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Autore: trollpazzo    19/04/2021    2 recensioni
Si può davvero scappare dal passato?
Aurora se non altro ce l’ha messa tutta. Dopo la guerra, ha lasciato Hogwarts ed è volata negli Stati Uniti, cercando di cancellare ogni traccia di sé. Ma i suoi segreti hanno radici troppo profonde per riuscire davvero a liberarsene. Come una gabbia, non la lasceranno mai davvero andare…
Quando viene cacciata dall’FBI e torna in Inghilterra, quello che la attende è un puzzle sanguinoso. Qualcuno sta assottigliando il confine tra il mondo della magia e il mondo dei babbani. E Aurora ha la brutta sensazione di sapere perfettamente chi sia il colpevole…
Ma non è così sola come ha sempre pensato.
Un ex Auror e poliziotto babbano che si è autoproclamato suo padre molti anni prima. Una legilimens naturale che passa ogni giorno cercando di non impazzire. Un disastro umano che cerca sempre di far sorridere gli altri. Un Harry Potter che non riesce a trovare pace dopo la guerra. I Sandman, una squadra speciale che agisce nel sottile confine tra la magia e il mondo babbano, forse sono la sua unica speranza per indagare senza finire trascinata nell’oscurità dai fantasmi del suo passato.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo Tre



(trigger warning: nell’incubo di Aurora compare una delle vittime del padre che cerca aiuto. Se la cosa potrebbe disturbarvi, saltate la parte in corsivo e riprendete da quando Aurora si sveglia!)



Quando, la mattina dopo, Harry arrivò al distretto, sembrava distrutto.

- Woah, Potter! – Jonah alzò la testa dalla scrivania su cui si era accasciato. – Ti ha investito un camion? –

Harry gli lanciò un’occhiataccia, buttò la sua borsa sulla sua scrivania e si passò una mano fra i capelli. Il suo gesto nervoso per eccellenza.

Diana gli si avvicinò silenziosamente. – E’ andata così male? – chiese.

No, non era andata così male. Ginny lo aveva ascoltato spiegare del ritorno di Aurora senza alcuna reazione, poi era uscita in terrazzo ed era rimasta a fissare il traffico di Londra per due ore. Harry le aveva portato una coperta, latte caldo, la sdraio blu che adorava con il loro cuscino più soffice… Ginny non aveva dato segno di averlo visto né sentito. Lui aveva fatto del suo meglio per starle vicino: si era seduto accanto a lei, le aveva tenuto la mano accarezzandola nel tentativo di rassicurarla. Alle due del mattino, Ginny aveva finalmente parlato.

- Sai da quanto tempo è tornata a Londra? –

- Non deve essere più di qualche giorno, - rispose Harry. – Sam le avrebbe chiesto aiuto prima se fosse stata nelle vicinanze –

Ginny annuì, poi si bloccò ancora per qualche minuto. Quando parlò di nuovo, aveva quella voce, quella sottile e leggermente tremante, quella che solo le persone più vicino a lei avevano mai sentito… - Pensi che mi odi? –

A quelle parole, Harry la attirò a sé e la strinse in un abbraccio. – No, certo che no, - sussurrò.

- L’ho lasciata, Harry, - disse Ginny. – Lei aveva bisogno di me, lo sapevo, ma… ma l’ho lasciata e poi è sparita… -

- Avevi solo sedici anni, - affermò Harry. – Ed eravamo in mezzo ad una guerra. Abbiamo compiuto molti errori, ma non devi torturarti così –

E finalmente Ginny si era lasciata andare. Aveva singhiozzato sulla sua spalla per almeno un’ora, ma Harry non si era mosso, continuando a tenerla stretta.

Quando il suo respiro si era stabilizzato, sembrava stanca morta. Harry la aiutò ad alzarsi e la portò fino alla camera da letto. Ginny si accoccolò su di lui, come faceva sempre quando uno dei due aveva incubi e aveva bisogno di sentirsi radicato alla realtà.

Harry le sussurrò le parole che ormai erano diventate il loro rituale. Le parole che si sussurravano nelle notti più buie. Le parole che avevano cominciato a scambiarsi durante l’ultimo anno della guerra, e tutti gli anni a seguire.

- Andrà tutto bene, e se non andrà tutto bene, lo affronteremo insieme –

Tornò alla realtà quando sentì qualcuno che gli stringeva la spalla, rassicurante: Diana.

