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Autore: Cassidy_Redwyne    27/04/2021    1 recensioni
L’anonima Sheltz Town, dove Rufy e Zoro s’incontrano per la prima volta, è sul punto di diventare teatro di una rivolta.
Per salire di grado Morgan Mano d’Ascia sarebbe pronto a tutto, anche a mettere in pericolo i suoi cittadini attirando una delle flotte più potenti di tutti i mari, interessata all’antico segreto dell’isola, proprio a Sheltz Town.
I cacciatori di taglie di Riadh sono abili, spietati e senza scrupoli. E del tutto impreparati ad affrontare una flotta di tale calibro. Quello che Morgan non ha messo in conto, però, è che pirati e cacciatori di taglie potrebbero mettersi in combutta alle sue spalle. E potrebbero essere gli unici in grado di portare un po’ di giustizia.
***
Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.
La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.
E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.
I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.
***
«Voglio che Zoro si unisca alla mia ciurma» esclamò il ragazzino gioviale.
Riadh strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno! Giù le mani dai miei cacciatori di taglie!»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Morgan, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO III
 
“At the same time, I wanna hug you
I wanna wrap my hands around your neck
And you make me so mad, I ask myself
Why I’m still here, or where could I go”
 

«Penso che possiate anche lasciarmi andare, ora» fece notare Riadh a quelli che forse avrebbero voluto essere i suoi aguzzini.

Tentativo miseramente fallito, pensò, visto che fin dall’inizio si erano rivelati due completi idioti. I Marines, infatti, lo avevano scortato fino al quartier generale tenendolo ciascuno per un braccio, neanche fosse il più temibile dei pirati. Una volta lì, poi, non davano segno di volerlo lasciare andare.

Riadh sbuffò. Non solo non gli si scollavano più di dosso ma, cosa ancor peggiore, sembravano del tutto sordi alle sue parole.

«Non ho bisogno della balia, di qui in avanti» sbottò, maledicendo la sua impulsività un attimo dopo.

Doveva mantenere la calma e continuare a fingere: aveva giocato a fare il prigioniero per tutto il tragitto, dato che avrebbe potuto liberarsi dalla loro patetica stretta in ogni momento, ma quell’azione in seguito si sarebbe sicuramente ritorta contro di lui. La cosa migliore da fare, in quel frangente, era lasciar loro credere di essere più furbi di lui.

«Modera il linguaggio, cacciatore di taglie» sbraitò il Marine alto e secco.

Riadh colse in quel tentativo di offenderlo una perfetta occasione per liberarsi senza ricorrere alle mani.

«Cacciatore di taglie, appunto» ribatté. «Non sono qui per farmi sbattere in cella, ma per parlare con il vostro capo, quindi potete lasciarmi. Di certo non vi aggredirò, non sono un pirata!»

Riadh evitò accuratamente di aggiungere che, se i due avessero continuato con quell’atteggiamento un secondo di più, lo avrebbe fatto di certo.  

«E poi, vi sembro così pazzo da attaccare briga con la Marina proprio nel territorio di Morgan Mano D’Ascia?»

Il più giovane e ragionevole dei due dovette rendersi conto che il suo ragionamento aveva perfettamente senso, perché si affrettò a lasciargli libero il braccio. L’altro, anche se palesemente contrariato, fece lo stesso.

«Grazie» fece Riadh, con lo stesso tono con cui li avrebbe mandati a fare in culo. Cosa che, a giudicare dalle loro facce, non doveva essere sfuggita a nessuno dei due.

Ora che poteva di nuovo respirare, il giovane si appuntò mentalmente di rivalutare il potere della diplomazia. Quindi si allontanò dai due, attraversando a grandi passi il vasto spiazzo in terra battuta che circondava la base della Marina, in cui uno spazio centrale, ripulito e transennato, segnalava l’inizio di qualche lavoro. Rivolgendogli uno sguardo distratto, Riadh si chiese cos’avesse in mente di far costruire quel mitomane di Morgan, mentre saliva a due a due i gradini che portavano all’ingresso.

Andare lì gli provocava sempre un senso di disagio, nonostante fosse ormai in buoni rapporti con i Marines della zona. O così pensava di essere, almeno fino a quel giorno. Era riuscito a corrompere almeno la metà di loro, ma il trattamento che gli riservavano i novellini e i più conservatori, com’era accaduto poco prima, era la conferma che certi uomini della Marina non lo considerassero onesto fino in fondo. Non che, effettivamente, lo fosse. Riadh faceva il cacciatore di taglie per guadagnarsi da vivere, non certo per permettere ai bambini di girare per i vicoli di Sheltz Town senza che le madri fossero in pensiero. Così facendo, comunque, agevolava il lavoro della Marina, che però lo considerava più simile ai ceffi a cui dava la caccia che ai suoi uomini, i quali tentavano di essere corretti e puliti come le loro immacolate divise.

Quel giorno, se possibile, Riadh era ancora più teso, viste le circostanze in cui si erano lasciati lui e il Capitano Morgan l’ultima volta. Ricordava come gli aveva dato contro, le parole che aveva usato in preda all’ira, e gli venne voglia di strapparsi la lingua, pensando al carattere rancoroso del Marine. Ma era il minimo per aver messo in pericolo Zoro e la piccola Dawn in quel terribile combattimento. Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo atterrito di lei, che aveva tentato senza successo di nascondere dietro la sua solita aria insolente, e le cose che gli aveva detto.

