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Autore: Urban BlackWolf    16/04/2021    4 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il vernissage

 

 

Le due settimane che Haruka aveva predetto come tempo necessario da far passare per tornare alla normalità con la sua compagna, volarono velocemente e in un batter d’occhio arriverò il giorno pre inaugurazione.

Il quelle ultime ore di fisiologico caos che stavano avvolgendo il museo di Castel Grande, Giovanna sembrava un grillo nel pieno dell’estate. Muovendosi agilmente tra gli ultimi preparativi, andava e veniva di stanza in stanza con incollati al fianco due giovani studenti universitari mal digeriti vogliosi di punti esperienza per la loro tesi in museografia. Michiru se la vide arrivare con lo sguardo torvo di chi ha solo gatte da pelare e sospirando raddrizzò la postura stirando le labbra in un sorriso.

“Dammi buone nuove, Aulis.” Disse alzando rassegnata le sopracciglia.

“Un paio di pifferi!” Fu la risposta che chissà perché l’amica si aspettava.

“L’ho chiesto solo come proforma. Ormai so che quando hai quella faccia sono sempre pessime notizie.”

“Già. - Confermò fulminando con lo sguardo i due galoppini. - Ma voi non avete proprio nulla da fare!? Per piacere… , andatevi a prendervi un caffè, una cioccolata, della stricnina, non so. Ma datemi cinque minuti di privacy…” Nervosissima li cacciò letteralmente fuori dalla sala tornando poi a guardare Michiru.

“Stai calma Giò.”

Un’ultima ferale occhiata alla sagoma degli studenti e l’amica rivelò a denti stretti di essere stata anche lei un’apprendista, ma di non avere mai ricalcato la sagoma di un’ombra. “Io capivo quando iniziavo a dar fastidio.”

“Dai, dimmi che succede.”

“Hai presente la scultura in materiale da riciclo che si trova all’entrata della terza sala? - Un cenno d’assenso e Giovanna sparò la cartuccia. - C’è un piccolo pezzo di metallo che sporge dalla pedana di circa trenta centimetri. Passi per un adulto, ma li un bambino ci rischia un occhio. Dobbiamo girarla di almeno quaranta gradi o al Direttore della Sicurezza scoppierà un’arteria del collo. Quel cristiano sta sbraitando da venti minuti contro di me, te e la Kocc, che si ostina a volerla li!”

Iniziando a massaggiarsi la fronte Michiru ammise che spostarla avrebbe comportato il riposizionamento di tutte le luci della sala. “Il vernissage è domani sera. Non abbiamo più tempo.”

“E allora dovremo recintarla.”

“No. Per le sculture, Kristen vuole una completa immersione tattile.”

“A dimenticavo… I visitatori devono potere interagire con l’opera! La grande artista vuole che la tocchino, la vivano, la respirino e che… ci si prendano perfino il tetano se necessario!” Colpì dissacrante.

“Giovanna!”

“Scusami Michiru, ma sono tre volte che spostiamo quella cosa. Io non ne posso più. La calibratura dei Lumen non è una cosa facile.”

“La parte delle opere pittoriche è a posto?”

“Si…”

“E allora riposizioneremo tutte le luci della sala.”

“Ma ci vorranno ore! Non faremmo prima a chiedere alla Kocc di circoscrivere la scultura. Almeno per questa volta.”

“Non accetterà mai.”

“Non si è mai sentita una cosa simile!”

“Lei fa così! Cosa vuoi, darle la croce? Invece di lamentarci cerchiamo di risolvere il problema.”

L’amica non insistette. Kaiou era arrivata al limite e ormai anche la sua solita pazienta era agli sgoccioli. Un occhio sconosciuto non avrebbe notato la differenza, ma Giovanna Aulis aveva ormai imparato da tempo a riconoscere nell’altra i segni dell’insofferenza. Le risposte che dava, troppo acide, gli sguardi che lanciava, troppo taglienti, i gesti che compiva, troppo scattosi, erano tutti inequivocabili segni di stanchezza.

Provando ad aiutarla per l’ennesima volta nell’arco di quelle settimane, Giovanna propose di lasciare tutto in mano a lei e agli elettricisti. “Perché non vai a casa? Qui ci penso io. Non c’è bisogno che rimanga anche tu.”

