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Autore: stellalfry    10/04/2021    0 recensioni
Quel giorno al Dipartimento Misteri, Harriet segue Sirius oltre il Velo, cadendo direttamente nell'estate del 1976.
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus, James/Lily, Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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2. Look to the past I






Nella Sala Grande, i quattro lunghi tavoli delle Case si stavano riempiendo sotto un cielo nero privo di stelle, identico a quello che si scorgeva dalle finestre. Candele bianche galleggiavano a mezz'aria sopra le teste degli studenti, illuminando i fantasmi argentei sparpagliati nella sala e i volti di mille sconosciuti immersi in fitte conversazioni, intenti a scambiarsi notizie dell’estate e a gridare saluti agli amici delle altre Case.

Quando passò tra i tavoli, dietro ai nuovi bambini pronti ad essere smistati, Harry si sentì osservata, in alcuni casi anche indicata. Non era una sensazione nuova, ma le facce che la guardavano erano diverse da quelle nei suoi ricordi. Era tutto diverso.

Hogwarts non si era mai sentita così lontana da casa.

“Ai nuovi arrivati”, intonò all’improvviso la voce calda e familiare del Professor Silente, “benvenuti! E ai nostri vecchi amici, bentornati! Come ogni anno, sono felice di vedervi qui in buona salute. E, sempre come ogni anno, non mi piace che il banchetto si faccia attendere troppo! Professoressa McGonagall, se per favore potessimo iniziare con lo smistamento, ne sarei immensamente lieto... e così la mia pancia!”

Una diffusa serie di risolini si diffuse in tutta la sala e Harry si permise di osservare il suo professore.

Venti anni sembravano non aver cambiato per niente questo vecchio uomo dalla barba bianca, che per tanto tempo aveva apprezzato e mitizzato. La vista, così familiare e al tempo stesso rassicurante, scatenò immediatamente in Harry il bisogno urgente di correre da lui, raccontargli tutto, chiedere aiuto, ma subito il pensiero fu frustato via dalla sua mente con una lancinante morsa alle tempie. Si trattenne appena dal piegarsi in due, gli occhi serrati, dilaniata dal dolore. Col cuore che le batteva forte nel petto e le lacrime appena trattenute sotto le palpebre, Harry lasciò che la canzone del cappello scorresse tra le mura della Sala Grande, accompagnandola verso la lucidità.

Quando il cappello ebbe finito, con il fiato ancora spezzato in gola e gli occhi che faticavano a riacquistare la vista, Harry sentì più che vedere i tacchi della professoressa McGonagall risuonare sulla pietra. Con due falcate decise, la professoressa fu accanto alla sedia dove gli studenti stavano per essere smistati e srotolò la pergamena.

“Alderton, Katie!”, chiamò, facendo risuonare la sua voce per tutta la Sala Grande.

Una ragazzina seguì al suo appello e, una volta seduta sullo sgabello, un nuovo grido accompagnò quello della professoressa. 

“GRIFONDORO!”

Lo smistamento proseguì normalmente, con gli studenti che venivano chiamati e ordinati. Harry, in fondo alla fila dei primi anni, sentiva che la morsa alle tempie aveva finalmente rilasciato la sua presa e sperò che nessuno avesse notato il suo strano cedimento.

Quando tutti i primi anni furono ordinati, lei era l’unica rimasta in piedi. A quel punto, Silente si alzò di nuovo e, con un gesto conciliante, ordinò ai suoi studenti di fare silenzio e attendere ancora un attimo. Harry si assicurò di non guardarlo di nuovo.

“Molto bene, ragazzi, c’è ancora un’ultima questione da risolvere prima di dare inizio al nostro banchetto. Vorrei presentare a tutti una studentessa di Hogwarts, che si unirà a noi per il suo sesto anno. Lucy Harrison, prego, vieni avanti.”