Probabilmente il Capitano lo aveva convocato con tutta quell’urgenza per fargli una lavata di capo, prima di consegnargli il gruzzolo riscosso dalla taglia. Perché, altrimenti? Di solito le procedure successive ad una cattura non si svolgevano in quel modo e, pur sforzandosi, non riusciva a farsi venire in mente nessun’altra motivazione. Da tempo non gli rimproverava lo scorretto comportamento dei suoi sottoposti, quindi non poteva trattarsi neanche di quel genere di richiamo.

Ma non tutto il male veniva per nuocere. Se Morgan non lo avesse prima decapitato di netto con la sua ascia, quel giorno avrebbero sicuramente affrontato la questione del pirata misterioso, catturato al largo della Rotta dei Delfini. Finalmente ne avrebbe saputo di più. Al solo pensiero, gli prudevano i palmi dalla trepidazione.

Fu con quei sentimenti contrastanti che Riadh giunse in cima alle scale, dove, proprio di fronte alla porta d'ingresso, era spaparanzato il cane da guardia del figlio di Morgan, una vera e propria bestiaccia.

Tale cane, tale padrone, pensò vagamente divertito, mentre azzardava qualche passo verso il portone semiaperto.

Soro alzò di scatto la testa e lo fissò, riducendo gli occhi d’ambra a due fessure, mentre emetteva un basso ringhio d’avvertimento.

«Sta’ buono, cagnaccio...» lo ammonì Riadh, facendo per scavalcarlo.

Il lupo gli si rivoltò contro per morderlo e il giovane cacciatore di taglie spostò la gamba un attimo prima che finisse chiusa tra le sue mascelle. Non appena mise piede dentro l’edificio, però, non contento di averlo quasi azzannato, Soro iniziò ad abbaiare a tutto spiano.

«Zitto! Zitto, maledizione!»

«Cos’hai fatto al mio cagnolino?»

Nell’udire quella voce petulante, Riadh levò gli occhi al cielo.

Hermeppo, uscito trafelato da quella che doveva essere la sua stanza, si diresse a passo di carica verso di lui, con uno sguardo che mandava lampi.

Vedendo il padrone, Soro parve calmarsi un po’, e si rilassò del tutto non appena quello iniziò ad accarezzarlo. Scodinzolò e mugolò soddisfatto, finendo con lo sdraiarsi a pancia in su.

Di fronte a quel completo atto di sottomissione, Riadh non poté che inarcare un sopracciglio, piuttosto perplesso.

«Allora? Perché il mio Soruccio stava abbaiando? Ah già, lui ha un buon fiuto per i criminali...» commentò Hermeppo, sprezzante.

Riadh evitò di rispondergli per le rime e chiese, calmo: «Tuo padre è di sopra? Voleva vedermi.»

Il ragazzo annuì e non riuscì a nascondere un sorriso perfido. «Coshai combinato, stavolta?»

«Niente che ti riguardi» tagliò corto lui, superandolo e imboccando la curva delle scale.

In fin dei conti, era la verità, anche se Hermeppo detestava oltre ogni cosa essere escluso dalle faccende paterne. Nel profondo, quel ragazzo insopportabile gli faceva un po’ pena: persino il padre lo considerava un idiota, figurarsi i suoi sottoposti. E Riadh non poteva dar loro tutti i torti.

Giunto di fronte all’ufficio di Morgan, Riadh bussò un paio di volte, cercando di ignorare l’inquietudine che cresceva dentro di lui.

Dopo un tempo che gli parve infinito udì un secco «Avanti» e, fatto un profondo respiro, si decise ad entrare. Dietro in lui, un paio di uomini di servizio stavano bisbigliando sottovoce.

Lo studio del capitano Morgan era come lo ricordava: in perfetto ordine, con la grande finestra aperta che lasciava entrare la morbida luce pomeridiana all’interno della stanza. In netto contrasto con la rigida figura che la dominava, che Riadh riuscì a vedere nitidamente solo quando ebbe socchiuso gli occhi. Era in controluce, seduta alla scrivania, mentre fumava un sigaro senza mai smettere di fissarlo.

Morgan era uno strano individuo, secondo Riadh. Ormai collaborava da tempo con la sua Gilda, lasciandole una certa libertà nel proliferare, ma era ancora inafferrabile come la prima volta che l’aveva conosciuto. Negli anni aveva imparato a trattarlo con i guanti, ma non sapeva mai cosa aspettarsi da lui, e questo lo turbava. Un momento prima scherzavano insieme come amici di vecchia data, quello dopo minacciava di rovesciargli addosso la scrivania, in un improvviso moto di collera.

Era un Marine fin troppo autoritario ed alcuni dei comportamenti che assumeva con i civili, con i suoi sottoposti, così come con il figlio, lasciavano Riadh ancora destabilizzato. Non era un mistero il perché tutta Sheltz Town vivesse nel terrore delle sue punizioni. Inoltre, aveva sempre avuto un che di losco nei modi di fare, e dava l’impressione di essere disposto a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di raggiungere i suoi scopi. Per questo Riadh lo immaginava bene a lavorare in un giro di cacciatori di taglie, non nella giustizia.

Quel giorno non era diverso dagli altri, e Morgan possedeva la sua solita aria sfuggente.

Riadh fece un passo avanti, pensando a qualche frase di circostanza per rompere il ghiaccio, ma il Marine lo bloccò sul nascere, facendogli lo sbrigativo segno di mettersi a sedere.

Il cacciatore di taglie fece come ordinato, sistemandosi sulla sedia, senza resistere all’impulso di darsi un’occhiata intorno: i mobili chiari contro la parete, i meriti e gli attestati della Marina appesi al muro, qualche soprammobile qua e là. Niente era cambiato dall’ultima volta. La scrivania di mogano era completamente sgombra, ad eccezione di una scatola di sigari su cui Riadh concentrò il proprio sguardo, preparandosi all’incombente sfuriata per aver osato mancare di rispetto al Capitano.

