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Autore: Rosette_Carillon    21/04/2021    2 recensioni
La guerra civile è terminata. Bucky vive a New York con Steve, cerca di ritrovare un pò di serenità e recuperare i suoi ricordi.
L'eredità appartiene a lei, ma Marta non sa davvero che farsene, e decide di accettare una proposta di lavoro che la porta a New York: viene assunta da Fury per occuparsi dell'ex Soldato d'Inverno.
[ Captain America; Knives out ]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Black and white photos'
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                                                                                                                    Capitolo 2
                                                                                                         La disgrazia di conoscere più lingue

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Bucky si guarda attorno a disagio. È dalla mattina che… semplicemente ha qualcosa che non va, qualcosa a cui non sa dare un nome, ma che gli impedisce di essere tranquillo.
Non che ci sia qualcosa di strano in ciò, ma nell’ultimo periodo stava cominciando a essere più sereno.
È una grigia giornata di pioggia, e l’appartamento è in penombra. In salotto la lampada da terra è accesa, e dalla cucina esce un fascio di luce gialla.
Le luci soffuse, il suono ritmico e gentile della pioggia lo rilassano. Forse, però, dovrebbe accendere qualche altra luce. Sì, dovrebbe: sicuramente quel buio starà dando fastidio alla signorina Cabrera.
Allunga, titubante, una mano verso l’interruttore e lo preme. La luce inonda il salotto; quasi lo acceca, e Bucky si copre gli occhi infastidito. Indietreggia e urta qualcosa con la schiena.
In un lampo di luce, è nuovamente fra le Alpi, in mezzo alla guerra; è in Russia, nella Red Room.
È circondato dal fuoco nemico e agenti dell’Hydra.
Ha freddo. Fa freddo.
È tutto bianco attorno a lui, e nevica.
Ha paura.
<< Sergente Barnes? >>
La voce gli giunge lontana, quasi non la sente nemmeno. Non vede la donna che si inginocchia accanto a lui, attenta a non invadere il suo spazio personale.
L’uomo si raggomitola contro una parete, le mani fra i capelli. Piange, e trema spaventato.
<< Sergente? >>
<< Non posso, >> geme lui << non posso- uccidere ancora! Non posso- vivere nuovamente- >> un singhiozzo lo interrompe << non voglio, non di nuovo. Non voglio- >>
<< Sergente, sergente Barnes, mi guardi! Mi guardi. Sa dirmi dove si trova in questo momento? >>
<< R-Rus- >> l’uomo si ferma, incerto. Russia. Russia? No, no. È sbagliato, non è lì, eppure è certo di essere lì.
Guarda Marta che, pacata, attende la sua risposta. Deglutisce a vuoto, e poi si ricorda << sono in America, >>  mormora con sollievo. La voce treman d’incertezza, come se temesse di essere smentito. È davvero lì? Non sa cosa sia vero e cosa no, ma il volto gentile dell’infermiera e la sua pacata presenza sembrano reali.
<< America. Esatto. >> la donna sorride e annuisce.
È in America, la guerra è finita, e lui è finalmente tornato a casa.
Bucky si copre il volto con una mano, e ride. Una risata amara. << che idiota, >> mormora. Dimentica spesso dove si trovi, che anno sia. Dimentica parole in inglese, e quando il suo cervello si ostina a pensare in russo, si infuria e soffre cercando disperatamente di dimenticare il suono di quella lingua.
<< Va tutto bene, sergente. Si è fatto male? >>
Male? Le rivolge uno sguardo incerto. Come avrebbe dovuto fare a farsi male, esattamente? Con cosa? Il dolore fisico è un lontano ricordo, si placa velocemente.
Sposta lo sguardo e vede, poco distante dall’infermiera, la lampada da terra riversa sul pavimento.
Ha aggredito una lampada.
L’ha rotta. Era di Steve, e lui l’ha rotta.
<< Sergente? >> La voce di Marta richiama la sua attenzione. << La lampada è tutta intera, e sono certa stia bene. Ora vorrei sapere come si sente lei. >>
Come si sente? … Non lo sa. Non sa cosa rispondere. Se deve essere sincero, non sente nulla, è solo stanco e stordito.
