attenti a cosa toccate.» disse Gandalf mentre entravano, passando davanti a qualche cadavere da cui arrivava il fetore di carne in decomposizione.
La caverna era piena di monete d’oro e tesori; Thorin si era spinto verso il fondo, seguito da Dwalin, Lumbar e Gandalf. La ragazza si era fermata davanti a delle antiche spade, molto particolari, riusciva a sentirne il potere e ne aveva riconosciuto la fattura. Quando Thorin le si era avvicinato per osservarle lei aveva ricominciato a guardarsi intorno; riusciva a sentire la presenza di qualcosa di familiare in quella caverna, ma non era in grado di localizzarlo. Le spade di Gondolin, che ora erano in mano a Gandalf e Thorin, la destabilizzavano.
Aspettò che gli altri uscissero e, una volta sola, chiuse gli occhi e si concentrò su quell’energia. Dovette camminare fino in fondo alla caverna per trovarla, e quando ne ebbe davanti la fonte non potè credere ai suoi occhi. Sfiorò l’oggetto con la punta delle dita prima di prenderlo delicatamente in mano. Era proprio lui, l’avrebbe riconosciuto ovunque. Se lo strinse al petto, ignorando lo sporco e le ragnatele di cui era circondato e uscì, mentre una lacrima scendeva sul suo viso coperto dal cappuccio.
«Ma nel caso ricorda questo:...» stava dicendo Gandalf allo hobbit quando passò loro accanto. «... il vero coraggio si basa sul sapere non quando prendere una vita, ma quando risparmiarla.» lei non lo stava neanche ascoltando, troppo persa nei meandri della sua mente, risucchiata nei ricordi che il ritrovamento di quell’oggetto aveva fatto riemergere. «Lumbar è una vera esperta in questo.»
Qualcosa la fece riemergere, e non furono le parole dello stregone ma un rumore che, ora ne era sicura, si stava dirigendo verso di loro. Le ci volle qualche secondo per capire di cosa si trattasse, poi si rilassò e attese.
«Arriva qualcosa!» urlò Thorin; doveva essere abbastanza vicino perchè lo sentissero anche loro. Lei attendeva una sua visita da un po’; da quando aveva avuto quella visione, in effetti.
«Rimanete uniti!» disse Gandalf facendo saltare tutti i nani sull’attenti.
Mentre loro puntavano le armi verso la boscaglia, la ragazza rimase immobile con le mani al petto, impegnate a stringere l’involto. A niente valsero i richiami dei suoi compagni, era nuovamente persa nei ricordi e, per quanto non volesse, sapeva che sarebbe successo ancora.
«Ladri! Fuoco! Assassinio!» urlò Radagast sbucando tra gli alberi con la sua slitta trainata da conigli e piombando in mezzo alla compagnia incredula.
«Radagast.» disse Gandalf abbassando il bastone. «È Radagast il Bruno. Bene… che cosa diamine ci fai qui?» gli chiese avvicinandosi e facendo rilassare i nani.
«Ti stavo cercando Gandalf.» rispose lui affannato. «C’è qualcosa di sbagliato… qualcosa di terribilmente sbagliato.»
«Sì?» chiese il Grigio.
Radagast provò a parlare due volte ma si bloccò.
«Oh, dammi solo un momento.» disse. «Avevo un pensiero e ora l’ho perso!» si lamentò. «L’avevo qui, sulla punta della lingua. No, non è un pensiero, no.» biascicò mentre un insettino usciva fuori dalla sua bocca e Gandalf glielo appoggiava sul palmo, con i nani che ridacchiavano alle loro spalle. «Insetto stecco.»
I due stregoni si allontanarono un po’ dai nani, che presero a chiacchierare tra loro.
«Il Bosco Fronzuto è malato, Gandalf.» disse Radagast. «L’oscurità è discesa su di esso. Non cresce più niente, ormai. Niente di buono, almeno.» Gandalf cominciò a camminare preoccupato. Lumbar, che ancora non si era mossa, ascoltava in silenzio con parte della sua mente che cercava di districarsi dai ricordi che minacciavano di sopraffarla. «L’aria è satura di putredine. Ma il peggio sono le ragnatele.»
