“At the same time, I wanna hug you
I wanna wrap my hands around your neck
And you make me so mad, I ask myself
Why I’m still here, or where could I go”
«Penso che possiate anche lasciarmi andare, ora» fece notare Riadh a quelli che forse avrebbero voluto essere i suoi aguzzini.
Tentativo miseramente fallito, pensò, visto che fin dall’inizio si erano rivelati due completi idioti. I Marines, infatti, lo avevano scortato fino al quartier generale tenendolo ciascuno per un braccio, neanche fosse il più temibile dei pirati. Una volta lì, poi, non davano segno di volerlo lasciare andare.
Riadh sbuffò. Non solo non gli si scollavano più di dosso ma, cosa ancor peggiore, sembravano del tutto sordi alle sue parole.
Doveva mantenere la calma e continuare a fingere: aveva giocato a fare il prigioniero per tutto il tragitto, dato che avrebbe potuto liberarsi dalla loro patetica stretta in ogni momento, ma quell’azione in seguito si sarebbe sicuramente ritorta contro di lui. La cosa migliore da fare, in quel frangente, era lasciar loro credere di essere più furbi di lui.
Riadh colse in quel tentativo di offenderlo una perfetta occasione per liberarsi senza ricorrere alle mani.
Riadh evitò accuratamente di aggiungere che, se i due avessero continuato con quell’atteggiamento un secondo di più, lo avrebbe fatto di certo.
Il più giovane e ragionevole dei due dovette rendersi conto che il suo ragionamento aveva perfettamente senso, perché si affrettò a lasciargli libero il braccio. L’altro, anche se palesemente contrariato, fece lo stesso.
Ora che poteva di nuovo respirare, il giovane si appuntò mentalmente di rivalutare il potere della diplomazia. Quindi si allontanò dai due, attraversando a grandi passi il vasto spiazzo in terra battuta che circondava la base della Marina, in cui uno spazio centrale, ripulito e transennato, segnalava l’inizio di qualche lavoro. Rivolgendogli uno sguardo distratto, Riadh si chiese cos’avesse in mente di far costruire quel mitomane di Morgan, mentre saliva a due a due i gradini che portavano all’ingresso.
Quel giorno, se possibile, Riadh era ancora più teso, viste le circostanze in cui si erano lasciati lui e il Capitano Morgan l’ultima volta. Ricordava come gli aveva dato contro, le parole che aveva usato in preda all’ira, e gli venne voglia di strapparsi la lingua, pensando al carattere rancoroso del Marine. Ma era il minimo per aver messo in pericolo Zoro e la piccola Dawn in quel terribile combattimento. Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo atterrito di lei, che aveva tentato senza successo di nascondere dietro la sua solita aria insolente, e le cose che gli aveva detto.
Ma non tutto il male veniva per nuocere. Se Morgan non lo avesse prima decapitato di netto con la sua ascia, quel giorno avrebbero sicuramente affrontato la questione del pirata misterioso, catturato al largo della Rotta dei Delfini. Finalmente ne avrebbe saputo di più. Al solo pensiero, gli prudevano i palmi dalla trepidazione.
Tale cane, tale padrone, pensò vagamente divertito, mentre azzardava qualche passo verso il portone semiaperto.
«Sta’ buono, cagnaccio...» lo ammonì Riadh, facendo per scavalcarlo.
«Zitto! Zitto, maledizione!»
Nell’udire quella voce petulante, Riadh levò gli occhi al cielo.
Vedendo il padrone, Soro parve calmarsi un po’, e si rilassò del tutto non appena quello iniziò ad accarezzarlo. Scodinzolò e mugolò soddisfatto, finendo con lo sdraiarsi a pancia in su.
«Allora? Perché il mio Soruccio stava abbaiando? Ah già, lui ha un buon fiuto per i criminali...» commentò Hermeppo, sprezzante.
Il ragazzo annuì e non riuscì a nascondere un sorriso perfido. «Cos’hai combinato, stavolta?»
In fin dei conti, era la verità, anche se Hermeppo detestava oltre ogni cosa essere escluso dalle faccende paterne. Nel profondo, quel ragazzo insopportabile gli faceva un po’ pena: persino il padre lo considerava un idiota, figurarsi i suoi sottoposti. E Riadh non poteva dar loro tutti i torti.