“Ti ringrazio, ma non riuscirei a rilassarmi comunque.”

“Fallo almeno per Haruka. Sono giorni che non state un po’ insieme.”

Michiru passò in un lampo dalla reticenza al divertimento. “Non ti ha detto niente?”

“Non la vedo da domenica scorsa e chattare non è proprio il suo forte.”

“Allora sappi che visto gli ultimi deludenti risultati avuti dalle Ducati in Superbike, la casa madre di Bologna ha incaricato lo stabilimento di Bellinzona di eseguire dei test su pista.” Rivelò tutto d’un fiato.

“Dunque mia sorella adesso è in sella.”

Si e Michiru era sempre in ansia quando la sua donna smetteva i panni dell’Ingegnere meccanico per indossare la tuta rossa di Primo pilota collaudatore. Un doppio ruolo che Haruka adorava, ma che alla compagna andava stretto.

“Tornerà a casa tardi come ha fatto ieri o forse non lo farà affatto, perciò… “ Lasciando volutamente cadere la frase scorse un gran trambusto nel corridoio ipotizzando che fosse arrivata Kristen.

“La grande artista… - Pronunciò sottovoce Giovanna che non aveva mai amato quel genere di idolatria. - Queste leccate di piedi le lascio ad altri. Mi dileguo. Allora intesi con la scultura… Se la Kocc dovesse chiederti qualcosa, va tutto bene. Ok?”

“D’accordo.”

Si salutarono e Michiru si diresse verso una delle porte che davano sul corridoio dove l’idolatria che aveva sottolineato l’amica stava in effetti venendo snocciolata da un più che lusinghiero signor Miller. Erano anni che il museo di Castel Grande non ospitava una mostra tanto quotata e anche un teutone tutto d’un pezzo come lui, aveva umanamente ceduto al prestigio che quell’evento avrebbe portato.

“Signora Kocc, è praticamente tutto pronto per domani sera.” Riuscì a catturare Michiru uscendo dalla sala.

“Grazie Direttore. Il mio promoter ha appena ritirato gli inviti dalla tipografia. Saranno tutti consegnati entro le venti di questa sera. ” Disse l’artista porgendo all’uomo un cartoncino traslucido in formato A3 ripiegato in due con sul frontespizio l’immagine di una delle opere pittoriche di punta ed all’interno l’invito che i pochi fortunati avrebbero presentato all’entrata, con data ed orari del vernissage e della cena che si sarebbe tenuta al termine della visita guidata sotto la tensostruttura montata per l’occasione nella piazza d’armi.

“Ottimo. Ottimo.” Rispose lui afferrando il cartoncino.

Voltandosi verso Michiru, Kristen fece altrettanto porgendo alla donna due inviti. “Per te ed il tuo accompagnatore.”

“Grazie, anche se non credo che il mio accompagnatore potrà essere della serata. - Sorridendo gentilmente prese gli inviti rigirandoseli fra le mani. - Sono venuti bene.”

“Mi dispiace…”

“Che siano venuti meglio delle stampe di prova?” Ci schermò su.

“Naturalmente no. - Affermò avvicinandosi un po’ all’orecchio dell’altra per non farsi sentire dal signor Miller ormai rapito dalla contemplazione del suo più grande successo. - Del fatto che verrai da sola. Avrei tanto voluto conoscere l’uomo che è riuscito ad irretire il cuore di una creatura come te.”

Michiru non aveva detto all’artista di stare con una donna, così come poco aveva sempre parlato di se nelle lunghe ore che avevano passato spalla a spalla durante quelle settimane di lavoro. Da sempre molto gelosa della sua vita privata, Kaiou aveva cercato d’istaurare quel rapporto più sul puro piano lavorativo che su quello strettamente amicale. Kristen invece, aveva fatto tutto l’opposto e libera da stereotipi colturali crollati in Svezia da decenni, si era ritrovata ad aprirsi con una perfetta sconosciuta. Così Michiru aveva saputo di lei tante cose, intime e personali, ultima e più importante di tutte, quella di avere avuto quattro anni prima un figlio da un jazzista di New Orleans; il suo piccolo Basquiat.