«Hai avuto problemi con quel maledettissimo cane?» domandò di colpo lui e Riadh alzò gli occhi, sorpreso. «L’ho sentito abbaiare da quaggiù» continuò, aspirando le ultime boccate.

Oggi è una buona giornata.

Riadh si sistemò meglio sulla sedia, percependo la tensione allentarsi un po’. Le chiacchiere contribuivano sempre a metterlo a proprio agio.

«Ha solo tentato di azzannarmi una gamba. Ma non è stato abbastanza rapido.»

Morgan volse lo sguardo alla finestra. La ferraglia che aveva al posto della mandibola scricchiolò rumorosamente e il giovane capì, dopo un attimo, che quello era il suo modo di ridacchiare.

«Una bella fucilata e sarebbe sistemato.»

Riadh non riuscì a trattenere un sorriso, pensando che Aibell sarebbe stata più che disposta ad assumersi quell’incarico, giusto per tenersi un po’ in allenamento con il suo amato fucile.

«Ma, bando alle ciance.» Morgan spense il sigaro e si raddrizzò sullo schienale, voltandosi verso di lui, che si affrettò a tornare serio. «Visto che l’ultima volta non ci siamo lasciati nel migliore dei modi.»

Riadh captò il cambiamento di tono, che da neutro si era fatto gelido. «No, affatto, ma cerca di metterti nei miei panni. Ho quasi perso i miei uomini migliori per cercare di catturare un pirata senza identità.»

«Forse non dovresti tenere delle poppanti, tra i tuoi uomini.»

«Non mi risulta che la ragazza che ti portato in manette Wilda Roberts e un’intera ciurma di pirati, giusto per dirne un paio, sia una poppante» osservò Riadh, fissandolo senza batter ciglio. «E, comunque, mi pare che la missione sia andata esattamente come volevi tu.»

A quel commento, Morgan ridusse gli occhi a due fessure e Riadh deglutì, capendo di aver tirato troppo la corda. Di nuovo.

I raggi del sole riflettevano un bagliore sinistro sull’ascia che l’uomo aveva al posto della mano destra. Il moro rabbrividì, pensando che era lì che sarebbe finita la sua faccia, se non si fosse dato subito un contegno.

«Piuttosto» proruppe, «cosa ci faceva lì un pirat…»

«Volevi sapere chi era, giusto?» Lo interruppe lui, afferrando da un ripiano posto accanto alla scrivania un’imponente pila di avvisi di taglia. «I tuoi uomini dopotutto hanno fatto il loro dovere.»

Esclusa la frecciatina su Dawn, era la cosa più simile ad un complimento che probabilmente il Capitano di Vascello gli avesse mai fatto.

Dopo aver spulciato rapidamente tra i manifesti, Morgan posò sulla scrivania un avviso sgualcito e, visto l’effetto che ne conseguì, fu come se vi avesse lanciato una bomba.

«Stai scherzando?»

Riadh si avventò sull’avviso di taglia, senza riuscire a credere ai propri occhi. Forse aveva le traveggole.

«Guardalo bene e dimmi se non è lui.»

Morgan aveva ragione. Il ragazzo riconobbe gli occhi color antracite del pirata che aveva quasi ucciso Zoro sul volto scuro, incorniciato da lunghi ricci neri; qua e là, nella folta capigliatura afro, aveva delle trecce decorate con perline, che gli davano un’aria piuttosto bonaria, quasi ridicola. Ma era solo apparenza, prova il suo aperto sorriso di sfida, denti perfettamente bianchi in contrasto con la carnagione scura, e la ricompensa per la cattura.

Il giovane sbatté le palpebre. Forse vedeva doppio: solo così si sarebbe spiegata la presenza di tutti quegli zeri.

Cento milioni di berry sonanti.

Era la cifra più alta che Riadh avesse mai visto nella sua veneranda carriera di cacciatore di taglie.

«Khalasar D. Thalef» fece Morgan, e Riadh fissò a sua volta le lettere scritte a caratteri cubitali sull’avviso di taglia del pirata, che assumeva finalmente una vera identità.

La voce del Marine, che continuava a parlare, gli giungeva lontana, come ovattata. «Un osso duro, senza dubbio. Questi sono i soldi della ricompensa.»

Aprì un cassetto e posò sulla scrivania la somma di denaro in contanti.

Riadh era ancora incredulo, ma quei soldi, i suoi soldi, lo attraevano in modo irresistibile. Allungò una mano titubante, afferrò la prima mazzetta, frusciante sotto le sue dita, e se la pose in grembo, con la stessa delicatezza con cui vi avrebbe deposto un neonato.

Dovette ripetere l’operazione cinque volte per sgombrare la scrivania.

Morgan pareva quasi divertito dalla situazione. La sua mandibola di ferro cigolò di nuovo. «Fa uno strano effetto, vero? Qua nel Mare Orientale non si trovano pirati che valgano più di dieci milioni.»

Riadh stava giusto pensando che il pirata più fruttuoso su cui avesse mai messo le mani, in quel tratto di mare, gli era valso neanche otto milioni di berry, ma lo tenne per sé. Dopo aver rivolto un ultimo sguardo al manifesto e alla cifra astronomica di cui era di colpo divenuto proprietario, alzò gli occhi.

«Tu sapevi che si trattava di un pirata da cento milioni di berry? Lo sapevi, quando mi hai affidato l’incarico?» mormorò, inchiodandolo con lo sguardo.