Dopo un tempo che gli parve infinito udì un secco «Avanti» e, fatto un profondo respiro, si decise ad entrare. Dietro in lui, un paio di uomini di servizio stavano bisbigliando sottovoce.
Morgan era uno strano individuo, secondo Riadh. Ormai collaborava da tempo con la sua Gilda, lasciandole una certa libertà nel proliferare, ma era ancora inafferrabile come la prima volta che l’aveva conosciuto. Negli anni aveva imparato a trattarlo con i guanti, ma non sapeva mai cosa aspettarsi da lui, e questo lo turbava. Un momento prima scherzavano insieme come amici di vecchia data, quello dopo minacciava di rovesciargli addosso la scrivania, in un improvviso moto di collera.
Quel giorno non era diverso dagli altri, e Morgan possedeva la sua solita aria sfuggente.
Il cacciatore di taglie fece come ordinato, sistemandosi sulla sedia, senza resistere all’impulso di darsi un’occhiata intorno: i mobili chiari contro la parete, i meriti e gli attestati della Marina appesi al muro, qualche soprammobile qua e là. Niente era cambiato dall’ultima volta. La scrivania di mogano era completamente sgombra, ad eccezione di una scatola di sigari su cui Riadh concentrò il proprio sguardo, preparandosi all’incombente sfuriata per aver osato mancare di rispetto al Capitano.
Oggi è una buona giornata.
«Ha solo tentato di azzannarmi una gamba. Ma non è stato abbastanza rapido.»
«Una bella fucilata e sarebbe sistemato.»
«Ma, bando alle ciance.» Morgan spense il sigaro e si raddrizzò sullo schienale, voltandosi verso di lui, che si affrettò a tornare serio. «Visto che l’ultima volta non ci siamo lasciati nel migliore dei modi.»
«Forse non dovresti tenere delle poppanti, tra i tuoi uomini.»
A quel commento, Morgan ridusse gli occhi a due fessure e Riadh deglutì, capendo di aver tirato troppo la corda. Di nuovo.
«Piuttosto» proruppe, «cosa ci faceva lì un pirat…»
Esclusa la frecciatina su Dawn, era la cosa più simile ad un complimento che probabilmente il Capitano di Vascello gli avesse mai fatto.
«Stai scherzando?»
«Guardalo bene e dimmi se non è lui.»
Il giovane sbatté le palpebre. Forse vedeva doppio: solo così si sarebbe spiegata la presenza di tutti quegli zeri.
Era la cifra più alta che Riadh avesse mai visto nella sua veneranda carriera di cacciatore di taglie.
La voce del Marine, che continuava a parlare, gli giungeva lontana, come ovattata. «Un osso duro, senza dubbio. Questi sono i soldi della ricompensa.»
Riadh era ancora incredulo, ma quei soldi, i suoi soldi, lo attraevano in modo irresistibile. Allungò una mano titubante, afferrò la prima mazzetta, frusciante sotto le sue dita, e se la pose in grembo, con la stessa delicatezza con cui vi avrebbe deposto un neonato.
Morgan pareva quasi divertito dalla situazione. La sua mandibola di ferro cigolò di nuovo. «Fa uno strano effetto, vero? Qua nel Mare Orientale non si trovano pirati che valgano più di dieci milioni.»
«Tu sapevi che si trattava di un pirata da cento milioni di berry? Lo sapevi, quando mi hai affidato l’incarico?» mormorò, inchiodandolo con lo sguardo.
Beccato, pensò Riadh, serrando le palpebre.
Tutto d’un tratto Riadh percepì il peso di quei soldi, che divennero macigni sulle sue gambe. Era per quei berry che Zoro aveva combattuto tra la vita e la morte per un giorno intero, che Dawn aveva lasciato la Gilda, forse per sempre. Per quei berry aveva quasi perso la sua famiglia.
Thalef, intanto, continuava a sorridergli dal manifesto.
«Che occasione?» fece Riadh spazientito, maledicendosi l’attimo dopo.
Riadh pensò che fosse davvero paranoico.
«Certo. Quelle che voi della Marina state mettendo a tacere.»
Riadh sgranò gli occhi. Dove voleva andare a parare?
Riadh si ritrovò ad annuire.
L’avviso di taglia di Thalef cadde dalle mani di un Riadh stupefatto e finì svolazzando ai suoi piedi.