“Arrivata alla soglia dei cinquanta non ci speravo più ed invece ho ricevuto in dono uno splendido figlio. Quando sono in viaggio per lavoro sta con il padre, ma il resto dell’anno vive con me in una piccola villa immersa nei boschi fuori Stoccolma.” Le aveva detto un giorno facendole vedere la foto di un buffo bambino dalla carnagione scura come lo statunitense, ma dagli occhi grigi ed intensi come i suoi.

“Irretire? - Proseguì Kaiou aprendo l’invito. - Si, ad oggi è stata l’unica persona ad essere riuscita a farlo, lo riconosco.”

Kaiou si estraniò qualche secondo. Gli orari di quel sabato sera sarebbero anche potuti coincidere con gli impegni lavorativi di Haruka alla Ducati, ma c’era di mezzo una benedetta Winchester alla quale quella drogata di sport non avrebbe rinunciato tanto facilmente per vedere delle opere per lei incomprensibili e mangiare del cibo ad una tavola piena di estranei.

“E allora Kaiou-san…, ti prego.”

Stranamente incuriosita, Kristen si vide puntati contro due occhi blu particolarmente divertiti. “Proverò. E’ l’unica cosa che posso garantirti.”

“Allora ci conto. Ora vogliamo fare un giro per le sale per sincerarci che tutto sia a posto?” Propose, ma Michiru temporeggiò chiedendole di andare avanti, perché nel parlare indirettamente di Haruka l’era venuta una gran voglia di sentirla.

Così mentre Kristen, seguita dal Direttore, s’inoltrava nel ventre molle della struttura del castello, lei prese il cellulare e per avere un po’ di campo si avvicinò ad una finestra scorrendo la rubrica.

 

 

Per quel posto aveva sentimenti contrastanti; era infatti li che durante una fredda sera d’inverno aveva creduto di perdere la sua Michiru per sempre, ma era anche li che aveva incontrato sua sorella per la prima volta. Il San Giovanni non era certo la clinica di Zurigo dove ogni anno doveva recarsi per verificare lo stato del suo midollo, ma in ogni caso non le piaceva e lo stare seduta in un corridoio in attesa che un antidolorifico facesse effetto, le stava provocando la piu' classica delle nevrosi femminili.

Haruka divaricò le narici all’insofferenza guardando Stefano arrivare con una busta gialla contenente la sua radiografia.

“Eccola qua. Possiamo andare quando vuoi.” Disse lui alquanto rilassato.

“Ok.” Rispose lei sentendo improvvisamente vibrare l'I phon nella tasca della tuta.

Afferrando l’oggetto vide comparire sullo schermo l’immagine della sua donna e stringendo le labbra fece per passarlo al Capo Ingegnere Henry Smaitter seduto come lei su una delle sedie del reparto radiologia.

“E io che dovrei fare?” Chiese scavallando la gamba per sedersi più rozzamente.

“Le risponda lei. Con me sgamerebbe subito che è successo qualcosa e non voglio che si preoccupi per nulla.”

“Quante volte ti ho detto che quando fai una cazzata non sono disposto a pararti le chiappe con la tua donna?! Cento? Mille? Chiedilo a Stefano! Io non voglio saperne nulla!”

Scattando la resta verso l’amico, Haruka allungò il cellulare e lui di tutta risposta la saluto' e dopo aver mollato la busta su una seduta fece dietro front sparendo verso le scale.

“Vigliacco schifoso!” Abbaiò tornando a guardare il suo mentore con aria supplichevole.

“Capo…, per favore. Se non per me, lo faccia almeno per lei.”

Era difficile vedere in Henry Smaitter uno sguardo truce come quello che Haruka aveva ora puntato contro, ma per amore di Michiru l’uomo accettò d’imbastire quella pantomima fino a quando il cuore pavido di Tenou non fosse stato sufficientemente saldo da riuscire a confessarle tutto.

“Pronto?”

Dalla parte opposta Michiru sbatté le palpebre perplessa. “Capo Smaitter?!”

“Salve tesoro, come stai?” Troppo sbrodoloso ricevette dalla bionda una leggera gomitata sulla spalla.

