Come
vorrei stare qui con te, cosa
darei per restarti accanto,
vorrei che tu potessi
sorridermi.
Aprii con tutta la mia forza di volontà e vidi una candela
bruciare,
incastrata su dei pancakes con panna e lamponi. Alzai lo sguardo ed
incrociai
quello di Emanuele e collegai finalmente tutto. Sorrisi, passandomi una
mano
fra i capelli.
-Fra un minuto compi diciotto anni..- Mi disse con voce calma.
Spostai più volte lo sguardo dai pancakes a lui. Allora
aveva organizzato
davvero tutto quel ragazzo. Scossi la testa, senza riuscire ormai a
scollarmi
il sorriso dalle labbra. L’arrivo della mezzanotte fu
segnalato dai messaggi
che cominciarono ad arrivare sul mio cellulare, che sentivo in
lontananza,
visto che lo avevo lasciato sul divano insieme al cappotto quando ero
tornata.
-Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Ginevra, tanti
auguri
a te...- Cantò con dolcezza, continuando a guardarmi negli
occhi intensamente,
e quando terminò avvicinò a me quella torta
improvvisata.
-Esprimi un desiderio.- Mi disse.
Io ci pensai un istante, seguendo il movimento della piccola fiamma
sulla
candela che si muoveva a destra e a sinistra. Cosa potevo desiderare in
quel
momento? Ero con Emanuele. Emanuele non faceva lo stronzo. Ero a New
York. Ero
a New York in un attico sulla Quinta Strada. Desideravo.. Desideravo il
suo amore, ecco tutto.
Presi fiato e soffiai con forza su quell’unica candelina a
forma di numero
diciotto che c’era e battei insieme a lui le mani. Ricambiai
per un istante il
suo sguardo, sicuramente arrossita come non mai, e poi lo abbassai.
-Grazie.- Dissi dopo essermi schiarita la voce.
-Di niente.. Quasi dimenticavo: auguri, neodiciottenne.-
Portò la mano al
mio viso ed io spalancai gli occhi. Tirai un sospiro di sollievo quando
la fece
scivolare sul mio orecchio e cominciò a tirare con
delicatezza. Contai insieme
a lui fino a diciotto e quando terminò quella leggera
tortura, scoppiammo
entrambi a ridere.
Dal salone la amata suoneria cominciò a farsi sentire
insistentemente ma
inizialmente non avevo la benché minima intenzione di
muovere un muscolo per
scendere da quel letto, beandomi per quegli istanti della presenza di
Emanuele
Benassi al mio fianco. Fu solo quando ricominciò a suonare
per la quarta voce
che finalmente riuscii a prendere la forza di volontà
necesssaria per alzarmi
da quel morbido ed accogliente letto.
-Pronto?- Domandai un po’ incerta visto che, tanto per
cambiare, mi scordai
di leggere il nome della persona che mi chiamava.
-Auguriiiiii!- La voce di Sara per poco non mi assordò.
Nel frattempo mi raggiunse Emanuele, posando i pancakes sul tavolino
situato nel centro della stanza, togliendo nel frattempo le candeline e
guardandomi con la coda dell’occhio.
-Grazie, Sara!- Dissi con un ampio sorriso sulle labbra.
-Hey, ci sono anche io!- La voce di Gianluca mi fece allargare
ulteriormente il sorriso, per quanto fosse possibile.
–Auguri, Ginni!-
-Grazie, Gianluca.- I miei due migliori amici: quelli era sicuramente
gli
auguri a cui tenevo di più.
-Siete arrivati a New York senza problemi?- Mi domandò Sara.
Fui sul ponto
di rispondere tranquillamente quando, ad un tratto, collegai le sue
parole con
gli avvenimenti di quella mattina.
-Tu sapevi che Emanuele aveva organizzato tutto?- Dissi con gli occhi
spalancati, voltandomi nella direzione del ragazzo che invece stava
sghignazzando. Sara temporeggiò qualche istante e capii che
Gianluca le aveva
rubato nel frattempo il telefonino.
-Veramente lo abbiamo aiutato a farti cadere nella trappola.- Mi disse
con
voce calma. Erano stati tutti contagiati dalla sfacciataggine di
Benassi?
-Ma io vi odio!- Tuttavia non riuscivo a non sorridere.
Mi sedetti affianco ad Emanuele sul divano,
guardando la mia torta con soddisfazione e con l’acquolina in
bocca.
-Ora ti lasciamo ai prossimi auguri, ci sentiamo domani mattina.-
Dissero
in coro.
-Ok, a domani. Grazie..-
-Ti vogliamo bene!- Urlarono nuovamente ed i miei timpani furono sul
punto
di rompersi nuovamente. Aspettai la chiamata di mia madre e poi lasciai
il
telefonino su una poltrona, concentrandomi su Emanuele.
-Hai plagiato anche i miei migliori amici.- Dissi con tono fintamente
arrabbiato.
-L’idea di New York è stata mia però.
Quando sono venuto in camera tua non
ho potuto notare le foto della città, il poster enorme sul
tuo letto.- Mi
spiegò con estrema calma, mentre mi porgeva le posate per
tagliare i pancakes e
prendeva una macchinetta fotografica poggiata a qualche centimetro dai
piatti.
-Ma non mi vorrai fare anche una foto! Mi sono appena svegliata!-
Protestai,
coprendomi il viso con le mani.
-Zitta e taglia la torta!- Ordinò ridendo, contagiandomi
inevitabilmente.