Morgan fece un sorriso storto, che gli deformò il volto ancora di più. «Oh, sì. Vengono a riprendersi il loro amichetto.»
Ma certo, suo padre. Maledetto Zoro, non un padre qualunque. Il Babbo!
Morgan si chinò a raccogliere il manifesto di Thalef e, dopo averne lisciato i bordi spiegazzati, si rimise rumorosamente a sedere.
Di fronte allo sguardo sbalordito di Riadh, in cui probabilmente doveva leggersi la consapevolezza di essere stato ingannato, Morgan parve perdere la calma glaciale dimostrata fino ad allora.
«Quasi uniche, direi» commentò Riadh, che cominciava a vederci più chiaro. Dopo l’iniziale sbigottimento, stava tornando a ragionare con lucidità.
Riadh capì finalmente cosa intendesse dire. Tutti i pezzi stavano andando al loro posto.
Morgan annuiva ad ogni sua parola. «Era quasi scontato che i suoi compagni si sarebbero preoccupati per lui, non vedendolo tornare alla nave. Quei pirati si comportano come un’allegra famigliola. Abbiamo attirato nella rete un pesce piccolo» mormorò, accartocciando con la mano sana l’avviso di taglia di Thalef, il cui volto sorridente si deformò fino a scomparire, «ma a breve lo raggiungeranno i pesci grossi. Sono loro quelli che mi interessano.»
«Signore, Thalef sarà anche una nullità in confronto al suo comandante, ma non era affatto un pesce piccolo. Ci sono voluti quattro dei miei migliori uomini per stenderlo» osservò, ed ebbe una fugace visione di Zoro, coperto di sangue, steso nel letto della locanda di Alma. «La mia Gilda non ha alcuna possibilità contro quei pirati. Perché è per questo che mi hai convocato, vero?» continuò in tutta sicurezza. «Perché ti servono i miei cacciatori di taglie.»
«Erano solo in quattro. Per i prossimi sarete meglio preparati» fece Morgan con un’alzata di spalle, e Riadh capì di aver smascherato i suoi intenti. «Inoltre, è probabile che non vogliano dare nell’occhio, e che quindi giungano sull’isola a piccoli gruppi. Il che rende tutto più facile per voi.»
Morgan scrollò le spalle e Riadh lo fissò, aggrottando la fronte. A pensarci bene, era un’azione quasi prevedibile da un tipo come Morgan. La Marina, l’onore, la divisa… a chi voleva darla a bere? Aveva sempre sospettato dei suoi presunti ideali.
Riadh incassò il colpo senza muovere un muscolo.
«E se non accetto?» domandò Riadh, intuendo già la risposta.
Per un attimo, l’immagine di un altro uomo e dell’arma che aveva al posto della mano si sovrapposero a Morgan, prima che Riadh tornasse bruscamente alla realtà. Gli sembrava di vivere un déjà-vu, ma stavolta era diverso. Non aveva via d’uscita. Nel profondo, aveva temuto che quella fosse una strada a senso unico. Morgan non era uno a cui si potesse dire di no a cuor leggero. I suoi uomini sarebbero stati entusiasti di tutti quei soldi, ma a che prezzo? Se anche avesse iniziato ad allenarli fin da subito, rifletté, se anche si fosse messo in prima linea a combattere… sarebbe stato un suicidio.
«Promettimi una cosa» esclamò, e Morgan lo fissò sorpreso. «Se le cose si mettono male, farai intervenire la Marina» disse, concedendosi di aggiungere, con un sorriso a fior di labbra: «Quella vera.»
«Bene» fece Riadh di rimando, schiarendosi la voce. «Ne discuterò con la Gilda e ti comunicherò al più presto la nostra decisione.»
«Certo» rispose. «Come se aveste una scelta.»
***
Le strade della città erano stranamente animate, quella sera. Dalle varie locande illuminate si udiva il vociare dei marinai, di ritorno dai loro viaggi, e quello dei cacciatori di taglie, che millantavano la loro ultima cattura o giuravano d’aver intravisto qualche membro della famosa flotta di Barbabianca.
