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Autore: heliodor    13/04/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Mantenere una promessa
 
Ros ebbe un sussulto udendo le grida. Prima ancora di vederlo scendere le scale, sapeva che era stato Jangar a urlare.
Il suo maestro stava scendendo le scale urlando qualcosa. “Incompetenti” fu l’unica parola che riuscì a udire per intero.
Dall’altra parte giunse una risposta ma Ros non la comprese.
Jangar mise piede sull’ultimo gradino e gli rivolse un’occhiata furente. “Sei qui? Perché non sei salito?”
Ros deglutì a fatica. “Stavo per farlo. Io…”
“Lascia perdere.” Jangar fece un gesto vago con la mano. “Hai fatto bene. Almeno non hai dovuto assistere a quello spettacolo pietoso.”
“È accaduto qualcosa a Doryon?” domandò Valya con tono preoccupato.
“No, no” disse Jangar. “Ma nelle mani di quegli idioti quel povero ragazzo non ha molte speranze di sopravvivere.” Scosse la testa. “Chiedo scusa per il mio linguaggio e il comportamento.”
“Doryon è così grave?” domandò Valya.
“Non sta peggiorando” rispose Jangar alzando la voce. “Ma nemmeno sta migliorando. E non sappiamo che cos’ha. Nessuno di quegli idioti sembra interessato a scoprirlo. Pensano solo a come eliminare il dolore allo stomaco, invece di cercare la causa del malanno.” Guardò Valya. “Chiedo scusa di nuovo” disse con tono sereno. “Stavo appunto dicendo questo, quando Barauil, quella specie di venditore di intrugli e veleni, mi ha accusato di non essere un vero guaritore. Tu non dovresti essere qui, ha detto. Tornatene nella tua bottega a curare verruche e ascessi. Ovviamente ho dovuto rispondergli e ne è nata una discussione.” Sospirò. “È per questo che mi hanno gentilmente chiesto di andare via. Nemmeno tanto gentilmente, se devo ammetterlo. La donna che sorvegliava la porta sembrava volesse spezzarmi il collo.”
“Si chiama Olethe” disse Valya. “E tiene molto a Doryon.”
Jangar la guardò perplesso. “Non ho afferrato il tuo nome, se ne hai uno.”
“Mi chiamo Valya. Valya Keltel.”
“Piacere di conoscerti Valya Keltel. Tu forse non conosci me, ma sono il miglior guaritore di Ferrador e del continente maggiore. E lo sarei anche del mondo conosciuto, se quell’idiota di Doriton lo stregone bianco non fosse scappato da Krikor.” Scosse la testa. “Se c’era una persona che poteva aiutare quel ragazzo ero io, ma adesso non so quante possibilità abbia. Poche, penso.”
“Ma è terribile” disse Valya.
“Purtroppo, io non posso farci più niente. Allievo” disse rivolgendosi a lui. “Andiamo via. Ho delle cose da fare alla bottega e qui ho già perso abbastanza tempo.”
Ros lo seguì ma poi ci ripensò e tornò indietro da Valya che era ancora ai piedi della scala e fissava i gradini come se fosse indecisa se salire o meno.
“Cercherò di convincerlo a ripensarci” disse. “Ma con Jangar non si può mai dire. E darò un’occhiata alla colazione di Doryon. Forse scoprirò qualcosa o forse no.”
Valya si limitò ad annuire.
Ros raggiunse Jangar che marciava con passo deciso.
“Secondo te” disse il guaritore. “Io so solo curare verruche e ascessi?”
“No” si affrettò a rispondere Ros. “Ma di sicuro sei il migliore nel curare verruche e ascessi.”
Jangar gli rivolse un’occhiata dubbiosa. “Non riesco mai a capire se dici sul serio o ti stai prendendo gioco di me.” Fece una pausa e sorrise. “E continua su questa strada. Non devi mai lasciar intendere a nessuno il verso significato delle tue frasi. Nascondi sempre la vera natura di quello che pensi.”
“Sì, Jangar” disse convinto.
Quando tornarono alla bottega era già passata l’ora di pranzo e il sole del primo pomeriggio stava allungando le ombre.