- Se avete bisogno di qualcosa, non fate gli stupidi e fatemelo sapere, - disse. Harry le sorrise e annuì.

- Ehi! – esclamò Jonah. – Non è giusto! Mi sento escluso, qui! Non sono un legilimens! Devi dirmi tu cosa è successo! –

Diana alzò gli occhi al cielo e tornò alla sua scrivania, Harry sbuffò e si rivolse ai file sullo Scienziato che non aveva fatto in tempo a studiare la notte prima.

- Siete dei pessimi amici, - affermò Jonah. – Mi troverò un nuovo migliore amico, Potter! Uno che non mi tradisca in questi modi vergognosi! –



Sirene fuori dalla finestra, poliziotti che camminano per casa, sua madre che chiede spiegazioni, la voce sempre più fuori controllo. Ma non riesce a prestare attenzione a niente di tutto questo, gli occhi che vagano senza meta per il corridoio.

- Aurora, - la chiama la voce di qualcuno che credeva di conoscere. – Aurora, guardami, va bene? -. Spostò gli occhi su suo padre. Suo padre con il maglione blu scuro che profumava di menta e tè. Il maglione su cui lei amava accoccolarsi, la sera, quando suo padre le insegnava qualche aneddoto di medicina, sorridendo, guardandola come fosse la cosa più importante del mondo.

Come la stava guardando adesso.

- Voglio che ti ricordi qualcosa, Aurora, puoi farlo? – le sorrise, rassicurante come sempre.


Lamenti. Una ragazza che si trascinava sul pavimento sporco del seminterrato.

- Ricordati che ti voglio bene -. Suo padre davanti a lei, calmo, caloroso. – Non sono arrabbiato, e ti vorrò sempre bene… Perché sei mia figlia, e sei esattamente come me -. Il sorriso si trasformò in qualcosa di inquietante, ossessivo, sbagliato.

La ragazza ansimava. Tese una mano verso di lei. Aiutami, cercava di dire. Aiutami. Ma Aurora era congelata. Provò a respirare, ma scoprì di non riuscirci. Tutto quello che riuscì a fare fu gridare: un urlo spezzato, terrorizzato, perso.

- Non ti lascerò mai davvero, - la voce di suo padre rimbombava nel buio. – Siamo uguali! –

Aurora gridò e si sedette così di scatto che la sedia su cui si era addormentata si ribaltò. Cadde a terra sbattendo la testa. Rotolò sul pavimento, guardandosi intorno spasmodicamente.

Cinque cose che puoi vedere.

Il pavimento di legno. Il tappeto marrone scuro. L’angolo cucina dalla parte opposta della casa. Le scale che salivano a sinistra della sala. Il letto alle sue spalle, di fronte alla scrivania piena di file sullo Scienziato.

Quattro cose che puoi sentire.

Il traffico mattutino fuori dalla finestra accanto al letto. Il ronzio del suo telefono sulla scrivania. I passi dei suoi vicini del piano di sopra.

Tre cose che puoi annusare

Il profumo del caffè che impregnava sempre casa sua. Il lieve odore di fumo proveniente dal caminetto dell’area relax. Il vago sentore di whisky lasciato la sera prima da sua madre.

Due cose che puoi toccare

Il tappeto soffice sotto le dita. Il legno della sedia da cui era caduta.

Respira.

Era a casa. Era al sicuro. Stava bene. Era stato solo l’ennesimo incubo. Era al sicuro

Con un sospiro, si rialzò da terra, massaggiandosi la testa dolorante e cercando di ignorare il nuovo torcicollo. Apparentemente, addormentarsi sulla scrivania non era stata una buona idea.

Prese la bacchetta che aveva lasciato vicino ai file e con un paio di movimenti rapidi fece partire la musica e accese la macchinetta del caffè. Sulle note di I Feel Good, andò in bagno a lavarsi il viso (ergo, gettarsi acqua gelida in faccia). Uscì e ingurgitò le disgustose pozioni del mattino, recuperando il foglietto con la sua affermazione positiva del giorno: Elevo me stessa e la mia vita giorno per giorno.

Lo ripeté un paio di volte, cercando suonare convincente, invece di sentirsi ridicola. Poi cominciò i suoi esercizi mattutini. L’attività fisica rilascia endorfine, e unita a un bel po’ di effetto placebo, per quando il secondo caffè sarebbe stato pronto si sarebbe sentita un po’ meno uno schifo. Probabilmente.