“Senti, se non ti sta bene cavatela da sola. Intesi?!” Minacciò lui coprendo il microfono con una delle sue enormi mani callose.

“Non la chiami tesoro. Sia più naturale. E’ troppo impostato…. Michiru ha le antenne per le balle.”

Ispirando un copioso sorso d’aria lui tornò a schiacciarsi il cellulare sull’orecchio destro iniziando a rodersi incontrollatamente le labbra mentre dalla parte opposta la donna gli chiedeva dove fosse Haruka.

“E’ ancora in pista.”

“Ma è quasi buio!” Replicò lei con una leggera punta d’ancia nella voce tanto che l’uomo, richiamando tutti, ma proprio tutti i Santi del Paradiso, rese la voce ancora più calda e vellutata.

“Intendevo dire che non ha ancora finito. E’ sotto la doccia. Lo sai meglio di me quanto rimane impresentabile dopo un pomeriggio di prove su pista, no? Tutta sudata, puzzolente…”

Un gesto di stizza della bionda e lui si sentì in qualche modo ripagato.

“Capo… Va tutto bene?”

“Certo!”

Non del tutto convinta, ma altrettanto deconcentrata, Kaiou arrivò subito al punto chiedendo all’uomo la cortesia di riferire ad Haruka di non aspettarla sveglia, perché avrebbe fatto tardi.

“Certamente! Nulla d’importante spero.”

“O no, solo un problema d’illuminazione.”

“Allora va bene. Appena possibile verrò a vedere la tua mostra.”

“La ringrazio, ma si ricordi che l’artista non sono io.” Disse ridendo.

“E’ un peccato! Con tutti i bei quadri che dipingi…”

“Troppo buono. Allora, a presto.”

“A presto Michiru. Buon lavoro. - E chiuse la conversazione ripassando l’I phone ad Haruka. - Non mi piace affatto mentire a quella perla di ragazza!”

“Neanche a me, glielo assicuro, ma… - alzandosi faticosamente dalla sedia fece qualche passo zoppicando vistosamente. - … preferisco raccontarle tutto a quattr’occhi.”

“Di cosa? Di quanto sei stata poco furba ad andare lunga in curva grattugiandoti la tuta fino alla pelle o che per qualche settimana camminerai come Quasimodo e le prove su pista dovrai lasciarle ad altri?”

“Non mi ci faccia pensare.” Mugugnò massaggiandosi l’anca.

“Non vuoi sapere cosa la tua donna mi ha chiesto di dirti?”

“Che farà tardi anche oggi?!”

“Che farà tardi anche oggi per un problema alle luci, perciò non aspettarla alzata.”

“Ora come ora non potrei neanche se volessi.”

Dirigendosi a passo lento verso l’uscita del Pronto Soccorso, Henry le poso' paternamente una mano sulla spalla chiedendole se tra loro due andasse tutto bene, ma alzando le spalle la bionda non rispose. Certo che andava tutto bene! Erano altre le prove che in passato lei e Michiru erano state chiamate dal destino ad affrontare. Il periodaccio che stavano passando sarebbe finito presto e loro avrebbero ritrovato quell’unità di coppia che da sempre le faceva sentire come una cosa sola. Haruka n’era sicura.

“L’hai presa la radiografia?” Chiese l’uomo vedendosela sventolare davanti.

“Vuoi che ti accompagni a casa?”

“No. Penso di potercela fare da sola.”

“Domani prenditi una pausa, stattene a riposo. Niente scappatelle all’officina Astorri per rimirare la vostra Winchester. Ci vediamo lunedì. E se hai qualche dolore, chiama.”

Haruka grugnì, ma non confermò assolutamente nulla.

“Tenou!”

“Ok, ok, Capo. A lunedì.”

Improvvisamente scontrosa per il tardivo effetto dell’anti dolorifico, Haruka s’incupì talmente tanto che neanche lo ringraziò a dovere per essersi preso cura di lei. Il primo ad accorrere al suo fianco dopo essere riuscita a rialzare la moto e a guidarla fino al box, il primo a costringerla ad andare precauzionalmente al Pronto Soccorso e il primo a starle sempre accanto, come un padre.

