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Autore: heliodor    11/04/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Sul mio onore
 
Doryon giaceva su letto, gli occhi chiusi e l’espressione sofferente. Il petto si alzava e abbassava a fatica e ogni respiro iniziava e finiva con un rantolo sommesso.
La governatrice era ai piedi del letto, la mano del figlio tra le sue. Dalla parte opposta un uomo in abiti scuri era chino sul ragazzo e lo stava esaminando. Altri uomini attendevano in silenzio allineati lungo la parete. Ne contò sei, ma altri aspettavano fuori dalla stanza.
Erano i guaritori convocati a palazzo da Hylana.
La governatrice aveva mandato messaggeri in tutta la città con l’ordine di portare a palazzo ogni guaritore che fossero riusciti a trovare.
Quello chino su Doryon era il terzo ad aver esaminato il ragazzo. Gli altri due erano usciti dalla stanza scuotendo la testa.
Hylana li aveva seguiti fermandoli poco oltre la soglia. “Cos’ha mio figlio?” aveva chiesto con tono apprensivo.
Il guaritore, un uomo di mezza età con la testa calva e le orecchie che sporgevano, aveva scosso la testa. “Non posso ancora pronunciarmi, eccellenza.”
“È la stessa cosa che mi ha detto il guaritore di nome Bersaran.”
“È stato saggio.”
“Ma voi avete fama di essere molto abile.”
“So curare le malattie più comuni, quando riesco a comprendere la loro natura.”
Hylana lo aveva guardato perplessa.
“Vostro figlio sta male, ma non riusciamo a capire di cosa si tratti. Anche gli altri sono d’accordo con me.”
“Ma non hanno ancora esaminato Doryon da vicino.”
“Servirà un’indagine più approfondita. Ne discuteremo tra di noi e stabiliremo cosa dobbiamo fare, ma vi dico subito che sarà molto doloroso per il ragazzo.”
“Fate quello che dovete fare, ma salvatelo.”
“Prima dovremo capire che cosa affligge vostro figlio.”
Valya era vicina all’ingresso, coperta da Olethe che sembrava sorvegliare l’entrata. La donna guardava il ragazzo tormentandosi le mani.
“Come sta?” chiese Valya alla donna.
“Come vuoi che stia? Sembra sul punto di morire” disse Olethe senza staccare gli occhi da Doryon.
“Ma sembrava stare meglio.”
“Succede sempre così. Prima sembra migliorare e poi peggiora all’improvviso. E ogni volta sta peggio.”
“Chiedo scusa” disse una voce alle loro spalle.
Voltandosi, Valya si ritrovò di fronte un uomo alto quanto lei, dai capelli scuri e arruffati e un grembiule macchiato indossato sopra una tunica che sembrava sudicia.
Olethe lo squadrò con ostilità. “Che cosa vuoi?”
L’uomo tentò di infilarsi dentro la stanza ma la donna si piazzò davanti all’entrata.
“Ti ho chiesto che cosa vuoi. Sei un inserviente? Non è il momento adatto per disturbare la governatrice.”
“Non sono un inserviente” disse l’uomo. “Mi hanno convocato a palazzo. Il vostro messaggero diceva che era urgente e mi sono precipitato. La persona che sta male è lì dentro?”
Valya aveva la sensazione di averlo già visto altrove, ma cercando nei suoi ricordi non riuscì ad associare quel viso a nessun nome a lei noto.
Olethe lo guardò con ostilità. “Vuoi dirmi chi sei e che cosa ci fai qui?”
“Mi chiamo Jangar” rispose l’uomo. “E sono un guaritore. Posso entrare adesso?”
Olethe non si spostò. “Non sembrate un guaritore.”
“Chiedete al messaggero che avete inviato. Oppure domandate ai guaritori che sono già dentro. Loro potranno garantire per me. Anzi, se non sbaglio quello è Gilborn.” Jangar agitò il braccio al di sopra della spalla di Olethe. “Gilborn. Da questa parte. Sono io, Jangar.”
Un ometto dall’aria annoiata si avvicinò incuriosito. “Jan? Sei proprio tu?” Guardò Olethe. “Che problema c’è?”
La donna guardò il nuovo arrivato. “Voi lo conoscete? È un guaritore come voi?”