(Ci vollero una doccia, cinque caffè e mezz’ora di camminata per riuscire a sentirsi di nuovo vagamente umana.)

La passeggiata mattutina per arrivare al distretto di Sam era stata piacevole, ma era felice di essere finalmente arrivata: troppo tempo da sola con i suoi pensieri non era mai una buona idea. Aveva bisogno di qualcosa per impegnare il cervello e distrarsi.

Salì le scale grigie e spinse le porte a vetri. La sala d’attesa la investì subito con il suo odore preferito: caffè. Sorrise, guardandosi intorno: sala ampia, poltroncine rosse, varie macchinette del caffè sul tavolo addossato alla parete, e una scrivania dietro cui c’era quella che doveva essere la segretaria: ricci biondi, occhi vivaci, pelle così pallida che sembrava non vedere la luce del sole da decenni.

- Buongiorno, - la salutò Aurora.

- Devi essere Reckless! – la donna la accolse con un sorriso. – Io sono Melissa. Benvenuta in squadra! Adesso dammi il telefono, devo modificarlo e ci vorrà qualche ora –

- Modificarlo? –

- Perché sia utilizzabile in ambienti magici, ovviamente, - la donna sembrava impaziente. – Forza, non ho tutto il giorno! –

- Certo, sì, - Aurora si avvicinò alla scrivania e le consegnò il cellulare. – E… ehm… può ignorare qualunque chiamata arrivi –

Melissa prese il telefono e vide la notifica delle 17 chiamate perse di sua madre. – Nessun problema, cara, - affermò con un sorriso rassicurante. – Adesso vai, il capo è arrivato circa un’ora fa –

Con un cenno di ringraziamento, Aurora attraversò la sala d’attesa e aprì la porta che dava sul distretto vero e proprio. Subito il formicolio della magia la investì. Sorrise: le era mancato; erano anni che non si trovava in un luogo magico. Dai tempi di Hogwarts, in effetti. Sua madre aveva smesso di usare la magia ormai da vent’anni, da quando…

Comunque, le piaceva quella sensazione. Era quasi rassicurante.

Non appena si chiuse la porta alle spalle, Harry, Diana e Jonah si voltarono verso di lei.

- Buongiorno, - Aurora abbozzò un sorriso. Odiava stare così al centro dell’attenzione… Giocherellò con il quinto bicchiere di caffè per distrarsi.

- Eccola! – esclamò Jonah. – Ho deciso: è lei la mia nuova migliore amica! Capito, Potter? Sei caduto al secondo posto, e Diana è stata completamente esclusa! -

Aurora sbatté le palpebre un paio di volte. – La tua nuova… -

- Migliore amica, - confermò Jonah. – Potter e De la Rose continuano a tradirmi, adesso è il mio turno! -

- Capisco… - disse Aurora, non essendo lontanamente vicina a capire.

- Ignoralo, - disse Diana, seduta sulla sua scrivania mentre controllava quanto fosse affilata la lama della sua… ascia?! – Dopo un po’ le sue parole diventano solo un brusio indistinto –

- Ehi! –

Ma tutti ignorarono le proteste di Jonah, che scosse la testa borbottando qualcosa che assomigliava molto a “traditori”…

- Quella è un’ascia? – chiese Aurora, avvicinandosi ad una delle due scrivanie vuote.

- Ovviamente, - rispose Diana.

- Porti sempre un’ascia con te? –

- Quale donna gira senza un’ascia? – fu la risposta.

Aurora annuì, chiedendosi quando fosse diventata la persona meno strana nella stanza. Un bel cambiamento, per una volta, ma non si sarebbe avvicinata presto a Diana e alla sua ascia prima di sapere con esattezza quali altre armi nascondeva sotto la sua giacca di pelle.

Si sedette alla scrivania e sfruttò il tempo per ammirare il distretto: spazioso, luminoso ma ancora in grado di trasmettere l’atmosfera di mistero e magia che Aurora aveva sempre provato ad Hogwarts. Doveva fare i complimenti a Sam, aveva davvero fatto un ottimo lavoro.

Quasi l’avesse chiamato, Sam aprì la porta del suo ufficio. – Reckless! Eccoti! –

Aurora agitò il bicchiere ormai mezzo vuoto in segno di saluto. Dopo un’occhiata più attenta, l’espressione di Sam si fece accigliata.

