John tornò in ufficio
rasserenato, vedere i due Cooper che
correvano affiatati lo fece stare meglio.
Era come una boccata d'aria.
Sapeva però, che la bufera doveva ancora arrivare.
Così quel dolore che si era
portato dietro tutto il giorno ritornò. Aver messo Edward
alle strette, gli
fece male. Sentì improvvisamente il bisogno di staccare.
Lasciò le cartelle sul
tavolo, si strofinò gli occhi e uscì.
"Noreen mi prendo una
mezzora." Lei lo scrutò attenta. Aveva l'aria stanca, la
voce bassa e
insicura, lui che era sempre così attento alla sua salute,
la fece preoccupare.
"Tutto bene Roberts? Forse ha
bisogno di riposare, sembra al limite.." Agitò la mano. "No.
tranquilla, mi prendo una pausa, ma chiamami se hai bisogno."
Noreen non intervenne. Non era uno
sconsiderato John, però gli ultimi avvenimenti lo avevano
provato. Aveva capito
che c'era qualcosa che lo turbava nella storia dei Cooper.
"Se la prenda comoda John,
qui è tutto tranquillo." Annuì e se ne
uscì stancamente.
Decise di andare fino alla sua
stanza.
Entrò e visto il suo
letto ebbe il
desiderio di lasciarsi andare, ci si buttò sopra a pancia
sotto. Vestito e con
le scarpe, rimase immobile con la faccia affondata sul cuscino.
La maschera professionale che
spesso portava cucita addosso, si sciolse. Soffocava un dolore
terribile, si
sentiva in colpa per avere risvegliato in Edward antichi fantasmi. Si
chiese se
fosse stato avventato a chiedere di quelle ferite, che i Cooper avevano
rimosso.
Dio, che razza di medico poteva
essere se gli aveva fatto del male. Adesso non sapeva come avrebbero
reagito,
né lui né Steve. Dovevano superare insieme il
ricordo di quel padre autoritario
e malato. Cercava un perdono per aver toccato la loro famiglia, per
essersi
intrufolato dentro le loro faccende. Eppure lo aveva fatto per
aiutarli, per
superare tutto il dolore che li divideva. Perché si
meritavano la pace, tutti, compresi
Ellen e Daniel, che ancora non conosceva.
Non piangeva da anni John. Da
quando era morta Grace durante il parto, da quando tre giorni dopo, la
loro
piccola Sarah aveva seguito la mamma. Sentì il dolore salire
veloce e caldo,
prendergli il cuore e fermarsi nella testa per battere forte nelle
tempie. Due
lacrime gli scesero lente.
Ebbe un attimo di paura,
perché il
cuore prese a battergli forte, troppo. Si mise supino,
slacciò tremando la
cravatta, aprì il primo bottone della camicia. La vista si
era offuscata.
Aria, aveva bisogno di aria,
respirò profondamente, cercò di calmarsi.
Contò mentalmente le sue pulsazioni,
ma era tranquillo, nessun dolore sospetto al braccio, nessun senso di
soffocamento, non c'era niente di preoccupante, era solo stress. Tenne
gli
occhi chiusi, si lasciò andare. Non voleva niente e nessuno
intorno, la luce
era spenta, solo un po' ne filtrava dalla finestra.
Si addormentò, mentre
gli
danzavano in testa i ricordi e i volti dei suoi cari. In quel momento
li
avrebbe voluti vicini, ma erano mesi che non li sentiva.
Affondò giù nel
cuscino e si ritrovò nel buio più oscuro.
Edward aveva lasciato il fratello
nel suo studio, e aveva subito cercato John per poter parlargli di
Steve, ma
non lo aveva trovato. Il cellulare era bloccato. Allora andò
alla clinica e
trovò Noreen. Gli disse che era uscito per prendersi una
pausa.
Edward sentì un brivido
percorrerlo, non era da lui assentarsi e soprattutto sapeva che si era
sentito
in colpa, per quello che era successo.
