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Autore: coopercroft    18/04/2021    0 recensioni
I Cooper sono ufficiali dell'esercito da generazioni. Edward, il primogenito, alla tragica morte dei genitori ha avuto il dovere ingrato di mantenere unita la famiglia. Comanda con autorevolezza un distaccamento militare nella periferia di Londra, dove collaborano anche i suoi fratelli.
Ma le difficoltà personali, l'incapacità di gestire i rapporti affettivi, innescano una serie d'incomprensioni che finiranno per allontanarli.
Solo l'amicizia con il nuovo medico, John Roberts, lo porterà a prendere coscienza che la famiglia Cooper ha un passato oscuro e doloroso rimasto sepolto per troppo tempo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John tornò in ufficio rasserenato, vedere i due Cooper che correvano affiatati lo fece stare meglio.

Era come una boccata d'aria. Sapeva però, che la bufera doveva ancora arrivare. Così quel dolore che si era portato dietro tutto il giorno ritornò. Aver messo Edward alle strette, gli fece male. Sentì improvvisamente il bisogno di staccare. Lasciò le cartelle sul tavolo, si strofinò gli occhi e uscì.

"Noreen mi prendo una mezzora." Lei lo scrutò attenta. Aveva l'aria stanca, la voce bassa e insicura, lui che era sempre così attento alla sua salute, la fece preoccupare.

"Tutto bene Roberts? Forse ha bisogno di riposare, sembra al limite.." Agitò la mano. "No. tranquilla, mi prendo una pausa, ma chiamami se hai bisogno."

Noreen non intervenne. Non era uno sconsiderato John, però gli ultimi avvenimenti lo avevano provato. Aveva capito che c'era qualcosa che lo turbava nella storia dei Cooper.

"Se la prenda comoda John, qui è tutto tranquillo." Annuì e se ne uscì stancamente.

Decise di andare fino alla sua stanza.

Entrò e visto il suo letto ebbe il desiderio di lasciarsi andare, ci si buttò sopra a pancia sotto. Vestito e con le scarpe, rimase immobile con la faccia affondata sul cuscino.

La maschera professionale che spesso portava cucita addosso, si sciolse. Soffocava un dolore terribile, si sentiva in colpa per avere risvegliato in Edward antichi fantasmi. Si chiese se fosse stato avventato a chiedere di quelle ferite, che i Cooper avevano rimosso.

Dio, che razza di medico poteva essere se gli aveva fatto del male. Adesso non sapeva come avrebbero reagito, né lui né Steve. Dovevano superare insieme il ricordo di quel padre autoritario e malato. Cercava un perdono per aver toccato la loro famiglia, per essersi intrufolato dentro le loro faccende. Eppure lo aveva fatto per aiutarli, per superare tutto il dolore che li divideva. Perché si meritavano la pace, tutti, compresi Ellen e Daniel, che ancora non conosceva.

Non piangeva da anni John. Da quando era morta Grace durante il parto, da quando tre giorni dopo, la loro piccola Sarah aveva seguito la mamma. Sentì il dolore salire veloce e caldo, prendergli il cuore e fermarsi nella testa per battere forte nelle tempie. Due lacrime gli scesero lente.

Ebbe un attimo di paura, perché il cuore prese a battergli forte, troppo. Si mise supino, slacciò tremando la cravatta, aprì il primo bottone della camicia. La vista si era offuscata.

Aria, aveva bisogno di aria, respirò profondamente, cercò di calmarsi. Contò mentalmente le sue pulsazioni, ma era tranquillo, nessun dolore sospetto al braccio, nessun senso di soffocamento, non c'era niente di preoccupante, era solo stress. Tenne gli occhi chiusi, si lasciò andare. Non voleva niente e nessuno intorno, la luce era spenta, solo un po' ne filtrava dalla finestra.

Si addormentò, mentre gli danzavano in testa i ricordi e i volti dei suoi cari. In quel momento li avrebbe voluti vicini, ma erano mesi che non li sentiva. Affondò giù nel cuscino e si ritrovò nel buio più oscuro.