- Hai dormito? –

- Tre ore piene, durante il volo dagli Stati Uniti, - fu la risposta, solo vagamente sarcastica. – Quindi sì, sono a posto –

Sam aveva tutta l’aria di pensare il contrario, ma strinse le labbra e lasciò cadere l’argomento. Per ora.

- Tutti in sala briefing, - ordinò. – Arriverò tra un minuto; Reckless, nel mio ufficio -

Aurora per un attimo si sentì di nuovo come una bambina colta a mangiare cioccolato alle tre del mattino.

(In sua difesa, il cioccolato fa rilasciare al cervello dopamina e serotonina, e la piccola Aurora ne aveva davvero bisogno dopo l’arresto del padre. In realtà, anche l’Aurora adulta ne aveva ancora bisogno. Solo che adesso non c’era più nessuno a fermarla, quando si alzava di notte per frugare nella dispensa)

Scrollando le spalle, entrò nell’ufficio di Sam.

- Sono abbastanza sicura di essere innocente di qualunque cosa mi stai per accusare, - esordì.

Sam sbuffò. – Questa volta non sei stata tu a sbagliare… -

Aurora aggrottò le sopracciglia: Sam evitava il suo sguardo diretto, e le sue sopracciglia erano tese, e muoveva le dita delle mani con un leggero tic nervoso…

- Perché ti senti in colpa? – chiese. – Cos’è successo? –

- Diana è una legilimens naturale, - Sam sputò il rospo. – Ieri ha sentito i tuoi pensieri -. Finalmente la guardò. - Quelli su tuo padre –

- Ha sentito…? –

Sam annuì con un sospiro.

- Perché non me l’hai detto in anticipo?! - Aurora fece del suo meglio per mantenere la voce bassa. – Mi sarei preparata! –

- Lo so, mi dispiace, - disse Sam. – Non sapevo che questo killer stesse imitando tuo padre, e a Diana non piace che si sappia in giro del fatto che è una legilimens naturale, non pensavo che… - la voce gli si spense. Sospirò di nuovo. – Mi dispiace davvero, ragazzina. Quello che posso dirti è che Diana non rivelerà a nessuno il tuo segreto, e che non è il tipo di persona che giudica a causa di chi è la tua famiglia -

Aurora si massaggiò la fronte, cercando di scacciare il mal di testa che sentiva crescere alle tempie. – Capisco, - disse. – Davvero. Non mi piace affatto… ma capisco che non volevi tradire il suo segreto. Sarebbe potuta andare peggio, in fondo, sembra un tipo a posto, - Aurora abbozzò un sorriso. – Adesso andiamo al briefing, abbiamo un serial killer da prendere –



Sam la precedette fuori dall’ufficio e si diresse subito alla porta che dava sulla sala d’attesa.

- Pensavo stessimo andando alla sala briefing? – disse Aurora.

Sam le sorrise come a dire “Sta a vedere”.

Richiuse la porta dietro di loro, si voltò verso la sala d’attesa e schioccò le dita un paio di volte, poi si voltò di nuovo e aprì la porta. Il distretto dall’altra parte era completamente cambiato: un piccolo corridoio centrale, una sala a destra per i file e le prove dei casi e la sala briefing a sinistra.

- Va bene, vecchio, - Aurora non riuscì a trattenere il sorriso. – Questa volta mi hai sorpreso –

- Io? Ho sorpreso la profiler “so-tutto-di-te-in-dieci-secondi?” – Sam non perse occasione per prenderla in giro. Poi si lanciò nelle spiegazioni: – La porta riconosce solo l’aura magica degli agenti Sandman, così se qualcuno volesse rubarci le prove o interferire con il caso, e per qualche incredibile ragione riuscisse a superare le protezioni del distretto, non potrebbe comunque ad accedere a questa parte –

Geniale, pensò Aurora. Ma non lo disse ad alta voce: Sam era già troppo soddisfatto di sé, a giudicare dal suo sorriso.

Senza perdere più tempo, entrarono nella sala briefing.

Tendine nere alle finestre, un tavolo al centro, una lavagna per le prove accanto alla porta. Abbastanza spaziosa, ma non in modo esagerato. Qualche fiamma magica svolazzava, rallegrando l’ambiente.

Harry, Jonah e Diana avevano già sistemato le prove alla lavagna e si erano seduti.

- Cosa sappiamo? – chiese Sam chiudendosi la porta alle spalle. Aurora si sedette davanti alla lavagna.

