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Autore: Little Miss Sunshine    28/08/2009    10 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come vorrei stare qui con te, cosa darei per restarti accanto,
vorrei che tu potessi sorridermi
.
La Sirenetta.

 

 

 

 Capitolo Nono: Pancakes, Alcohol and Rock ‘n Roll.

 Il profumo della marmellata al lampone si insinuò nelle mie narici sinuosamente e mi fece aprire leggermente gli occhi. Per un attimo li richiusi, scivolando nuovamente nel mondo dei sogni, ma quando notai che questo non desisteva, mi costrinsi a controllare meglio da dove provenisse.
Aprii con tutta la mia forza di volontà e vidi una candela bruciare, incastrata su dei pancakes con panna e lamponi. Alzai lo sguardo ed incrociai quello di Emanuele e collegai finalmente tutto. Sorrisi, passandomi una mano fra i capelli.
-Fra un minuto compi diciotto anni..- Mi disse con voce calma.
Spostai più volte lo sguardo dai pancakes a lui. Allora aveva organizzato davvero tutto quel ragazzo. Scossi la testa, senza riuscire ormai a scollarmi il sorriso dalle labbra. L’arrivo della mezzanotte fu segnalato dai messaggi che cominciarono ad arrivare sul mio cellulare, che sentivo in lontananza, visto che lo avevo lasciato sul divano insieme al cappotto quando ero tornata.
-Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Ginevra, tanti auguri a te...- Cantò con dolcezza, continuando a guardarmi negli occhi intensamente, e quando terminò avvicinò a me quella torta improvvisata.
-Esprimi un desiderio.- Mi disse.
Io ci pensai un istante, seguendo il movimento della piccola fiamma sulla candela che si muoveva a destra e a sinistra. Cosa potevo desiderare in quel momento? Ero con Emanuele. Emanuele non faceva lo stronzo. Ero a New York. Ero a New York in un attico sulla Quinta Strada. Desideravo.. Desideravo il suo amore, ecco tutto.
Presi fiato e soffiai con forza su quell’unica candelina a forma di numero diciotto che c’era e battei insieme a lui le mani. Ricambiai per un istante il suo sguardo, sicuramente arrossita come non mai, e poi lo abbassai.
-Grazie.- Dissi dopo essermi schiarita la voce.
-Di niente.. Quasi dimenticavo: auguri, neodiciottenne.- Portò la mano al mio viso ed io spalancai gli occhi. Tirai un sospiro di sollievo quando la fece scivolare sul mio orecchio e cominciò a tirare con delicatezza. Contai insieme a lui fino a diciotto e quando terminò quella leggera tortura, scoppiammo entrambi a ridere.
Dal salone la amata suoneria cominciò a farsi sentire insistentemente ma inizialmente non avevo la benché minima intenzione di muovere un muscolo per scendere da quel letto, beandomi per quegli istanti della presenza di Emanuele Benassi al mio fianco. Fu solo quando ricominciò a suonare per la quarta voce che finalmente riuscii a prendere la forza di volontà necesssaria per alzarmi da quel morbido ed accogliente letto.
-Pronto?- Domandai un po’ incerta visto che, tanto per cambiare, mi scordai di leggere il nome della persona che mi chiamava.
-Auguriiiiii!- La voce di Sara per poco non mi assordò.
Nel frattempo mi raggiunse Emanuele, posando i pancakes sul tavolino situato nel centro della stanza, togliendo nel frattempo le candeline e guardandomi con la coda dell’occhio.
-Grazie, Sara!- Dissi con un ampio sorriso sulle labbra.
-Hey, ci sono anche io!- La voce di Gianluca mi fece allargare ulteriormente il sorriso, per quanto fosse possibile. –Auguri, Ginni!-
-Grazie, Gianluca.- I miei due migliori amici: quelli era sicuramente gli auguri a cui tenevo di più.
-Siete arrivati a New York senza problemi?- Mi domandò Sara. Fui sul ponto di rispondere tranquillamente quando, ad un tratto, collegai le sue parole con gli avvenimenti di quella mattina.
-Tu sapevi che Emanuele aveva organizzato tutto?- Dissi con gli occhi spalancati, voltandomi nella direzione del ragazzo che invece stava sghignazzando. Sara temporeggiò qualche istante e capii che Gianluca le aveva rubato nel frattempo il telefonino.
-Veramente lo abbiamo aiutato a farti cadere nella trappola.- Mi disse con voce calma. Erano stati tutti contagiati dalla sfacciataggine di Benassi?
-Ma io vi odio!- Tuttavia non riuscivo a non sorridere.  Mi sedetti affianco ad Emanuele sul divano, guardando la mia torta con soddisfazione e con l’acquolina in bocca.
-Ora ti lasciamo ai prossimi auguri, ci sentiamo domani mattina.- Dissero in coro.
-Ok, a domani. Grazie..-
-Ti vogliamo bene!- Urlarono nuovamente ed i miei timpani furono sul punto di rompersi nuovamente. Aspettai la chiamata di mia madre e poi lasciai il telefonino su una poltrona, concentrandomi su Emanuele.
-Hai plagiato anche i miei migliori amici.- Dissi con tono fintamente arrabbiato.
-L’idea di New York è stata mia però. Quando sono venuto in camera tua non ho potuto notare le foto della città, il poster enorme sul tuo letto.- Mi spiegò con estrema calma, mentre mi porgeva le posate per tagliare i pancakes e prendeva una macchinetta fotografica poggiata a qualche centimetro dai piatti.