Anche se l’espressione del Capitano non mutò, le sue pupille guizzarono impercettibilmente da un lato prima di tornare a fissarlo.

Beccato, pensò Riadh, serrando le palpebre.

«Temevo che, se ti avessi rivelato subito l’identità di questo tizio, ti saresti rifiutato di far intervenire la Gilda» spiegò lui, infine. «Ma non potevamo perdere quest’occasione.»

Tutto d’un tratto Riadh percepì il peso di quei soldi, che divennero macigni sulle sue gambe. Era per quei berry che Zoro aveva combattuto tra la vita e la morte per un giorno intero, che Dawn aveva lasciato la Gilda, forse per sempre. Per quei berry aveva quasi perso la sua famiglia.

«Resta il fatto che ci hai usati per i tuoi scopi» ribatté, incrociando le braccia al petto.

Thalef, intanto, continuava a sorridergli dal manifesto.

«Non potevo perdere questa occasione» ripeté Morgan, meccanicamente.

«Che occasione?» fece Riadh spazientito, maledicendosi l’attimo dopo.

Il Capitano non rispose subito. Sembrava tenerlo sulle spine di proposito. Si alzò in piedi con una calma quasi studiata e, per un lungo attimo, la sua stazza coprì il sole, gettando l’ufficio nella penombra. Dopo essersi voltato verso la finestra, Morgan chiuse le imposte, come per premurarsi che nessuno ascoltasse ciò che stava per dire.

Riadh pensò che fosse davvero paranoico.

«Se fossi uno dei miei stupidi sottoposti, ti direi che l’ho fatto perché non potevamo rischiare che un pirata simile girasse in libertà nelle nostre acque» disse Morgan, continuando a dargli le spalle. «Un intento nobile, degno della mia uniforme. Ma mentirei.» L’uomo si voltò di scatto verso di lui, tanto da farlo sobbalzare. «Tu sai delle voci che girano a Sheltz Town da qualche tempo? Quelle sulla ciurma diretta qui?»

«Certo. Quelle che voi della Marina state mettendo a tacere.»

«Non potrò farlo ancora per molto» borbottò Morgan, grattandosi pensieroso il capo con le dita della mano sana.

Riadh sgranò gli occhi. Dove voleva andare a parare?

«Khalasar D. Thalef è un nome che ti dice poco e nulla, lo so» fece poi, dopo una pausa. «Scommetto che non avevi mai visto un suo avviso di taglia in giro, prima di oggi.»

Riadh si ritrovò ad annuire.

Morgan stava saggiando la scure con la mano sana. «Ma se ti dicessi che si tratta di uno degli uomini di Marco la Fenice? Credo che di lui, invece, tu ne abbia sentito parlare. Anche troppo. Visto che voci dicono che si stia dirigendo proprio qui.»

L’avviso di taglia di Thalef cadde dalle mani di un Riadh stupefatto e finì svolazzando ai suoi piedi.

«Allora è vero?» fu tutto quello che riuscì a blaterare.

Morgan fece un sorriso storto, che gli deformò il volto ancora di più. «Oh, sì. Vengono a riprendersi il loro amichetto.»

Il giovane deglutì. «E tu lo sapevi?»

Ma certo, suo padre. Maledetto Zoro, non un padre qualunque. Il Babbo!

Morgan si chinò a raccogliere il manifesto di Thalef e, dopo averne lisciato i bordi spiegazzati, si rimise rumorosamente a sedere.

«Sono settimane che sorveglio la loro rotta. Anche se adesso sembra siano scomparsi, probabilmente grazie a qualche frutto del diavolo, sono certo che siano qui.»

Di fronte allo sguardo sbalordito di Riadh, in cui probabilmente doveva leggersi la consapevolezza di essere stato ingannato, Morgan parve perdere la calma glaciale dimostrata fino ad allora.

«Hai idea di quante siano le possibilità che una ciurma come quella di Edward Newgate passi attraverso il Mare Orientale? Che costeggi Sheltz Town, nient’altro che uno scaracchio nell’oceano?»

«Quasi uniche, direi» commentò Riadh, che cominciava a vederci più chiaro. Dopo l’iniziale sbigottimento, stava tornando a ragionare con lucidità.

Morgan annuì con slancio. «Un’occasione che non può essere sprecata.»

Riadh capì finalmente cosa intendesse dire. Tutti i pezzi stavano andando al loro posto.

«Quindi tu sapevi da tempo che Barbabianca e i suoi sarebbero passati attraverso il Mare Orientale. Hai scoperto che un membro della divisione di Marco avrebbe attraversato la Rotta dei Delfini e hai fatto intervenire me, perché lo catturassi. Tutto questo…» Riadh si bloccò e alzò gli occhi su di lui. «…per attirare loro sull’isola.»

Morgan annuiva ad ogni sua parola. «Era quasi scontato che i suoi compagni si sarebbero preoccupati per lui, non vedendolo tornare alla nave. Quei pirati si comportano come un’allegra famigliola. Abbiamo attirato nella rete un pesce piccolo» mormorò, accartocciando con la mano sana l’avviso di taglia di Thalef, il cui volto sorridente si deformò fino a scomparire, «ma a breve lo raggiungeranno i pesci grossi. Sono loro quelli che mi interessano.»

Riadh scosse la testa. Il Capitano aveva una visione del tutto discutibile riguardo ai pesci.

