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Autore: Cassidy_Redwyne    21/04/2021    1 recensioni
L’anonima Sheltz Town, dove Rufy e Zoro s’incontrano per la prima volta, è sul punto di diventare teatro di una rivolta.
Per salire di grado Morgan Mano d’Ascia sarebbe pronto a tutto, anche a mettere in pericolo i suoi cittadini attirando una delle flotte più potenti di tutti i mari, interessata all’antico segreto dell’isola, proprio a Sheltz Town.
I cacciatori di taglie di Riadh sono abili, spietati e senza scrupoli. E del tutto impreparati ad affrontare una flotta di tale calibro. Quello che Morgan non ha messo in conto, però, è che pirati e cacciatori di taglie potrebbero mettersi in combutta alle sue spalle. E potrebbero essere gli unici in grado di portare un po’ di giustizia.
***
Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.
La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.
E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.
I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.
***
«Voglio che Zoro si unisca alla mia ciurma» esclamò il ragazzino gioviale.
Riadh strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno! Giù le mani dai miei cacciatori di taglie!»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Morgan, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO II

“Wake up
Grab a brush and put a little make-up
Hide the scars to fade away the shake-up
Here you go create another fable”


Per Alma quello era il primo giorno di lavoro e, nonostante cercasse di non darlo a vedere, era un po’ in ansia.

Avrebbe voluto vestirsi come di routine, ma Ririka aveva insistito per farle indossare qualcosa di più elegante, senza però scendere nell’appariscente.

«Mamma, penso che così possa bastare» disse, mordendosi il labbro e fissando Ririka attraverso lo specchio, che si bloccò dal colorarle ulteriormente le guance con il pennello.

In cuor suo, era anche un po’ emozionata. Era la prima volta che la madre apriva la sua trousse del trucco per lei, prova che quello fosse un momento davvero speciale.

«Non voglio dare una brutta impressione il primo giorno... lo sai com’è fatta quella gente, potrebbero fraintendere» spiegò poi, dando uno sguardo di sfuggita al suo riflesso.

Il suo volto, reso un po’ meno anonimo dal filo di trucco dato dalla madre fino ad un attimo prima, la stava fissando di rimando, i capelli castani ramati che ondeggiavano dietro di lei in una coda di cavallo. Si affrettò a distogliere lo sguardo, come se fosse stata colta in flagrante a fissare sfacciatamente una sconosciuta.

Ririka annuì piano. Alma sapeva che capiva benissimo le sue ragioni. «Comunque, l’unica cosa che potrebbero equivocare è il modo in cui lo mostri, non il trucco in sé. Tu sei una ragazza affidabile, te lo si legge negli occhi. Non si sbaglieranno.»

«Stiamo a vedere...» rispose Alma esitante, abbozzando però un sorriso.

Il locale in cui era stata assunta era situato nella periferia della città e, anche se di solito non ospitava malviventi, non si poteva certo dire che i suoi frequentatori abituali fossero degli stinchi di santo. Lo si poteva definire una via di mezzo, cosa non scontata, vista la sua posizione. D’altronde, sapeva bene che sua madre non l’avrebbe mai mandata a lavorare in un luogo simile se non avesse conosciuto il locale ed il proprietario.

Si sentiva molto determinata all’idea di cominciare e, in cuor suo, era anche piuttosto ottimista. Dalla sua, aveva la capacità di trovarsi subito a suo agio con gli altri – succube degli altri, avrebbe detto la sua cara amica Aibelle l’esperienza di una cameriera in servizio da anni, nonostante la giovane età.

Ad uno strillo proveniente dal piano di sotto, sua madre si alzò in piedi.

«Rika!» esclamò e, non ricevendo risposta, uscì in fretta dalla stanza, lasciando Alma lì a tormentarsi le mani.

Quel lavoro era di vitale importanza per la sua famiglia. La paga che offrivano era anni luce dallo stipendio che avrebbe ricevuto rimanendo al Food Foo, il loro locale, per quanto un paio di braccia in più avessero sempre fatto comodo a sua madre. In quel modo, però, avrebbe permesso alla sorellina di vivere un’infanzia come meritava, senza essere costretta ad entrare in servizio pochi anni dopo.