“Io ho da fare” disse Jangar. “Tutta questa storia mi ha già rubato abbastanza tempo e so che domani avrò voglia di far esplodere qualcosa. Ma per oggi la bottega è tutta tua. Saresti capace di prendertene cura mentre sono assente?”
“Credo di sì” disse Ros mettendo sul bancone i sacchetti che aveva riempito con i resti della colazione di Doryon. “E mi sono già trovato del lavoro da fare.”
“Stai seguendo una tua idea?”
Ros scosse la testa. “Non lo so. Forse.”
“Bene. Mai lasciar capire agli altri a cosa stai pensando.”
Attese che Jangar fosse uscito prima di mettersi al lavoro. Svuotò il contenuto dei sacchetti legati in vita sul tavolo e li dispose in mucchietti separati.
“E ora” disse sottovoce. “Ditemi tutto quello che sapete.”
 
Jangar tornò quando il sole era già calato. Ros aveva acceso una lampada a olio per illuminare il banco da lavoro e gli oggetti sparsi su di esso. Una pentola col pestello che spuntava da un lato giaceva in un angolo della stanza. Sul bancone c’erano due libri aperti e un terzo ancora chiuso. Su un foglio di pergamena aveva tracciato file e file di simboli e parole per raccogliere tutto quello che aveva scoperto.
Jangar si avvicinò con espressione incuriosita. “Vedo che ti sei dato parecchio da fare. Hai scoperto qualcosa?”
Aveva gli occhi cerchiati di rosso e l’alito puzzava di vino.
È andato a ubriacarsi di nuovo, pensò Ros. L’incontro con quei guaritori deve averlo proprio turbato.
Ogni tanto Jangar si assentava per fare il giro delle locande della città. Ciò accadeva quando aveva racimolato abbastanza monete da poter pagare i conti ancora aperti e guadagnare credito per aprirne di nuovi.
Se riuscisse a mettere qualcosa da parte, si disse, potrebbe allargare la bottega e comprare strumenti migliori. E magari assumere un altro allievo. Ma chi sono io per giudicarlo?
Si sorprese ad annuire con vigore. “Ho scoperto alcune cose. Sì.”
“Sembri perplesso” osservò Jangar sedendo sull’unica poltrona libera, sgangherata e con l’imbottitura che si intravedeva da un paio di buchi. “Vuoi parlarmene?” chiese accavallando la gamba sinistra su quella destra.
Ros si schiarì la gola. “Ci sono alcune cose che non mi convincono.”
“Sentiamo” lo esortò Jangar. “Non sono così ubriaco da non riuscire a seguire un tuo ragionamento. Di solito sono piuttosto semplici.”
Ros ignorò la provocazione e disse: “Ho esaminato per primo il pane.”
“Che cosa hai scoperto?”
“Niente. È semplice pane abbrustolito.”
“Non è mai semplice pane. Che tipo di farina hanno usato? Cosa ci hanno aggiunto?”
“Grano tenero” rispose Ros. “E ci hanno aggiunto del miele, credo.”
“È una ricetta comune qui a Ferrador. I panettieri amano aggiungere il miele al pane. Lo avresti capito da solo se fossi stato di queste parti. Vai avanti.”
“Ho esaminato le ossa di pollo.”
“Doryon ha mangiato pollo a colazione?”
“No. Solo pane abbrustolito, latte e uova” rispose Ros ricordando le parole di Carlytte.
“E come si inserisce il pollo in tutto questo?”
Ros si aspettava quella domanda. Indicò uno dei libri aperti sul tavolo. “Piaga attorcigliante. I sintomi sono malessere e dolori lancinanti all’addome. È causata da un fungo che cresce sulla pelle del pollame. Se non viene pulita con cura, il fungo può trasferirsi all’interno e attecchire persino sulle ossa, dove produce delle macchie di colore giallo a forma di anello. A quel punto basta spezzare l’osso per trovarne le tracce.”
Jangar annuì compiaciuto. “Prosegui.”
“Ho pensato che Doryon avrebbe potuto assaggiare del pollo. In fondo è un ragazzo e non è detto che si limiti a mangiare quello che gli servono.”
“Ma?”
“Ho spezzato l’osso di pollo e non ci sono i tipici anelli del fungo.”
“Sembri deluso. Speravi in una soluzione facile del mistero?”