-Ma non mi vorrai fare anche una foto! Mi sono appena svegliata!- Protestai, coprendomi il viso con le mani.
-Zitta e taglia la torta!- Ordinò ridendo, contagiandomi inevitabilmente. –La vorrai una foto alla mezzanotte del tuo diciottesimo compleanno!-
-Punto primo non è una torta e punto secondo è mezzanotte e dieci!- Ribattei cocciuta, abbassando nel frattempo le mani e portando le posato a sfiorare i pancakes.
-Dettagli.- Sorrise, inquadrandomi con l’obiettivo. –Cheese!- Io lasciai ad un sorriso prendere posto sulle mie labbra, incapace di negargli quel permesso: ero davvero entusiasta, non potevo nasconderlo a nessuno, tantomeno all’artefice della mia gioia. Il flash consacrò quel momento che sarebbe rimasto negli anni e chissà, quando sarei stata vecchia, vedendo quella foto, sarei morta dalle risate, ricordando come quel folle di Emanuele Benassi mi aveva portata a New York per “chiarire” e per festeggiare il mio compleanno.
Mentre tagliavo i pancakes e con Emanuele cominciavamo a mangiarli, mi soffermai a guardarlo in ogni suo movimento, e ricordai cos’era successo poche ore fa, quando era tornato ubriaco. Chissà anche in quel preciso istante come si sentiva: i postumi della sbornia, il malditesta, il sonno, il fusorario.. Eppure era così felice, così naturale, ed era in grado di conquistarmi con ogni suo piccolo gesto.
-Grazie.- Dissi ad un tratto.
Lui si girò nella mia direzione, la forchetta a mezz’aria con un pezzo di pancake, sorridente. Probabilmente non gli avevo mai parlato così seria, così dal profondo nel mio cuore senza dirgli cose negative. Quelle volte che gli avevo aperto i miei sentimenti era stato per cacciarlo fuori dalla mia vita, per chiudere i nostri rapporti.. Invece in quel preciso istante lo stavo ringraziando per aver organizzato in ogni minimo dettaglio quel quattro Aprile.
-Di niente..- Disse infine. Mi rispondeva sempre nello stesso modo: sorrideva, diceva “di niente” e guardava il cibo davanti a sé, finendo finalmente di mangiare la sua parte di ‘torta’ e lasciandosi andare contro lo schienale del divano.
-Torno subito.- Mi disse sbadigliando e si alzò, tornando in camera. Lo aspettai solo qualche istante, perché lui tornò subito dopo aver fatto un po’ di rumore di là, con una bustina  in mano.
-Cos’è quello?- Domandai aguzzando la vista. Lui la poggiò accanto a me, sedendosi poi a gambe incrociate sul divano.
-Gianluca e Sara ci tenevano a fartelo avere.- Mi rispose.
Finii di mangiare il più velocemente possibile i pancakes e mi fiondai ad aprire il regalo che i miei migliori amici mi avevano fatto. Ecco cosa intendevano dicendo che i regali sarebbero arrivati a tempo debito. Maledetti!
Presi la bustina e la aprii sotto lo sguardo attento e circospetto di Emanuele. Uscì fuori una scatoletta color verde acqua legata elegantemente con un nastro dorato. Aprii senza far troppi danni il tutto e tirai fuori un bracciale di Tiffany&Co. Per poco non mi prese un colpo: mi avevano regalato davvero quel bracciale.. Io vi avevo fatto accenno mesi prima, senza darci troppo peso, sperando che fosse un regalo fatto con tutto il resto della classe, non solo da loro due.  Sorrisi rigirandomelo fra le mani, ancora totalmente incredula.
-Ti aiuto a mettertelo?- Mi domandò cortesemente Emanuele. Alzai lo sguardo ed annuii, porgendogli il bracciale ed allungando il braccio in modo che potesse sistemarlo al mio polso. –Ecco fatto!-
Ammirai e riammirai il cuore pendere al mio polso per almeno una ventina di volte, sorridendo felice ad Emanuele, avrei sorriso felice al mondo intero in quell’istante. Non m’importava che lui mi dovesse ancora delle spiegazioni, ormai sapevo che lui me le avrebbe date al momento giusto, senza le mie pressioni. Scattammo più foto insieme, le foto più stupide, quelle che si fanno nei momenti più classici di demenza, e mi ritrovai a ridere come non mai, con le lacrime agli occhi. Finimmo a rincorrerci come due deficienti di sei anni per tutta l’estensione della casa, buttandoci cuscini addosso ed infine addormentandoci sul suo letto dopo aver parlato. Parlato di cosa? Parlato di me, di lui, parlato delle nostre aspirazioni, dei momenti passati, di Federico e di Sara, di Gianluca.. Parlammo di tutto, tranne che di noi. Per la seconda volta nell’arco delle ultime dodici ore mi addormentai con un sorriso ben stampato sulle labbra ed Emanuele al mio fianco nelle mie stesse condizioni. Il mio cuore era diventato nuovamente un suo giocattolo? Non me lo domandai quella notte.. Non mi chiesi nulla di strano, nulla di complesso come avevo fatto negli ultimi tre mesi. Certo che la frase “l’unico che può curare le tue lacrime è colui che te le ha fatte versare” si rivelò incredibilmente veritiera. Mi bastava Emanuele al mio fianco per dormire in pace con me stessa e con il mondo?