Alzò gli occhi, incontrando nuovamente il suo riflesso nello specchio, e stavolta non si ritrasse. Sì, era decisamente la cosa giusta da fare.
 

Al piano di sotto, nella cucina della locanda, Rika si era bruciata ai fornelli. Pur di cucinare senza l’aiuto della madre, aveva preso uno sgabello dal bancone e vi era montata sopra, arrivando così al livello del piano di cottura. Ma la sua trovata era un po’ traballante e, mentre sorvegliava il riso che cuoceva sui fornelli per i suoi onigiri, aveva perso l’equilibrio e aveva afferrato la prima cosa che aveva a tiro per non cadere: la pentola bollente.

Gli strilli si dovevano essere uditi anche dall'altra parte di Sheltz Town.

«Rika! Tutto bene?!»

Sua madre si era scapicollata al piano di sotto e adesso fissava ad occhi sgranati la figlia, che si teneva la mano ustionata con l'altra. Passando in rassegna lo sguardo da lei alla pentola bollente, parve capire.

«Ti sei bruciata? Quante volte ti ho detto che non puoi ancora cucinare da sola? Dammi la mano, la mettiamo un attimo sotto l’acqua.»

«Ma io volevo cucinare il pranzo per Alma!» ribatté lei, mettendo il broncio, senza opporsi quando la madre le mise le dita ustionate sotto il getto dell’acqua fredda.

Ririka non riuscì a trattenere un sorriso. Diede un’occhiata al contenuto della pentola e al ripieno degli onigiri, ordinatamente sistemato sul banco della cucina, e disse: «Stai diventando proprio brava! Ma vedi di fare attenzione, la prossima volta.»

«Va bene, mamma.»

 

«È successo qualcosa?» Alma comparve sulla soglia della cucina, un po’ preoccupata.

«Ti sto preparando il pranzo al sacco per dopo!» esclamò Rika, facendo un sorriso a trentadue denti che la sorella maggiore ricambiò subito.

«E si è ustionata» aggiunse la madre con un sospiro rassegnato, affrettandosi a spiegare che non era nulla di grave.

«Chissà come sono buoni!»

Alma si avvicinò al banco di cucina, sentendo a malincuore montare l’acquolina in bocca.

Era tipico di sua sorella viziarla con ogni sorta di manicaretti, che lei non riusciva proprio a rifiutare, un po’ perché Rika ci metteva sempre il cuore e, nonostante la giovanissima età, ai fornelli ci sapeva proprio fare; un po’ perché lei, soprattutto quand’era nervosa, sapeva essere davvero una buona forchetta.

Impallidì leggermente all’idea che, se quel pranzo delizioso fosse diventato di routine, avrebbe di certo influito sul suo fisico già di per sé morbido, ma poi si rese conto che, sgobbando tutto il giorno come cameriera nel nuovo locale, avrebbe di certo avuto modo di tenersi in forma.

«Allora, che ne dici di finire questi onigiri? Tua sorella tra poco deve andare a lavoro.»

Ririka asciugò con un panno la mano della figlia più piccola, che sembrava essersi ripresa completamente dallo shock post bruciatura. Gli occhioni umidi erano tornati colmi di vivacità e, in un attimo, Rika salì di nuovo sullo sgabello e si mise a finire le sue polpette di riso con la minuzia di uno chef. Di fronte alla sua teatrale concentrazione, Alma e la madre non riuscirono a trattenere un sorriso.

Pochi minuti dopo, Rika aveva finito. Dopo aver avvolto gli onigiri con dell’alga nori ed averli delicatamente riposti in un cestino per il pranzo, consegnò l’involto ad Alma, che abbracciò la sorellina con affetto.

«Grazie mille, Rika. Così oggi, quando verrà l’ora di pranzo, mi sentirò un po’ meno sola.»

«Il Food Foo sentirà la tua mancanza, oggi» mormorò Ririka, facendo un sorriso triste.

Era da anni ormai che madre e figlia lavoravano duramente per mandare avanti il loro modesto locale affacciato sul porto che, con il tempo, si era fatto anche un notevole numero di affezionati. Con una persona in meno sarebbero sorte non poche difficoltà, ma avevano bisogno di quei soldi.