- Questo killer ha già ucciso sei persone, - Harry cominciò a parlare. – Uccide da tempo, sta imitando lo Scienziato utilizzando la pozione Il Fantasma

- Altro? – chiese Sam.

- Le sue vittime sono tutte Babbani, presentano lesioni da difesa e i corpi sono stati trovati in zone differenti della città –

- Non lascia indizi dietro di sé, - continuò Jonah. – Non sono state rivelate impronte digitali dalla polizia babbana, né tracce di magia sul luogo del ritrovamento –

- Tutto giusto, - Aurora annuì. – Ho un profilo preliminare, - disse poi, alzandosi per posizionarsi davanti la lavagna. – Questo killer uccide da molto, ma il tempo tra i vari omicidi si accorcia sempre di più. Secondo l’esame del medico legale, la prima vittima risale ad un anno fa, la seconda sei mesi fa, la terza due mesi fa, la quarta un mese fa… E così via. Le vittime sono state probabilmente uccise da qualche altra parte e poi scaricate in diverse parti della città: vivevano in zone vicine ma sono state ritrovate ad angoli opposti di Londra. Probabilmente il killer cercava di rendersi irrintracciabile. Ci sono tracce degli stessi pneumatici nelle zone di ritrovamento, perciò il killer ha un’auto ed è così che sposta le vittime. Tutto in lui dimostra che è molto organizzato, gli omicidi erano premeditati e studiati nei minimi dettagli, ma andando avanti nel tempo ha trovato sempre più difficile aspettare tra un omicidio e l’altro: uccidere è diventato inebriante, soddisfava il suo bisogno di controllo, lo faceva sentire potente. Il fatto che uccida usando una pozione fa pensare che non sia in grado fisicamente di sopraffare le sue vittime. La pozione le paralizza e le uccide rapidamente, ma in modo estremamente doloroso. Questo livello di organizzazione ed efficienza, unito al fatto che ha scelto una pozione incredibilmente dolorosa, fa pensare ad una vendetta personale, perciò dobbiamo capire chi possa avercela con le vittime. La buona notizia è che ieri il nostro killer ha commesso un errore: ha ucciso qualcuno che non aveva intenzione di ferire, e questo va contro i suoi piani. Avendo organizzato tutto il resto degli omicidi in modo molto accurato, adesso è in un momento di crisi, sarà meno concentrato e possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio, ma dobbiamo anche sbrigarci a prenderlo prima che la crisi passi e lui evolva, diventando un killer ancora più pericoloso. Dal livello di organizzazione, deve essere tra i trenta e i quarant’anni, maschio bianco, ma non in forma fisicamente, o con qualche handicap, altrimenti non dovrebbe usare una pozione per sopraffare le sue vittime. A giudicare dal suo bisogno di controllo, la sua vita deve essere stata frustrante: decisioni prese per lui, ad esempio. Consiglio di cominciare le ricerche dalla casa dell’ultima vittima: il killer aveva un legame con Vanessa Hedge –

Per qualche momento restarono tutti in silenzio, elaborando le informazioni.

- E’ stato fantastico! – esclamò Jonah. – Hai capito tutto questo da un file e una scena del crimine? –

Aurora si grattò nervosamente il collo. – E’ il mio lavoro –

- Stupendo, sei il mio nuovo idolo -. Gli occhi di Jonah brillavano. Non sapendo cosa rispondere, Aurora sorrise e annuì, poi si voltò verso Sam. – C’è un’ultima cosa, - disse. – Non penso che il killer sia un Mangiamorte –

- Perché? – chiese Diana.

- Il modus operandi, - rispose Aurora. – Potrebbe uccidere con un Avada Kedavra se non fosse capace di sopraffare le sue vittime fisicamente, e se volesse farle soffrire basterebbe un Crucio. Questo, unito alla mancanza di tracce magiche e al fatto che ha usato un’auto per spostare le vittime? Penso che sia un Babbano –

- Un Babbano che è venuto a sapere del vero modus operandi dello Scienziato, - disse Harry. – Quindi un Babbano che sa qualcosa riguardo il mondo magico –

- Esatto, - annuì Aurora.

Non prometteva bene.