 Quando tornai ad aprire gli occhi, fu a causa della sveglia che Emanuele aveva impostatato sul proprio cellulare alle dieci di mattina. Alzai leggermente la testa, per guardarmi intorno. Ero stesa sul letto faccia a faccia con Emanuele. Lui teneva il suo braccio sul mio fianco e dormiva ancora beatamente, non avendo evidentemente sentito il suono della sveglia. Sorrisi, tornando a posare la testa sul cuscino e lasciando il mio sguardo vagare lungo i dolci lineamenti del suo volto. Immerso così nei suoi sogni, sembrava la persona più innocua, più semplice dell’intero universo. Sarebbe stato bello avvicinarmi a lui ancora un po’, allungarmi un po’ e posare le mie labbra sulle sue con estrema dolcezza. Inconsapevolmente bruciai cinque centimetri che ci separavamo e così, a due centimetri dal suo viso, decisi di tornare a rilassarmi sul cuscino. Chiusi gli occhi, mentre sentivo il suo respiro infrangersi delicatamente contro la mia pelle.
-Ginni?- La sua voce roca mi fece aprire gli occhi lentamente. I nostri sguardi si incrociarono a due centimetri di distanza ed io annuii debolmente.
-Buongiorno.- Mormorai con un leggero sorriso sulle labbra.
Lui allontanò il suo braccio dal mio corpo, stiracchiandosi e mettendosi seduto sul bordo letto. I suoi capelli erano più disordinati del solito ed il suo volto, da addormentato, non perdeva il suo fascino, acquistando d’altro canto una tenerezza che non si coglieva spesso sul suo viso.
-Buongiorno, festeggiata.- Mi disse dopo essersi ripreso almeno un po’, voltandosi nella mia direzione. Io mi sedetti sull’altro lato del letto dopo avergli sorriso. Mi ero addormentata con i vestiti del viaggio e le scarpe grazie a Dio ero riuscita a togliermele in un momento di lucidità.
-Dov’è il bagno?- Gli domandai inarcando un sopracciglio mentre mi precipitavo a prendere il mio beautycase dalla valigia. Lui mugolò ed alzò il braccio, indicando fuori dalla porta.
-L’ultima porta sulla destra.- Eccoli i postumi della sbornia. Parlava e si atteggiava come un ubriaco: probabilmente quando sarei tornata dal bagno lo avrei trovato bello addormentato sul letto come se nulla fosse.
-Ti senti bene?- Chiesi mentre mi avviavo verso il corridoio. Per risposta ricevetti un mugolìo e capii che le mie previsioni non erano state affatto scorrette. Entrai nel grande bagno e chiusi la porta alle mie spalle, spogliandomi poi e mettendomi sotto la doccia. L’acqua calda mi scivolò addosso facendo diffondere il calore per tutto il mio corpo e per quei quindici minuti mi sembrò di essere immersa nel Paradiso. L’unico suono che sentivo era l’acqua che si infrangeva contro i miei capelli, la mia pelle, isolandomi da tutto il resto del mondo.
Tuttavia quegli attimi paradisiaci si conclusero bruscamente con la scoperta ch Emanuele Benassi fosse un razzo a lavarsi e a vestirsi a differenza mia. In poche parole, l’adorabile ragazzo, mi staccò l’acqua calda e mi costrinse a sbrigarmi a prepararmi. Inutili erano stati i miei tentativi di ribellarmi inventando scuse come “E’ il mio compleanno!” “sono più grande di te”, perché in un modo o nell’altro, andando davvero contro la mia natura, quindi minuti dopo ero vestita, asciugata e con i capelli sistemati.
-Ti odio.- Dissi a denti stretti, facendolo scoppiare a ridere.
-Mi amerai dopo questa giornata.- Tuttavia il mio cervello decise di non abbandonarmi almeno quel giorno e non appena udì il verbo ‘amare’ si mise velocemente in azione. L’aveva scelto appositamente quel verbo? Sapeva dei miei sentimenti? Oppure lo aveva detto senza rifletterci su? Lo guardavo di sbieco mentre scendevamo nell’ascensore, occupando le mie mani prima nell’allacciarmi il cappotto, poi a sistemarmi la sciarpa, poi a lisciarmi il camoscio di cui erano fatti i miei stivali. Sì, per i miei diciotto anni la Grazia Divina mi aveva regalato evidentemente la follia. Bellissimo regalo! Ero pazza!
-Ti voglio portare nel mio negozio preferito qui a New York.- Annunciò ad un tratto mentre camminavamo lungo la Fifth Avenue. –Ogni volta che vengo qui e non voglio stare a casa perché litigo con i miei o perché mi annoio ed ho volta di pensare ad altro, vado lì e poi me ne vado in un altro posto che ti voglio mostrare a Central Park.-
-Io quando ho voglia di starmene per i fatti miei me ne vado al Pincio (*), tu sei più complesso.- Dissi con un sorriso sulle labbra, osservandolo mentre mi parlava in quel modo sognante dei posti a lui cari.
-La mia villa a Roma mi offre abbastanza posti per isolarmi. Questo appartamento alla fine no, quindi.. Mi sono arrangiato.- Provai ad immaginarmi per un attimo Emanuele che sentiva la necessità di stare un po’ in pace, per pensare.. Sorrisi a quell’immagine mentre arrivavamo ad una via un po’ nascosta dov’era situato un negozio di musica.
Entrammo ed il nostro arrivo fu annunciato da un campanello collocato sulla porta. Mi trovai immersa in un’atmosfera decisamente accogliente e.. antica. Era un negozietto di cinque metri per sette, da un lato vintage, dall’altro rock e vendeva non solo dischi originali ma anche in vinile.
-Ciao, Emanuele!- Quello che doveva essere il proprietario del negozio venne ad accoglierci, abbracciando affettuosamente Emanuele che ricambiò con un ampio sorriso.