Dopo aver sciolto l’abbraccio con Rika, Alma si passò una mano sui vestiti, come a voler eliminare delle pieghe invisibili, e fece un respiro profondo.

«Allora io vado.»

«Te la caverai!» le assicurò Ririka, forse notando la sua ansia.

Mentre Alma apriva la porta di casa, le poggiò una mano sulla spalla.

E, con quel gesto di conforto e gli occhi della sorellina sulla schiena, Alma uscì per affrontare il suo primo giorno di lavoro.

 

***

 

Quando le due figure fecero il loro ingresso nel locale, facendo tintinnare un campanello sopra la porta, Alma aveva già avuto modo di entrare nel trantran dell’attività, conosciuto il burbero proprietario del bar e familiarizzato un po’ con le cameriere, tutte più o meno nella sua situazione: giovanissime, entrate in servizio per aiutare la propria famiglia e per farsi le ossa in attesa di un impiego migliore.

Alma notò che, vedendoli, tutti si erano voltati nella loro direzione e avevano trattenuto il fiato. Il capo aveva aggrottato le folte sopracciglia, mentre il mestolo che aveva tra le mani era stato piegato fin quasi a spezzarsi a metà.

Lei, dal canto suo, cercò di fare assolutamente finta di nulla. Abbassò lo sguardo sul lavello e continuò a insaponare bicchieri, sfregando così furiosamente sul vetro da screpolarsi i polpastrelli.

Solo quando i due si furono seduti a un tavolo in un angolo del locale e i clienti ebbero perso quasi del tutto l’interesse per loro, osò avvicinarsi.

«Si può sapere cosa ci fate qui?» bisbigliò stizzita, con la scusa di prendere le ordinazioni.

«Un sakè e una birra, grazie» disse l’uomo serafico, scompigliandosi i lunghi capelli corvini in un gesto che le era ormai molto familiare.

Per tutta risposta, Alma lo fulminò con lo sguardo.

La donna accanto a lui non riuscì più a trattenersi, scoppiando a ridere.

Decine di paia d’occhi si voltarono a fissarli e Alma desiderò scomparire per un attimo, prima di fare un lungo sospiro e riacquistare la calma.

«Vogliamo finire qui questo teatrino, e dirmi perché siete venuti? Qui non siete ben visti come al Food Foo, mi pare che le occhiate che vi stanno rivolgendo tutti da quando siete entrati parlino chiaro» mormorò, mentre faceva palesemente finta di scrivere qualcosa sul blocco.

Forse da lontano il capo non se ne sarebbe accorto.

«Riadh mi ha detto che questo è il tuo primo giorno di lavoro in questo posto...» disse Aibell, guardandosi attentamente intorno, senza nascondere la propria curiosità.

«Appunto» sibilò Alma a denti stretti.

«Ci serviva un posto tranquillo dove parlare e ne abbiamo approfittato per venire a vedere come te la cavavi» spiegò Riadh. «Ma mi pare di capire che ti facciamo sfigurare... quindi fa’ pure finta di non conoscerci, se la cosa ti crea tanto fastidio.»

Di fronte al suo broncio offeso, Alma sorrise divertita. Di solito non aveva nulla in contrario a fare quattro chiacchiere con i suoi amici, ma le circostanze di quel momento la mettevano in difficoltà. Sua madre ormai si era abituata – anche se con fatica – a vederli entrare e uscire dal loro locale quotidianamente, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire il capo se avesse scoperto che i delinquenti appena entrati erano i suoi più cari amici, e persino a lei era giunta voce di quello che aveva combinato Aibell la sera prima, in uno dei locali del porto.

«Vado a prendervi da bere» disse, girando sui tacchi.

Mentre tornava al bancone, vide che il capo le stava facendo un cenno. Mordendosi il labbro, si avvicinò di qualche passo.

«C’è qualcosa che non va?» chiese cauta, sondando il terreno.

Il proprietario del locale, un omone dalla pancia prominente, due folti baffi grigi e un’espressione non poi così crudele come si era immaginata, lanciò uno sguardo eloquente al tavolo dal quale era appena tornata.

«Li conosci, per caso?»