–La vorrai una foto alla mezzanotte del tuo diciottesimo
compleanno!-
-Punto primo non è una torta e punto secondo è
mezzanotte e dieci!-
Ribattei cocciuta, abbassando nel frattempo le mani e portando le
posato a
sfiorare i pancakes.
-Dettagli.- Sorrise, inquadrandomi con l’obiettivo.
–Cheese!- Io lasciai ad
un sorriso prendere posto sulle mie labbra, incapace di negargli quel
permesso:
ero davvero entusiasta, non potevo nasconderlo a nessuno, tantomeno
all’artefice della mia gioia. Il flash consacrò
quel momento che sarebbe
rimasto negli anni e chissà, quando sarei stata vecchia,
vedendo quella foto,
sarei morta dalle risate, ricordando come quel folle di Emanuele
Benassi mi
aveva portata a New York per “chiarire” e per
festeggiare il mio compleanno.
Mentre tagliavo i pancakes e con Emanuele cominciavamo a mangiarli, mi
soffermai a guardarlo in ogni suo movimento, e ricordai
cos’era successo poche
ore fa, quando era tornato ubriaco. Chissà anche in quel
preciso istante come
si sentiva: i postumi della sbornia, il malditesta, il sonno, il
fusorario..
Eppure era così felice, così naturale, ed era in
grado di conquistarmi con ogni
suo piccolo gesto.
-Grazie.- Dissi ad un tratto.
Lui si girò nella mia direzione, la forchetta a
mezz’aria con un pezzo di
pancake, sorridente. Probabilmente non gli avevo mai parlato
così seria, così
dal profondo nel mio cuore senza dirgli cose negative. Quelle volte che
gli
avevo aperto i miei sentimenti era stato per cacciarlo fuori dalla mia
vita,
per chiudere i nostri rapporti.. Invece in quel preciso istante lo
stavo
ringraziando per aver organizzato in ogni minimo dettaglio quel quattro
Aprile.
-Di niente..- Disse infine. Mi rispondeva sempre nello stesso modo:
sorrideva, diceva “di niente” e guardava il cibo
davanti a sé, finendo
finalmente di mangiare la sua parte di ‘torta’ e
lasciandosi andare contro lo
schienale del divano.
-Torno subito.- Mi disse sbadigliando e si alzò, tornando in
camera. Lo
aspettai solo qualche istante, perché lui tornò
subito dopo aver fatto un po’
di rumore di là, con una bustina in
mano.
-Cos’è quello?- Domandai aguzzando la vista. Lui
la poggiò accanto a me,
sedendosi poi a gambe incrociate sul divano.
-Gianluca e Sara ci tenevano a fartelo avere.- Mi rispose.
Finii di mangiare il più velocemente possibile i pancakes e
mi fiondai ad
aprire il regalo che i miei migliori amici mi avevano fatto. Ecco cosa
intendevano dicendo che i regali sarebbero arrivati a tempo
debito. Maledetti!
Presi la bustina e la aprii sotto lo sguardo attento e circospetto di
Emanuele. Uscì fuori una scatoletta color verde acqua legata
elegantemente con
un nastro dorato. Aprii senza far troppi danni il tutto e tirai fuori
un
bracciale di Tiffany&Co. Per poco non mi prese un colpo: mi
avevano
regalato davvero quel bracciale.. Io vi avevo fatto accenno mesi prima,
senza
darci troppo peso, sperando che fosse un regalo fatto con tutto il
resto della
classe, non solo da loro due. Sorrisi
rigirandomelo fra le mani, ancora totalmente incredula.
-Ti aiuto a mettertelo?- Mi domandò cortesemente Emanuele.
Alzai lo sguardo
ed annuii, porgendogli il bracciale ed allungando il braccio in modo
che
potesse sistemarlo al mio polso. –Ecco fatto!-
Ammirai e riammirai il cuore pendere al mio polso per almeno una
ventina di
volte, sorridendo felice ad Emanuele, avrei sorriso felice al mondo
intero in
quell’istante. Non m’importava che lui mi dovesse
ancora delle spiegazioni,
ormai sapevo che lui me le avrebbe date al momento giusto, senza le mie
pressioni. Scattammo più foto insieme, le foto
più stupide, quelle che si fanno
nei momenti più classici di demenza, e mi ritrovai a ridere
come non mai, con
le lacrime agli occhi. Finimmo a rincorrerci come due deficienti di sei
anni
per tutta l’estensione della casa, buttandoci cuscini addosso
ed infine
addormentandoci sul suo letto dopo aver parlato. Parlato di cosa?
Parlato di
me, di lui, parlato delle nostre aspirazioni, dei momenti passati, di
Federico
e di Sara, di Gianluca.. Parlammo di tutto, tranne che di noi. Per la
seconda
volta nell’arco delle ultime dodici ore mi addormentai con un
sorriso ben
stampato sulle labbra ed Emanuele al mio fianco nelle mie stesse
condizioni. Il
mio cuore era diventato nuovamente un suo giocattolo? Non me lo
domandai quella
notte.. Non mi chiesi nulla di strano, nulla di complesso come avevo
fatto
negli ultimi tre mesi. Certo che la frase “l’unico
che può curare le tue
lacrime è colui che te le ha fatte versare” si
rivelò incredibilmente
veritiera. Mi bastava Emanuele al mio fianco per dormire in pace con me
stessa
e con il mondo?
-Ginni?- La sua voce roca mi fece aprire gli occhi lentamente. I nostri
sguardi si incrociarono a due centimetri di distanza ed io annuii
debolmente.
-Buongiorno.- Mormorai con un leggero sorriso sulle labbra.