“Avrebbe reso tutto più semplice. E confortevole.”
“Confortevole?” fece Jangar perplesso. “Non è una parola che si usa a caso. C’è qualcosa che ti turba?”
Ros annuì. “Se non è stato quel fungo, allora la spiegazione alternativa che ho trovato è quella giusta.”
“Tu avresti risolto il mistero?”
“Credo di sì.”
Jangar sorrise. “Sentiamo, allora.”
Ros si schiarì la gola. “Dopo il pane e il pollo, ho esaminato la colazione rigurgitata da Doryon. Era impossibile dire con certezza cosa vi fosse dentro, ma ero sicuro che se ci fosse stato qualcosa l’avrei trovata lì.”
“E l’hai trovata?”
“Estratto di semi di Myris.”
“Attenua il dolore. Infuso nell’acqua viene dato alle partorienti per alleviarne le sofferenze durante il parto.”
Ros annuì con vigore. “Ma preso in quantità maggiori può indurre sonno e aumentare i battiti del cuore.”
“Aspetta. Pensi che abbiano avvelenato Doryon?”
Non rispose limitandosi a fissarlo.
“L’estratto di Myris non è un veleno.”
“Ma se viene combinato con il gelsomino scarlatto sì.”
“È raro, ma cresce anche da queste parti. Hai trovato anche quello?”
“No, perché il gelsomino scarlatto non lascia tracce nello stomaco. È molto veloce. Doryon deve averli ingeriti insieme.”
“Come?”
“Nel latte” rispose Ros sicuro. Indicò l’altro libro aperto.
“È un testo di cucina. Ci sono parecchie ricette in cui il gelsomino giallo viene usato per rendere dolci alcuni infusi. O il latte.”
Jangar annuì grave. “Puoi provarlo?”
Ros scosse la testa. “No, ma ora so che cosa sta facendo soffrire Doryon e possiamo aiutarlo.”
“Come?”
“Corteccia di albero dei corvi. Basta sminuzzarla e farla macerare, quindi la si fa bollire come infuso e la si somministra nella dose giusta. Neutralizza l’estratto di Myris, quindi dovrebbe eliminare anche gli effetti combinati con il gelsomino.”
“Albero dei corvi. Vero. È raro e non so se ne troverai in città. È un ingrediente poco usato.”
“Ma tu conosci chi vende gli ingredienti più rari. Non puoi chiedere a loro?”
Jangar si passò una mano sul viso. “La guerra ha ridotto i commerci e con i cancelli chiusi in città arrivano solo derrate alimentari sufficienti a sfamare la popolazione. Il povero Doryon dovrà aspettare.” Fece per alzarsi.
“Non possiamo abbandonarlo così” disse Ros alzandosi a sua volta. “Doryon morirà se continua ad assumere il gelsomino con il Myris. E se non morirà soffrirà moltissimo.”
“Ros” disse Jangar con tono paziente. “Anche se fosse vero e io avessi un cortile pieno di alberi di corvo, non potresti provarlo. Dovresti presentarti a palazzo dicendo che il figlio della governatrice è stato avvelenato da qualcuno che vive dietro quelle mura per chissà quanto tempo. E senza poterlo dimostrare saresti solo un calunniatore. Tu vieni dalla campagna e non sai come funzionano le cose a Ferrador, ma se vuoi un consiglio lascia perdere.”
“Non posso.”
“Cosa te lo impedisce?”
“Ho promesso a” esitò. Stava per dire amica. “Una conoscente di aiutare Doryon e intendo mantenere la promessa. Ho giurato sul mio onore.”
“Lascia perdere il tuo onore. Preferiresti perdere la testa? O venire esiliato? Segui il mio consiglio e dormici sopra. Domani ti sembrerà tutto diverso. Ma prima di andare a letto sistema il bancone e per l’Unico, pulisci quel vomito per favore.”
Ros lo accompagnò alla sua stanza e lo lasciò solo quando Jangar si mise a letto. Gli bastò attendere poco perché iniziasse a russare.
Guardò il bancone ancora ingombro di pozioni e pezzi di pergamena dove aveva scritto i suoi appunti.
“Agli inferi” disse sottovoce. Andò alla porta e la spalancò.

 
  
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