La mente di Alma correva veloce. Doveva essersi accorto che aveva impiegato un po’ troppo tempo rispetto a quanto ce ne avrebbe messo qualsiasi altra cameriera. Poteva dare colpa alla sua inesperienza, ma lui aveva visto come se la cavava alla svelta con i clienti.

«No...» Esitò. «…Ma ho ricordato loro che non sono in una bettola qualunque e non possono comportarsi come vogliono. Lo sa come sono fatti!»

Levò gli occhi al cielo, come a voler evidenziare ciò che diceva, ma dentro di sé lottava con i propri sensi di colpa. Non le era costato poco parlare a quel modo dei suoi amici.

L’espressione del capo fece capire ad Alma che aveva abboccato.

«Sì» rispose infatti, «Hai fatto bene. Non ho mai avuto guai con la Marina e non voglio iniziare ad averne proprio adesso.»

Rabbrividì, e la ragazza pensò che non avesse tutti i torti. Le punizioni dei Marines a Sheltz Town non erano note per essere delle più misericordiose.

Lasciò il capo, che nel frattempo era andato ad accogliere dei nuovi clienti – sicuramente più ben visti di Riadh e Aibell – e andò a recuperare un boccale e una bottiglia di sakè già stappata dalla credenza dietro al bancone.

Mentre riempiva i bicchieri, si rese conto che, come primo giorno, non stava andando poi così male. Il capo era un buzzurro, ma non un aguzzino come aveva temuto, e le altre cameriere parevano molto solidali. Solo quel commento che si era vista costretta a fare su Aibell e Riadh le bruciava ancora, ma aveva il fugace sospetto che avrebbe dovuto farci l’abitudine, perché quella era la legge di quei locali. Più rospi e ingiustizie avesse inghiottito, meno problemi avrebbe avuto in seguito.

 

Con un bicchierino a testa, le cose cominciavano già a ragionare, ma Aibell non era del tutto sicura che sarebbe riuscita a farsi bastare la sua birra media.

Non dopo ciò che stava per affrontare con Riadh, quel terreno minato che l’aveva tenuta sveglia a rimuginare per quasi tutta la notte, insieme alla rabbia e alla paura che aveva risvegliato in lei ciò che aveva trovato nella periferia della cittadina, prima che decidesse di ricorrere ai suoi rassicuranti sonniferi.

«Allora, di cosa avevi bisogno di parlarmi?» domandò lui, scolandosi il sakè in un’unica sorsata.

Aibell giocherellò con le dita sul tavolo, prima di incrociare il suo sguardo. «Cosa sai dell'arrivo di quei pirati, qui a Sheltz Town?»

Riadh fece un sorriso obliquo, notando la sua espressione pensierosa. «Non sei contenta, forse? Se fosse vero, finalmente avresti modo di riscuotere qualche taglia anche tu senza dover picchiare a morte gli altri cacciatori.»

Aibell ignorò la frecciatina. Detestava quando il suo amico tergiversava inutilmente, giusto per prenderla un po’ in giro e farla spazientire.

Lo inchiodò con lo sguardo e sillabò: «Rispondi.»

Lui levò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene. Con te non si può neanche scherzare un po’, lo sai?»

Ripeté cose che ormai Aibell conosceva quasi a memoria, tante erano state le volte che le erano giunte a voce, ma erano tutte informazioni superficiali, niente di esclusivo come si era aspettata di sentire da un tipo come lui.

Spesso non riusciva proprio a capacitarsi di come una persona come Riadh potesse trovarsi a capo di una delle bande più chiacchierate dell’intera cittadina. Sul fatto che si fosse guadagnato quel posto senza mezzi sporchi, poi, non c’erano dubbi: nonostante la sua indole da bonaccione, infatti, sapeva essere un temibile combattente e un abilissimo cacciatore di taglie, ma preferiva assumere un comportamento scherzoso con tutti, al limite dell'esasperante. Era proprio unico nel suo genere.

«Aspetta, cos’hai detto?»

Fece segno a Riadh di bloccarsi. Le era arrivata all’orecchio una frase che l’aveva particolarmente colpita.

«Che c’entrano Zoro e Dawn con questa faccenda?»

«È solo un sospetto che ho» precisò Riadh, «ma ho come l’impressione che la causa scatenante sia stata una missione che ho affidato a quei due quattro giorni fa.»