Edward aveva lasciato il fratello nel suo studio, e aveva subito cercato John per poter parlargli di Steve, ma non lo aveva trovato. Il cellulare era bloccato. Allora andò alla clinica e trovò Noreen. Gli disse che era uscito per prendersi una pausa.

Edward sentì un brivido percorrerlo, non era da lui assentarsi e soprattutto sapeva che si era sentito in colpa, per quello che era successo.

Pensò dove potesse essere, ma fuori non l'aveva visto, e se era stanco sarebbe andato nella sua camera, così si diresse a passo veloce, anche se le gambe lo tormentavano per la corsa che aveva fatto con suo fratello.

La porta non era chiusa a chiave, bussò, ma non ottenendo risposta entrò. Lo vide subito nella penombra, buttato scomposto nel letto, vestito con ancora la giacca, ma la camicia e la cravatta slacciata. Si precipitò subito allarmato, lo chiamò diverse volte. Lo scosse. John respirava pesantemente, il volto era sudato, e leggermente contratto.

"John, per Dio, rispondimi!" Ebbe un piccolo moto, un sussulto, aprì gli occhi cercando di connettere, di capire dove fosse.

"Edward?" Respirò piano, appena lo inquadrò e lo vide sconvolto. "Sto bene, tranquillo." Cooper aspirò una bella quantità d'aria mentre prese a sentire il suo polso. "Dio, mi hai spaventato! Sicuro di stare bene? Hai un'aria..."

"Ti assicuro che il cuore sta bene, ero molto stanco. Ma ho sete. Puoi allungarmi dell'acqua?" Lo interruppe deciso, non voleva appesantirlo con i suoi problemi. Edward andò a prendere il bicchiere posato sul comodino e lo riempì con la bottiglia dell'acqua che avevano in dotazione. John bevve avidamente e ne chiese ancora.

"Dio, ma che sete ti ritrovi? Cosa ti sta succedendo? Devo chiamare il tuo sostituto?" Lo scrutava attento, cercando di capire se fosse in pericolo.

"Ma no. Sono un po' disidratato, perché ho sudato." Gli sorrise forzato. "Non è niente ti assicuro che va tutto bene."

Edward espirò rassegnato, poi lo prese per le spalle e nonostante John avesse cominciato a protestare, lo sistemò sui cuscini. Prese a spogliarlo, tolse la giacca, e la cravatta, allentò la cintura, e sfilò le scarpe. Si accorse che portava un tutore elastico sulla caviglia destra. Rimase interdetto.

"Cosa ti è successo, John? Avevo notato che a volte zoppicavi. Pensavo fosse la stanchezza." Ora forse si spiegavano tante cose. Roberts si lasciò andare alle gentilezze di Edward. Si abbandonò nel cuscino.

"Un incidente in auto, rimasi incastrato con le gambe. Ho portato le stampelle sei mesi. Ma la destra mi dà ancora problemi."

Edward aggrottò le sopracciglia si rese conto che di lui, del suo passato non sapeva nulla. Così ne approfittò. "Eri già nell'esercito?" Lo chiese curioso, vedendolo stanco e disposto a parlare.

"No, accadde prima, non sono stato uno stinco di santo. Ero sempre ubriaco." Si stava lasciando andare forse vinto dalla stanchezza, forse consapevole che parlarne lo avrebbe aiutato, invece che nascondere un passato doloroso come aveva fatto Edward. Che si sedette nel fondo del letto vicino ai suoi piedi.

"Non fare quella faccia! Ho i miei demoni anch' io che mi perseguitano." Si alzò con la testa fissandolo brevemente per poi ricadere giù. Il volto tirato.

Gli raccontò tutto, come se dovesse liberarsi dal tormento che aveva vissuto.

Gli parlò di Grace, la ragazza dolce che aveva conosciuto all'università e che aveva sposato.