Harry cercò di mantenere il suo passo fermo mentre si faceva avanti, incontrando solo per un secondo lo sguardo duro della professoressa McGonagall, prima di sedersi sulla sedia, lo stomaco arrotolato su se stesso. Gli occhi vagarono automaticamente sul lato sinistro della sala, dove così tante volte aveva pranzato e cenato insieme ai suoi amici. Ma invece di incontrare i volti familiari di Ron, Hermione, Neville e tutti gli altri, si imbatté in una ragazza dai lunghi capelli rossi, seduta accanto a un ragazzo dolorosamente familiare. Un lampo di terrore le attraversò il volto, prima che il cappello le venisse calato sugli occhi.

“Bene, bene, bene... chi abbiamo qui?” La voce del cappello rimbombò nella sua testa in quello che sembrò quasi un brontolio di soddisfazione, subito soppiantato da un’altra emozione ben più simile alla sorpresa, che si manifestò per Harry come un piccolo sobbalzo tra i pensieri. “Oh... questo è...”

Gli occhi di Harry si sgranarono, terrorizzati, quando una risata le riecheggiò nella testa.

“Oh! Oh, caro Merlino! Chi si rivede, Harriet! Devo ammettere che non mi succedeva da un po’ di smistare due volte uno stesso studente, ma ogni volta che succede... che sorpresa!”

Il cuore di Harry prese a battere così forte che quasi le scoppiava in gola. No, no, no, no... la protezione degli Indicibili doveva funzionare! Ora cosa...

“Non temere, cara”, venne subito in soccorso la voce vecchia e gracchiante del Cappello. “Non morirai seduta stante ora che so i tuoi segreti. Non sei stata tu a svelarmeli, per prima cosa, e in ogni caso la maledizione che gli Indicibili hanno messo su di te non vale per gli oggetti magici come me.”

Subito Harry ritornò a respirare, il cuore ancora in gola, ma almeno con la consapevolezza che non sarebbe morta da un momento all’altro. Mentre riprendeva controllo delle sue emozioni, una domanda iniziò a farsi spazio tra i suoi pensieri, ma non ebbe neanche il tempo di distinguerla o formularla appieno che il Cappello la anticipò.

“Purtroppo sono tenuto a custodire i segreti dei miei studenti e non potrò avvisare il preside della tua situazione, per quanto tu lo desideri.”

Ma…

“Sono leggi vecchie quanto questo castello, cara!” Continuò il Cappello, interrompendola ancora una volta. “Tutto qui è vecchio, vecchio, vecchio... e tu sei così giovane che non sei neanche nata! Mi dispiace molto, Harriet, ma non posso rivelare i tuoi segreti al preside. Mi ricorderò di te solo per l’istante in cui ti sono qui in testa, ma dopo... è così che sono fatto, purtroppo. Credo che gli Indicibili abbiano pensato proprio a tutto, questa volta, eh?”

Harry tirò su col naso, annuendo piano.

“Be’, forse potrai fare buone cose qui, non è tutto perduto. Vedo che hai in testa già molti progetti, non sei certo una ragazza sprovvista! Sono sicuro che la Biblioteca ti aiuterà in qualcosa, anche se forse non quello in cui tu pensi. C’è potenziale qui nella tua mente, sta a te vedere come sfruttarlo. Ora, ora...” Il Cappello brontolò ancora per qualche secondo, prima di iniziare con quello che sembrò un colpo di tosse imbarazzato. “Capisco che tra i tuoi pensieri ora ci sia ben altro e che sono probabilmente l’unico a cui potresti dire pressoché tutto, ma io sono un essere limitato e ho un motivo ben preciso per essere qui in questo momento.”

Fece quello che doveva essere il corrispettivo di saltello sui talloni nella sua testa, e subito la mente di Harry fu piena delle immagini di Sirius e dei suoi genitori seduti al tavolo dei Grifondoro, ridenti, circondati da amici, ancora vivi.

Strinse forte le mani sul sedile dello sgabello e pensò più forte che poteva: non Grifondoro, non Grifondoro...

“Non Grifondoro, eh?”, ridacchiò il Cappello. “Non era quello che mi avevi chiesto la prima volta. Be’, ti assicuro che farai grandi cose in ogni caso… meglio che sia SERPEVERDE!”

L’ultima parola fu pronunciata ad alta voce e risuonò forte nella Sala. L’attimo dopo il Cappello le venne sfilato da testa ed Harry fu lasciata da sola tra una marea di volti sconosciuti che la guardavano svogliati, in sottofondo un lieve applauso che morì dopo pochi secondi. Un colpetto dietro la schiena la smosse ed Harry si girò per vedere la McGonagall indicarle brevemente il suo tavolo.