«Signore, Thalef sarà anche una nullità in confronto al suo comandante, ma non era affatto un pesce piccolo. Ci sono voluti quattro dei miei migliori uomini per stenderlo» osservò, ed ebbe una fugace visione di Zoro, coperto di sangue, steso nel letto della locanda di Alma. «La mia Gilda non ha alcuna possibilità contro quei pirati. Perché è per questo che mi hai convocato, vero?» continuò in tutta sicurezza. «Perché ti servono i miei cacciatori di taglie.»

Sapeva che gli uomini di Barbabianca erano molto legati gli uni agli altri, lo sapeva meglio di quell’idiota di un Marine, e sarebbero stati pronti a tutto per i propri compagni, il che metteva loro in una posizione molto pericolosa. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe più messo in pericolo i suoi uomini, la sua allegra famigliola, ed ecco che quel pazzo di Morgan se ne usciva con quel piano. Che purtroppo aveva già parzialmente messo in atto.

«Erano solo in quattro. Per i prossimi sarete meglio preparati» fece Morgan con un’alzata di spalle, e Riadh capì di aver smascherato i suoi intenti. «Inoltre, è probabile che non vogliano dare nell’occhio, e che quindi giungano sull’isola a piccoli gruppi. Il che rende tutto più facile per voi.»

Il giovane serrò i pugni. «La mia Gilda non è in grado di affrontarli» ripeté. «E poi, non è un dovere dei Marines proteggere la propria città? Hai pensato al pericolo che quei pirati rappresentano per i civili, per l’intera Sheltz Town?»

Morgan scrollò le spalle e Riadh lo fissò, aggrottando la fronte. A pensarci bene, era un’azione quasi prevedibile da un tipo come Morgan. La Marina, l’onore, la divisa… a chi voleva darla a bere? Aveva sempre sospettato dei suoi presunti ideali.

«Non ti facevo un paladino della giustizia» commentò Morgan, la mandibola di ferro che cigolava orribilmente. «Sarò onesto. Quando penso a quei pirati diretti nella nostra città, non m’importa un cazzo di quegli idioti che la abitano. Lo sai a cosa penso? Alla promozione che mi spetterebbe. Commodoro, contrammiraglio… viceammiraglio. Non suona bene, viceammiraglio Morgan?» L’uomo chiuse gli occhi con aria sognante. «Il grado è tutto, Riadh.» Quando riaprì gli occhi, si dovette accorgere di chi aveva davanti, perché la sua espressione si fece quasi compassionevole. «Ma che te lo spiego a fare… a quelli come te importa solo dei soldi, giusto?»

Riadh incassò il colpo senza muovere un muscolo.

«A proposito, ovviamente non lavoreresti gratis. Non credere che non ci guadagneresti, da questa flotta. Quello» Morgan indicò con lo sguardo tutti i soldi che Riadh aveva in grembo, «è solo l’inizio, se accetti di collaborare.»

«E se non accetto?» domandò Riadh, intuendo già la risposta.

Morgan mimò con ciò che rimaneva della sua mano destra un gesto che non ci fu bisogno di ripetere.

Per un attimo, l’immagine di un altro uomo e dell’arma che aveva al posto della mano si sovrapposero a Morgan, prima che Riadh tornasse bruscamente alla realtà. Gli sembrava di vivere un déjà-vu, ma stavolta era diverso. Non aveva via d’uscita. Nel profondo, aveva temuto che quella fosse una strada a senso unico. Morgan non era uno a cui si potesse dire di no a cuor leggero. I suoi uomini sarebbero stati entusiasti di tutti quei soldi, ma a che prezzo? Se anche avesse iniziato ad allenarli fin da subito, rifletté, se anche si fosse messo in prima linea a combattere… sarebbe stato un suicidio.

Riadh fece un respiro profondo, tentando di riacquistare la calma.

«Promettimi una cosa» esclamò, e Morgan lo fissò sorpreso. «Se le cose si mettono male, farai intervenire la Marina» disse, concedendosi di aggiungere, con un sorriso a fior di labbra: «Quella vera

Stavolta fu Morgan a dover incassare. Annuì. «Daccordo.»

«Bene» fece Riadh di rimando, schiarendosi la voce. «Ne discuterò con la Gilda e ti comunicherò al più presto la nostra decisione.»

Morgan lo guardò. Pareva divertito.

«Certo» rispose. «Come se aveste una scelta.»

 

***

 

Le strade della città erano stranamente animate, quella sera. Dalle varie locande illuminate si udiva il vociare dei marinai, di ritorno dai loro viaggi, e quello dei cacciatori di taglie, che millantavano la loro ultima cattura o giuravano d’aver intravisto qualche membro della famosa flotta di Barbabianca.

Zoro si faceva largo tra la folla di persone che, approfittando della serata decisamente calda, avevano deciso di uscire di casa per una passeggiata al calar della sera.

Le ferite non si erano ancora rimarginate del tutto e non riusciva ancora a muoversi perfettamente, ma si stava comunque riprendendo in fretta, tant’è che avrebbe voluto volentieri strapparsi di dosso quelle medicazioni. Ciononostante, aveva dovuto discutere animatamente sia con Alma che con Riadh per uscire e, al solo ricordo, gli veniva da sbuffare. Entrambi, infatti, avrebbero preferito che restasse ancora nella sua camera al Food Foo a riposare e riprendere le forze, ma lui si era opposto. Non sopportava l’idea di continuare a non fare niente a giornate, andava contro la sua natura. E poi non era uscito per farsi una bevuta.

Johnny e Yosaku gli avevano raccontato che Dawn aveva lasciato la Gilda, dopo quello che era successo sulla Rotta dei Delfini. Riadh non aveva detto niente al riguardo, ma Zoro aveva subito intuito che lui c’entrasse qualcosa.