“Nessuno dei presenti lo definirebbe un guaritore” disse Gilborn. “Ma posso capire perché lo hanno fatto venire. Il suo contributo potrebbe essere importante.”
Olethe lo guardò perplessa. “Se lo lascio passare ve ne prendete la responsabilità.”
“Responsabilità?” fece Gilborn accigliato. “Jan non è pericoloso, a meno che non gli diate qualcosa da far esplodere. E di solito lo fa al chiuso, nella sua bottega. Lasciatelo passare pure, me ne assumo io la responsabilità.”
Olethe si fece da parte e Jangar poté scivolare nella stanza.
“Che cos’ha il ragazzo?” domandò il guaritore.
“È quello che stiamo cercando di capire. Iarmenor e Curumar pensano che…”
Il resto della frase si perse in un sussurro inudibile e Valya perse interesse nei due. Tutte quelle chiacchiere le sembravano inutili con Doryon agonizzante nel suo letto.
“La stanza è diventata piccola con tutte queste persone” disse Olethe. “È questo non è uno spettacolo per una ragazzina. Perché non vai a fare un giro di sotto e controlli se Izora e le altre ancelle stanno preparando le stanze per tutti questi ospiti?”
Valya voleva dirle che non era una ragazzina e che aveva visto di peggio, ma si trattenne. “Come vuoi” disse allontanandosi.
Nel corridoio antistante la stanza di Doryon c’erano altre persone che sembravano in attesa. Valya non li conosceva ma li aveva visti arrivare insieme ai guaritori. Erano i loro apprendisti, le aveva spiegato Olethe.
“Tutti i guaritori ne hanno uno o più” aveva detto la donna. “Servono a tramandare la loro arte” aveva aggiunto senza nascondere il disprezzo nel suo tono di voce.
Mentre si allontanava dalla stanza di Doryon passò vicino ad alcuni di quegli apprendisti.
Due ragazzi che potevano avere sui vent’anni discutevano tra loro gesticolando.
“Non può che essere morbo nero” stava dicendo uno.
“No, no” rispose l’altro scuotendo la testa. “Se fosse morbo nero avrebbe già contagiato tutti quelli che vivono in questo palazzo. E anche noi.”
Una ragazza dai capelli scuri era accucciata a terra con la schiena appoggiata al muro. Sulle gambe reggeva un libro aperto dal quale stava leggendo qualcosa a bassa voce.
Un uomo che poteva avere al massimo trent’anni guardava tutti con una smorfia di fastidio. “Stiamo solo perdendo tempo qui” stava dicendo a un ometto con il ventre a forma di botte e capelli lunghi e neri che gli scendevano fino alle spalle.
L’ometto si limitò ad annuire mentre Valya lo superava e lei non seppe mai cosa gli avesse risposto.
Cercò le scale con lo sguardo, felice di potersi lasciare alle spalle quei discorsi ma quando alzò gli occhi vide un’altra figura venire verso di lei, la testa chinata in avanti.
Un altro apprendista, si disse. Ma quanti ce ne sono?
Indossava una blusa e dei pantaloni spiegazzati e aveva legata al fianco una cintura piena di borse e borselli nelle quasi stava frugando con le dita.
Fece per evitarlo e lui in quel momento alzò la testa.
Valya ebbe un tuffo al cuore quando i loro occhi si incrociarono.
Ros Chernin la fissava stupito, le mani ancora dentro uno dei borselli.
“Valya Keltel? Anche tu qui?”
D’istinto lo spinse verso le scale. “Come sei entrato? Che cosa vuoi da me?”
Ros guardò indietro e puntò i piedi. “Aspetta. Così mi fai cadere.”
Valya si fermò. “Rispondi.”
“Sono l’apprendista di Jangar, ricordi? Sei venuta l’altro giorno per…”
Valya riprese a spingerlo verso le scale. “Vattene.”
“No, aspetta” disse Ros opponendosi. “Non posso andare via. Jangar si arrabbierebbe.”
Valya rifletté in fretta su che cosa fare. Prese Ros per la camicia e lo trascinò con sé. “Vieni.”
“Dove?”
