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Autore: Lodd Fantasy Factory    19/04/2021    1 recensioni
Non ho tempo per le introduzioni. Devo raccontare questa storia, e voglio farlo il prima possibile. Prima che qualcosa mi possa fermare... prima che loro... sono dietro ogni angolo. Sono nella mia casa... cancelleranno tutto. Persino me...
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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19 Aprile 2021,

 

 

Quella frase mi colpì dritto al cuore.

Mi sentii come una fiera intrappolata, e avvertii le falangi serrarsi inconsciamente a pugno sul coltello, pronte a scattare in avanti per conferirmi la libertà. Fui costretto ad una grande prova di volontà per quietare il mio istinto. L’Ombra aveva cercato di conquistarmi un poco per volta, e mi è impossibile negare che una parte del suo piano sia riuscita. Chi sono diventato? Un assassino disposto a tutto per la propria libertà, per proseguire nella missione.

Quale missione, poi?

Sono sempre stato uno sbandato senza meta alcuna. No… sono un toro liberato durante una corrida: vado ovunque questo Diario mi stia conducendo. E in quel momento mi consigliò di prendermi la vita di Anna. Mi sarebbe bastato un solo colpo diretto alla trachea, e avrei potuto assistere all’ennesima morte collaterale della mia personale crociata contro le tenebre, arrivando poi per l’ennesima volta a chiedermi se questa non sia più una discesa nelle ombre a tutti gli effetti, come lo è stata già per il vero Philipp Lloyd.

Con mia sorprese, invece, riuscii a trattenere la mia mano tremante.

“Sei mio ospite”, disse Anna con la solita calma. “Sarebbe un gesto crudele. Sei al sicuro, per ora. Avessi voluto fregarti, avrei potuto farlo quando dormirvi.”

Ragionai sulla veridicità delle sue parole; e, nonostante ciò, un pensiero sgradevole tornò ad affollarmi la mente, tanto che fui costretto a dargli voce, stridula: “Prima di trovare quel Diario, forse. Ora sai chi sono… è questo che ti incuriosisce?”

Il Diario di Philipp Lloyd?” chiese senza alcun mutamento nel tono. Ancora ora vorrei spiegarmi come si impara a mantenere una simile calma. È anormale. Surreale!

“Esatto.”

“Chiamarsi in quel modo, in una ragione come questa, è un po’ surreale, come dici tu. Credo solo le persone debbano essere conosciute a pelle, per poterle comprendere. Ho solo sentito parlare di te, male, da dei telegiornali. Dicono che hai fatto esplodere il tuo palazzo. È vero?”

Lasciai cadere il coltello sul tavolo, le mani ancora tremanti.

“Ho dovuto farlo… per salvarli. Per salvare tutti noi…”

Lei mi guardò con sincerità: “La mia offerta è ancora valida: rimani qui per la notte. Mi farebbe piacere un po’ di compagnia. Poi, potrai decidere quello che vorrai. Tutti hanno bisogno di una pausa. Non giudico chi sei stato, ma chi sei ora davanti a me.”

“So che non posso arrogarmi questo diritto contrattuale… tuttavia, rimarrò a una sola condizione: che tu mi faccia vedere il dipinto di questa mattina.”

Lei si avviò verso la sala, bloccandosi sulla porta della cucina. “Quando sarà finito.”

Non aggiunse altro.

 

 

La camera del figlio era spaziosa e profumata, malgrado vi fosse della polvere su vecchi oggetti ornamentali che nessuno doveva aver più toccato da anni. Scossi il copriletto fuori dalla finestra, e mi soffermai ad osservare un cielo che si avviava già verso l’oscurità, per mezzo di nubi cariche di pioggia. Quella notte avrebbe piovuto, uno dei peggiori acquazzoni degli ultimi anni, tanto che il fiume avrebbe minacciato di straripare.

Avrei potuto riconoscere lo storia di quella famiglia semplicemente guardando le numerose foto; era come se fossero state messe lì per me. Mi chiesi chi tiene tante foto in giro? La risposta giunse da sola, in una domanda retorica: che senso avrebbe tenere delle foto chiuse in un album?

Siamo una razza strana.

Una regola che Anna aveva specificato prima che salissi al piano superiore, era che nessun animale potesse accedere in alcun modo alla casa; detestava i peli in giro. Avrei potuto mostrarle che Avorio era un gatto diverso da tutti gli altri, ma mi limitai a farlo entrare dalla finestra del secondo piano. L’agilità di Avorio non mi sorprese, perlomeno non quanto il suo interesse per la stanza. Lo vidi ficcanasare come una spia. Gli concessi un po’ di coccole, sinché non mi addormentai, conquistato dalla comodità del letto. Mi risvegliai che era già buio pesto.