-John, questa è Ginevra. Oggi è il suo compleanno e vorrei che tu le trovassi qualcosa di particolare ed unico.- Inizialmente sorrisi per la presentazione, poi mi voltai con tanto di occhi verso Emanuele. Ma allora veramente gli avevano dato una botta in testa da piccolo.. Ancora che mi voleva regalare qualcosa? Dopo tutto ciò che aveva già fatto!
-Io non..- Provai a dire ma fui interrotta da John che strinse calorosamente la mia mano.
-Molto piacere! Vieni, vieni, mi è arrivato un vinile molto raro dei Ramones proprio ieri..- La mia iniziale voglia di rifiutare categoricamente ogni altro regalo da parte di Emanuele scomparve nell’istante in cui John mi mostrò la registrazione live di una performance dei Ramones che io avevo cercato molto ma a cui poi avevo rinunciato visto che ne esistevano pochissime copie. Stringendo l’oggetto fra le mani mi voltai prima a guardare Emanuele, poi John, poi il disco, poi nuovamente Emanuele.
-Lo prendiamo.- Disse soddisfatto Emanuele, allontanandosi poi con John e lasciandomi ammirare quel mio regalo di compleanno. Dopo aver rimurginato per due secondi, li raggiunsi alla cassa e diedi il vinile al proprietario affinché me lo mettesse in una busta.
-Grazie.- Dissi guardando Emanuele.
-E’ il tuo compleanno.-  Rispose lui molto semplicemente prendendo il resto da John e dandomi in mano la busta.
-Hai davvero un ottimo ragazzo! Tienitelo stretto!- Io prima sbiancai a quelle parole e poi diventai rossissima.
-Lui n..- Ma Emanuele bloccò le mie parole.
-Grazie di tutto, Jhon.- Salutò educatamente, uscendo poi insieme a me dal negozio. Non gli dissi più nulla riguardo il commento dell’anziano signore e ci incamminammo discutendo di musica diretti al Central Park.
Probabilmente ancora non realizzavo per cosa stessi sorridendo di più: per quella rarità dei Ramones o per Emanuele? Scossi la testa, ben decisa a liberarmi di quella mia razionalità per quel giorno: ero diciottenne, ero libera, ero perseguibile legalmente, anche, però questo era un dettaglio. Volevo vivere quella giornata in ogni suo istante, in ogni sua parte con un sorriso e sapevo che potevo farlo, almeno finché Emanuele ci fosse stato. Finché ci fosse stato quell’Emanuele e non l’altro che non conoscevo.
Raggiungemmo in una ventina di minuti anche il secondo punto della nostra ‘escursione’ mattiniera. Nel cuore del Central Park vi erano diversi laghi artificiali ed Emanuele mi condusse verso quello più grande.
-Questo è il The Reversoir,- Mi spiegò mentre camminavamo per un sentiero che ci stava conducendo proprio verso la riva. –venivo sempre qui la domenica mattina,- Continuò guardando un po’ me un po’ per terra. –mi sedevo sull’erba e guardavo le gare che organizzavano i bambini con le proprie barche a vela in miniatura, accompagnati dai loro genitori.- A quelle ultime parole un po’ di tristezza velò la sua voce e ci sedemmo per terra. Portai le gambe al petto e posai il mento sulle ginocchia, continuando ad ascoltarlo. –Sai perché venivo qui da bambino?- Nonostante fosse una domanda retorica io scossi debolmente la testa, continuando a seguire quel suo discorso. –Perché ogni domenica mattina io chiedevo a mio padre di accompagnarmi a giocare con gli altri bambini come facevano tutti i padri e lui mi rispondeva sempre di no, perché doveva lavorare, perché doveva andare ad Atlanta, perché doveva finire un progetto.. E mi prometteva sempre che la prossima volta, la prossima domenica, saremmo andati. Fatto sta che promessa dopo promessa sono passati dieci anni ed ora non voglio più giocare con le barchette la domenica mattina.- Concluse quel suo racconto con evidente amarezza ed io restai per un attimo spiazzata. Per quale motivo tutto d’un tratto mi aveva voluto raccontare quelle cose? Guardai l’acqua del lago venire mossa leggermente dal vento e poi guardai il suo viso cupo indirizzato verso il punto che io avevo fissato fino a qualche istante prima. Si schiarì la voce e capii che stava per continuare il suo discorso. –Amo questo posto con tutto me stesso perché qui ho sognato veramente.. La mia fantasia si immaginava come sarebbe stato con mio padre, e tante altre cose..- Quando disse quelle ultime parole si voltò verso di me e mi sorrise, con più sincerità, con più gioia.
-Questo posto è bellissimo.- Riuscii semplicemente a dire, passando un braccio intorno alle spalle di Emanuele e posando la testa sulla sua spalla, come se fosse la cosa più naturale da fare.
-Già, lo so..- Mormorò lui prima di sospirare. E fu così che trascorsi la mezz’ora più silenziosa e più intensa di tutta la mia vita. Nessuno osò dire nulla ed i miei occhi furono lasciati liberi di vagare per la superficie di quel lago e la mia mente di perdersi nei meandri della sua fantasia. Aveva ragione Benassi: quello era il posto adatto per pensare ed isolarsi. Ed io pensai a Marco ed ai suoi sentimenti, pensai a Gianluca, a Sara, pensai a me stessa e a ciò che provavo nei confronti di Emanuele. Pensai a tutto ciò che mi era successo da quel giorno di Gennaio e non potei non giungere alla conclusione che quello scambio aveva cambiato l’intero corso della mia vita e forse non l’aveva indirizzata troppo verso la negatività.