«Ragnatele?» chiese Gandalf voltandosi. «Che intendi dire?»
«Ragni, Gandalf. Ragni giganti. Una specie di figli di Ungoliant, o io non sono uno stregone. Ho seguito le loro tracce. Venivano da… Dol Guldur.»
«Cosa? Dol Guldur?» disse Gandalf. «Ma la vecchia fortezza è abbandonata.»
«No, Gandalf. Non lo è.» e la ragazza si districò dai suoi ricordi per piombare in quelli dello stregone Bruno, dal punto in cui la visione si era interrotta.


Vedeva Radagast avvicinarsi a Dol Guldur, la vecchia fortezza di pietra semidistrutta, e poi superare il ponte che conduceva all’interno.


«Un potere oscuro dimora lì, tale che non ho mai avvertito prima.» lo sentì dire a Gandalf nella realtà, in sottofondo, mentre nella visione lui avanzava lento all’interno della fortezza. Lei aveva già avvertito quel potere, tanto tempo prima, anche se più forte. «L’ombra di un antico orrore. L’ombra che può riunire gli spiriti dei morti.»


E lei potè vedere ciò che aveva visto lui: lo spirito di un essere oscuro morto tantissimi anni prima che lo attacca con un pugnale, lui che si difende scoprendo che lo spirito è più solido di quanto sembri, lo spirito che scompare e il pugnale che cade al suolo.
Poi Radagast si voltò, terrorizzato.



«L’ho visto, Gandalf.» diceva il Bruno nella realtà. «Dall’oscurità è giunto un Negromante.»
A quelle parole il Grigio si volse di scatto verso di lei mentre la ragazza, ancora immersa nella visione, crollava a terra in preda agli spasmi. Lui accorse mettendola su un fianco e tentando di riportarla alla realtà. I nani si erano avvicinati preoccupati, non capendo cosa stesse succedendo, ma Gandalf li fece allontanare di nuovo. Una volta che tornò presente a se stessa, Lumbar si mise a sedere, stringendo ancora in una mano l’oggetto recuperato in precedenza. In quel momento era l’unica cosa che la teneva ancorata al presente. Aveva sentito la sua voce, dopo tutti quegli anni, ed era rimasta più scossa di quanto si fosse aspettata.
«Dunque.» disse Gandalf quando lei smise di tremare. «Un Negromante. Ne sei sicuro?» chiese a Radagast.
Il Bruno tirò fuori un involto di stoffa e lo porse a Gandalf. Lumbar si era sollevata in piedi, tremante, ma vedendo l’oggetto si era irrigidita al loro fianco e loro lo avevano notato subito.
«Non proviene dal mondo dei viventi.» disse Radagast mentre Gandalf lo apriva; all’interno c’era il pugnale del re degli Stregoni di Angmar, uno degli esseri più oscuri del passato.
Un ringhio impedì loro di aggiungere altro e li fece voltare verso il resto della Compagnia che si stava guardando intorno.
«È stato un lupo?» chiese lo hobbit. «Ci sono lupi qui intorno?»
«Lupi? No, quello non è un lupo.» disse Bofur mentre la ragazza gli si avvicinava velocemente, una mano pronta sull’arco e il misterioso oggetto al sicuro dentro uno stivale.
Un mannaro piombò in mezzo al gruppo e Thorin gli si avventò contro con la spada sguainata mentre diceva a Kili di usare l’arco per abbattere quello che stava arrivando alle sue spalle. Lumbar fu più veloce e lo colpì con una freccia uccidendolo, sul colpo. Si avvicinò per recuperarla, consapevole che le sarebbe servita durante il viaggio.
«Un mannaro ricognitore.» disse Thorin liberando la spada dalla carcassa di quello che aveva ucciso.
«Un branco di orchi non è molto distante da qui.» disse lei facendoli voltare. «Riesco a sentirli. Avrei dovuto accorgermene prima, mi dispiace.»
«Non è colpa tua, Lumbar. Le tue visioni non ti lasciano molta scelta.» osservò Gandalf, che aveva capito cos’era successo qualche minuto prima. Poi si volse, adirato, verso Thorin. «A chi hai parlato della tua impresa, oltre che alla tua famiglia?»