Accesi una luce da comodino e, con Avorio in grembo, iniziai a sfogliare le pagine del Diario di Philipp Lloyd. Condivido con voi un piccolo estratto che vi sorprenderà, suppongo.

 

Giorno? Anno?

La guerra è finita, dicono. Non è mai terminata, per me.

In questi ultimi giorni ho avuto molto su cui riflettere. Le mie azioni hanno condannato la mia famiglia già una volta, e non intendo che accada una seconda. Ho mio malgrado allontanato molte persone da questa Abazia, tuttavia la preponderante sensazione di infelicità e di alienazione non vuole lasciarmi. Sento di stare sbagliando... Ma cosa?

Ho notato che la piccola Meggie è forte e solare. La madre la porta spesso a passeggiare sotto il sole, in mezzo all’orto per conoscere le piante e tra gli animali, imitandone il verso. La bambina ride, e che risata spensierata!

A proposito di animali, ho avuto l’impressione di vederne uno singolare, l’altro giorno. Il poveretto era cieco, dal pelo bianco e nero, dotato però di un’incredibile destrezza, come tutti i gatti. Non ha fatto altro che stare nei dintorni della bambina, miagolando a più non posso, quasi stessero conversando. Maggie lo ha strapazzato come fosse un pupazzo, ed esso non ha battuto ciglio.

Sarebbe incoerente non raccontare di come questo mi abbia ferito nell’anima: io che non riesco a starle troppo vicino, perché ho il terrore che la mia vicinanza possa condannarla. Nei suoi occhi rivedo quelli di Elisa, nella sua risata quella di Edgar e nella sua bontà quella di Allan.

Merito di avere una seconda famiglia?

Perdonami, amore mio. Se non avessi seguito il Prof. Poegrim in quel luogo di dannazione, ora quell’acquedotto forse sarebbe completo, e avrei tra le braccia il primogenito di Edgar. Sarebbe stato un uomo buono, di questo non ho dubbi. Sarei stato un buon nonno?

Sento che qualcosa si sta avvicinando, e non posso non pensare al risultato di quei dadi. Al sogno dello Sciamano Zhùt. Temo di dover allontanare la mia famiglia… ma come posso, ancora una volta? Non voglio farlo.

Ma se fossi costretto?

Non intendo pensarci.

Quando sarà il momento, deciderò.”

 

 

Quanti pensieri per il vecchio Philipp.

Se ha avuto la forza lui, di andare avanti, perché non dovrei averla io? Che cosa ho perso in più rispetto a lui? Mi sono disperato, nella mia arroganza. Sono stati questi i pensieri che mi hanno rincorso, frattanto che scrivevo il resoconto della giornata per il mio aggiornamento quotidiano. Anna mi interruppe proprio dove ho concluso, come avrebbe fatto lo sceneggiatore di una fiction. Non lo faccio di proposito, dico sul serio.

Ritengo che sia poco credibile, vero?

Più questa faccenda si sbroglia (o ingarbuglia), più si presenta surreale.

La cena venne servita a lume di candela.

Anna aveva indossato un vestito non troppo differente dallo stesso con cui l’avevo conosciuta, ma si era premurata di truccarsi un po’, evidenziando il seno, i fianchi e le belle gambe. Indossava i tacchi, in un contesto in cui avrebbe potuto benissimo farne a meno. Mi sentii al contempo lusingato e confuso.

Aveva preparato una cena leggera, curata in ogni dettaglio. Un’ottima cuoca.

Aveva stappato due bottiglie di vino, prese dalla vetrinetta che aveva in salotto, di quello buono, costoso.

Chi, in una situazione simile, non avrebbe cominciato a farsi delle domande sui suoi intenti?

“Sei molto bella… lo avessi saputo, avrei cercato di darmi una sistemata” mi scusai per il mio aspetto, prima di sedermi a tavola. “Vengono i tuoi figli?”

Storse un po’ il naso, e rise. Era però più una risata da ebbrezza che di cuore, di quelle che le donne utilizzano per insinuarsi nelle attenzioni di un uomo. Perlomeno, questo fu quello che provai.

“Siamo solo noi due. Una donna deve avere per forza un motivo per farsi bella?”

“Certo che no.”

Mi riempì il bicchiere.

I suoi occhi verdi, esaltati dall’eyeliner blu, continuarono a cercarmi con insistenza per tutta la sera, in un gioco di sguardi che mi rese ad ogni bicchiere in più sempre più affascinato dalla sua grazia, dalle sue parole, dalla sua risata. Mi sentii come Ulisse in balia delle Sirene.