 Uscii nella terrazza del superattico indossando un vestito nero, corto, con delle decolleté nere lucide ed un cappotto nero sopra. I capelli erano lasciati cadere boccolosi sulle mie spalle ed ero leggermente truccata. Feci un leggero colpo di tosse ed Emanuele si voltò, lasciando spazio ad un’espressione di sorpresa sul proprio volto.
-Stai bene..- Lo sentii dire un po’ incerto mentre mi veniva incontro. Era forse in imbarazzo? Lui indossava dei pantaloni neri abbastanza eleganti, una camicia bianca e un maglione grigio con un ampio scollo a V, con sopra a sua volta un cappotto nero per coprirsi dal freddo.
-Come mai tutta questa eleganza?- Gli domandai accendendomi una sigaretta. Lui sorrise guardando prima l’orologio e poi me.
-Fra dieci minuti ci passa a prendere Mark ed andiamo a farci un giro per la città.- Rispose vago. Probabilmente aveva già premeditato qualcosa ed io arrossii al pensiero.
-Oggi mi stai viziando troppo.- Ridacchiai per poi aspirare il fumo della sigaretta.
-I diciotto anni vengono una volta soltanto, non avrai nulla da rimpiangere almeno.- Già, nulla da rimpiangere. Qualcosa avrei rimpianto sicuramente: nonostante fossero state infine le occasioni per baciarlo, per provare a dirgli qualcosa, io mi ero sempre tenuta bene a distanza a causa del mio adorato cervello che stava tornando a comandare il mio cuore. Voleva un perché lui e non si fidava come me del fatto che Emanuele me lo avrebbe dato di sua spontanea volontà.
Alle otto spaccate uscimmo dal palazzo, accomodandoci nella nerissima Mercedes che ci aspettava. Faceva un po’ più freddo del solito, quella sera, o forse era semplicemente l’emozione a farmi rabbrividire continuamente.
-Dove andiamo?- Domandò Mark, voltandosi.
-All’Empire State Building.- Rispose prontamente Emanuele, guardandomi poi con un ampio sorriso.
-Ma è chiuso! Ho visto stamattina gli orari! Il sabato sera non ci si può salire! (*)- Dissi guardandolo. Ma lui in tutta risposta mi fece cenno con la mano di aspettare.
-Preferisci andare a cena?- Mi domandò ad un tratto. Io lasciai un’espressione di disgusto impadronirsi dei miei lineamenti: alle sei ci eravamo abbuffati di hot dog e nachos in un ristorante vicino casa ed ancora me lo sentivo sullo stomaco. –Immaginavo.-
-Tanto l’Empire è chiuso.- Borbottai convinta incrociando le braccia sotto il seno.
-Quanto rompi!- Disse lui ridendo.
Ebbene sì, nuovamente Emanuele Benassi aveva avuto ragione.
Ci fermammo proprio davanti l’imponente palazzo dell’Empire State Building e dopo essere scesi degli uomini vestiti alquanto elegantemente accolsero affettuosamente Emanuele all’interno dell’edificio, accompagnandoci all’ascensore. Sì, il dettaglio che il padre di Benassi conoscesse metà New York probabilmente mi era sfuggito.
-Brava signorina-so-tutto-io..- Mi canzonò Emanuele mentre salivamo a gran velocità. Gli feci la linguaccia, decidendomi poi a non tornare più sull’argomento per evitare ulteriori prese in giro.
Quando arrivammo in cima ed uscii all’aperto trovando New York completamente ai miei piedi, per poco non dissi addio alla mia mandibola. Mi affrettai ad affacciarmi e guardai meravigliata Emanuele che immortalò prontamente la mia espressione da ebete con la sua macchinetta fotografica. Dopo che lo ebbi insultato per un paio di secondi, lui si avvicinò a me e mi sorrise.
-Ti piace?- Domandò con un largo sorriso. Io annuii e lui guardò giù, beandosi a sua volta per qualche istante di quel panorama che probabilmente non era la prima volta che si mostrava ai suoi occhi.
-Come hai fatto a farci fare questa visita privata?- Domandai poi mentre facevamo il giro a trecentosessanta gradi per quell’Osservatorio della città.
-Contatti di mio padre.- Rispose scrollando le spalle. Avevo indovinato allora.. Ma quanto era potente il padre di Emanuele allora? Aggrottai le sopracciglia scacciando quel pensiero dalla mia mente, tornando a concentrarmi al presente: a me, Emanuele, la foto che continuava a scattarmi. Mi sentivo un po’ una diva a stare lì, vestita così elegantemente, solo con lui su quella torre, senza nessun altro. Mi avvicinai a lui e guardandolo negli occhi gli sorrisi. Lui mi guardò un po’ incerto, un po’ stupefatto.
-E’ il miglior compleanno di tutti.- Dissi, per poi ridere e fare un giro su me stessa.. Lui rise, seguendomi con lo sguardo e disse qualcosa che non riuscii a capire, ma che sembrò un “è la giornata più bella di tutte”.