Scese le scale e lo guidò fino alla sala dove gli inservienti consumavano i pasti. In quel momento c’erano solo due ancelle che stavano pulendo i tavoli. Sperò che nessuno badasse a loro.
“Puoi spiegarmi che sta succedendo?” fece Ros liberandosi della sua presa. “Mi stai facendo paura.”
“Ti farò di peggio se te ne vai in giro” disse lei minacciosa.
Ros la guardò stupita.
“Sappi che nessuno crederà a una sola parola di quello che dirai” disse Valya.
“Che cosa dovrei dire?” disse Ros con tono esasperato. Trasse un profondo respiro. “Non sei più tornata per farti cambiare la fasciatura. La ferita come va? Non ha fatto infezione, vero?”
“Zitto” disse Valya. “Non devi parlare a nessuno di quella cosa. Non lo hai fatto, vero? Perché se lo hai fatto…” Gli agitò il pugno davanti al mento.
“No, no” fece Ros alzando le mani come in segno di resa. “Non lo farei mai. È una delle regole di Jangar.”
“Regole?”
“Mai parlare ad altri delle persone che curiamo. Ci tiene molto alla riservatezza. Secondo lui dovrebbero seguirla tutti i guaritori.”
Valya si rilassò, il cuore che le batteva ancora forte. “Quindi sei qui solo per fare da assistente a Jangar?”
Ros annuì deciso. “Lui vuole che impari l’arte. Dice che sono dotato, anche se non sono molto bravo a far esplodere le pozioni.”
Valya si accigliò.
“Lasciamo perdere. La tua ferita?”
“La mia ferita sta bene. Io sto bene e voglio continuare a stare bene.”
“Senti dolore, fastidio?”
“No.”
“Si sono formate dei rigonfiamenti vicino alla ferita? Delle bolle?”
“No” ripeté Valya esasperata. “Adesso smettila, per favore.”
“Bene” rispose Ros. “Sono contento. Sei la dodicesima persona che ho curato.”
Valya gli puntò contro l’indice. “Non andare in giro a vantartene. Non devi dirlo a nessuno, intesi?”
“È la regola.”
“Giuralo.”
Ros mise la mano destra sul cuore. “Sul mio onore.”
Il tuo onore di Chernin, pensò Valya.
Ma per il momento decise di farselo bastare. Però non si fidava del tutto e non voleva che Ros se ne andasse in giro a parlare della sua ferita al fianco. Doveva tenerlo d’occhio per tutto il tempo in cui sarebbe rimasto a palazzo.
“Quindi” iniziò a dire Ros. “Tu lavori qui?”
“No” rispose Valya.
Ros rimase in attesa che proseguisse.
“Sono un ospite. Mio padre lavora alla forgia come capo fabbro. È una mansione importante e di grande prestigio e lui è molto abile. Ma perché te lo sto dicendo? Lo sai già, no? Tuo padre ci ha rubato la nostra forgia.”
Ros fissò il pavimento. “Lo so e mi dispiace se siete andati via per quello. A proposito, la forgia è andata a fuoco poco dopo che siete andati via.”
“Lo so. L’abbiamo bruciata noi.”
Ros la guardò allarmata. “Perché lo avete fatto?”
“Per non lasciarla intatta, credo.”
“Capisco. Io ora dovrei tornare da Jangar. Si starà chiedendo dove sono finito.”
“Tu non ti muovi di qui” disse Valya.
“Ma io devo andare.”
“C’è già abbastanza gente di sopra e Olethe mi ha ordinato di non far passare altri. È per questo che ti ho portato via.”
“Olethe?”
“È la donna che si occupa di tenere in ordine il palazzo.”
“Interessante.” Ros tirò fuori dalla tasca un foglio di pergamena piegato in quattro e una matita di legno e iniziò a scarabocchiarci sopra delle parole.
“Che stai facendo?” gli chiese Valya.
“Jangar mi ha ordinato di prendere nota di tutte le informazioni utili.”
Forse ho un modo per tenerlo lontano da quella stanza, si disse Valya.
“Se ti servono informazioni io ne ho molte” disse.
Ros la guardò interessato. “Sulla persona da curare?”
“Certo. Doryon e io siamo amici.”
“Bene” fece Ros entusiasta. “Dimmi tutto quello che sai.”

 
  
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