Il fottuto tavolo dei Serpeverde. Cosa stava pensando quel maledetto Cappello?! Metterla a Serpeverde, un posto pieno di suprematisti del sangue e futuri Mangiamorte! Lei, che in questa vita era una Nata Babbana!

Trattenne il desiderio di prendere il Cappello Parlante dalle mani della professoressa McGonagall e strangolarlo, e invece si diresse verso il lato verde e argento della sala, lo sguardo basso e i piedi strascicanti. Stava per prender posto vicino a un ragazzino che era stato smistato quella sera, ma una mano dalle parti più centrali della tavolata si sollevò, richiamando la sua attenzione.

“Signorina Harrison, prego, il sesto anno è di qua!”, le disse un ragazzo, lo stesso con la mano alzata, puntellandosi appena oltre le teste dei suoi compagni di casa.

Cercando di calmare la pancia in subbuglio che le ordinava a gran voce di mettersi a sedere vicino a quell’innocuo ragazzino del primo anno, Harry strinse i denti e avanzò verso il tipo che l’aveva chiamata. Uno sguardo breve le suggerì subito con chi aveva a che fare. Un giovane bello, con gli occhi azzurri, gli zigomi alti e i capelli castani ordinati in una chioma morbida, mossa, lunga fino alle spalle. Aveva il sorriso di chi aveva abitualmente a che fare con tante persone e lo sguardo di chi riconosceva una Mezzosangue o, in questo caso, una Nata Babbana a pelle... o forse dal suo penoso vestiario. 

Improvvisamente Harry fu fin troppo consapevole delle maniche sfilacciate e troppo lunghe, il maglione che le cadeva in modo scomposto sulle spalle e della gonna di seconda mano che si teneva su solo grazie alla cintura.

“Ecco, puoi sederti qui, cara”, continuò il ragazzo appena Harry lo affiancò, facendole spazio accanto a sé. Aveva gli angoli della bocca tirati in un sorriso bianchissimo e fastidiosamente perfetto, una cosa così innaturale che le dava i brividi e non faceva altro che rafforzare la sua teoria che quello non fosse altro che un sorriso di circostanza. Appena Harry si sedette, il sorriso del ragazzo al suo fianco si attenuò un pochino, lasciando sul suo viso giusto l’ombra di un sorrisetto sbarazzino, e le allungò la mano. “Sono Evan Rosier, prefetto del sesto anno. Riferisci a me per qualsiasi cosa.”

Harry rispose al saluto con una veloce stretta.

“Ti presento i tuoi compagni di corso Atticus Avery, Vincent Mulciber e Graham Wilkes.” 

Le indicò in ordine un ragazzo alto e magro con una vaga somiglianza ad una volpe, un omone enorme che sembrava un miscuglio non ben identificato tra Crabbe e Goyle, solo con più muscoli che grasso, e un ultimo tipo piuttosto in disparte con gli occhi più inquietanti che avesse mai visto. Ancora una volta, Harry salutò tutti, questa volta con un cenno del capo, cercando di ignorare la tremula vocina nella sua testa che le diceva che questi erano tutti futuri Mangiamorte. 

“Ah, e naturalmente Severus Piton, il ragazzo alla tua destra.”

Le sue spalle si tesero subito ed Harry girò la testa. Proprio accanto a lei, col naso piantato in un libro di pozioni, c’era Piton. Un’adolescente Piton, più dinoccolato di quanto ricordasse, con i capelli neri e untuosi che gli scendevano in due cortine scure sul viso e il naso tre volte più grande della sua faccia. Il ragazzo Piton alzò appena lo sguardo dal libro che stava leggendo, lanciandole un'occhiata veloce, poi tornò alla lettura. Harry distolse con fatica gli occhi da lui.

In quel momento, un bicchiere tintinnò. Tutti si rivolsero al tavolo del personale, dove il Professor Silente sorrideva bonario con in mano un calice di vetro e un cucchiaino.