Sebbene non avesse più rivisto la compagna dopo il combattimento, su di lei giravano storie così assurde che non sapeva se crederci o meno. Alcuni dicevano che fosse andata a rifugiarsi nella palude – cosa poco probabile, considerando quanto Dawn odiasse quel posto –, che avesse appiccato fuoco ad una casa, altri sostenevano che in quei due giorni avesse picchiato almeno tre baristi impudenti e rotto qualche tavolo.

In tutti quei racconti c’era una parte di verità, Zoro ci avrebbe scommesso. Lo spadaccino conosceva bene il caratteraccio di Dawn e sapeva che in una situazione del genere ne avrebbe sicuramente combinata una delle sue.

Uscì dalla cittadina e, dopo aver sbagliato strada almeno una dozzina di volte, imboccò finalmente la via che portava alla spiaggia.

Era un luogo in cui la ragazza andava spesso quando voleva stare da sola, perché sapeva che lì nessuno l’avrebbe disturbata. A volte Zoro l’aveva vista sedersi sulla sabbia morbida e guardare il mare e le sue placide onde, immersa in chissà quali pensieri.

Fu lì che la trovò, che passeggiava a piedi nudi sulla spiaggia, sbandando da una parte all’altra. Zoro notò subito che teneva in mano una bottiglia di sakè, ormai mezza vuota. Sospirò e alzò gli occhi al cielo. Dawn non era solita bere, anche perché non riusciva a reggere nemmeno un bicchiere d’alcol. Non doveva essere proprio un gran momento, per lei.

Si avvicinò lentamente, continuando a guardare come si faceva avanti a stento sulla spiaggia.

«Ehi, ragazzina!» la chiamò, facendola voltare.

Quando si rese conto di chi aveva davanti, la cacciatrice scoppiò in una risata sguaiata e alzò la bottiglia in direzione di Zoro.

«Ma chi si vede!» esclamò.

Gli fece cenno di avvicinarsi e, non appena lui le fu accanto, la ragazzina si lasciò cadere scompostamente sulla sabbia. Fece per dare un’altra sorsata, ma Zoro fu più veloce e le strappò la bottiglia dalle mani, con grande disappunto di Dawn.

«Non fare lo stronzo, ridammela!»

«Non ci penso neanche» disse lui, bevendo avidamente.

A quel punto anche lo spadaccino si sedette, gettando via la bottiglia ormai vuota. 

Dawn lo guardò di nuovo, ridendo sommessamente.

«Che c’è?» chiese lui, scoccandole un’occhiata.

«Niente, sono solo sorpresa di vederti» disse lei, avvicinandosi sempre di più. «Pensavo che fossi morto» sussurrò, come se gli avesse appena rivelato un segreto.

«Ci vuole ben altro per farmi fuori.»

Lei si stese sulla sabbia, le mani intrecciate sotto la nuca. Lo spadaccino la osservò chiudere gli occhi, e per qualche minuto il silenzio calò sulla spiaggia. Tuttavia, nessuno dei due provava imbarazzo. Dawn doveva essere troppo ubriaca anche solo per notarlo e Zoro era abituato a quella quiete.

Ad un certo punto, la ragazza aprì un occhio. «Allora, si può sapere perché sei qui? Aspetta, fammi indovinare… ti ha mandato Riadh, sperando che, con i tuoi muscoli, tu possa convincermi a tornare nella Gilda.»

«Già, più o meno» ridacchiò lui.

Ma quanto cazzo è ubriaca?

«Be’, sappi che non riuscirai a convincermi comunque.»

Quando Dawn beveva, si trasformava completamente. Diventava solare e scherzosa, ed in lei non c’era traccia di quella ragazzina sempre arrabbiata e scontrosa, che minacciava di sparargli o mettergli le mani al collo. A Zoro non dispiacevano quei momenti, in cui non dovevano per forza litigare per ogni nonnulla.

«Avanti, alzati» le disse improvvisamente.

Lei si mise seduta, sgranando gli occhi. «Eh?»

«Alzati. Ti riporto a casa.»

Provò a prenderle un braccio, ma lei lo scansò bruscamente.

«Non ci penso nemmeno. L’ho già detto a Riadh, non voglio più sentirmi in quel modo. Ho chiuso, basta, ho bisogno di una nuova vita.»

«Oh, piccola Dawn» la canzonò Zoro, «eri davvero così preoccupata per me?»

«Eh sì, ti piacerebbe» rispose lei, facendo un sorrisetto malizioso.

Si alzò improvvisamente in piedi, avviandosi verso il mare.

Zoro inarcò un sopracciglio. «Che stai facendo?»

Dawn non rispose. Sotto gli occhi perplessi di lui, si tolse la canottiera scura, che lanciò sulla sabbia, e rimase in shorts. Poi si voltò verso lo spadaccino e gli fece un cenno con la mano, i seni nudi rivolti nella sua direzione, i capezzoli scuri che spiccavano impertinenti sulla sua pelle color latte.

«Se vuoi riportarmi nella Gilda, devi prima prendermi.»

Immerse un piede nell’acqua fresca, camminando all’indietro.

A Zoro sfuggì un sorriso. «Se stai cercando di conquistarmi, lo stai facendo nel modo sbagliato. Sei piatta come una tavola.»

Dawn fece finta di non aver sentito e continuò a indietreggiare nell’acqua. Quando le fu arrivata allo stomaco, si girò e si tuffò, sollevando un mare di spruzzi.

Zoro non l’aveva persa di vista un attimo, ovviamente, ma era rimasto sulla spiaggia. Non aveva voglia nessuna voglia di rincorrerla, quindi avrebbe aspettato che uscisse.