Le ferite non si erano ancora rimarginate del tutto e non riusciva ancora a muoversi perfettamente, ma si stava comunque riprendendo in fretta, tant’è che avrebbe voluto volentieri strapparsi di dosso quelle medicazioni. Ciononostante, aveva dovuto discutere animatamente sia con Alma che con Riadh per uscire e, al solo ricordo, gli veniva da sbuffare. Entrambi, infatti, avrebbero preferito che restasse ancora nella sua camera al Food Foo a riposare e riprendere le forze, ma lui si era opposto. Non sopportava l’idea di continuare a non fare niente a giornate, andava contro la sua natura. E poi non era uscito per farsi una bevuta.
Sebbene non avesse più rivisto la compagna dopo il combattimento, su di lei giravano storie così assurde che non sapeva se crederci o meno. Alcuni dicevano che fosse andata a rifugiarsi nella palude – cosa poco probabile, considerando quanto Dawn odiasse quel posto –, che avesse appiccato fuoco ad una casa, altri sostenevano che in quei due giorni avesse picchiato almeno tre baristi impudenti e rotto qualche tavolo.
Uscì dalla cittadina e, dopo aver sbagliato strada almeno una dozzina di volte, imboccò finalmente la via che portava alla spiaggia.
Fu lì che la trovò, che passeggiava a piedi nudi sulla spiaggia, sbandando da una parte all’altra. Zoro notò subito che teneva in mano una bottiglia di sakè, ormai mezza vuota. Sospirò e alzò gli occhi al cielo. Dawn non era solita bere, anche perché non riusciva a reggere nemmeno un bicchiere d’alcol. Non doveva essere proprio un gran momento, per lei.
«Ehi, ragazzina!» la chiamò, facendola voltare.
«Ma chi si vede!» esclamò.
«Non fare lo stronzo, ridammela!»
A quel punto anche lo spadaccino si sedette, gettando via la bottiglia ormai vuota.
«Che c’è?» chiese lui, scoccandole un’occhiata.
«Ci vuole ben altro per farmi fuori.»
Ad un certo punto, la ragazza aprì un occhio. «Allora, si può sapere perché sei qui? Aspetta, fammi indovinare… ti ha mandato Riadh, sperando che, con i tuoi muscoli, tu possa convincermi a tornare nella Gilda.»
Ma quanto cazzo è ubriaca?
Quando Dawn beveva, si trasformava completamente. Diventava solare e scherzosa, ed in lei non c’era traccia di quella ragazzina sempre arrabbiata e scontrosa, che minacciava di sparargli o mettergli le mani al collo. A Zoro non dispiacevano quei momenti, in cui non dovevano per forza litigare per ogni nonnulla.
Lei si mise seduta, sgranando gli occhi. «Eh?»
Provò a prenderle un braccio, ma lei lo scansò bruscamente.
«Oh, piccola Dawn» la canzonò Zoro, «eri davvero così preoccupata per me?»
Si alzò improvvisamente in piedi, avviandosi verso il mare.
Dawn non rispose. Sotto gli occhi perplessi di lui, si tolse la canottiera scura, che lanciò sulla sabbia, e rimase in shorts. Poi si voltò verso lo spadaccino e gli fece un cenno con la mano, i seni nudi rivolti nella sua direzione, i capezzoli scuri che spiccavano impertinenti sulla sua pelle color latte.
Immerse un piede nell’acqua fresca, camminando all’indietro.
Dawn fece finta di non aver sentito e continuò a indietreggiare nell’acqua. Quando le fu arrivata allo stomaco, si girò e si tuffò, sollevando un mare di spruzzi.
Aspettò un minuto.
Dawn non tornava fuori dall’acqua.
Non vedendola tornare, corse in acqua senza pensarci due volte, per paura che le fosse successo qualcosa.
Incurante delle ferite che presero a bruciargli a contatto con il sale marino, continuò ad avanzare.
Dawn uscì all’improvviso fuori dall’acqua, sollevando una marea di spruzzi e, scoppiando a ridere come una bambina, cominciò a schizzarlo. «Eri preoccupato per me?»
«Dawn, smettila.»
«Perché? Ti dà fastidio?»
Ormai le sue fasciature erano completamente zuppe, sarebbe stato inutile provare a salvare qualche parte. Non che a Zoro dispiacesse granché. Era un’ottima scusa per liberarsene. «Non mi sfidare, ragazzina.»
Vedendo che però lei non accennava a smettere, Zoro le afferrò la testa e la immerse con forza sott’acqua. Sentiva che Dawn si dimenava, agitando le braccia e schizzando acqua dappertutto, ma non aveva intenzione di mollare la presa. Un sorriso furbo si fece largo sul suo volto.