Aibell fece un rapido calcolo. «È più o meno da quando sono iniziate a circolare le voci.»

Il giovane le lanciò un’occhiata penetrante. «Esatto.»

«E in cosa consisteva questa missione?» lo incalzò Aibell, canzonando il suo tono criptico.

Riadh non rispose subito. Si guardò intorno, ma nessuno stava prestando loro attenzione, all’infuori di Alma, il cui sguardo protettivo vigilava su di loro dal bancone. Quando incrociarono il suo sguardo, lei sorrise, prima di abbassare gli occhi sul lavello e riprendere a lavare bicchieri.

«Apparentemente, una solita cattura. Certo, Morgan non mi aveva detto a quanto ammontava la taglia del pirata, ma non era la prima volta, e non avevo motivo di preoccuparmi. Così mi sono sentito più che tranquillo nell’affidare la missione a Dawn e Zoro.»

Aibell si lasciò sfuggire un sorriso. Era risaputo che Zoro, il braccio destro di Riadh, fosse lo spadaccino più in gamba della città, ma quanto a Dawn… quella ragazzina era stata una vera e propria rivelazione. Nient’altro che un’orfanella, accolta sotto l’ala protettrice del capo della Gilda, che in pochissimo tempo aveva dimostrato un’abilità senza pari con qualsiasi arma avesse tra le mani.

L’unica nota dolente era che i due si detestavano ma, quando non tentavano di uccidersi l’un l’altro, formavano davvero una bella squadra.

«E suppongo che tu abbia deciso di metterli insieme per la loro bravura, non certo perché speri che tra quei due possa nascere qualcosa…» mormorò la ragazza, per cui i magheggi di Riadh non erano affatto una novità.

Lui fece un sorriso malizioso. «È solo questione di tempo, vedrai.»

«È solo questione di tempo prima che lei lo sgozzi» ribatté Aibell. «Comunque, stiamo divagando.»

«Dicevo, ho affidato l’incarico a Zoro e quella piccola peste, nella speranza che i loro rapporti migliorassero un po’ e non nuocessero più alla Gilda» riprese Riadh, ed Aibell ipotizzò che quella fosse la stessa scusa che aveva usato con loro. «Forse ho sbagliato, ma d’altra parte non potevo immaginare ciò che sarebbe successo dopo. Quel pirata si è rivelato un vero mostro

L’uomo si interruppe, rabbuiandosi all’improvviso, e lei si bloccò dal sorseggiare la sua birra. Raramente le era capitato di dover cavare a forza qualche parola dalla bocca dell’amico.

«Perché?»

«Dicono di non aver mai incontrato un pirata come quello in tutto il Mare Orientale.» Riadh fece una lunga pausa. «Zoro è quasi morto, nel combattimento» disse infine, evitando il suo sguardo. «E Dawn ha lasciato la Gilda.»

Aibell lo fissò, senza riuscire a credere alle proprie orecchie. «Eh?»

«Proprio così» continuò lui, notando la sua espressione. «Io non ho avuto modo di intervenire, ma fortunatamente Johnny e Yosaku sono accorsi ad aiutarli, e in quattro sono riusciti a catturarlo.»

Riadh si sentiva evidentemente in colpa per ciò che era successo, ed Aibell non poteva certo biasimarlo: era stato lui a mettere i suoi pupilli in pericolo. D’altro canto, Zoro era probabilmente il miglior cacciatore di taglie dell’intera Gilda, al pari di Riadh stesso. Se persino uno come lui ci aveva quasi lasciato le penne… di che pirata stavano parlando?

«E poi…?»

«Poi lo abbiamo portato da Morgan, che si è rifiutato di darci qualunque spiegazione. Io li avevo raggiunti poco dopo la cattura e mi sono incazzato nero con lui, ma non l’ho spuntata. Non mi ha detto nulla su quel dannato pirata, e non mi ha neanche pagato. So solo che, da quel giorno, pare che una certa ciurma abbia fatto rotta verso Sheltz Town. Nient’altro.»

«Non può essere una coincidenza» disse Aibell, e Riadh annuì.