Aspettò un minuto.

Due minuti.

Dawn non tornava fuori dall’acqua.

Zoro a quel punto scattò in piedi. «Dawn?»

Non vedendola tornare, corse in acqua senza pensarci due volte, per paura che le fosse successo qualcosa.

«Avanti, non scherzare!»

Incurante delle ferite che presero a bruciargli a contatto con il sale marino, continuò ad avanzare. 

Dawn uscì all’improvviso fuori dall’acqua, sollevando una marea di spruzzi e, scoppiando a ridere come una bambina, cominciò a schizzarlo. «Eri preoccupato per me?»

«Dawn, smettila.»

«Perché? Ti dà fastidio?»

Ormai le sue fasciature erano completamente zuppe, sarebbe stato inutile provare a salvare qualche parte. Non che a Zoro dispiacesse granché. Era un’ottima scusa per liberarsene. «Non mi sfidare, ragazzina.»

Vedendo che però lei non accennava a smettere, Zoro le afferrò la testa e la immerse con forza sott’acqua. Sentiva che Dawn si dimenava, agitando le braccia e schizzando acqua dappertutto, ma non aveva intenzione di mollare la presa. Un sorriso furbo si fece largo sul suo volto.

Quando tornò in superficie, Dawn provò a dargli uno schiaffo, che lui schivò facilmente. 

«Sei proprio un bastardo!»

«Adesso andiamo?»

«Eh no! Prima devi prendermi.»

Dawn era veloce persino in acqua. Schivava con facilità ogni assalto di Zoro, oppure sfuggiva sott’acqua, guizzando da una parte all’altra come un pesce. Lo spadaccino tentava di starle dietro, in quella strana danza, ma era sempre un passo dietro di lei. La sentiva ridere come non aveva mai fatto prima. Forse era la prima volta in cui la vedeva veramente felice.

Appena si accorse di averla più vicino, la circondò rapido con un braccio e la bloccò, quasi soffocandola. Con la mano libera, le immobilizzò le braccia dietro alla schiena.

«Presa.»

Uscirono dall’acqua senza dire nulla. Dawn si passava le mani tra i corti capelli bruni, cercando di sistemarseli dietro le orecchie. Provò a camminare dritta, ma finì comunque con lo sbandare contro Zoro, che prontamente la sorresse.

«Non sei più così in forma, eh?» la prese in giro.

La cacciatrice si passò una mano sulla fronte. «Mi gira la testa... forse non avrei dovuto bere così tanto» ammise con un sorriso.

Entrambi si sedettero sulla sabbia. I loro sguardi si incrociarono nuovamente, e nessuno dei due distolse lo sguardo. Senza dire nulla, sembrava che entrambi fossero diventati consapevoli del loro legame, di ciò che si era creato lavorando fianco a fianco nella Gilda.

«Potresti almeno aspettare di ricevere la taglia. A quel punto deciderai cosa fare» proruppe Zoro, rompendo il silenzio e rivolgendo lo sguardo verso il mare.

Dawn sembrò pensarci su. «Sì, mi sembra ragionevole.»

Lo spadaccino le appoggiò delicatamente una mano sulla testa, sovrappensiero, e Dawn lo guardò stupita. «E questo cosa sarebbe, un gesto d’affetto?»

«Vaffanculo» borbottò lui, ritraendo subito la mano.

Dawn ridacchiò sommessamente. «Ti stavo solo prendendo un po’ in giro, non te la prendere. Puoi essere un grande anche spadaccino anche se ogni tanto dimostri di avere dei sentimenti.»

Zoro distolse lo sguardo dalla compagna. La frase di Dawn gli aveva riportato alla mente tutto ciò che era successo e che l’aveva fatto arrivare fin lì. Tutto quello che avrebbe ancora dovuto fare, se avesse voluto essere un grande spadaccino.

«È quello che vuoi diventare, giusto?»

Il ragazzo annuì senza guardarla.

«Perché?» continuò a chiedere lei. «Perché proprio lo spadaccino?»

Zoro sospirò, chiedendosi da dove venisse tutta quella curiosità. Fino a quel giorno lei non aveva mai chiesto nulla sul suo passato, perché lui non aveva mai chiesto nulla del suo. Entrambi erano sempre stati molto discreti.

«L’ho promesso ad un’amica. Lo faccio per lei» disse, sperando di chiudere lì la conversazione.

Dawn non chiese altro. Malgrado la sbronza, doveva aver captato il suo cambiamento di voce e forse non voleva infierire.

«Vieni, su» le disse allora Zoro, alzandosi in piedi e relegando il ricordo di Kuina, delle sue promesse e degli errori compiuti nel Paradiso in un angolo della mente.

Dawn stava per ribattere, ma lui la interruppe sul nascere. «Per una volta puoi fare come ti dico senza discutere?»

Lei sbuffò, ma non ribatté. Recuperò la sua canotta, si alzò in piedi barcollando e, vedendo che non riusciva a reggersi in piedi, Zoro si chinò e la prese sulle spalle, sospirando con rassegnazione.

Lei lo circondò con gambe e braccia, appoggiando la testa sulla sua schiena.

«Cerca di non addormentarti» l’ammonì lui, guardandosi intorno per cercare di capire da dove fosse arrivato.

Voltandosi un attimo verso Dawn, vide che la ragazzina aveva già chiuso gli occhi, sicuramente per fargli dispetto. Stava sorridendo.

Non credeva di averla mai vista con un’aria così serena e, senza neanche rendersene conto, si ritrovò a sorridere anche lui.