La sua carriera di medico con Neville, che lo guidava. Lui il fratello maggiore di dieci anni più vecchio era la sua guida, la sua roccia. I vecchi genitori non erano del tutto presenti, troppo anziani per occuparsi di lui e della sorella più piccola, Eugenia.

Era Neville che li sostituiva e lo aveva aiutato negli studi di medicina. Eugenia si laureò in storia dell'arte e iniziò la sua carriera a Edimburgo.

Grace rimase incinta, aspettavano il loro primo figlio. Tutto sembrava andare bene, tutto era troppo perfetto. Il destino li attendeva bastardo durante il parto. Una emorragia si portò via lei, e tre giorni dopo Sarah raggiunse la sua mamma. John si fermò con la voce rotta. Prese un respiro profondo.

"Mi dispiace." Edward gli strinse la gamba sotto la coperta. Roberts continuò la sua storia a tratti fermandosi per riprendere fiato. E sempre Ed gli mostrava il suo sostegno stringendolo forte.

Raccontò di come era caduto nella depressione quando rimase solo, disperato, perse la testa incapace di reagire. Prese a bere, nemmeno Neville riusciva a farlo rinsavire. Finché dopo averlo cacciato ubriaco da bar della zona, provocò un incidente dove quasi uccise una donna.

Quello fu l'inizio della risalita. Con l'aiuto del fratello, accettò sei mesi di terapie per la gamba, e smise di bere. Ne uscì a caro prezzo. Ma si legò troppo a Neville, doveva staccarsi da lui, da cui aveva preso a dipendere in maniera pericolosa. Decise di entrare nell'esercito, un vecchio sogno coltivato da ragazzino. Così si arruolò, lavoro su sé stesso, ma pagò tutto con una solitudine assoluta. Arrivò fino alla Cittadella, e il resto Ed lo sapeva.

John si lasciò andare sul cuscino con gli occhi chiusi. Svuotato, forse era la prima volta che raccontava la sua storia. "Vedi mio generale che nascondo anch'io i miei scheletri nell'armadio?" Respirò profondamente. Edward vide che si era calmato, si tranquillizzò. Era rimasto molto scosso, lasciò la stretta.

"Prenditi del tempo, brutto testardo di uno scozzese. Possibile che non sentissi il peso di quello che portavi dentro di te? Perché non me ne hai parlato prima?"

John riaprì gli occhi e lo guardò sorridendo. "Eravate così presi ad accapigliarvi vuoi due Cooper, che non ne ho avuto lo spazio. Dovevo sempre controllarvi." Emise un piccolo risolino. "Vi provocavate sempre."

"Vero, lo so che non siamo un bell'esempio. Però non ti devi preoccupare per me, non darti pena supererò anche questo momento." John cercò di afferrare il bicchiere e sollecito Cooper glielo allungò.

"Perché mi cercavi? Cosa è successo?" John riprese la sua solita decisa personalità.

"Steve non ha voluto spogliarsi, la doccia l'ha fatta in camera sua. Questo mi fa pensare che tu abbia ragione."

Sospirò mentre John si tirò su e si sedette meglio, mandò giù un lungo sorso d'acqua.

"Ora devo vedere come affrontarlo, perché non so come reagirà." Edward si alzò dal letto dove era rimasto seduto tutto il tempo. "Riprenditi ne riparleremo. Ora pensa a stare bene."

John annuì silenzioso. Edward gli sistemò meglio il letto. Gli portò altra acqua, controllò che avesse il cellulare vicino, si assicurò che si fosse ripreso, lo guardò attento.

"Mi dispiace per Grace e per la tua piccola Sarah. Mi dispiace di averti travolto con i miei problemi. E con la storia di Norbury. Non ti ho ascoltato abbastanza John, ma finita questa storia prometto che sarò un amico migliore." John non fece in tempo a rispondere.

"Ora riposati, e cerca di capire cosa ti è successo, sei un medico giusto? Cerca di non incolparti, per quello che ha fatto la mia famiglia." 

 Edward gli diede un colpetto gentile sul braccio e uscì.

 

 

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