Lui allontanò il suo braccio dal mio corpo, stiracchiandosi
e mettendosi
seduto sul bordo letto. I suoi capelli erano più disordinati
del solito ed il
suo volto, da addormentato, non perdeva il suo fascino, acquistando
d’altro
canto una tenerezza che non si coglieva spesso sul suo viso.
-Buongiorno, festeggiata.- Mi disse dopo essersi ripreso almeno un
po’,
voltandosi nella mia direzione. Io mi sedetti sull’altro lato
del letto dopo
avergli sorriso. Mi ero addormentata con i vestiti del viaggio e le
scarpe
grazie a Dio ero riuscita a togliermele in un momento di
lucidità.
-Dov’è il bagno?- Gli domandai inarcando un
sopracciglio mentre mi
precipitavo a prendere il mio beautycase dalla valigia. Lui
mugolò ed alzò il
braccio, indicando fuori dalla porta.
-L’ultima porta sulla destra.- Eccoli i postumi della
sbornia. Parlava e si
atteggiava come un ubriaco: probabilmente quando sarei tornata dal
bagno lo
avrei trovato bello addormentato sul letto come se nulla fosse.
-Ti senti bene?- Chiesi mentre mi avviavo verso il corridoio. Per
risposta
ricevetti un mugolìo e capii che le mie previsioni non erano
state affatto
scorrette. Entrai nel grande bagno e chiusi la porta alle mie spalle,
spogliandomi poi e mettendomi sotto la doccia. L’acqua calda
mi scivolò addosso
facendo diffondere il calore per tutto il mio corpo e per quei quindici
minuti
mi sembrò di essere immersa nel Paradiso. L’unico
suono che sentivo era l’acqua
che si infrangeva contro i miei capelli, la mia pelle, isolandomi da
tutto il
resto del mondo.
Tuttavia quegli attimi paradisiaci si conclusero bruscamente con la
scoperta ch Emanuele Benassi fosse un razzo a lavarsi e a vestirsi a
differenza
mia. In poche parole, l’adorabile ragazzo, mi
staccò l’acqua calda e mi
costrinse a sbrigarmi a prepararmi. Inutili erano stati i miei
tentativi di
ribellarmi inventando scuse come “E’ il mio
compleanno!” “sono più grande di
te”, perché in un modo o nell’altro,
andando davvero contro la mia natura, quindi
minuti dopo ero vestita, asciugata e con i capelli sistemati.
-Ti odio.- Dissi a denti stretti, facendolo scoppiare a ridere.
-Mi amerai dopo questa giornata.-
Tuttavia il mio cervello decise di non abbandonarmi almeno quel giorno
e non
appena udì il verbo ‘amare’ si mise
velocemente in azione. L’aveva scelto
appositamente quel verbo? Sapeva dei miei sentimenti? Oppure lo aveva
detto
senza rifletterci su? Lo guardavo di sbieco mentre scendevamo
nell’ascensore,
occupando le mie mani prima nell’allacciarmi il cappotto, poi
a sistemarmi la
sciarpa, poi a lisciarmi il camoscio di cui erano fatti i miei stivali.
Sì, per
i miei diciotto anni
-Ti voglio portare nel mio negozio preferito qui a New York.-
Annunciò ad
un tratto mentre camminavamo lungo
-Io quando ho voglia di starmene per i fatti miei me ne vado al Pincio
(*),
tu sei più complesso.- Dissi con un sorriso sulle labbra,
osservandolo mentre
mi parlava in quel modo sognante dei posti a lui cari.
-La mia villa a Roma mi offre abbastanza posti per isolarmi. Questo
appartamento alla fine no, quindi.. Mi sono arrangiato.- Provai ad
immaginarmi
per un attimo Emanuele che sentiva la necessità di stare un
po’ in pace, per
pensare.. Sorrisi a quell’immagine mentre arrivavamo ad una
via un po’ nascosta
dov’era situato un negozio di musica.
Entrammo ed il nostro arrivo fu annunciato da un campanello collocato
sulla
porta. Mi trovai immersa in un’atmosfera decisamente
accogliente e.. antica.
Era un negozietto di cinque metri per sette, da un lato vintage,
dall’altro
rock e vendeva non solo dischi originali ma anche in vinile.
-Ciao, Emanuele!- Quello che
doveva essere il proprietario del negozio venne ad accoglierci,
abbracciando
affettuosamente Emanuele che ricambiò con un ampio sorriso.
-John, questa è Ginevra. Oggi
è il
suo compleanno e vorrei che tu le trovassi qualcosa di particolare ed
unico.-
Inizialmente sorrisi per la presentazione, poi mi voltai con tanto di
occhi
verso Emanuele. Ma allora veramente gli avevano dato una botta in testa
da
piccolo.. Ancora che mi voleva regalare qualcosa? Dopo tutto
ciò che aveva già
fatto!
-Io non..- Provai a dire ma fui interrotta da John che strinse
calorosamente la mia mano.
-Molto piacere! Vieni, vieni,
mi è arrivato un vinile molto raro dei Ramones proprio ieri..-
La mia iniziale
voglia di rifiutare categoricamente ogni altro regalo da parte di
Emanuele
scomparve nell’istante in cui John mi mostrò la
registrazione live di una
performance dei Ramones che io avevo cercato molto ma a cui poi avevo
rinunciato visto che ne esistevano pochissime copie. Stringendo
l’oggetto fra
le mani mi voltai prima a guardare Emanuele, poi John, poi il disco,
poi
nuovamente Emanuele.