 Erano le dieci di sera quando Mark si fermò. Ancora non realizzavo cose stesse succedendo visto che Emanuele si era assicurato che dalla benda che mi aveva legato intorno gli occhi non riuscissi a vedere nulla.
Mi ero così limitata nel corso di tutto il tragitto dallo State Empire Building a porre insistentemente domande ad Emanuele su dove fossimo, quale fosse la nostra destinazione, ma la sua risposta era stata una molto semplice e diretta minaccia di ritrovarmi anche con una benda sulla bocca, per non parlare più.
La portiera si aprì ed Emanuele prese la mia mano, guidandomi fuori dall’auto, aiutandomi a scendere. Lo seguii, affidandomi ciecamente alla guida della sua mano, che mi conduceva con delicatezza per quei posti sconosciuti, che non potevo né immaginare, né prevedere.
-E’ un ascensore questo?- Gli domandai, mentre sentivo delle porte aprirsi e la spinta di Emanuele che mi invitava ad andare in quella direzione.
-Forse.- Rispose ridacchiando. Quanto lo odiavo quando faceva così.. Riusciva sempre a mantenersi così serio nel proprio gioco, non faceva una piega, non si lasciava mai tradire da una parola uscita involontaria dalle sue labbra.
Presto sentii il caldo abbandonarmi, accogliendo un gelo incredibile. Un vento fortissimo mi colpiva, scompigliandomi i capelli e facendomi congelare dalle punte dei piedi. Mi strinsi più forte ad Emanuele che invece, simpaticissimo com’era, si allontanò, posizionandosi dietro la mia schiena.
-Pronta?- Domandò al mio orecchio. Dopo essermi ripresa dai brividi che mi percorsero a causa della sua immensa vicinanza, annuii estremamente curiosa.
Lo sentii sciogliere il nodo dietro la mia testa e poi la benda cadde fra le mie mani, mentre io aprivo gli occhi, restando imbambolata davanti a ciò che mi si presentava davanti.
Un elicottero di modeste dimensioni ci stava aspettando, già avviato, in una delle più classiche scene da film, film che stavo vivendo in quei momenti in prima persona. Ero sulla cima di un grattacielo e New York mi stava aspettando per essere esplorata anche in quella maniera nuova, totalmente sconosciuta per me.
Senza dire nulla mi voltai verso Emanuele, raggiante, che rispose entusiasta a quel mio sorriso, posando poi una mano sulla mia schiena. Incominciammo a camminare nella direzione dell’elicottero: Emanuele salì per primo, tendendomi poi una mano per riuscire a salire; gliene fui grata, visto che i tacchi che avevo indossato non mi permettavano un grande equilibrio. Mi sedetti accanto al finestrino e nel frattempo il pilota ci fece sistemare le cinture ed ogni cosa per partire, tornando poi davanti. Stavamo per partire.
-Hai un po’ di paura?- Mi domandò Emanuele con un ampio sorriso. Io annuii, deglutendo. Già avevo paura dell’aereo, figuriamoci di un elicottero. –E’ normale, anche io ne avevo la prima volta.- Gli sorrisi debolmente, mentre quel veicolo cominciava ad emettere suoni ben più forti. –Prendi la mia mano.- Mi voltai verso di lui, aggrottando leggermente la fronte, e lui non attese un mio movimento. Prese la mia mano, intrecciando con decisione le sue dita con le mie. Gli sorrisi debolmente, chiudendo poi per un istante gli occhi.
L’elicottero decollò e prese velocità rapidamente, e New York si mostrò sotto i miei occhi. Fu uno di quegli spettacoli di cui avevo tanto sentito parlare con entusiasmo, quelle immagini che si sognano, si provano ad immaginare, ma che non si capiscono finché non si vivono in prima persona.
New York di notte, illuminata da migliaia di luci immortali di tutti i colori, appariva più splendida che mai, più splendida di quanto io me la fossi ma potuta immaginare. L’elicottero sorvolava sul fiume Hudson e alla mia sinistra la città appariva in tutta la sua maestosità. La presa di Emanuele sulla mia mano era ferma, ancora, anche se la paura aveva fatto spazio nel mio cuore all’entusiasmo, alla felicità.. Quella vera.
Mentre tornavamo a sorvolare la città, Emanuele mi indicava prima la Statua della Libertà, poi l’Empire State Building, poi il Central Park, la Fifth Avenue, Times Square.. I miei occhi si perdevano in quella miriade di immagini, increduli della fortuna che avessero avuto. Increduli come lo ero io: ero su quell’elicottero grazie ad Emanuele, ero a New York grazie ad Emanuele, e stavo festeggiando il compleanno più importanti di tutti in un modo che non mi sarei mai neanche immaginata che potesse essere possibile.
Istintivamente strinsi di più la mano di Benassi e restai qualche istante a constatare quanto fosse calda, dolce, gentile quasi.. E soprattutto a realizzare che mai avrei più potuto provare delle emozioni del genere trovandomi su un maledetto elicottero che mi stava facendo New York.
Mi voltai verso Emanuele, che ricambiò quel mio sguardo, e gli sorrisi con tutta la dolcezza che avevo, mettendo in quel sorriso tutto ciò che provavo nei suoi confronti, tutto l’amore, tutta la gratitudine.
Non riuscii a pensare per un solo istante che lui avesse giocato con i miei sentimenti, che fosse stato uno stronzo.. Perché il ragazzo con cui ero stata quelle ultime ventiquattro ore corrispondeva perfettamente all’idea che mi ero fatta di lui le prime volte che ci avevo parlato.