Salita sulla sua Mazda ed allacciatasi la cintura, Haruka si prese qualche istante e posando la fronte sul volante cercò di richiamare a se un po’ di quell’adrenalina che l’aveva sorretta fino all’entrata al San Giovanni.

 

 

Quel sabato mattina Michiru si prese un po’ di tempo per se, rimanendo avvolta nelle coperte tra il sonno e la veglia. Aveva rincasato tardi e ancora abbastanza agitata per l’apertura della mostra, era riuscita a chiudere gli occhi praticamente all’alba. In più Haruka si era stranamente mossa più del solito svegliandola ad ogni inizio di fase Rem. Così le lancette segnarono le nove e mezza prima che si decidesse ad alzarsi e far capolino dalla camera da letto.

“Buongiorno amore.” Se ne uscì Haruka intenta a preparare la penisola per la prima colazione.

“A te. - Rispose gettando uno sguardo al grande orologio stile stazione appeso sul pilastro accanto al piano di granito. - Credevo fosse più tardi.”

“Hai fame?”

“Si. Com’è andata in pista ieri?”

“E a te con le luci? Il Capo Smaitter mi ha riferito il tuo messaggio.” Cercò di svicolare sentendosi afferrata per le spalle.

Michiru era calda ed invitante come sempre e la rotondità del suo petto la fece voltare per strapparle il primo bacio del giorno.

“Bene. Siamo riusciti a chiudere tutto in tempo per questa sera. A proposito, li hai visti i due inviti che ho lasciato sul tavolo?”

Spostando leggermente il viso in direzione del fondo della sala da pranzo, Michiru indicò con il mento i due cartoncini ripiegati che solo in quel momento la bionda notò.

“Non ci avevo fatto caso.”

“Gentilmente offerti dall’artista.”

“Dopo tutto il mazzo che ti sei fatta era il minimo.”

“O su, non essere acida. Dimmi…, mi ci accompagneresti?” Chiese languida stringendosi al suo collo.

“Al vernissage?”

“E’ alle sette. Visita e cena.” Annunciò quasi stentorea dimezzando però subito l’entusiasmo ad un primo, sonoro sospiro dell'altra.

“Che c’è?! Non vorrai mica farmi andare da sola!?”

“Michi… non è questo.”

“E allora? Se si tratta della motoretta che state restaurando, ti lascio tutta la giornata libera, ma almeno questa sera me la devi concedere!”

Un secondo sospiro e Michiru si staccò definitivamente dal suo collo per arretrare fino al piano della penisola. Tirando via il latte dalla piastra elettrica, Haruka sospirò una terza ed ultima volta per poi iniziare ad accarezzarle la treccia che in genere usava per legarsi i capelli per la notte.

“Vorrei. Il cielo mi è testimone quanto vorrei. E’ da una vita che non passiamo una serata fuori, che non ti vedo cinta da un abito da sera, ma vedi… non credo proprio di poterti fare da cavaliere e non è colpa del lavoro o della Winchester. O meglio, del lavoro si, ma non direttamente.”

Aggrottando le sopracciglia la compagna attese il seguito scoprendo dove la bionda volesse andare a parare.

“Ieri pomeriggio sono caduta. Una sciocchezza! Inizialmente avevo l’adrenalina talmente a palla che non ho provato neanche dolore. O ritirato su la moto, mandato qualche sfondone e risalita in sella sono rientrata al box. Ma poi mi hanno fatto notare com’era ridotta la mia tuta e allora ho capito. Ho strusciato la gamba destra sull’asfalto per diversi metri e adesso ho un grosso ematoma che mi copre praticamente tutta la coscia.”

Le pupille di Michiru iniziarono a dilatarsi tanto che Haruka provò a riderci su. E fece peggio.

“Adesso abbiamo capito perché in Superbike facciamo tanto schifo. Dovevo immolarmi io. Ma almeno ora conosciamo il problema che ci sta impedendo di essere competitivi.”

Un paio di secondi e di tutta risposta l’altra iniziò ad armeggiare con i laccetti della tuta da casa che la bionda portava su.