- Tutto chiaro, - intervenne Sam. – Diana e Aurora andranno a parlare con il marito della vittima, ieri non ha detto molto, sembrava sotto shock, ma con le nuove informazioni potreste essere in grado di farlo collaborare di più. Harry e Jonah, voi controllate le vittime e cercate di capire il collegamento tra di loro, se necessario potete andare a parlare con i loro parenti. Io andrò a vedere se il medico legale ha nuove informazioni e se la polizia babbana ha nuovi indizi dalle prove trovate sulla scena del crimine –.

Con queste parole, si misero tutti a lavoro.



Diana e Aurora si smaterializzarono vicino casa dell’ultima vittima. Controllarono che nessuno le avesse viste, poi camminarono verso l’entrata.

Salirono le scale di marmo bianco e bussarono al portone di legno. Dopo qualche minuto la governante aprì, guardandole con occhi spiritati.

- Polizia, - si presentò Diana. – Il signor Hedge è in casa? –

- Al piano di sopra, - rispose la governante. – Ma abbiamo già parlato con la polizia, perché… ? -

Scioccata. Addolorata. Teneva a Vanessa Hedge e gestire le domande della polizia ieri deve averla sfinita. Ha bisogno di sentirsi come se qualcuno comprendesse il suo dolore e la sua fatica.

- Abbiamo nuove domande, - disse Aurora. Si dipinse in volto un’espressione triste e un po’ mortificata. – Ci dispiace davvero disturbarvi ancora, ma pensiamo che potreste aiutarci a prendere l’assassino della signora Hedge e a consegnarlo alla giustizia per ciò che ha fatto -. La governante annuì, gli occhi acquosi.

Come previsto.

- Prego, entrate, - si fece da parte per farle passare. – Vado a chiamare il signor Hedge -.

Aurora annuì con un sorriso comprensivo e guardò la governante precipitarsi su per le scale.

Il salone d’ingresso era enorme come ricordava: pavimento in marmo lucido, rampa di scale di fronte a loro che si divideva in due scalinate che proseguivano in direzioni opposte, un lampadario composto da quelle che sembravano schegge di cristallo… Ad Aurora davano sempre fastidio gli sfoggi di ricchezza del genere. Del tipo, va bene! Abbiamo capito che sei ricco da far schifo!

Un po’ ipocrita da parte sua, immaginava, visto che la sua tenuta di famiglia era praticamente un castello…

Beh, una delle tenute di famiglia.

Sì, era decisamente ipocrita.

- Vi sta aspettando, - la governante ricomparve in cima alla rampa di scale. Diana e Aurora si affrettarono a salire gli scalini, seguendola su per tre rampe e infine in un corridoio. Appesi alle pareti c’erano i quadri dei più importanti membri della famiglia. Il signor Hedge le aspettava dietro una porta rosso vino, in una stanza grande più o meno quanto l’intero appartamento di Aurora, seduto comodamente su un divano bianco panna.

- Polizia, di nuovo? – chiese. Gli scarsi capelli che ancora portava in testa erano pettinati con cura, ma gli occhi erano rossi e il completo che indossava un po’ sgualcito.

- Ci dispiace disturbarla, - affermò Aurora. Si avvicinò al divano studiando la stanza: tende intonate con i tappeti, un tavolo in legno lucido e alcuni tavolini sparsi vicino alle finestre. Foto sui mobili dipinti di bianco. Classici della letteratura posizionati ad arte sui vari scaffali. Non c’era un solo granello di polvere fuori posto.

Una famiglia per cui le apparenze erano tutto.

- Ho già parlato con la polizia, - affermò il signor Hedge.

- Abbiamo nuove domande da farle, - affermò Diana, dritta al punto.

Aurora camminò fino ai mobili per dare un’occhiata alle foto: Vanessa Hedge e suo marito su una spiaggia, dedicando i loro sorrisi più lucenti alla fotocamera. Ma… Vanessa aveva un braccio fuori dalla foto.

Potrei capire qualcosa, guadagna tempo e mettilo sotto stress.

Un lieve cenno fu tutta la risposta di Diana.

- Inizierò con le domande di base, - la legilimens si sedette sulla poltrona di fronte al divano. – Dov’era ieri sera? –

- Ho già… -

L’espressione dura di Diana convinse subito il signor Hedge a collaborare.

- In auto, ad aspettare che mia moglie… - la voce gli si spezzò. Trattenne un singhiozzo e fece un respiro profondo. Diana non sembrava turbata dalle lacrime, e continuò come niente fosse.