«A nessuno.» rispose lui.
«A chi l’hai detto?» chiese lui non credendogli.
«A nessuno, lo giuro.» disse nuovamente il nano.
«Gandalf!» esclamò Lumbar attirando la sua attenzione e comunicando con lui in silenzio.
«In nome di Durin, che succede?» chiese il nano non capendo e passando lo sguardo da uno all’altra.
«Ci stanno dando la caccia.» disse la ragazza.
«Dobbiamo spostarci.» disse Thorin capendo la gravità della situazione.
«Dobbiamo andarcene da qui.» aggiunse Dwalin.
«Non possiamo!» urlò Ori. «Non abbiamo i pony, sono scappati.»
«Li depisto io.» disse Radagast attirando l’attenzione della Compagnia su di sè; aveva uno strano sorrisetto in volto, e Lumbar capì subito perchè.
«Questi sono mannari di Gundabad, ti raggiungeranno.» protestò Gandalf.
«E questi sono conigli di Rhosgobel. Vorrei che quelli ci provassero.» rispose il Bruno ghignando.
Non vedendolo convinto, Lumbar appoggiò una mano sul braccio di Gandalf e annuì da sotto il cappuccio, tranquillizzandolo. Se lei credeva che ce l’avrebbe fatta, ci avrebbe creduto anche lui.
Così, mentre Radagast si faceva inseguire dal branco di orchi, la Compagnia si lanciò tra le colline riparandosi dietro alte rocce e aspettando che gli altri si allontanassero prima di proseguire verso il cumulo di rocce successive. Potevano vedere come, in effetti, i conigli fossero talmente veloci da non farsi mai raggiungere dai mannari. Facevano a zig zag attraverso le colline e Gandalf li guidava in una precisa direzione che la ragazza aveva subito compreso.
«Dove ci stai portando?» chiese Thorin allo stregone mentre aspettavano che gli altri li superassero in modo che loro tre chiudessero la fila.
Gandalf fece una faccia strana e non rispose, facendo alzare gli occhi al cielo al nano, e proseguirono. Si erano appena nascosti dietro un masso quando un mannaro apparve sopra le loro teste. Li aveva fiutati e stava seguendo il loro odore. Si appiattirono tutti contro la pietra, in silenzio, e alla ragazza venne un capogiro che la fece quasi accasciare, ma si tenne in piedi. Quello non era affatto il momento adatto per svenire. Sopra di loro l’orco aveva sguainato la spada e stava girando in tondo sulla roccia mentre il mannaro continuava ad annusare in cerca della loro traccia. Kili li colpì con delle frecce e, mentre quelli cadevano al suolo venendo uccisi a colpi di spada e ascia dagli altri nani, il branco di mannari li sentì e loro non ebbero altra scelta che correre senza fermarsi. Il diversivo di Radagast non avrebbe più funzionato, gli orchi avevano trovato prede più interessanti da cacciare. Gandalf li guidò attraverso le colline, Lumbar rimaneva in fondo per non perdere nessun compagno; se non si sbrigavano i mannari li avrebbero circondati, cosa che successe dopo qualche minuto. Gandalf si diresse verso delle rocce e i nani si prepararono a combattere. Lumbar stava per dire loro di seguirlo, ma ci pensò lo stesso stregone a farlo.
«Da questa parte, stupidi!» urlò, facendoli voltare e sparendo dopo qualche secondo.
«Presto, muovetevi!» disse Thorin, incitandoli a scendere nella grotta in cui era sparito lo stregone.
A un certo punto rimasero solamente lui, Kili e Lumbar, che avevano aspettato che tutti fossero al sicuro parandogli le spalle.
«Kili!» urlò al nipote. «Corri!»
Il ragazzo era il più lontano dal masso e cominciò a correre verso di loro mentre Lumbar, accanto a Thorin, era pronta a lanciare frecce contro chiunque gli si fosse avvicinato troppo. Thorin stava per voltarsi quando vide un movimento muoversi veloce contro il nipote, ma lei era pronta e uccise il mannaro con una freccia. Il ragazzo si lanciò dentro la buca e Lumbar spinse Thorin all’interno proprio mentre un altro mannaro stava per azzannarlo, finendo invece per mordere lei.