-Lo prendiamo.- Disse soddisfatto
Emanuele, allontanandosi poi con John e lasciandomi ammirare quel mio
regalo di
compleanno. Dopo aver rimurginato per due secondi, li raggiunsi alla
cassa e
diedi il vinile al proprietario affinché me lo mettesse in
una busta.
-Grazie.- Dissi guardando Emanuele.
-E’ il tuo compleanno.-
Rispose lui
molto semplicemente prendendo il resto da John e dandomi in mano la
busta.
-Hai davvero un ottimo ragazzo!
Tienitelo stretto!- Io prima sbiancai a quelle parole e poi
diventai
rossissima.
-Lui n..- Ma Emanuele bloccò le mie parole.
-Grazie di tutto, Jhon.- Salutò
educatamente,
uscendo poi insieme a me dal negozio. Non gli dissi più
nulla riguardo il
commento dell’anziano signore e ci incamminammo discutendo di
musica diretti al
Central Park.
Probabilmente ancora non realizzavo per cosa stessi sorridendo di
più: per
quella rarità dei Ramones o per Emanuele? Scossi la testa,
ben decisa a
liberarmi di quella mia razionalità per quel giorno: ero
diciottenne, ero
libera, ero perseguibile legalmente, anche, però questo era
un dettaglio.
Volevo vivere quella giornata in ogni suo istante, in ogni sua parte
con un
sorriso e sapevo che potevo farlo, almeno finché Emanuele ci
fosse stato.
Finché ci fosse stato quell’Emanuele e non
l’altro che non conoscevo.
Raggiungemmo in una ventina di minuti anche il secondo punto della
nostra
‘escursione’ mattiniera. Nel cuore del Central Park
vi erano diversi laghi
artificiali ed Emanuele mi condusse verso quello più grande.
-Questo è il The Reversoir,- Mi
spiegò mentre camminavamo per un sentiero che ci stava
conducendo proprio verso
la riva. –venivo sempre qui la domenica mattina,-
Continuò guardando un po’ me
un po’ per terra. –mi sedevo sull’erba e
guardavo le gare che organizzavano i
bambini con le proprie barche a vela in miniatura, accompagnati dai
loro
genitori.- A quelle ultime parole un po’ di tristezza
velò la sua voce e ci
sedemmo per terra. Portai le gambe al petto e posai il mento sulle
ginocchia,
continuando ad ascoltarlo. –Sai perché venivo qui
da bambino?- Nonostante fosse
una domanda retorica io scossi debolmente la testa, continuando a
seguire quel
suo discorso. –Perché ogni domenica mattina io
chiedevo a mio padre di
accompagnarmi a giocare con gli altri bambini come facevano tutti i
padri e lui
mi rispondeva sempre di no, perché doveva lavorare,
perché doveva andare ad
Atlanta, perché doveva finire un progetto.. E mi prometteva
sempre che la
prossima volta, la prossima domenica, saremmo andati. Fatto sta che
promessa
dopo promessa sono passati dieci anni ed ora non voglio più
giocare con le
barchette la domenica mattina.- Concluse quel suo racconto con evidente
amarezza ed io restai per un attimo spiazzata. Per quale motivo tutto
d’un
tratto mi aveva voluto raccontare quelle cose? Guardai
l’acqua del lago venire
mossa leggermente dal vento e poi guardai il suo viso cupo indirizzato
verso il
punto che io avevo fissato fino a qualche istante prima. Si
schiarì la voce e
capii che stava per continuare il suo discorso. –Amo questo
posto con tutto me
stesso perché qui ho sognato veramente.. La mia fantasia si
immaginava come
sarebbe stato con mio padre, e tante altre cose..- Quando disse quelle
ultime
parole si voltò verso di me e mi sorrise, con più
sincerità, con più gioia.
-Questo posto è bellissimo.- Riuscii semplicemente a dire,
passando un
braccio intorno alle spalle di Emanuele e posando la testa sulla sua
spalla,
come se fosse la cosa più naturale da fare.
-Già, lo so..- Mormorò lui prima di sospirare. E
fu così che trascorsi la
mezz’ora più silenziosa e più intensa
di tutta la mia vita. Nessuno osò dire
nulla ed i miei occhi furono lasciati liberi di vagare per la
superficie di
quel lago e la mia mente di perdersi nei meandri della sua fantasia.
Aveva
ragione Benassi: quello era il posto adatto per pensare ed isolarsi. Ed
io
pensai a Marco ed ai suoi sentimenti, pensai a Gianluca, a Sara, pensai
a me
stessa e a ciò che provavo nei confronti di Emanuele. Pensai
a tutto ciò che mi
era successo da quel giorno di Gennaio e non potei non giungere alla
conclusione che quello scambio aveva cambiato l’intero corso
della mia vita e
forse non l’aveva indirizzata troppo verso la
negatività.
-Stai bene..- Lo sentii dire un po’ incerto mentre mi veniva
incontro. Era
forse in imbarazzo? Lui indossava dei pantaloni neri abbastanza
eleganti, una
camicia bianca e un maglione grigio con un ampio scollo a V, con sopra
a sua
volta un cappotto nero per coprirsi dal freddo.
-Come mai tutta questa eleganza?- Gli domandai accendendomi una
sigaretta.
Lui sorrise guardando prima l’orologio e poi me.
-Fra dieci minuti ci passa a prendere Mark ed andiamo a farci un giro
per
la città.- Rispose vago. Probabilmente aveva già
premeditato qualcosa ed io
arrossii al pensiero.
-Oggi mi stai viziando troppo.- Ridacchiai per poi aspirare il fumo
della
sigaretta.