Anche se credeva di trovare l’amico molto più informato, le aveva dato comunque molto su cui riflettere. Chissà se c’era lo zampino del Capitano Morgan. Aibell detestava quell’individuo irascibile e violento. E dopo ciò che le era stato appena raccontato…

«La Marina però sta smentendo l’arrivo della flotta sull’isola» gli fece notare.

«Be’, nega l’evidenza.»

«E Zoro e Dawn?» domandò lei. «Hanno scoperto qualcosa su di lui?»

Morgan non sembrava voler scucire loro nulla, ma dopotutto loro erano i cacciatori che lo avevano catturato, dovevano pur aver notato qualcosa.

«Non molto» disse Riadh, con un’alzata di spalle. «Era da solo su una scialuppa, e forse aveva i poteri del frutto. Questo spiegherebbe la sua forza. Sembrava fosse in cerca di suo padre, o qualcosa del genere.» L’uomo ricambiò lo sguardo perplesso di lei. «E aveva un nome strano, tipo Khalasar…»  

Riadh fu interrotto da uno scampanellio, subito seguito dal vocione del proprietario del locale.

«Buongiorno! A cosa devo la visita?»

Il suo tono, che cercava senza troppo successo di nascondere il nervosismo, mise Aibell istintivamente in allarme. Lei e Riadh si voltarono all’unisono e, vedendo i nuovi arrivati, si irrigidirono di colpo.

Anche il resto della clientela doveva aver avuto una simile reazione, a giudicare dal silenzio tombale che accolse i due Marines, stretti nella loro divisa immacolata e con un’aria tutt’altro che amichevole, non appena ebbero varcato l’ingresso.

Aibell e Alma, dall’altra parte del locale, si scambiarono un’occhiata preoccupata.

Il proprietario tremava visibilmente e, di fronte al silenzio dei due, il suo sorriso di pura circostanza vacillò. Gli uomini, infatti, si stavano guardando intorno e, dopo aver scandagliato a fondo il locale con una rapida occhiata, il loro sguardo si posò sul tavolo dei due cacciatori di taglie.

Aibell si sentì gelare il sangue. I suoi pensieri corsero agli eventi della sera prima, al corpo senza vita di quell’uomo. Di solito nessuno si interessava alle faide dei cacciatori di taglie, ce n’erano troppe per poter essere controllate e per di più punite, ma forse il cadavere era stato ritrovato, forse qualcuno aveva fatto il suo nome giù al bar, rivelando alla Marina il loro battibecco…

«Cerchiamo lui» disse il Marine più alto, indicando Riadh.

Si udì un rumore di vetri rotti proveniente dal bancone, su cui si concentrarono per un attimo gli sguardi di tutti gli avventori. Alma doveva aver appena fatto cadere un bicchiere. Quando Aibell lanciò un’occhiata nella sua direzione, però, non la vide. Doveva essersi già chinata a raccogliere i cocci.

Se anche Riadh aveva avuto una qualsiasi reazione, dopo che i Marine e tutti i presenti gli avevano piantato gli occhi in faccia, non lo diede a vedere. Il suo corpo, così come il suo solito sorrisetto, non si mossero di un millimetro. Aibell aveva sempre ammirato il suo sangue freddo.

Attese serafico che i due uomini si facessero avanti e, anzi, quando furono di fronte al loro tavolo, lui intrecciò le mani dietro la nuca e si abbandonò contro lo schienale, con tutta la calma del mondo.

«Buongiorno. A cosa devo la visita?» domandò, e la ragazza si augurò che il proprietario fosse troppo stupido per accorgersi che Riadh lo stava palesemente prendendo in giro.

Il Marine alto, quello che lo aveva additato prima, gli lanciò uno sguardo torvo, evidentemente seccato dal fatto che non bastasse il suo aspetto a mettere in soggezione Riadh com’era accaduto con gli altri avventori.

«Non ditemi che ho combinato qualcosa» esclamò lui, fingendosi incredulo.

A quel punto gli occhi del Marine allampanato mandavano lampi.

«I-il Capitano Morgan vuole vederti» spiegò l’altro, che non aveva ancora spiccicato parola, ed Aibell intuì il perché. A giudicare dalla sua voce, che sembrava lo squittio di un topino, doveva aver inaugurato la divisa proprio quel giorno. La ragazza provò quasi compassione per lui.