Lei aspetta pazientemente, in silenzio, una risposta che non arriva, poi solleva le mani all’altezza del suo volto. << Sergente Barnes, guardi le mie mani. Le mie mani. Ecco, così. Ora segua le mie dita. >> Allarga le braccia allontanando le mani dal suo volto. << Bene. Ora, con calma, allarghi il suo campo visivo, si concentri su ciò che vede ai lati, >> continua muovendo lentamente le dita.
<< Non posso immaginare cosa abbia vissuto, >> dice poi a voce bassa, quasi un sussurro << ma ora è finito. >> Fa una pausa, le dita continuano a muoversi. << Guardi le mie mani…di qualsiasi cosa si tratti, fa parte di un passato che non dovrà più rivivere. Per quanto sia stato terribile, ora è terminato. Per quanto continui a sognarlo, a ricordarlo…non è più il suo presente. Non sto dicendo che d’ora in poi sarà tutto più facile, solo… oggi è finito, e domani sarà diverso. >>
Lo sguardo del sergente è quello di un bambino smarrito ma, lentamente, il volto si distende e il suo corpo comincia a rilassarsi.
Bucky si abbandona contro la parete. Scuote appena la testa quando l’infermiera gli chiede se sia ferito, poi chiude gli occhi e torna a raggomitolarsi contro il muro. Ha freddo, e quel freddo se lo sente fin dentro le ossa.
Marta cerca di convincerlo ad alzarsi. Non vuole.
Il divano sarebbe più comodo, più caldo. Non vuole. Il divano è troppo morbido, si sentirebbe affogare fra i cuscini.
Bucky la guarda in attesa della sua reazione. Lei si arrende e, lentamente, si mette in piedi con un sospiro; gli dice qualcosa prima di allontanarsi, ma lui la sente senza ascoltare davvero.
Torna poco dopo con una coperta fra le mani. Mentre gliela sistema sulle spalle, Bucky non può fare a meno di notare quanto la corporatura dell’infermiera sia minuta in confronto alla sua.
Potrebbe ucciderla con estrema facilità, lei non avrebbe né il tempo né la forza di opporsi.
No! Non deve! Non vuole uccidere!
<< -te? Sergente? >>
Il suo sguardo si focalizza sulla donna davanti a lui.
<< Lei non ha paura di me? >> La sua è una domanda, ma suona quasi come un’affermazione.
La donna, colta di sorpresa, resta interdetta per un momento. << Lei non è una brutta persona. È una persona a cui sono successe cose brutte. >>
L’uomo si stringe la coperta attorno al suo corpo << le cose brutte cambiano le persone che le vivono, >> mormora.
Qualsiasi cosa può cambiare una persona, anche quelle belle. O semplicemente il passare del tempo.
Ogni cosa che viviamo ci rende una persona diversa da quella che eravamo prima.
Parlando, facendo pause alla ricerca delle parole giuste, Marta non può fare a meno di pensare a Harlan, e alla sua morte.
<< L’unica cosa da fare è accettare il cambiamento, farsene una ragione e andare avanti. >>
A parole è così facile, perché non può esserlo altrettanto nei fatti?
Lo sguardo del sergente è nuovamente smarrito nel passato, fisso su un punto indefinito, e Marta si chiede a cosa stia pensando.
<< Si sente meglio, sergente? Ha bisogno di qualcosa? >>
Bucky risponde, ma dalle sue labbra escono dei suoni che per l’infermiera non hanno alcun senso.
Lei gli rivolge uno sguardo interdetto, e lui si rende conto dell’errore: le ha parlato in russo.
Fa per scusarsi, ma la lingua è nuovamente quella sbagliata. Se cerca di scusarsi, l’unica cosa che gli viene in mente è un sommesso ‘gomen-nasai’, ed è quasi certo che l’infermiera non parli giapponese.
Marta attende.
<< Mi scusi, >> riesce in fine a dire lui, quando finalmente riesce a ricordare come scusarsi in inglese.
Lei, incuriosita, gli chiede quante lingue parli.
<< Sette. Ultimamente mi capita di fare confusione, prima non mi succedeva così spesso. Almeno non credo. >>
Lei ridacchia bonariamente << parla sette lingue, e pretende di non fare confusione? Io ho problemi anche solo con due. >>
<< Qual è la sua lingua madre? >> chiede, sinceramente interessato.
<< Spagnolo. Sono nata a Cuba. Quindi, se vuole, potrà parlarmi in spagnolo. Per le altre lingue ci penserà il traduttore del telefono. >>
 
 


 
  
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