 

***

 

Riadh arrancava lungo la salita che portava a casa, trascinando a fatica l’ingente borsone che Morgan gli aveva dato sulla ghiaia del vialetto. Se disgraziatamente la tela avesse dovuto rompersi, facendo rotolare tutti i soldi a valle, sarebbe stata la fine. Cercò di non pensarci.

Il tetto della villa che gli era stata lasciata da quando era rimasto solo al mondo, e nella quale era tornato ad abitare da quando aveva deciso di ritirarsi dall’organizzazione, svettava oltre le fronde dei pini che la circondavano. Imponente e statuaria, era situata in cima alla collina più alta di Sheltz Town, abbastanza lontana dal paese e dalla Marina. Riadh non avrebbe potuto chiedere di meglio da un’abitazione.

Tendendo l’orecchio, riusciva a sentire chiaramente le grida dei suoi uomini che provenivano dalla casa. Decisamente, non era stato l’unico a subire il fascino della villa e non c’era giorno in cui non si maledicesse per aver avuto la malsana idea di metterla a disposizione degli uomini della Gilda. Un giorno o l’altro sarebbe caduta a pezzi.

Quando, dopo aver faticosamente salito i gradini dell’ingresso, giunse di fronte all’imponente portone in legno di quercia, lasciò andare il borsone e bussò con entrambi i pugni, sperando che bastasse a sovrastare il frastuono. Non aveva voglia di mettersi a cercare le chiavi. Sapeva che qualcuno dotato di un udito abbastanza fine lo avrebbe sentito. Con suo sollievo, fu proprio così.

La porta venne aperta e Riadh fu libero di sgusciare all’interno, trascinandosi dietro il peso del pirata affrontato da Dawn e Zoro, destinato a marcire in una delle squallide celle della centrale, e del folle piano in cui Morgan lo aveva coinvolto.

«Grazie» disse Riadh, ricacciando il pensiero di Thalef e Morgan in un angolo della mente, rivolto ad Ektor, un fidato membro della Gilda, e alle sue orecchie.

«Non c’è di che, capo» fece lui, spostandosi per farlo avanzare. «E questo cos’è?» aggiunse, indicando il borsone.

«Vedrai» tagliò corto Riadh, incamminandosi lungo il corridoio diretto alla sala, Ektor che lo seguiva fedelmente. Man mano che procedeva, le grida e le risate si facevano sempre più chiare.

Quando videro chi aveva appena varcato la soglia del salone, gli uomini che fino ad un attimo prima stavano facendo allegramente baldoria si zittirono di colpo.

Riadh fece un respiro profondo e, prima che tutti potessero accoglierlo a gran voce, alzò una mano e fece loro segno di fare silenzio. Per un attimo l’occhio gli cadde sul grande divano che, dalla parete, era finito rovesciato al centro della stanza, ai vetri rotti sul pavimento, ma poi scrollò le spalle. Non gli importava. Anzi, in cuor suo sperava che le cose potessero rimanere così per sempre, che al suo ritorno potesse sempre ritrovare casa sua in quello stato.

«Dobbiamo fare una riunione» annunciò, realizzando in un soffio che le sue speranze erano del tutto vane.

Quello era l’inizio della fine, e lui lo sapeva. Aveva già provato sulla pelle una volta la loro forza. I pirati più forti di tutti i mari stavano per fare visita a Sheltz Town e, per quel che ne sapeva, potevano essere addirittura già sbarcati sull’isola.

Riadh si ricosse. A maggior ragione, non c’era tempo da perdere.

 
 
 
Ehilà!
 
Finalmente entriamo nel vivo della storia. Morgan, il principale antagonista (e fa già ridere così) fa qui la sua prima apparizione. Ammetto che mi diverto un sacco a scrivere le sue scene (tra matti ci s’intende, capite). È completamente pazzo, paranoico, corrotto fino al midollo e, nonostante ciò, la Marina lo lascia a tiranneggiare, e ha pure messo nei guai il povero Riadh. Mi dispiace sinceramente che Rufy lo abbia fatto fuori dopo un capitolo e mezzo, perché come personaggio mi intrigava. Probabilmente il “mio” Morgan sarà un po’ più forte, ma non troppo. Come vi avevo accennato, questa storia ha diversi problemini, tra cui l’ENORME sproporzione di forze (Barbabianca e Morgan, cos’è, una barzelletta?) ma diciamo che i nostri eroi non arriveranno allo scontro diretto se non dopo un bel po’. E Morgan non sarà da solo, in quel momento… Ma mi sto dilungando troppo.
 
Niente da dire su Dawn e Zoro… sono dei ciccini ç-ç Comunque tenete a mente quella palude accennata da Zoro, perché ci servirà.
 
Io, nel frattempo, inizio a buttare lì qualche indizio sul passato di Riadh ;) Tra parentesi, il suo rapporto con Zoro è una delle parti di cui preferisco scrivere, le origini della loro “fratellanza” si delineeranno pian piano e spero piacciano anche a voi <3 In ogni caso, a tempo debito sapremo che ci fa questo cacciatore a Sheltz Town, qual è la sua storia, come mai sembra conoscere Newgate, qual è il patto che ha stretto col diavolo, eccetera eccetera :P Una cosa: Riadh non dà del lei/voi a Morgan come si dovrebbe fare di fronte ad un ufficiale ma, trattandosi di un cacciatore di taglie (ergo, la feccia della società), mi sembrava un po’ inverosimile XD
 
Ringrazio _Fenixx per la sua recensione (sei gentilissima!) e anche chi le ha dato solo silenziosamente un’occhiata. Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto!
 
Un bacio e alla prossima,
Cassidy.

  
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