Sbilanciandosi all’indietro Tenou puntò i gomiti al piano del lavandino smorfiando la bocca. “Ma che stai facendo?!”

“Sta zitta! Puoi camminare?” Ed inginocchiandosi tirò i pantaloni verso il basso lasciando la compagna in intimo.

“Hei! Di solito sono io che faccio queste cose!” Disse venendo letteralmente fulminata da uno degli sguardi più glaciali che le avesse mai visto.

“Ancora parli?! Ma guarda qui come ti sei ridotta!”

La pelle di Haruka aveva preso in brevissimo tempo tutte le sfumature plumbee possibili; dal grigio scuro al nero, passando per il color vinaccia e arrivando artatamente al blu scuro. E in fondo, sulla parte finale della coscia, proprio sopra al legamento esterno del ginocchio, un cerotto largo circa dodici centimetri a chiudere la cromia con un bel bianco brillante.

“Dio quanto è gonfia. Ecco perché questa notte ti agitavi tanto.” E con il pollice spinse leggermente il margine dell’ematoma provocando in Haruka un brivido di dolore.

“Si. Ho dormito di merda.” Stirando un sorriso moscio tra il desolato e il sofferente cercò comprensione, ma dalla parte opposta… nessuna pietà.

“Il cerotto sarebbe per…?”

“Lo sai già. Ho perso un po’ di pelle, tutto qui.”

“Ti fa male?”

“Pulsa un po’, ma è un dolore sopportabile.”

“Tenou, non è la prima volta che in otto anni ti vedo con una parte del corpo grattugiata a sangue da un pezzo d’asfalto!”

“E allora perché mi stai trattando come se avessi ammazzato qualcuno?”

“Perché m’imbestialisco a vederti conciata così, perché mi hai mentito e cosa ancora più grave, hai fatto mentire altri! - Tornando in piedi Michiru le incatenò contro due occhi furenti. - Cosa ci voleva a dirmi che eri caduta? Quante volte ti sono venuta a prendere al Pronto Soccorso e quante volte ti ho accompagnata a fare una radiografia o le ho ritirate io per te? Se come dici non è successo niente, questa volta che motivo c’era d’imbastire questa farsa?!”

A quella domanda Haruka sembrò contrariata, poi dispiaciuta. “Come che motivo c’era!? L’ho fatto per te. Non volevo che ti preoccupassi per nulla proprio ora che sei tanto sottopressione. Possibile che tu non lo capisca?!”

“Ti ho chiesto se puoi camminare!”

“Se così si può dire.”

“Ti hanno dato quello che devi prendere per il dolore ed il gonfiore?”

“Si.”

“Bene, allora questa volta cavatela da sola, perché come giustamente mi hai appena fatto notare sono tanto sottopressione e ho bisogno di una giornata senza pensare a nulla!”

“Che vuol dire?!” Chiese ritirandosi su i pantaloni mentre la compagna entrava di gran carriera in camera per aprire la terza anta del loro armadio.

Haruka riuscì a raggiungere la porta appena in tempo per vedere il bellissimo abito da sera blu notte preferito da Michiru disteso sul letto.

“Cosa stai facendo?!”

“Non lo vedi? Preparo il vestito che indosserò questa sera.”

“Non ti sembra un po’ prestino?” Chiese anche troppo sicura di se per ricevere di tutta risposta l’ennesima occhiataccia.

“Fai poco dello spirito! Vado nel mio studio a dipingere. Ti prego di non disturbarmi. Ora non voglio parlarti, non voglio cercare di capirti e soprattutto, ho bisogno di calmarmi.”

Haruka era allibita. Non volendo aveva provocato un maremoto di proporzioni assurde e ora si ritrovava a non sapere affatto come gestire la cosa. Aveva cercato di agire per il meglio e il risultato era stato tutto l’opposto. Era come se non riuscisse più a capire la compagna e questa consapevolezza, piombatale improvvisamente addosso come una mannaia, le fece fischiare le orecchie tanto che dovette appoggiarsi un attimo allo stipite della porta.

“Ma… Stai dicendo sul serio?”

Passandole accanto carica di abito ed accessori, l’altra la guardò un’ultima volta. “Ti sembra che stia bleffando?!” Tagliò corto sparendo poi dietro la porta del suo studio.