Qualcuno dice che in America se non si è ventunenni non si può bere.
Qualcuno dice che se si vuole bere in America bisogna avere documenti falsi.
Nah, molto più semplice.
Se ti vuoi ubriacare a New York e sei una neo-diciottenne, basta che vai in un locale con Emanuele Benassi.
Dopo l’Empire State Building, il volo sull’elecottero, la benda sugli occhi e tutte le soprese che Emanuele mi aveva riservato per quella serata, decidemmo molto saggiamente di festeggiare il mio compleanno anche in un modo più adulto, disse lui e alcolico, precisai io.
Raggiungemmo il Bellavita(*), un prestigioso locale situato proprio accanto a Times Square e ci sedemmo ad un tavolino, ben decisi a violare decisamente le regole americane. Francamente non ci credevo più di tanto che ci avrebbero servito da bere senza neanche chiederci uno straccio di documento ma mi dovetti ricredere, tanto per cambiare in quella serata, quando Emanuele andò a salutare di persona il proprietario del locale ed io fui ovviamente accolta come la nuova girlfriend del signorino.
-Potresti finire in carcere per ciò che stai facendo.- Disse ridacchiando Emanuele, mentre sfogliavamo attentamente il menù in cerca di qualcosa di decisamente alcolico.
-Ma smettila..- Fu la mia risposta che arrivò più che tempestivamente. Ero ancora in grado di intendere e di volere.
In conclusione ordinammo due martini a cui ne seguirono altri due, dello champagne, altri Martini, altro champagne e quando la testa cominciava già a girare, decidemmo di passare al Cosmopolitan, alla Tequila, al Sex on The Beach e tutto ciò che più alcolico si poteva desiderare.
Un bicchiere.
Due bicchieri.
-Dovremmo regolarci..- Disse ad un tratto Emanuele, o almeno credo, ma prendemmo la saggia decisione di bere un altro bicchiere d’acqua e tornarcene a casa.
Sfortunatamente i bicchieri d’acqua, per come li intendevamo noi, erano shottini di vodka che si duplicavano. Solamente quando la mia testa cominciò a girare con molta decisione, riuscimmo ad alzarci dal tavolo ed andarcene.
Camminavo accanto ad Emanuele con la testa che girava in maniera incontrollabile e mi poggiavo alla sua spalla per riuscire a mantenermi in equilibrio sui tacchi. Eppure, nonostante la pesantezza di quella sbornia, ridevamo, continuavamo a ridere come due matti per ogni piccola cosa che ci accadeva, per ogni parola, gesto..
Salimmo nella macchina giusta solamente grazie a Mark che ci pescò mentre andavamo da tutt’altra parte e ci riportò al nostro posto.
Pochi minuti dopo ed eravamo già a casa.
Non mi rendevo conto assolutamente di nulla di ciò che mi stava accadendo intorno: avevo solamente l’impellente bisogno di sentire Emanuele affianco a me, perché sapevo che finché ci sarebbe stato lui al mio fianco non mi sarebbe successo nulla.
-Ginni, aspettami su in terrazza.- Mi disse Emanuele dopo che ci fummo tolti i cappotti ed io le scarpe.
-Vieni con me..- Mormorai implorante prendendolo per mano e tirandolo verso di me. I nostri visi si trovarono a tre centimetri di distanza e lui sorrise.
-Credimi che sarai felice quando salirò.- Non riuscivo a capire se lui fosse più sobrio di me o no, anche se ne dubitavo fortemente vista la quantità di alcol che avevamo bevuto in quel maledetto locale.
Salii così le scale, rischiando più volte di rompermi l’osso del collo visto che non mi reggevo praticamente in piedi e quando arrivai in terrazza l’aria fredda mi fece per un attimo riprendere un minimo di lucidità. Mi sedetti su una delle sedie di legno che c’erano ed aspettai Emanuele.
La mia lucidità  era in realtà solamente quella piccola e breve fase che precede la sbornia di cui non ti ricordi nulla. Certo, sapevo regolarmi solitamente, ma quella sera in compagnia di Emanuele qualcosa stava decisamente sfuggendo al nostro controllo.
Stavano sfuggendo al nostro controllo i nostri gesti: più volte la distanza di sicurezza fra me ed Emanuele si era annullata e ci eravavamo ritrovati quasi sul punto di superare quella linea dell’ “amicizia”, se così si poteva chiamare il nostro rapporto.
Una canzone a me ben conosciuta cominciò a suonare ad alto volume per tutta la terrazza.
Inizialmente mi domandai se non fosse uno scherzo portato dall’alcol ma poi, quando vidi comparire Emanuele da dentro casa con una bottiglia di vodka in mano, capii che l’aveva accesa lui.
-Da dove hai presto quella?- Domandai indicando la bottiglia, avvicinandomi a lui.
-L’abbiamo presa prima al locale, non ricordi?- Scossi la testa.
Avevamo davvero preso una bottiglia di vodka al locale?
Mi dimenticai ben velocemente di quel nuovo quesito visto che il mio cervello si spense non appena decisi di bere un goccio di vodka liscia. Mi lasciai completamente andare al ritmo della musica e cominciai a ballare.
Da sola?
Con Emanuele?
Con la bottiglia?
Probabilmente la risposta era sì per ognuna delle ipotesi, visto che degli unici ricordi che mi restarono di quella serata conservavo quello delle mie braccia intorno al collo di Emanuele. Emanuele che mi guardava sorridendo e bevendo un po’ di vodka. Io che bevevo dalla bottiglia e la trattavo come se fosse mia figlia.
-Ginni, smettila di bere.- Mi disse ad un tratto Emanuele, togliendomi la bottiglia dalle mani. Io mi imbrociai e mi accorsi che già un quarto se ne era andato.
-Non è giusto.- Brontolai. –Ho diciotto anni, su!- Dissi cercando di riprendermela. Emanuele mi guardò seriamente e mi fece sedere, mettendosi poi seduto davanti a me.
-Puoi bere solo se facciamo una cosa.- Io spalancai gli occhi.
-Maiale!- Urlai dandogli uno schiaffo. Emanuele scoppiò a ridere.
-Ma se non ti ho detto neanche cosa.- Ricordo che mi calmai a quelle parole.
-Cosa allora?- Chiesi curiosa.
-Facciamo il gioco della verità. Se vuoi bere, devi rispondere sinceramente alla domanda che ti faccio. E dopo che bevi, tocca a te farmela e così via.- Spiegò lui. Io accettai ovviamente, non sapendo incontro a cosa mi stessi spingendo.
-Sei mai stata innamorata?- Mi domandò lui, tenendo la bottiglia a mezz’aria.
-Sì.- Risposi prontamente. –Federico Grandi.- Gli dissi anche il nome, anche se non me l’aveva chiesto. Riuscii miracolosamente a trattenermi dal dirgli che fossi anche innamorata di lui. Mi passò la bottiglia ed io mandai giù un sorso: ormai scendeva giù come se fosse acqua.
-Sei mai stato innamorato?- Gli domandai.
-Sì, di Michela De Paolis.- Non la conoscevo. Mi strinsi nelle spalle e gli ripassai la bottiglia. Avevo uno strano istinto assassino nei confronti di quella Michela De Paolis. Beata lei. Pensai, o forse lo dissi. Lui prese la bottiglia e se la portò alle labbra.
-Sei vergine?-
-Che cazzo te ne frega?- Ribattei velocemente. Lui ridacchiò, stringendosi nelle spalle.
-Stai al gioco o non vuoi bere?- Io ridussi gli occhi a due fessure.
-No.- Risposi secca mentre le immagini della mia prima volta affioravano. Federico che mi stringeva a sé, mi baciava, mi diceva che mi amava più della sua stessa vita. Quei ricordi mi fecero rabbrividire mentre bevevo un altro po’ di vodka. –E tu?-
-No.- Ovviamente non avevo nutrito il benché minimo dubbio sulla sua risposta.
Ogni domanda era un sorso di vodka.
Ogni sorso di vodka era un passo lontano dalla lucidità.
Ogni passo lontano dalla lucidità era un passo lontano dalla memoria.
L’ultima domanda che ricordo fu “Sei innamorata?”, ma non so cosa gli risposi.