“Solo poche parole prima di iniziare”, disse. “Per prima cosa, diamo il benvenuto a un nuovo membro del nostro personale, il professor Marlowe, che quest’anno occuperà la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure.”

Un professore con una zazzera di capelli scuri in testa e delle vesti nere, simili a quelle che Harry aveva visto più volte indosso a Moody e a Tonks durante le loro ore di servizio, si alzò in piedi e si inchinò appena. Un leggero applauso si levò tra gli studenti, per poi essere soppresso da una mano del professor Silente che riportò il silenzio.

“Come seconda cosa”, riprese, “devo ricordarvi che la magia non è permessa nei corridoi tra le classi, così come i duelli e un certo numero di altre cose ben poco piacevoli che potete controllare sulla bacheca del nostro custode.” E così dicendo, fece un cenno nella direzione di un Argus Filch nel pieno dei suoi anni quaranta. “Tutti gli studenti devono ricordare, inoltre, che l’accesso alla Foresta Proibita è… be’ proibito, a meno che non accompagnati da un insegnante. Sono tempi difficili questi, quindi vi chiedo massima collaborazione. I prefetti del sesto e del settimo anno saranno avvisati di segnalare chiunque si attardi fuori le sale comuni oltre il coprifuoco. Per quanto riguarda il Club di Gobbiglie, il professor Trickle mi ha chiesto di informarvi che non vi saranno delle riunioni fino alla fine di settembre. Per ultimo, ma non meno importante, le selezioni di Quidditch si terranno durante la terza settimana dell’anno scolastico. Chiunque sia interessato a giocare è pregato di segnalarlo nella bacheca della sua casa e riferirà direttamente al professor Clay Quibbert. Grazie per l’attenzione e buona cena!”

Con uno sfavillante svolazzo di cappello, il Professor Silente concluse il suo discorso e sulle tavole della Sala Grande comparvero mille varietà di cibi. Insieme al calore di un buon pasto, gli studenti ripresero a rumoreggiare come loro solito, con particolare entusiasmo nel tavolo Grifondoro.

“Ebbene, Harrison”, cominciò a quel punto Rosier, servendosi distrattamente con dei piselli al vapore. “Il tuo nome non mi è nuovo, ma da quel che ricordo Lord Harrison non ha figlie o sbaglio?”

La domanda era stata posta con così tanta nonchalance che Harry era sicura che lui già conoscesse la risposta. Lanciò un’occhiata veloce ai due ragazzi seduti all’altro capo del tavolo, Avery e Mulciber, notando come anche loro fossero profondamente interessati alla conversazione, poi rispose.

“Non sono imparentata con nessuna famiglia Harrison. Sono una Nata Babbana.”

Un sorriso acuto si levò sulle labbra di Rosier, pericoloso come quello di uno squalo, ma subito lo scacciò via e smosse con fare noncurante la mano. “Be’, sciocchezze. Anche Piton qui è in parte babbano come te, sai? Ma non altrettanto carino, purtroppo.”

Dall’altro capo della tavola il ragazzo grosso, Mulciber, schioccò forte la lingua e ridacchiò, seguito a ruota da Avery. Rosier gli lanciò uno sguardo obliquo e, rafforzato dalla silenziosa partecipazione dei suoi due amici, continuò.

“E dimmi, Harrison, da dov’è che vieni? È strano che qualcuno qui in Gran Bretagna non frequenti la scuola di Hogwarts, ma dal tuo accento non mi sembri affatto straniera.”

Qua la risposta era pronta, scritta in rosso nella sua cartella. “Vengo da Boxgrove, ho studiato con insegnanti privati.”

“Boxgrove, oh?” chiese a quel punto Mulciber, acquistando improvvisamente interesse a partecipare in prima persona alla conversazione. “Successo qualcosa di carino da quelle parti?”

“I miei parenti sono morti.”

Il sorriso di Mulciber si allargò. “Oh, che dispiacere”, disse senza sembrare per niente dispiaciuto, dopodiché si sporse sul tavolo verso di lei, poggiando i gomiti in modo tutt’altro che casuale, benché la sua intenzione fosse probabilmente quella. “C’erano i Mangiamorte, vero? La notizia è comparsa su tutti i giornali qualche mese fa, so che hanno fatto molti danni da quelle parti. Li hai combattuti?”