- Qualcuno potrebbe avercela con Vanessa? –

- Impossibile, - fu la risposta. – Mia moglie era la persona più gentile del mondo, determinata ad aiutare tutti e a gestire ogni possibile conflitto con eleganza –

Interessante…

Aurora prese un’altra foto per studiarla: ancora la coppia di sposi felici, ma questa volta Vanessa aveva uno sguardo quasi triste sul viso, e non fissava direttamente la telecamera. Il marito, invece, sembrava… vergognarsi? Sguardo leggermente basso, sorriso al suo posto, ma spento.

Molto interessante.

Aurora aveva un’ipotesi. Un’ipotesi azzardata che li avrebbe messi nei guai se si fosse rivelata sbagliata, ma valeva la pena di provare.

- In queste foto siete soli -. Si voltò verso il signor Hedge, che la guardò sbattendo confusamente le palpebre.

- Ovviamente, - fu la risposta.

- Beh, è un peccato, - Aurora sospirò, mettendo di nuovo la cornice al suo posto. – Mi sarebbe piaciuto vedere una foto di vostro figlio –

Il signor Hedge trattenne il respiro, gli occhi si spalancarono in preda al panico. Durò pochi secondi, ma fu sufficiente ad Aurora perché capisse di averci preso.

Il signor Hedge provò disperatamente a mascherare la sua espressione. - Non so di cosa… -

- Sua moglie era molto brava a gestire i conflitti, ha detto, - continuò Aurora. – Quali conflitti? Vostro figlio non aveva molti amici? Era un ragazzo difficile, che creava problemi? –

Aveva bisogno di pungolare fino a colpire il nervo giusto.

- Non so perché sta insinuando che… -

- Immagino che debba essere stato difficile, - Aurora non diede segno di averlo sentito. – Voi, una coppia così rispettabile, costantemente portata alla vergogna da un figlio indegno… -

- La smetta di parlare di qualcosa che non può capire! -. Finalmente, il signor Hedge esplose. – Non è mai stata colpa di nostro figlio! –

Aurora trattenne a stento un sorriso. Scacco matto.

- Il… il signorino era una brava persona -. Con sua sorpresa, la governante intervenne.

- Se è una tale brava persona, come mai non è mai incluso nelle foto? – insisté Aurora. – Come mai suo padre si sente in colpa? Cos’è successo che ha generato conflitti e vi ha convinti che nasconderlo al mondo fosse l’unico modo per affrontare la situazione? –

Il signor Hedge indurì lo sguardo. Aurora sospirò e si spostò per sedersi accanto a lui.

- Signor Hedge, - disse. – Siamo le uniche persone disposte ad aiutarlo. Se lei ci spiega perché suo figlio ha cominciato ad uccidere, quale ingiustizia ha subito, possiamo diminuire la sua pena, venirgli incontro. Se ci aiuta a trovarlo per primi, possiamo fare qualcosa per lui -. Pausa ad effetto. – La scelta è sua –

Per minuti infiniti, nessuno parlò. Diana restò immobile, ma il suo sguardo si faceva sempre più duro e impaziente. Aurora si chiese quali pensieri stesse ascoltando. Niente di troppo utile, se stava ancora seduta ad aspettare.

- Aveva solo otto anni -. Finalmente, il signor Hedge cedette. – E’ sempre stato un po’ diverso… Incredibilmente sveglio e brillante per la sua età, ma di corporatura debole, si ammalava facilmente, ed era così mingherlino... Quei ragazzi… - scosse la testa. - La scuola non era un posto sicuro per lui. Gli hanno fatto del male, lo picchiavano quasi ogni giorno -. Emise un sospiro tremante. – Finché una volta non l’hanno rinchiuso in uno sgabuzzino. Non siamo riusciti a trovarlo se non due giorni dopo. L’abbiamo salvato appena in tempo -. Chiuse gli occhi, tremando.

- Così lo avete ritirato dalla scuola, - sussurrò Aurora. – Volevate proteggerlo, e sua moglie si è occupata di placare i genitori dei ragazzi coinvolti –

- Non volevano ammettere la colpevolezza, - confermò il signor Hedge. – Ma Vanessa è riuscita a calmare tutti. Abbiamo deciso di educare nostro figlio a casa. E anche dopo che ha finito gli studi… non ci fidavamo a lasciarlo andare in giro da solo –

- Deve essere stato un incubo per lui, - intervenne Diana, accigliata. – Rinchiuso in casa per tutta la vita –

- E’ stata dura, - disse il signor Hedge. – Ma non è stato fino a due anni fa che si è davvero arrabbiato con noi –

- Cos’è successo due anni fa? – chiese Diana.