 

 

 


**Autrice**
Allora! Ecco il compleanno di Ginevra ed ecco un Emanuele che apre finalmente un po’ il suo cuore! Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà scritto dal punto di vista proprio di Emanuele ed avrete le risposte a tutte le vostre domande.
So che mi odierete per come ho fatto concludere il capitolo visto che l’ho interrotto proprio sul punto più bello, però dai..almeno vi incuriorisco un pochettino, no?!
Tutti i posti descritti nel capitolo riferiti a New York escluso il lago, l’Empire State Building ed il volo in elicottero, sono inventati da me!
Che dite, vi è piaciuto? Io non ne sono esageratamente convinta ma spero che vi piaccia ugualmente! La sbornia l’avevo premeditata da mesi.. E mi sono divertita da impazzire a scrivere provando a sentirmi nei panni di un’ubriaca che non ricorda assolutamente nulla e che le cose che ricorda le ricorda tutte confuse, incastrate.

Ora passiamo ai ringraziamenti che questa volta sono numerosi.. Sono felicissima quando ricevo tante recensioni per un capitolo, mi sento appagata!

__Yuki__:  Una nuova lettrice, che bello! Meno male allora che non è stata banale come cosa..Ed io che mi preoccupavo tanto. Pensa che non ho proprio pensato al fatto che anche Emanuele potesse vincere! Grazie infinite per i complimenti, spero continuerai a seguire la storia!DarkViolet92: Grazie infinite!

Elienne: Ahahahah credimi, ho riso come pochi a scrivere la parte dell'aereo. Spero che ti piaccia questo capitolo!
sonietta: Anche tu sei nuova! Dai che più o meno ci avevi preso..ma per le spiegazioni dovrai ancora attendere il prossimo capitolo! Spero che questo ti sia piaciuto!
cloddy94: Quante nuove persone che commentano..quanto sono felice! Che dire, cara, grazie mille per ogni singolo complimento. Posto molto regolarmente perché al momento sto in Russia dai miei nonni e mi annoio a morte e di conseguenza ho tanto tempo per scrivere, scrivere, scrivere..e poi non mi so trattenere non postando qualche giorno il capitolo quando so già che è pronto! Spero che questo capitolo non abbia deluto le tue aspettative! Un bacio!

Betty O_o: E di che? Avevo il capitolo pronto e mi sono detta: perché temporeggiare? Ebbene il nostro Emanuele ha una vena romantica, suvvia..soprattutto in questo capitolo e Ginevra dopo due mesi di silenzio si sta finalmente sciogliendo. Io mi sarei sciolta subito onestamente xD Fai buon viaggio! Un bacio
alletta: Un'altra novità fra le mie commentatrici! Quanto sono felice che ti abbia appassionata la mia storia! :) Grazie mille per tutti i commenti spero di leggere altre tue recensioni più avanti.
Ombrosa: Un capitolo di sorprese, eh? Non sei la prima che mi dice che pensava che Emanuele avrebbe vinto il concorso..e pensare che io non l'ho neanche sfiorata come idea! Questa New York capitolo dopo capitolo ci svelerà sempre più Emanuele, quello "vero" come lo chiama Ginni.. Non quello che lei detesta. Non perderti il prossimo capitolo che sarà scritto interamente dal punto di vista di Emanuele e vedrai quante cose usciranno a galla (compreso il fatto che lui abbia bevuto per non pensare a quello che Ginni aveva detto a Marco)! Un bacione e grazie come sempre per la tua recensione. Un bacio!
vero15star: Ahahaha.Si, secondo me quel ragazzo per quattro mesi ha avuto tutto nella testa tranne il cervello ma ora perlomeno si sta dando da fare per rimediare! Io al posto di Ginni ci sarei arrivata a piedi a New York piuttosto che salire in macchina con Emanuele! Per quanto riguarda Marco non temere! Il povero piccino innamorato tornerà! xD Un bacione e grazie infinite per seguirmi sempre!
swettlove: Oddio quanti complimenti..sono felicissima che ti sia piaciuta l'idea con la quale li ho spediti entrambi a New York! Per quanto riguarda la frase..io la amo, mi fa pensare a tanti momenti belli belli belli.. e poi immaginarmi Emanuele che la diceva, beh, ha tutto un suo effetto, no? Un bacione.


  
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