“No.”

Harry lo fissò negli occhi, dura, ma un’improvvisa risata la destabilizzò. Si voltò nella direzione da cui proveniva il suono e vide il ragazzo che le era stato presentato come Wilkes ridere con le mani sulla pancia.

“Lei mente”, sussurrò, quando la risata gli morì sulle labbra.

Uno strano brivido scosse Harry, ma lei lo ignorò. “Non sto mentendo”, ribatté, scandendo ogni parola con durezza.

Lui spalancò gli occhi, fissandoli su di lei, ed Harry quasi sentì il respiro mancarle non appena vide come fossero chiari, un grigio così tenue che sembrava confondersi con la sclera bianca.

“Tu hai combattuto i Mangiamorte, sento la magia oscura provenire da te.”

Le sue parole la fecero rabbrividire, ma si sforzò di rispondere, notando come anche tutti gli altri presenti intorno a lei si fossero ammutoliti. Persino Piton aveva sollevato il naso dal suo libro.

“Mi hanno colpito con una maledizione”, disse lentamente, quasi sfidando l’altro ragazzo a trovare una ragionevole scusa per non crederle neanche questa volta. “Quando mi sono risvegliata ero al San Mungo, non ricordo altro.”

Ma a quanto pare a Wilkes non ci volle niente per accogliere la sua sfida, perché rise ancora una volta, prendendola così alla sprovvista che quasi sobbalzò sulla panca.

“Oh, no”, disse tra una risata e l’altra, quasi più divertito di prima “Tu menti ancora. Io sento Magia Oscura provenire da qua.”

Allungò le mani verso la bacchetta, che Harry aveva incautamente appoggiato sul tavolo, ma lei la sfilò via prima che lui potesse anche solo toccarla. A quel punto, Rosier tossicchiò.

“Be’, Harrison, hai mai assaggiato il rognone in salsa di miele? È delizioso.”

-

Alla fine del banchetto, il più scomodo e triste a cui avesse mai partecipato, Rosier l'accompagnò nelle sale di Serpeverde. La sala comune era proprio come se la ricordava da quella veloce sbirciata che ci aveva dato mentre fingeva di essere quel carlino uscito male di Pansy Parkinson al suo secondo anno, quando lei e Ron erano ancora convinti che Malfoy fosse l’Erede di Serpeverde.

Era grande, molto più grande della sala comune di Grifondoro. Forse perché qui, nei sotterranei, lo spazio era molto meno limitato rispetto a quello di una torre.

Le finestre davano direttamente sui fondali del lago, illuminati da fuochi fatui che fluttuavano nell’acqua. Vari divanetti in diversi angoli della sala ospitavano gli studenti, che parlottavano tra loro come comuni adolescenti, nessun piano malvagio di conquista del mondo a gioco di orecchio. Tutta la stanza era studiata con precisione e arredata in modo grazioso — quadri ed espositori alle pareti, soffici tappeti sui pavimenti, e persino una zona studio con tavoli e tutto, fornita di una piccola libreria piena di quelli che sembravano i libri di testo di tutte le materie. Nessuna traccia di libri sulla magia oscura.

“Vieni, ti presento le tue compagne di dormitorio.”

E così Rosier le aveva presentato la copia carbone in gonnella di Gregory Goyle e una ragazza coi lunghi capelli neri e il nasino all’insù, che si attardava in compagnia di quella che sembrava una giovanissima Narcissa Malfoy.

“Maryon, ecco la nuova ragazza Lucy Harrison. Harrison, ti presento Maryon Selwyn”, fece Rosier, sorridendo. “Maryon è una prefetta come me, quindi puoi rivolgerti a lei per qualsiasi informazione. Ora ti lascio in buone mani, signorina Harrison. Mi raccomando, Maryon, tratta bene la nostra nuova arrivata.”

Detto questo, Evan Rosier il-non-ancora-Mangiamorte se ne andò facendo l’occhiolino e lasciando Harry da sola in compagnia di una ragazza che sembrava preferire un tu per tu con gli schiopodi sparacoda di Hagrid, piuttosto che rimanere bloccata con lei.