- Abbiamo avuto una discussione, e la sera è uscito di nascosto. Due giorni dopo aveva la febbre alta, delirava… Il suo corpo è sempre stato debole, stava per cedere. Non sapevamo a chi rivolgerci, il nostro medico di famiglia non riusciva ad abbassare la febbre, poi abbiamo ricevuto un messaggio anonimo con un numero di telefono. Il numero di un ospedale psichiatrico criminale. Pensavamo fosse uno scherzo, poi abbiamo scoperto che in quell’ospedale è detenuto uno dei migliori medici conosciuti –

- Micheal Campbell, - sussurrò Aurora.

- Esatto, - confermò il signor Hedge. – Così ci siamo messi d’accordo con l’ospedale e il dottor Campbell ha assistito nostro figlio. Si è ripreso completamente in due settimane, ma dopo aver incontrato quel dottore… è tornato diverso –

- Più ossessivo? – chiese Aurora. – Chiuso, parlava di meno, passava più tempo solo nella sua stanza e non permetteva a nessuno di avvicinarlo… -

- Come fa a saperlo? –

- E’ il periodo in cui suo figlio ha deciso di uccidere, - rispose Aurora. – Ha pianificato tutto nei minimi dettagli per un anno, prima di colpire –

Il signor Hedge tremava, gli occhi lucidi.

- Dov’è suo figlio adesso? – chiese Diana.

Il signor Hedge scosse la testa, apparendo completamente sopraffatto.

- Lei è spaventato, - disse Aurora. – Aveva il dubbio che fosse suo figlio ad uccidere, ma non voleva ammetterlo. Però adesso ha ucciso sua moglie, che era la più affettuosa e comprensiva tra voi due… E lei non sa se sarà il prossimo. Ancora più importante, non sa dov’è suo figlio al momento –

Si voltò verso Diana per confermare: la legilimens annuì.

- Come si chiama suo figlio? – chiese Aurora. Il signor Hedge dovette prendere molti respiri profondi prima di essere in grado di rispondere.

- Jonathan, - sussurrò infine.

- Ha delle foto? – chiese Diana.

- No, le ha distrutte tutte due anni fa –

Va bene. Andava ancora bene. Avevano un nome su cui lavorare. Era già qualcosa.

- Può portarci alla stanza di suo figlio? – chiese Aurora.

Il signor Hedge annuì, alzandosi a fatica: tremava ancora e sembrava che le sue gambe avrebbero presto ceduto sotto il suo peso. La governante si affrettò ad aiutarlo. Impazienti, Diana e Aurora seguirono i suoi passi lenti per tutto il corridoio, fino alla stanza più isolata della casa. Dietro una porta di legno lucido c’erano delle scale.

- La sua camera è lassù, - sussurrò il signor Hedge. Diana e Aurora non se lo fecero ripetere: salirono in fretta gli scalini e spalancarono la porta in cima alla rampa. La stanza era immersa nel buio.

Diana tirò fuori la bacchetta e lanciò un rapido lumos.

Dopo la prima occhiata alla camera, Aurora fece un respiro profondo per calmarsi: le pareti erano ricoperte dei disegni accurati della Dozzina dello Scienziato. Tutte le fasi in cui la pozione agiva, tutti gli organi del corpo e le loro reazioni… tutto illustrato in modo impeccabile.

Questi li ha disegnati mio padre…

- E cosa significa? – chiese Diana, osservandoli con vago disgusto.

La mano destra di Aurora tremava. La chiuse a pugno. – Significa che andrò a fare una visita a qualcuno che non vedo da dieci anni –



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ed ecco il terzo capitolo! Finalmente le indagini fanno un passo avanti!

E’ stato faticoso da scrivere in modo che fosse tutto chiaro – e vi prego, ditemelo se non è tutto chiaro! – ma spero di esserci riuscita. E spero davvero di aver reso bene anche il rapporto tra Harry e Ginny!

Grazie a tutti i lettori silenziosi! Grazie a fenris e a Theodred per le recensioni -mi rende sempre incredibilmente felice sapere cosa pensate di questo esperimento un po’ folle!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! E’ un po’ più lungo degli altri, ma non potevo tagliarlo prima!

A presto con il prossimo capitolo! (E si! Ci siamo! Sto per scrivere del padre di Aurora!)



   
 
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