-I diciotto anni vengono una volta soltanto, non avrai nulla da
rimpiangere
almeno.- Già, nulla da rimpiangere. Qualcosa avrei rimpianto
sicuramente:
nonostante fossero state infine le occasioni per baciarlo, per provare
a dirgli
qualcosa, io mi ero sempre tenuta bene a distanza a causa del mio
adorato
cervello che stava tornando a comandare il mio cuore. Voleva un
perché lui e
non si fidava come me del fatto che Emanuele me lo avrebbe dato di sua
spontanea volontà.
Alle otto spaccate uscimmo dal palazzo, accomodandoci nella nerissima
Mercedes che ci aspettava. Faceva un po’ più
freddo del solito, quella sera, o
forse era semplicemente l’emozione a farmi rabbrividire
continuamente.
-Dove andiamo?- Domandò
Mark,
voltandosi.
-All’Empire State Building.-
Rispose prontamente Emanuele, guardandomi poi con un ampio sorriso.
-Ma è chiuso! Ho visto stamattina gli orari! Il sabato sera
non ci si può
salire! (*)- Dissi guardandolo. Ma lui in tutta risposta mi fece cenno
con la
mano di aspettare.
-Preferisci andare a cena?- Mi domandò ad un tratto. Io
lasciai
un’espressione di disgusto impadronirsi dei miei lineamenti:
alle sei ci
eravamo abbuffati di hot dog e nachos in un ristorante vicino casa ed
ancora me
lo sentivo sullo stomaco. –Immaginavo.-
-Tanto l’Empire è chiuso.- Borbottai convinta
incrociando le braccia sotto
il seno.
-Quanto rompi!- Disse lui ridendo.
Ebbene sì, nuovamente Emanuele Benassi aveva avuto ragione.
Ci fermammo proprio davanti l’imponente palazzo
dell’Empire State Building
e dopo essere scesi degli uomini vestiti alquanto elegantemente
accolsero
affettuosamente Emanuele all’interno dell’edificio,
accompagnandoci
all’ascensore. Sì, il dettaglio che il padre di
Benassi conoscesse metà New
York probabilmente mi era sfuggito.
-Brava signorina-so-tutto-io..- Mi canzonò Emanuele mentre
salivamo a gran
velocità. Gli feci la linguaccia, decidendomi poi a non
tornare più
sull’argomento per evitare ulteriori prese in giro.
Quando arrivammo in cima ed uscii all’aperto trovando New
York
completamente ai miei piedi, per poco non dissi addio alla mia
mandibola. Mi
affrettai ad affacciarmi e guardai meravigliata Emanuele che
immortalò
prontamente la mia espressione da ebete con la sua macchinetta
fotografica.
Dopo che lo ebbi insultato per un paio di secondi, lui si
avvicinò a me e mi
sorrise.
-Ti piace?- Domandò con un largo sorriso. Io annuii e lui
guardò giù,
beandosi a sua volta per qualche istante di quel panorama che
probabilmente non
era la prima volta che si mostrava ai suoi occhi.
-Come hai fatto a farci fare questa visita privata?- Domandai poi
mentre
facevamo il giro a trecentosessanta gradi per
quell’Osservatorio della città.
-Contatti di mio padre.- Rispose scrollando le spalle. Avevo indovinato
allora.. Ma quanto era potente il padre di Emanuele allora? Aggrottai
le
sopracciglia scacciando quel pensiero dalla mia mente, tornando a
concentrarmi
al presente: a me, Emanuele, la foto che continuava a scattarmi. Mi
sentivo un
po’ una diva a stare lì, vestita così
elegantemente, solo con lui su quella
torre, senza nessun altro. Mi avvicinai a lui e guardandolo negli occhi
gli
sorrisi. Lui mi guardò un po’ incerto, un
po’ stupefatto.
-E’ il miglior compleanno di tutti.- Dissi, per poi ridere e
fare un giro
su me stessa.. Lui rise, seguendomi con lo sguardo e disse qualcosa che
non
riuscii a capire, ma che sembrò un “è
la giornata più bella di tutte”.
Mi ero così limitata nel corso di tutto il tragitto dallo
State Empire
Building a porre insistentemente domande ad Emanuele su dove fossimo,
quale
fosse la nostra destinazione, ma la sua risposta era stata una molto
semplice e
diretta minaccia di ritrovarmi anche con una benda sulla bocca, per non
parlare
più.
La portiera si aprì ed Emanuele prese la mia mano,
guidandomi fuori
dall’auto, aiutandomi a scendere. Lo seguii, affidandomi
ciecamente alla guida
della sua mano, che mi conduceva con delicatezza per quei posti
sconosciuti,
che non potevo né immaginare, né prevedere.
-E’ un ascensore questo?- Gli domandai, mentre sentivo delle
porte aprirsi
e la spinta di Emanuele che mi invitava ad andare in quella direzione.
-Forse.- Rispose ridacchiando. Quanto lo odiavo quando faceva
così..
Riusciva sempre a mantenersi così serio nel proprio gioco,
non faceva una
piega, non si lasciava mai tradire da una parola uscita involontaria
dalle sue
labbra.
Presto sentii il caldo abbandonarmi, accogliendo un gelo incredibile.
Un
vento fortissimo mi colpiva, scompigliandomi i capelli e facendomi
congelare
dalle punte dei piedi. Mi strinsi più forte ad Emanuele che
invece,
simpaticissimo com’era, si allontanò,
posizionandosi dietro la mia schiena.