«Lumbar!» gridò Thorin.
Si era accorto del nemico e sapeva non sarebbe mai riuscito a schivarlo; lei gli aveva appena salvato la vita. Dalla posizione in cui era, insieme agli altri che si erano avvicinati all’apertura, poteva vedere solamente dei movimenti confusi e sentire il ringhiare del mannaro sopra le loro teste, ma non era in grado di fare niente.
Lumbar, d’altro canto, stava cercando in tutti i modi di scrollare il mannaro dal suo braccio mentre lottava con l’orco che lo cavalcava con l’altro. Era in bilico sulla roccia che dava nella grotta, ma non riusciva a scivolare all’interno a causa dei denti del mannaro che la tenevano bloccata lì. Per non parlare del dolore che le percorreva l’arto dalla punta delle dita alla spalla e si irradiava nel resto del corpo e dei nani che urlavano il suo nome sotto di lei. Finalmente riuscì a piantare una freccia in un occhio dell’orco con la mano libera, così potè prendere il pugnale dallo stivale e colpire il mannaro sul muso; lui la lasciò all’istante e lei scivolò all’interno della caverna, raggiungendo i suoi compagni.
In quello stesso momento sentirono un corno suonare sopra le loro teste e dei rumori di battaglia li raggiunsero. Lumbar si rilassò; sapeva a chi apparteneva quel corno e sapeva che ora erano al sicuro. Alzò il braccio ferito all’altezza del volto per constatare la gravità della ferita, approfittando del fatto che i suoi compagni fossero distratti da ciò che succedeva all’esterno: due lunghe impronte di denti le percorrevano tutto l'avambraccio e facevano fuoriuscire una gran quantità di sangue. Quel mannaro non voleva proprio lasciarla andare. Forse la trovava appetitosa, pensò con una smorfia.
Sentì un rumore sopra di lei e si spostò di scatto mentre dall’apertura rotolava dentro un orco ucciso da una freccia. Nascose il braccio sotto il mantello e Thorin strappò la freccia per osservarla.
«Elfi.» disse contrariato lanciando la freccia per terra, poi si voltò verso Lumbar. «Stai bene?» le chiese ispezionandola con lo sguardo. «Quel mannaro mi avrebbe ucciso se non mi avessi spinto via. Ti ha morso?»
Quando l’aveva vista rimanere fuori e combattere contro l’orco e il mannaro dopo avergli salvato la vita, si era ritrovato ad essere più preoccupato per lei di quanto si aspettasse, e ora voleva assicurarsi che fosse tutto a posto. E non solo perchè gli aveva salvato la vita.
«Sto bene.» rispose semplicemente lei rimettendosi in piedi con un movimento fluido, nonostante il sangue perso.
Lui non sembrava molto convinto, anzi non lo sembrava per niente, e la soppesò con lo sguardo fino a quando non venne distratto.
«Non vedo dove porta questo percorso.» disse Dwalin qualche passo più avanti. «Lo seguiamo o no?»
«Lo seguiamo, è chiaro!» disse Bofur raggiungendolo velocemente, seguito dagli altri.
«La trovo una cosa saggia.» disse Gandalf affiancando Lumbar in fondo alla fila.
Lei sorrise, consapevole di cosa intendesse; aveva riconosciuto quel cunicolo immediatamente e sapeva esattamente dove li avrebbe portati.
«Sicura di stare bene, mia cara?» le chiese.
«Tranquillo, Gandalf.» gli rispose. «Preoccupati di cosa dirai a Thorin quando arriveremo alla fine del sentiero.»
«Se ne farà una ragione, Lumbar. Saremmo dovuti venire qui comunque per leggere la mappa.»
«Lo so.» disse semplicemente lei.
Lo stregone la osservò di sottecchi. «Tu hai notato qualcosa, vero? Nella mappa.»
Lumbar sorrise. «Forse. Non sono esperta come lui, quindi mi serve una conferma.»
«Capisco.»
   
 
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