Chiarito lo scopo della loro presenza, Riadh le lanciò uno sguardo d’intesa e lei annuì impercettibilmente: dei risultati di quel colloquio ne avrebbero discusso il prima possibile.

«Bene, bene. Allora non facciamolo attendere.»

Riadh balzò in piedi, allungò una pacca sulla spalla di Aibell e quindi si diresse verso l’uscita, seguito a ruota dai due Marines.

Alma, nel frattempo, era riemersa dal bancone ed il ragazzo fece per salutarla, ma poi, forse ricordandosi dell’esistenza del suo datore di lavoro, rimasto di fronte all’ingresso come pietrificato, parve cambiare idea.

Anche dopo che il trio fu uscito, facendo tintinnare il campanello della porta, la loro ingombrante presenza rimase ad aleggiare nel locale. Il proprietario si allontanò dalla porta, ancora evidentemente scosso, e solo con il passare dei minuti i clienti ripresero a parlare con spensieratezza, come se niente fosse successo.

Aibell fissò il posto vuoto davanti a sé. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere presente all’incontro tra Riadh e Morgan, per capirne di più. Ma non era la puttanella del Capitano e, data la sua condotta, mai lo sarebbe stata – anche se sicuramente in città c’era chi insinuava il contrario – per cui le sarebbero sempre stati preclusi colloqui con i pezzi grossi.

Finì la sua birra e poggiò rumorosamente il boccale vuoto sul tavolo, asciugandosi le labbra umide con il polso. Quando incrociò per un attimo lo sguardo del proprietario, capì che doveva sloggiare.

Se mai era stata la benvenuta lì dentro, e ne dubitava fortemente, dopo ciò che era successo con Riadh lo era ancora meno. Probabilmente l’omaccione aveva pensato che il suo amico avesse davvero combinato qualcosa. I più non erano a conoscenza della sua spontanea collaborazione con Morgan, il quale di norma evitava di far sapere in giro del patto che aveva stretto con un manipolo di malfamati cacciatori di taglie, dato che lo avrebbe messo in cattiva luce.

Fu mentre si alzava in piedi, frugandosi nelle tasche alla ricerca di qualche berry, che ebbe di colpo un’illuminazione.

Ciò che era appena successo poteva anche averla costretta ad andarsene, rifletté, ma aveva smascherato Morgan. Non avrebbe mai mandato a chiamare Riadh in pieno giorno se non si fosse trattata di una questione della massima importanza.

Aibell sorrise tra sé e sé.

Non c’era solo lo zampino di Morgan, in quella faccenda.

Il Capitano c’era dentro fino al collo.

 
 
Ehilà! Vi scrivo nel bel mezzo del mio isolamento, mentre vado avanti a biscotti perché sembra che nessun corriere sappia trovare il mio indirizzo inglese. Se non muoio di stenti, vedrete gli aggiornamenti di questa storia XD
 
Ok, la smetto di scrivere puttanate. Capitolo praticamente di passaggio, non lanciatemi pomodori, dal prossimo vi darò molto di più che chiacchiere da bar e una bambina che sforna onigiri, lo giuro :P E quando dico molto di più, lo intendo sul serio!  Devo far ingranare la storia, ma questa è la quiete prima della tempesta ;) In ogni caso, spero di non avervi annoiato!
 
Non ho molto da dire sul capitolo, se non che presenta in modo un po’ più approfondito il personaggio di Alma (ciccina), e che sua madre e sua sorella appartengono ad Oda (la sorellina è la bambina che porta gli onigiri a Zoro nel primissimo volumetto di One Piece ç-ç). Prestate attenzione alle parole della canzone (ciau System) perché sono davvero calzanti per la vicenda di Alma. Piccolo spoiler, sarà il personaggio più sfigato di tutta la storia, ma le vogliamo bene lo stesso.
 
Grazie a _Fenixx per la recensione positiva, mi ha fatto davvero piacere! <3 E grazie anche ai silenziosi che seguono la storia, chissà se tra quelle quasi cento visite qualcuno si azzarderà a lasciarmi un parere (positivo o negativo che sia!) :P Ma, essendo una lettrice fantasma io stessa, non posso che esprimere la mia solidarietà XD 

Un bacio e a presto,


Cassidy
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