Quando tornò in superficie, Dawn provò a dargli uno schiaffo, che lui schivò facilmente.
«Sei proprio un bastardo!»
«Adesso andiamo?»
«Eh no! Prima devi prendermi.»
Dawn era veloce persino in acqua. Schivava con facilità ogni assalto di Zoro, oppure sfuggiva sott’acqua, guizzando da una parte all’altra come un pesce. Lo spadaccino tentava di starle dietro, in quella strana danza, ma era sempre un passo dietro di lei. La sentiva ridere come non aveva mai fatto prima. Forse era la prima volta in cui la vedeva veramente felice.
Appena si accorse di averla più vicino, la circondò rapido con un braccio e la bloccò, quasi soffocandola. Con la mano libera, le immobilizzò le braccia dietro alla schiena.
«Presa.»
Uscirono dall’acqua senza dire nulla. Dawn si passava le mani tra i corti capelli bruni, cercando di sistemarseli dietro le orecchie. Provò a camminare dritta, ma finì comunque con lo sbandare contro Zoro, che prontamente la sorresse.
«Non sei più così in forma, eh?» la prese in giro.
La cacciatrice si passò una mano sulla fronte. «Mi gira la testa... forse non avrei dovuto bere così tanto» ammise con un sorriso.
Entrambi si sedettero sulla sabbia. I loro sguardi si incrociarono nuovamente, e nessuno dei due distolse lo sguardo. Senza dire nulla, sembrava che entrambi fossero diventati consapevoli del loro legame, di ciò che si era creato lavorando fianco a fianco nella Gilda.
«Potresti almeno aspettare di ricevere la taglia. A quel punto deciderai cosa fare» proruppe Zoro, rompendo il silenzio e rivolgendo lo sguardo verso il mare.
Dawn sembrò pensarci su. «Sì, mi sembra ragionevole.»
Lo spadaccino le appoggiò delicatamente una mano sulla testa, sovrappensiero, e Dawn lo guardò stupita. «E questo cosa sarebbe, un gesto d’affetto?»
«Vaffanculo» borbottò lui, ritraendo subito la mano.
Dawn ridacchiò sommessamente. «Ti stavo solo prendendo un po’ in giro, non te la prendere. Puoi essere un grande anche spadaccino anche se ogni tanto dimostri di avere dei sentimenti.»
Zoro distolse lo sguardo dalla compagna. La frase di Dawn gli aveva riportato alla mente tutto ciò che era successo e che l’aveva fatto arrivare fin lì. Tutto quello che avrebbe ancora dovuto fare, se avesse voluto essere un grande spadaccino.
«È quello che vuoi diventare, giusto?»
Il ragazzo annuì senza guardarla.
«Perché?» continuò a chiedere lei. «Perché proprio lo spadaccino?»
Zoro sospirò, chiedendosi da dove venisse tutta quella curiosità. Fino a quel giorno lei non aveva mai chiesto nulla sul suo passato, perché lui non aveva mai chiesto nulla del suo. Entrambi erano sempre stati molto discreti.
«L’ho promesso ad un’amica. Lo faccio per lei» disse, sperando di chiudere lì la conversazione.
Dawn non chiese altro. Malgrado la sbronza, doveva aver captato il suo cambiamento di voce e forse non voleva infierire.
«Vieni, su» le disse allora Zoro, alzandosi in piedi e relegando il ricordo di Kuina, delle sue promesse e degli errori compiuti nel Paradiso in un angolo della mente.
Dawn stava per ribattere, ma lui la interruppe sul nascere. «Per una volta puoi fare come ti dico senza discutere?»
Lei sbuffò, ma non ribatté. Recuperò la sua canotta, si alzò in piedi barcollando e, vedendo che non riusciva a reggersi in piedi, Zoro si chinò e la prese sulle spalle, sospirando con rassegnazione.
Lei lo circondò con gambe e braccia, appoggiando la testa sulla sua schiena.
«Cerca di non addormentarti» l’ammonì lui, guardandosi intorno per cercare di capire da dove fosse arrivato.
Voltandosi un attimo verso Dawn, vide che la ragazzina aveva già chiuso gli occhi, sicuramente per fargli dispetto. Stava sorridendo.