-Pronta?- Domandò al mio orecchio. Dopo essermi ripresa dai
brividi che mi
percorsero a causa della sua immensa vicinanza, annuii estremamente
curiosa.
Lo sentii sciogliere il nodo dietro la mia testa e poi la benda cadde
fra
le mie mani, mentre io aprivo gli occhi, restando imbambolata davanti a
ciò che
mi si presentava davanti.
Un elicottero di modeste dimensioni ci stava aspettando, già
avviato, in
una delle più classiche scene da film, film che stavo
vivendo in quei momenti
in prima persona. Ero sulla cima di un grattacielo e New York mi stava
aspettando per essere esplorata anche in quella maniera nuova,
totalmente
sconosciuta per me.
Senza dire nulla mi voltai verso Emanuele, raggiante, che rispose
entusiasta a quel mio sorriso, posando poi una mano sulla mia schiena.
Incominciammo a camminare nella direzione dell’elicottero:
Emanuele salì per
primo, tendendomi poi una mano per riuscire a salire; gliene fui grata,
visto
che i tacchi che avevo indossato non mi permettavano un grande
equilibrio. Mi sedetti accanto al finestrino e nel frattempo il pilota
ci fece sistemare le
cinture ed ogni cosa per partire, tornando poi davanti. Stavamo per
partire.
-Hai un po’ di paura?- Mi domandò Emanuele con un
ampio sorriso. Io annuii,
deglutendo. Già avevo paura dell’aereo,
figuriamoci di un elicottero. –E’
normale, anche io ne avevo la prima volta.- Gli sorrisi debolmente,
mentre quel
veicolo cominciava ad emettere suoni ben più forti.
–Prendi la mia mano.- Mi
voltai verso di lui, aggrottando leggermente la fronte, e lui non
attese un mio
movimento. Prese la mia mano, intrecciando con decisione le sue dita
con le
mie. Gli sorrisi debolmente, chiudendo poi per un istante gli occhi.
L’elicottero decollò e prese velocità
rapidamente, e New York si mostrò
sotto i miei occhi. Fu uno di quegli spettacoli di cui avevo tanto
sentito
parlare con entusiasmo, quelle immagini che si sognano, si provano ad
immaginare, ma che non si capiscono finché non si vivono in
prima persona.
New York di notte, illuminata da migliaia di luci immortali di tutti i
colori, appariva più splendida che mai, più
splendida di quanto io me la fossi
ma potuta immaginare. L’elicottero sorvolava sul fiume Hudson
e alla mia
sinistra la città appariva in tutta la sua
maestosità. La presa di Emanuele
sulla mia mano era ferma, ancora, anche se la paura aveva fatto spazio
nel mio
cuore all’entusiasmo, alla felicità.. Quella vera.
Mentre tornavamo a sorvolare la città, Emanuele mi indicava
prima
Istintivamente strinsi di più la mano di Benassi e restai
qualche istante a
constatare quanto fosse calda, dolce, gentile quasi.. E soprattutto a
realizzare che mai avrei più potuto provare delle emozioni
del genere
trovandomi su un maledetto elicottero che mi stava facendo New York.
Mi voltai verso Emanuele, che ricambiò quel mio sguardo, e
gli sorrisi con
tutta la dolcezza che avevo, mettendo in quel sorriso tutto
ciò che provavo nei
suoi confronti, tutto l’amore, tutta la gratitudine.
Non riuscii a pensare per un solo istante che lui avesse giocato con i
miei
sentimenti, che fosse stato uno stronzo.. Perché il ragazzo
con cui ero stata
quelle ultime ventiquattro ore corrispondeva perfettamente
all’idea che mi ero
fatta di lui le prime volte che ci avevo parlato.
Qualcuno dice che se si vuole bere in America bisogna avere documenti
falsi.
Nah, molto più semplice.
Se ti vuoi ubriacare a New York e sei una neo-diciottenne, basta che
vai in
un locale con Emanuele Benassi.
Dopo l’Empire State Building, il volo
sull’elecottero, la benda sugli occhi
e tutte le soprese che Emanuele mi aveva riservato per quella serata,
decidemmo
molto saggiamente di festeggiare il mio compleanno anche in un modo
più adulto, disse lui e alcolico, precisai io.
Raggiungemmo il Bellavita(*), un
prestigioso locale situato proprio accanto a Times Square e ci sedemmo
ad un
tavolino, ben decisi a violare decisamente le regole americane.
Francamente non
ci credevo più di tanto che ci avrebbero servito da bere
senza neanche
chiederci uno straccio di documento ma mi dovetti ricredere, tanto per
cambiare
in quella serata, quando Emanuele andò a salutare di persona
il proprietario
del locale ed io fui ovviamente accolta come la nuova girlfriend
del signorino.
-Potresti finire in carcere per ciò che stai facendo.- Disse
ridacchiando
Emanuele, mentre sfogliavamo attentamente il menù in cerca
di qualcosa di
decisamente alcolico.
-Ma smettila..- Fu la mia risposta che arrivò più
che tempestivamente. Ero
ancora in grado di intendere e di volere.
In conclusione ordinammo due martini a cui ne seguirono altri due,
dello
champagne, altri Martini, altro champagne e quando la testa cominciava
già a
girare, decidemmo di passare al Cosmopolitan, alla Tequila, al Sex on
The Beach
e tutto ciò che più alcolico si poteva desiderare.
Un bicchiere.
Due bicchieri.
-Dovremmo regolarci..- Disse ad un tratto Emanuele, o almeno credo, ma
prendemmo la saggia decisione di bere un altro bicchiere
d’acqua e tornarcene a casa.