Pensò dove potesse
essere, ma
fuori non l'aveva visto, e se era stanco sarebbe andato nella sua
camera, così
si diresse a passo veloce, anche se le gambe lo tormentavano per la
corsa che
aveva fatto con suo fratello.
La porta non era chiusa a chiave,
bussò, ma non ottenendo risposta entrò. Lo vide
subito nella penombra, buttato
scomposto nel letto, vestito con ancora la giacca, ma la camicia e la
cravatta
slacciata. Si precipitò subito allarmato, lo
chiamò diverse volte. Lo scosse.
John respirava pesantemente, il volto era sudato, e leggermente
contratto.
"John, per Dio,
rispondimi!" Ebbe un piccolo moto, un sussulto, aprì gli
occhi cercando di
connettere, di capire dove fosse.
"Edward?" Respirò piano,
appena lo inquadrò e lo vide sconvolto. "Sto bene,
tranquillo."
Cooper aspirò una bella quantità d'aria mentre
prese a sentire il suo polso.
"Dio, mi hai spaventato! Sicuro di stare bene? Hai un'aria..."
"Ti assicuro che il cuore sta
bene, ero molto stanco. Ma ho sete. Puoi allungarmi dell'acqua?" Lo
interruppe deciso, non voleva appesantirlo con i suoi problemi. Edward
andò a
prendere il bicchiere posato sul comodino e lo riempì con la
bottiglia
dell'acqua che avevano in dotazione. John bevve avidamente e ne chiese
ancora.
"Dio, ma che sete ti ritrovi?
Cosa ti sta succedendo? Devo chiamare il tuo sostituto?" Lo scrutava
attento, cercando di capire se fosse in pericolo.
"Ma no. Sono un po'
disidratato, perché ho sudato." Gli sorrise forzato. "Non
è niente ti
assicuro che va tutto bene."
Edward espirò
rassegnato, poi lo
prese per le spalle e nonostante John avesse cominciato a protestare,
lo
sistemò sui cuscini. Prese a spogliarlo, tolse la giacca, e
la cravatta,
allentò la cintura, e sfilò le scarpe. Si accorse
che portava un tutore
elastico sulla caviglia destra. Rimase interdetto.
"Cosa ti è successo,
John?
Avevo notato che a volte zoppicavi. Pensavo fosse la stanchezza." Ora
forse si spiegavano tante cose. Roberts si lasciò andare
alle gentilezze di
Edward. Si abbandonò nel cuscino.
"Un incidente in auto, rimasi
incastrato con le gambe. Ho portato le stampelle sei mesi. Ma la destra
mi dà
ancora problemi."
Edward aggrottò le
sopracciglia si
rese conto che di lui, del suo passato non sapeva nulla.
Così ne approfittò.
"Eri già nell'esercito?" Lo chiese curioso, vedendolo stanco
e
disposto a parlare.
"No, accadde prima, non sono
stato uno stinco di santo. Ero sempre ubriaco." Si stava lasciando
andare
forse vinto dalla stanchezza, forse consapevole che parlarne lo avrebbe
aiutato, invece che nascondere un passato doloroso come aveva fatto
Edward. Che
si sedette nel fondo del letto vicino ai suoi piedi.
"Non fare quella faccia! Ho i
miei demoni anch' io che mi perseguitano." Si alzò con la
testa fissandolo
brevemente per poi ricadere giù. Il volto tirato.
Gli raccontò tutto, come
se
dovesse liberarsi dal tormento che aveva vissuto.
Gli parlò di Grace, la
ragazza
dolce che aveva conosciuto all'università e che aveva
sposato.
La sua carriera di medico con
Neville, che lo guidava. Lui il fratello maggiore di dieci anni
più vecchio era
la sua guida, la sua roccia. I vecchi genitori non erano del tutto
presenti,
troppo anziani per occuparsi di lui e della sorella più
piccola, Eugenia.