Per il resto della giornata vissero da separate in casa.

 

 

Haruka cercò una qualche sorta di decompressione rintanando sotto l’acqua della doccia le parti del corpo che poteva bagnarsi, ma non servì. Distendendosi sul letto per spalmarsi la pomata al cortisone prescrittale, ascoltò i movimenti della compagna nell’altro bagno, quello padronale che di norma usava solo Michiru, per poi vederla attraverso l’anta semi chiusa della loro camera da letto andare a prendersi qualcosa da mangiare in cucina per poi sparire nuovamente dietro una maledetta porta chiusa.

S’imbestialì per questo e la rabbia montò ancora al solo pensiero di essere stata fraintesa, per poi sgonfiarsi così com’era apparsa e far posto ad una desolante depressione. Verso le due del pomeriggio la bionda si attaccò al cellulare vogliosa di una voce amica, ovvero di sua sorella, ottenendo così una qualche sorta di quella comprensione che Michiru non le aveva voluto concedere. Non che al sapere della caduta in moto, Giovanna non se la prese, ma almeno si astenne dal brutalizzarle i nervi ascoltandone lo sfogo. Un’ora più tardi finalmente Tenou crollò per ridestarsi solo verso le diciotto, quando Michiru uscì nuovamente dal suo personale fortino per iniziare a truccarsi davanti al grande specchio del bagno. L’ascoltò chiamare un taxi verso le diciotto e mezza ed uscire di casa cinque minuti dopo, una volta infilati i tacchi, guanti e soprabito. In quel preciso istante Haruka si sentì morire.

 

 

Alle diciannove precise la sicurezza iniziò a ritirare gli inviti aprendo le sale ad un pubblico estremamente selezionato, perché se pur abituata alla folla, Kristen Kocc non l’amava affatto. Idolatrata ed odiata per il suo scollamento tra realtà e finzione pittorica, per quell’ultima temporanea in terra elvetica l’artista richiamò a se anche i suoi colleghi, gli amici di una vita, che Haruka avrebbe giudicato come hipster senza una casa, ma che Michiru trovò invece estremamente stimolanti.

Camminando a passo lento per le sale, la Dottoressa Kaiou ascoltò con interesse crescente le spiegazioni di Kristen sulle sue scelte progettuali, sui colori usati o sui vari materiali che l’avevano particolarmente ispirata per le sculture, come gli scarti trovati sulle spiagge di mezzo mondo. E più la donna parlava e più l’altra s’infervorava. L’arte, così espressa, era talmente diversa dal restauro e ancora più lontana dai quadri che aveva sempre dipinto lei che Michiru ne stava rimanendo come abbacinata. Avulsa da Bellinzona, dalla Svizzera, ma tutta concentrata in quelle poche stanze, c’era un mondo nuovo e ricco di un caleidoscopio d’emozioni che la incuriosivano e la facevano riflettere sul perché non avesse mai intrapreso la strada della loro conoscenza.

Verso la fine della visita guidata, proprio in procinto dell’uscita verso la piazza d’armi completamente tirata a lucido per l’accoglienza dei tavoli apparecchiati per la cena, Michiru si fermò a parlare con Kristen ed un paio di suoi amici; Andrei Polarovic e Marian Sartò, il primo un pittore di Mosca e la seconda una scultrice della Provenza, quando improvvisamente e senza nessun preavviso, l’artista le si avvicinò facendole notare un curiosità.

Maliziosa fino alla sfacciataggine, sottolineò come così vestita avesse fatto colpo su un giovane uomo entrato nella sala solo un paio di minuti prima. “Kaiou-san…” Ed ammiccando puntò gli occhi alla porta.

Incorniciato dagli imbotti in marmo che con il loro chiarore sembravano voler dare ancora più risalto alla sua alta figura in smoking scuro, il nuovo invitato venne avanti con passo un po’ legato, ma sicuro e fissando apertamente Michiru sorrise mettendosi una mano in tasca. Fu allora che Kaiou si sentì colpita come da una folgore ed il suo cuore iniziò a galopparle nel petto.

   
 
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