Sfortunatamente i bicchieri d’acqua, per come li intendevamo
noi, erano
shottini di vodka che si duplicavano. Solamente quando la mia testa
cominciò a
girare con molta decisione, riuscimmo ad alzarci dal tavolo ed
andarcene.
Camminavo accanto ad Emanuele con la testa che girava in maniera
incontrollabile e mi poggiavo alla sua spalla per riuscire a mantenermi
in
equilibrio sui tacchi. Eppure, nonostante la pesantezza di quella
sbornia,
ridevamo, continuavamo a ridere come due matti per ogni piccola cosa
che ci
accadeva, per ogni parola, gesto..
Salimmo nella macchina giusta solamente grazie a Mark che ci
pescò mentre
andavamo da tutt’altra parte e ci riportò al
nostro posto.
Pochi minuti dopo ed eravamo già a casa.
Non mi rendevo conto assolutamente di nulla di ciò che mi
stava accadendo
intorno: avevo solamente l’impellente bisogno di sentire
Emanuele affianco a
me, perché sapevo che finché ci sarebbe stato lui
al mio fianco non mi sarebbe
successo nulla.
-Ginni, aspettami su in terrazza.- Mi disse Emanuele dopo che ci fummo
tolti i cappotti ed io le scarpe.
-Vieni con me..- Mormorai implorante prendendolo per mano e tirandolo
verso
di me. I nostri visi si trovarono a tre centimetri di distanza e lui
sorrise.
-Credimi che sarai felice quando salirò.- Non riuscivo a
capire se lui
fosse più sobrio di me o no, anche se ne dubitavo fortemente
vista la quantità
di alcol che avevamo bevuto in quel maledetto locale.
Salii così le scale, rischiando più volte di
rompermi l’osso del collo
visto che non mi reggevo praticamente in piedi e quando arrivai in
terrazza
l’aria fredda mi fece per un attimo riprendere un minimo di
lucidità. Mi
sedetti su una delle sedie di legno che c’erano ed aspettai
Emanuele.
La mia lucidità era in realtà
solamente quella piccola e breve
fase che precede la sbornia di cui non ti ricordi nulla. Certo, sapevo
regolarmi solitamente, ma quella sera in compagnia di Emanuele qualcosa
stava
decisamente sfuggendo al nostro controllo.
Stavano sfuggendo al nostro controllo i nostri gesti: più
volte la distanza
di sicurezza fra me ed Emanuele si era annullata e ci eravavamo
ritrovati quasi
sul punto di superare quella linea dell’
“amicizia”, se così si poteva chiamare
il nostro rapporto.
Una canzone a me ben conosciuta cominciò a suonare ad alto
volume per tutta
la terrazza.
Inizialmente mi domandai se non fosse uno scherzo portato
dall’alcol ma
poi, quando vidi comparire Emanuele da dentro casa con una bottiglia di
vodka
in mano, capii che l’aveva accesa lui.
-Da dove hai presto quella?- Domandai indicando la bottiglia,
avvicinandomi
a lui.
-L’abbiamo presa prima al locale, non ricordi?- Scossi la
testa.
Avevamo davvero preso una bottiglia di vodka al locale?
Mi dimenticai ben velocemente di quel nuovo quesito visto che il mio
cervello si spense non appena decisi di bere un goccio di vodka liscia.
Mi
lasciai completamente andare al ritmo della musica e cominciai a
ballare.
Da sola?
Con Emanuele?
Con la bottiglia?
Probabilmente la risposta era sì per ognuna delle ipotesi,
visto che degli
unici ricordi che mi restarono di quella serata conservavo quello delle
mie
braccia intorno al collo di Emanuele. Emanuele che mi guardava
sorridendo e
bevendo un po’ di vodka. Io che bevevo dalla bottiglia e la
trattavo come se
fosse mia figlia.
-Ginni, smettila di bere.- Mi disse ad un tratto Emanuele, togliendomi
la
bottiglia dalle mani. Io mi imbrociai e mi accorsi che già
un quarto se ne era
andato.
-Non è giusto.- Brontolai. –Ho diciotto anni, su!-
Dissi cercando di
riprendermela. Emanuele mi guardò seriamente e mi fece
sedere, mettendosi poi
seduto davanti a me.
-Puoi bere solo se facciamo una cosa.- Io spalancai gli occhi.
-Maiale!- Urlai dandogli uno schiaffo. Emanuele scoppiò a
ridere.
-Ma se non ti ho detto neanche cosa.- Ricordo che mi calmai a quelle
parole.
-Cosa allora?- Chiesi curiosa.
-Facciamo il gioco della verità. Se vuoi bere, devi
rispondere sinceramente
alla domanda che ti faccio. E dopo che bevi, tocca a te farmela e
così via.-
Spiegò lui. Io accettai ovviamente, non sapendo incontro a
cosa mi stessi
spingendo.
-Sei mai stata innamorata?- Mi domandò lui, tenendo la
bottiglia a
mezz’aria.
-Sì.- Risposi prontamente. –Federico Grandi.- Gli
dissi anche il nome,
anche se non me l’aveva chiesto. Riuscii miracolosamente a
trattenermi dal
dirgli che fossi anche innamorata di lui. Mi passò la
bottiglia ed io mandai
giù un sorso: ormai scendeva giù come se fosse
acqua.
-Sei mai stato innamorato?- Gli domandai.
-Sì, di Michela De Paolis.- Non la conoscevo. Mi strinsi
nelle spalle e gli
ripassai la bottiglia. Avevo uno strano istinto assassino nei confronti
di
quella Michela De Paolis. Beata lei.