La conversazione virò su esperienze di vita, problemi, bevute, e amicizie da dimenticare, del tutto in contrasto rispetto al dialogo che avevamo avuto a pranzo.

Io desideravo arrivare a quel fatidico discorso, ma le riuscì di veicolare la discussione ovunque volesse. La sensualità sua voce, dovuta agli effetti dell’alcol, mi ricordò qualcosa che molti di noi possono condividere in questo momento… da quanto non mi trovavo al tavolo con una bella donna? Da quanto non sorseggiavo vino, parlando di futilità? Da quanto, oltre all’orrore, questo momento storico aveva contribuito a rendere la mia vita una prigionia?

Lei, chiusa in quella casa, doveva aver pensato la stessa cosa. Doveva aver avvertito il medesimo impulso, la stessa vibrante energia. Io, però, avevo una voce interiore che frenava il mio impeto maschile, un recondito terrore che mi convinse a cercare di tenere le distanze anche quando lei parve volerle accorciare.

Era quasi mezzanotte.

“Spero tu possa perdonarmi, Anna”, aprii quel mio tentativo di sfuggirle. “Ho una cosa che devo assolutamente fare, al portatile, prima che sia terminata la giornata.”

Il suo sguardo parve ferito.

“Intendo tornare. Quella bottiglia non si finirà da sola”, aggiunsi prima di svanire oltre la porta della sala. Mi affrettai a raggiungere la camera del figlio, a gettare le mie ultime conclusioni, prima di postare l’aggiornamento.

Fui grato al mio Diario. Era riuscito a togliermi da un bell’impiccio.

Sarebbe stato scortese, però, lasciarla lì da sola. Quindi, affidando ad Avorio il compito di custodire il Diario di Philipp, mi avviai di nuovo verso la cucina. I tuoni erano così forti da far tremare la casa, riuscendo a prevalere sulla musica che riempiva tutta la casa. Anna aveva proprio buon gusto sotto ogni aspetto.

Avvertii un profumo che non sarei mai in grado di descrivervi, ma era buono, ipnotico, portatore di pensieri peccaminosi; era la prima volta che lo sentivo, eppure ne fui subito assuefatto.

Trovai Anna sdraiata sul lungo divano di pelle nera, con la schiena illuminata dal calore delle candele e resa brillante dal ritmo dei lampi. Il calice nella sua mano oscillava in senso rotatorio, per riscaldare il vino, il cui moto nel bicchiere mi riportò alla mente il quadro del figlio.

“Posso farti una domanda?” presi parola, cercando di rovinare il meno possibile la sinfonia di violini in sottofondo.

“Non è in vendita”, lo disse quasi cantando, con dolcezza.

“Cosa rappresenta?”

“Sai cosa rappresenta. Altrimenti, caro mio, non ti saresti mai soffermato. L’arte attira lo sguardo di chi è in balia dello stesso sentimento che l’ha originata.” Si prese un attimo, poi sorrise. “Qual è il tuo mare in tempesta? Cosa ti blocca?”

Presi posto accanto a lei. Un lampo illuminò il mio viso per metà. Sentii che il vino stava per dare fiato ai miei pensieri più profondi.

“L’Ombra è il mio mare. È ovunque, e non mi concede di respirare. Mi sento proprio come quell’uomo su quella zattera: nonostante la sua buona volontà, gli sarà impossibile prevalere sul mare. È destinato a sprofondare nell’abisso. A svanire per sempre” dissi sconsolato. “Chiunque intorno a me pare destinato ad una fine atroce. Non avrei voluto fare quello che ho fatto. Sono stato costretto… E temo di aver messo in pericolo anche te.”

“Costretto da chi?” m’incalzò, spostandosi sul divano sino a venirmi vicino. “Non sei stato tu a fare quello che andava fatto?”

Mi mise la mano sulla coscia, senza staccare i suoi occhi dai miei. Erano di una bellezza penetrante.

Ci fu un lampo che illuminò la casa a giorno.

Poi un poderoso tuono, ma che non nascose del tutto un tetro verso che mi raggiunse sin dentro le ossa. Volsi lo sguardo verso una porta che non avevo ancora avuto modo di esplorare, da quando ero entrato in quella casa. Mi soffermai sul verso…

Un tenue guaito.

Deglutii.

Anna aveva detto che non amava aver animali in casa.

Rimasi in silenzio, mentre la mano della donna risaliva sulla mia coscia, come nel cercare di attirare la mia attenzione, di distogliermi da quel suono.

Un altro guaito, ed un verso strozzato.

Riportai lo sguardo su Anna.

Un lampo illuminò la stanza a giorno…

Avorio era alle sue spalle.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

   
 
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