Non credeva di averla mai vista con un’aria così serena e, senza neanche rendersene conto, si ritrovò a sorridere anche lui.
***
Il tetto della villa che gli era stata lasciata da quando era rimasto solo al mondo, e nella quale era tornato ad abitare da quando aveva deciso di ritirarsi dall’organizzazione, svettava oltre le fronde dei pini che la circondavano. Imponente e statuaria, era situata in cima alla collina più alta di Sheltz Town, abbastanza lontana dal paese e dalla Marina. Riadh non avrebbe potuto chiedere di meglio da un’abitazione.
Quando, dopo aver faticosamente salito i gradini dell’ingresso, giunse di fronte all’imponente portone in legno di quercia, lasciò andare il borsone e bussò con entrambi i pugni, sperando che bastasse a sovrastare il frastuono. Non aveva voglia di mettersi a cercare le chiavi. Sapeva che qualcuno dotato di un udito abbastanza fine lo avrebbe sentito. Con suo sollievo, fu proprio così.
«Grazie» disse Riadh, ricacciando il pensiero di Thalef e Morgan in un angolo della mente, rivolto ad Ektor, un fidato membro della Gilda, e alle sue orecchie.
«Vedrai» tagliò corto Riadh, incamminandosi lungo il corridoio diretto alla sala, Ektor che lo seguiva fedelmente. Man mano che procedeva, le grida e le risate si facevano sempre più chiare.
Riadh fece un respiro profondo e, prima che tutti potessero accoglierlo a gran voce, alzò una mano e fece loro segno di fare silenzio. Per un attimo l’occhio gli cadde sul grande divano che, dalla parete, era finito rovesciato al centro della stanza, ai vetri rotti sul pavimento, ma poi scrollò le spalle. Non gli importava. Anzi, in cuor suo sperava che le cose potessero rimanere così per sempre, che al suo ritorno potesse sempre ritrovare casa sua in quello stato.
Quello era l’inizio della fine, e lui lo sapeva. Aveva già provato sulla pelle una volta la loro forza. I pirati più forti di tutti i mari stavano per fare visita a Sheltz Town e, per quel che ne sapeva, potevano essere addirittura già sbarcati sull’isola.
Ehilà!
Finalmente entriamo nel vivo della storia. Morgan, il principale antagonista (e fa già ridere così) fa qui la sua prima apparizione. Ammetto che mi diverto un sacco a scrivere le sue scene (tra matti ci s’intende, capite). È completamente pazzo, paranoico, corrotto fino al midollo e, nonostante ciò, la Marina lo lascia a tiranneggiare, e ha pure messo nei guai il povero Riadh. Mi dispiace sinceramente che Rufy lo abbia fatto fuori dopo un capitolo e mezzo, perché come personaggio mi intrigava. Probabilmente il “mio” Morgan sarà un po’ più forte, ma non troppo. Come vi avevo accennato, questa storia ha diversi problemini, tra cui l’ENORME sproporzione di forze (Barbabianca e Morgan, cos’è, una barzelletta?) ma diciamo che i nostri eroi non arriveranno allo scontro diretto se non dopo un bel po’. E Morgan non sarà da solo, in quel momento… Ma mi sto dilungando troppo.
Niente da dire su Dawn e Zoro… sono dei ciccini ç-ç Comunque tenete a mente quella palude accennata da Zoro, perché ci servirà.
Io, nel frattempo, inizio a buttare lì qualche indizio sul passato di Riadh ;) Tra parentesi, il suo rapporto con Zoro è una delle parti di cui preferisco scrivere, le origini della loro “fratellanza” si delineeranno pian piano e spero piacciano anche a voi <3 In ogni caso, a tempo debito sapremo che ci fa questo cacciatore a Sheltz Town, qual è la sua storia, come mai sembra conoscere Newgate, qual è il patto che ha stretto col diavolo, eccetera eccetera :P Una cosa: Riadh non dà del lei/voi a Morgan come si dovrebbe fare di fronte ad un ufficiale ma, trattandosi di un cacciatore di taglie (ergo, la feccia della società), mi sembrava un po’ inverosimile XD
Ringrazio _Fenixx per la sua recensione (sei gentilissima!) e anche chi le ha dato solo silenziosamente un’occhiata. Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Un bacio e alla prossima,
Cassidy.