Pensai, o forse lo dissi. Lui prese la bottiglia e se la
portò alle labbra.
-Sei vergine?-
-Che cazzo te ne frega?- Ribattei velocemente. Lui
ridacchiò, stringendosi
nelle spalle.
-Stai al gioco o non vuoi bere?- Io ridussi gli occhi a due fessure.
-No.- Risposi secca mentre le immagini della mia prima volta
affioravano.
Federico che mi stringeva a sé, mi baciava, mi diceva che mi
amava più della
sua stessa vita. Quei ricordi mi fecero rabbrividire mentre bevevo un
altro po’
di vodka. –E tu?-
-No.- Ovviamente non avevo nutrito il benché minimo dubbio
sulla sua
risposta.
Ogni domanda era un sorso di vodka.
Ogni sorso di vodka era un passo lontano dalla lucidità.
Ogni passo lontano dalla lucidità era un passo lontano dalla
memoria.
L’ultima domanda che ricordo fu “Sei
innamorata?”, ma non so cosa gli
risposi.
**Autrice**
Allora! Ecco il compleanno di Ginevra ed ecco un Emanuele che apre
finalmente un po’ il suo cuore! Vi anticipo che il prossimo
capitolo sarà
scritto dal punto di vista proprio di Emanuele ed avrete le risposte a
tutte le
vostre domande.
So che mi odierete per come ho fatto concludere il capitolo visto che
l’ho
interrotto proprio sul punto più bello, però
dai..almeno vi incuriorisco un
pochettino, no?!
Tutti i posti descritti nel capitolo riferiti a New York escluso il
lago,
l’Empire State Building ed il volo in elicottero, sono
inventati da me!
Che dite, vi è piaciuto? Io non ne sono esageratamente
convinta ma spero
che vi piaccia ugualmente! La sbornia l’avevo premeditata da
mesi.. E mi sono
divertita da impazzire a scrivere provando a sentirmi nei panni di
un’ubriaca
che non ricorda assolutamente nulla e che le cose che ricorda le
ricorda tutte
confuse, incastrate.
Ora
passiamo ai ringraziamenti che questa volta sono
numerosi.. Sono felicissima quando ricevo tante recensioni per un
capitolo, mi
sento appagata!
__Yuki__:
Una nuova lettrice, che bello! Meno male allora che
non è stata banale
come cosa..Ed io che mi preoccupavo tanto. Pensa che non ho proprio
pensato al
fatto che anche Emanuele potesse vincere! Grazie infinite per i
complimenti,
spero continuerai a seguire la storia!DarkViolet92: Grazie
infinite!
Elienne:
Ahahahah credimi, ho riso come pochi a scrivere la parte
dell'aereo. Spero
che ti piaccia questo capitolo!
sonietta: Anche tu sei nuova! Dai che
più o meno ci avevi preso..ma per
le spiegazioni dovrai ancora attendere il prossimo capitolo! Spero che
questo
ti sia piaciuto!
cloddy94: Quante nuove persone che
commentano..quanto sono felice! Che
dire, cara, grazie mille per ogni singolo complimento. Posto molto
regolarmente
perché al momento sto in Russia dai miei nonni e mi annoio a
morte e di
conseguenza ho tanto tempo per scrivere, scrivere, scrivere..e poi non
mi so
trattenere non postando qualche giorno il capitolo quando so
già che è pronto!
Spero che questo capitolo non abbia deluto le tue aspettative! Un bacio!
Betty O_o: E
di che? Avevo il capitolo pronto e mi sono detta: perché
temporeggiare?
Ebbene il nostro Emanuele ha una vena romantica, suvvia..soprattutto in
questo
capitolo e Ginevra dopo due mesi di silenzio si sta finalmente
sciogliendo. Io
mi sarei sciolta subito onestamente xD Fai buon viaggio! Un bacio
alletta: Un'altra novità fra le mie
commentatrici! Quanto sono felice
che ti abbia appassionata la mia storia! :) Grazie mille per tutti i
commenti
spero di leggere altre tue recensioni più avanti.
Ombrosa: Un capitolo di sorprese, eh? Non sei la
prima che mi dice che pensava
che Emanuele avrebbe vinto il concorso..e pensare che io non l'ho
neanche
sfiorata come idea! Questa New York capitolo dopo capitolo ci
svelerà sempre
più Emanuele, quello "vero" come lo chiama Ginni.. Non
quello che lei
detesta. Non perderti il prossimo capitolo che sarà scritto
interamente dal
punto di vista di Emanuele e vedrai quante cose usciranno a galla
(compreso il
fatto che lui abbia bevuto per non pensare a quello che Ginni aveva
detto a
Marco)! Un bacione e grazie come sempre per la tua recensione. Un bacio!
vero15star: Ahahaha.Si, secondo me quel ragazzo per
quattro mesi ha
avuto tutto nella testa tranne il cervello ma ora perlomeno si sta
dando da
fare per rimediare! Io al posto di Ginni ci sarei arrivata a piedi a
New York
piuttosto che salire in macchina con Emanuele! Per quanto riguarda
Marco non
temere! Il povero piccino innamorato tornerà! xD Un bacione
e grazie infinite
per seguirmi sempre!
swettlove: Oddio quanti complimenti..sono
felicissima che ti sia
piaciuta l'idea con la quale li ho spediti entrambi a New York! Per
quanto
riguarda la frase..io la amo, mi fa pensare a tanti momenti belli belli
belli..
e poi immaginarmi Emanuele che la diceva, beh, ha tutto un suo effetto,
no? Un
bacione.