Era Neville che li sostituiva e lo
aveva aiutato negli studi di medicina. Eugenia si laureò in
storia dell'arte e
iniziò la sua carriera a Edimburgo.
Grace rimase incinta, aspettavano
il loro primo figlio. Tutto sembrava andare bene, tutto era troppo
perfetto. Il
destino li attendeva bastardo durante il parto. Una emorragia si
portò via lei,
e tre giorni dopo Sarah raggiunse la sua mamma. John si
fermò con la voce
rotta. Prese un respiro profondo.
"Mi dispiace." Edward
gli strinse la gamba sotto la coperta. Roberts continuò la
sua storia a tratti
fermandosi per riprendere fiato. E sempre Ed gli mostrava il suo
sostegno
stringendolo forte.
Raccontò di come era
caduto nella
depressione quando rimase solo, disperato, perse la testa incapace di
reagire.
Prese a bere, nemmeno Neville riusciva a farlo rinsavire.
Finché dopo averlo
cacciato ubriaco da bar della zona, provocò un incidente
dove quasi uccise una
donna.
Quello fu l'inizio della risalita.
Con l'aiuto del fratello, accettò sei mesi di terapie per la
gamba, e smise di
bere. Ne uscì a caro prezzo. Ma si legò troppo a
Neville, doveva staccarsi da
lui, da cui aveva preso a dipendere in maniera pericolosa. Decise di
entrare
nell'esercito, un vecchio sogno coltivato da ragazzino. Così
si arruolò, lavoro
su sé stesso, ma pagò tutto con una solitudine
assoluta. Arrivò fino alla
Cittadella, e il resto Ed lo sapeva.
John si lasciò andare
sul cuscino
con gli occhi chiusi. Svuotato, forse era la prima volta che raccontava
la sua
storia. "Vedi mio generale che nascondo anch'io i miei scheletri
nell'armadio?" Respirò profondamente. Edward vide che si era
calmato, si
tranquillizzò. Era rimasto molto scosso, lasciò
la stretta.
"Prenditi del tempo, brutto
testardo di uno scozzese. Possibile che non sentissi il peso di quello
che
portavi dentro di te? Perché non me ne hai parlato prima?"
John riaprì gli occhi e
lo guardò
sorridendo. "Eravate così presi ad accapigliarvi vuoi due
Cooper, che non
ne ho avuto lo spazio. Dovevo sempre controllarvi." Emise un piccolo
risolino. "Vi provocavate sempre."
"Vero, lo so che non siamo un
bell'esempio. Però non ti devi preoccupare per me, non darti
pena supererò anche
questo momento." John cercò di afferrare il bicchiere e
sollecito Cooper
glielo allungò.
"Perché mi cercavi? Cosa
è
successo?" John riprese la sua solita decisa personalità.
"Steve non ha voluto
spogliarsi, la doccia l'ha fatta in camera sua. Questo mi fa pensare
che tu
abbia ragione."
Sospirò mentre John si
tirò su e
si sedette meglio, mandò giù un lungo sorso
d'acqua.
"Ora devo vedere come
affrontarlo, perché non so come reagirà." Edward
si alzò dal letto dove
era rimasto seduto tutto il tempo. "Riprenditi ne riparleremo. Ora
pensa a
stare bene."
John annuì silenzioso.
Edward gli
sistemò meglio il letto. Gli portò altra acqua,
controllò che avesse il
cellulare vicino, si assicurò che si fosse ripreso, lo
guardò attento.
"Mi dispiace per Grace e per
la tua piccola Sarah. Mi dispiace di averti travolto con i miei
problemi. E con
la storia di Norbury. Non ti ho ascoltato abbastanza John, ma finita
questa
storia prometto che sarò un amico migliore." John non fece
in tempo a
rispondere.
"Ora riposati, e cerca di
capire cosa ti è successo, sei un medico giusto? Cerca di
non incolparti, per
quello che ha fatto la mia famiglia."
Edward gli diede un
colpetto
gentile sul braccio e uscì.
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