La ragazza fece qualche smorfia e boccheggiò diverse volte, prima che la futura signora Malfoy la interrompesse, prendendole le mani tra le sue e piegando appena la testa di lato, con fare gentile e grazioso. “Non ti preoccupare, Maryon, ci vediamo domani. Stavo comunque per congedarmi e andare a dormire.”

“Sì, giusto”, annuì prontamente Maryon, sembrando tuttavia parecchio delusa. Lanciò un’occhiataccia ad Harry, poi tornò a rivolgersi a Narcissa. “Quando hai un’ora libera domani mattina? Vorrei poterti parlare quanto prima. In privato”, aggiunse un attimo dopo.

“Mi dispiace, ma il professor Lumacorno ha suggerito di organizzare dei gruppi di studio per il settimo anno e sarebbe sconveniente non seguire il suo consiglio. Ci vediamo a ora di pranzo, va bene?”

Sembrava che a Maryon non andasse poi così bene, ma Narcissa Malfoy — o meglio, Black — pose fine alla questione dandole un bacio sulla guancia.

“Allora a domani, Maryon. Buonanotte.”

Narcissa se ne andò, facendo svolazzare la manina delicata alle sue spalle. La sua figura alta, bionda e algida si distingueva fra tutti gli altri Serpeverde in altezza e grazia. Non riuscì a seguirla con lo sguardo per molto perché con uno sbuffo Maryon la invitò malamente a seguirla.

“Vieni, Harrison, la tua stanza è di qua.”

La condusse oltre un corridoio e poi giù, scendendo diverse rampe di scale.

“Ci sono diverse regole non scritte in questa scuola”, riprese la ragazza Selwyn, scuotendo la mano. “Primo, noi Serpeverde ci dimostriamo un fronte unito. Qualsiasi litigio si deve svolgere all’interno di queste mura, mai fuori. Secondo, stai attenta ai Grifondoro. C’è una certa animosità tra Grifondoro e Serpeverde e capita spesso che scoppino litigi, e ancora più spesso capita diano la colpa a noi. Terzo, evita di andare in giro da sola. I Serpeverde sono prede più facili se stiamo da soli. E infine mi permetto di consigliarti anche un’altra cosa: tieni la bocca chiusa. Sembri una ragazza abbastanza scema e di certo il tuo stato di sangue non aiuta, ma stai comunque attenta con persone come Avery e Mulciber… per non parlare di quello schifoso di Wilkes.”

“Cosa vuoi dire?” Ma Maryon scosse la mano, infastidita, e non rispose. La portò in largo un corridoio con diverse porte, disposte in modo simmetrico per lato e intervallate da divanetti. Appese ad ognuna c’era un cartellino con il numero della stanza, i nomi dei suoi occupanti e il loro anno.

“Dividerai la stanza con Romilda, ma se ti riveli abbastanza buona, il professor Lumacorno può anche decidere di assegnarti una stanza singola. Dopotutto, siamo pochi qui nei sotterranei e di spazio ce n’è. Qui a destra ci sono alcune delle camere dei ragazzi, ma ti è vietato entrarci. A quanto pare danno la scossa — non che io ci abbia mai provato!”

Harry scrollò le spalle e, dopo che Maryon le ebbe dato il suo orario per la prossima settimana, entrò nella sua nuova camera. Abituata com’era a dividere la stanza con altre quattro ragazze, rimase stupita da tutto lo spazio che c’era qui. La camera divisa esattamente a metà con due letti, due cassettiere e due scrivanie speculari; c’era persino una porta per il bagno.

Il suo baule era stato sistemato dagli elfi domestici ai piedi del letto a sinistra, così, senza neanche aspettare l’altra ragazza, Harry vi si gettò sopra e chiuse gli occhi. Era stata una lunga giornata.

Sentì l’altra ragazza entrare in camera qualche minuto dopo, ma Harry non si scompose. Aveva chiuso le tende intorno al suo letto e la sua coinquilina ebbe l’accortezza di non disturbarla. Si addormentò con in sottofondo i rumori della sua compagna di stanza che disfaceva il baule.

 
   
 
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